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Pubbl. Lun, 3 Ott 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Le Sezioni unite sulla detenzione dell´imputato per altra causa quale legittimo impedimento a comparire in udienza

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Marco Grande
Dottore di ricercaUniversità degli Studi di Torino



Occupandosi dell’imputato non comparso in udienza ed esaminando le tematiche sottese alla ratio della sua partecipazione effettiva e consapevole (oggetto peraltro della c.d. riforma Cartabia), l’Autore scenderà nel merito del contrasto creatosi in giurisprudenza e risolto da Cass., Sez. un. 30 settembre 2021, n. 7635, con cui sono state definite le linee guida per individuare quando la detenzione carceraria e/o domiciliare (per altra causa) costituisca condizione di legittimo impedimento dell’imputato. In tali ultime evenienze, inoltre, si analizzerà l’ipotesi in cui il giudice sia tenuto a disporre la traduzione dell’imputato e quando invece questi, o il suo difensore, siano gravati dall’obbligo di informare il giudicante delle ragioni dell’impedimento


ENG

The Unified sectionson the detention of the accused for another cause as a legitimate impediment to appearing at the hearing

Dealing with the accused who did not appear at the hearing and examining the issues underlying the ratio of his effective and conscious participation, which is also the subject of the so-called Cartabia reform and the very recent implementing decrees, the Author will discuss the merits of the conflict created in jurisprudence and resolved by the Unified Sections of Court of Cassation 30 September 2021, n. 7635, which defined the guidelines to identify when prison and / or home detention (for other reasons) constitutes a condition of legitimate impediment for the accused. In the latter cases, moreover, the hypothesis in which the judge is required to order the translation of the accused and when the defendant, or his counsel, is burdened by the obligation to inform the judge of the reasons

Sommario: 1. Premessa; 2. La partecipazione effettiva e consapevole dell’imputato in udienza; 3. (Segue). La disciplina dell’assenza, la sospensione del processo e le nuove ricerche; 4. Il contrasto nella giurisprudenza di legittimità sull’impedimento a comparire dell’imputato; 5. Il caso sottoposto all’attenzione delle Sezioni unite e la soluzione interpretativa offerta; 6. (Segue). L’impedimento dell’imputato a comparire in udienza per altra causa di restrizione carceraria o domiciliare. Tra l'ordine di traduzione del giudice e gli obblighi di comunicazione della parte; 7. Spunti conclusivi.

1. Premessa

Certo non è questa la sede adatta – né, peraltro, chi scrive ne sarebbe idoneamente attrezzato – per tracciare il quadro della storia evolutiva della disciplina dell’assenza dell’imputato. Basterà almeno qui rilevare che le sue origini sono piuttosto risalenti e possono collocarsi, già intorno al II secolo a.C., con l’introduzione delle Questiones perpetuae nel sistema giudiziario della Roma antica[1].

In quel periodo storico il processo penale si svolgeva secondo una sequenza che non è molto differente da quella contemporanea. Ed invero, il giorno stabilito per la discussione, nella sede destinata allo svolgimento del giudizio, il magistrato[2] faceva chiamare da un ufficiale giudiziario l’accusatore, l’accusato, i difensori e i giudici al fine di verificarne la presenza[3].

Se l’accusatore fosse risultato ingiustificatamente assente, il nome dell’accusato sarebbe stato cancellato dal ruolo dei rei[4] il processo si sarebbe estinto[5]; se invece era assente l’accusato e la mancata comparizione non era giustificata da plausibili motivi, si procedeva ugualmente nei suoi confronti[6].

Tuttavia, al fine di evitare “irregolarità processuali”, già nella legislazione antica era consentito l’intervento di un escusatore per provare l’esistenza di un legittimo impedimento dell’accusato e, perciò, ottenere una dilazione del termine per comparire: detto soggetto non aveva però grande autonomia ma soltanto la possibilità di dar conto delle ragioni che impedivano la comparizione del reo senza poter trattare nel merito la causa[7].

Il processo in contumacia, per assenza ingiustificata dell’accusato, era pure previsto nel codice di procedura penale del Regno d’Italia del 1865, nel codice di procedura penale Finocchiaro-Aprile del 1913, così come nel codice Rocco del 1930[8].

Discostandoci ora dai precedenti storici molto succintamente accennati, è opportuno analizzare la più recente disciplina riguardante l’assenza dell’imputato non comparso in udienza, cercando di riscontrare quando tale assenza possa ritenersi legittima in quanto giustificata da una particolare evenienza. Nel far ciò non può prescindersi da una breve panoramica, che quantomeno sommariamente cerchi di individuare la diversa fisionomia del rito creatasi a seguito della soppressione del processo contumaciale.

Come è noto, in forza della riforma legislativa del 16 dicembre 1999, n. 479[9] se l’imputato regolarmente citato non compariva, in mancanza di una legittima giustificazione[10], l’udienza preliminare o il dibattimento (per il rinvio operato dall’art. 484 c.p.p.) si svolgevano in contumacia.

L’istituto processuale era quindi applicabile sia nella fase in cui il controllo del giudicante è orientato alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero[11], sia nel vero e proprio baricentro del processo[12].

La dichiarazione di contumacia pareva cristallizzare, tramite un’ordinanza, una sorta di “biasimo” nei riguardi dell’imputato che in un certo qual senso – ancorando fedelmente l’istituto all’etimologia del termine –, veniva quasi considerato ribelle, arrogante, riottoso[13] rispetto alla celebrazione del processo a suo carico.

È facile intuire come tale contegno processuale dell’imputato, stigmatizzato in un provvedimento giurisdizionale interinale – sia pure revocabile – avrebbe potuto avere, oltre al resto[14], una rilevante incidenza sul convincimento del giudice all’epilogo della fase.

Con la riforma operata dalla L. 28 aprile 2014, n. 67 si è provveduto, come accennato ed oltre al resto, anche all’eliminazione dell’istituto della contumacia[15], anche al fine di adeguare le norme processuali in punto al giusto processo ed alle statuizioni della C.e.d.u. sulla realizzazione di un contraddittorio inteso come mezzo per poter conoscere per quanto più possibile la verità[16].

Il nuovo sistema tende, in sintesi, a privilegiare la notifica della citazione a mani proprie quale migliore forma di conoscenza dell’esistenza del processo. La contumacia è stata scissa in due istituti distinti: da un lato, in presenza di un irreperibile, il processo deve essere sospeso; da un altro lato, se vi è stata consegna dell’avviso o della citazione a mani proprie o vi è un altro atto sintomatico della conoscenza del procedimento, il rito prosegue contro l’imputato dichiarato assente, del quale si presume la rinuncia volontaria a comparire[17].

È noto come tra le garanzie riconosciute all’imputato di fondamentale importanza vi sia quella della partecipazione effettiva e consapevole nel processo penale. E secondo il principio di legalità processuale ogni persona deve avere la possibilità di conoscere l’esistenza di un procedimento a suo carico, di potervi partecipare ma anche di poter rinunciare volontariamente alla partecipazione dello stesso procedimento.

Il fenomeno dell’eliminazione del vecchio istituto della contumacia e dell’inserimento della nuova figura dell’assente nel codice potrebbe spingere l’interprete a domandarsi se le due conformazioni siano alternative oppure, in un certo qual senso possano sovrapporsi, se non del tutto confondersi.

Di certo, occorre segnalare, le ipotesi normativamente previste che in precedenza davano luogo alla contumacia si sono scomposte in due evenienze processuali totalmente differenti. Da un lato l’irreperibilità con la sospensione del procedimento e dall’altro l’assenza.

Nei confronti dell’imputato irreperibile il processo si sospende a garanzia della stessa parte processuale.

Al contrario, nei riguardi dell’imputato (volontariamente) assente il processo prosegue senza la sua partecipazione, con quale pregiudizio per il suo diritto di difesa e di autodifesa è agevole intuire.

Pertanto, se da un lato sembrerebbe che dopo la riforma del 2014 l’assenza abbia sostituito la contumacia dall’altro lato non bisogna sottovalutare che nel codice di rito sono presenti alcune norme ove ancora è prevista la figura del contumace[18]. E se ciò non si volesse ritenere come una “svista” del legislatore, tenendo conto che dette norme si riferiscono all’irreperibile, all’assente e alla vecchia figura del contumace, si percepisce chiaramente come il ruolo dell’interprete non sia affatto agevole.

In ogni caso, nel prosieguo del presente lavoro, occorrerà analizzare quando la mancata partecipazione al processo da parte dell’imputato possa considerarsi una assenza volontaria e consapevole e quando, invece, derivi da assoluta impossibilità a comparire.

Si cercherà, poi, di esaminare il contrasto creatosi nella giurisprudenza di legittimità sul punto, per approdare successivamente alla recente soluzione interpretativa offerta dalle Sezioni unite. Si avrà modo di esaminare, in base a quanto statuito dalla Corte nella sua massima composizione, se e quando una detenzione carceraria o domiciliare (per altra causa) possa considerarsi un impedimento legittimo. In tali ultime evenienze, inoltre, si cercherà di esaminare quando il giudice sia tenuto a disporre la traduzione dell’imputato (con fissazione di una nuova udienza) e quando invece lo stesso imputato o il suo difensore siano gravati dall’obbligo di informare il giudicante della causa di impedimento.

2. La partecipazione effettiva e consapevole dell’imputato in udienza

Già sotto un profilo costituzionale (art. 111 Cost.) e sovranazionale (art. 6 CEDU)[19] la garanzia riconosciuta all’imputato circa la sua effettiva partecipazione personale e consapevole all’udienza assume fondamentale importanza[20]

La tematica involge in via diretta tutte una serie di implicazioni che garantiscono la difesa e l’autodifesa dell’interessato, perché il diritto di difendersi provando può essere garantito anche, se non soprattutto, grazie al livello di conoscenza della vicenda che riguarda lo stesso imputato. E ciò si realizza avendo piena contezza delle dinamiche processuali tramite la partecipazione alle udienze.  

Peraltro, anche il recente intervento novellistico sull’efficienza del processo penale, contenuto nella legge 27 settembre 2021, n. 134 (c.d. riforma Cartabia), ha dedicato l’intero comma 7 dell’art. 1 alla disciplina dell’assenza[21]. E ciò, sia pure nella prima parte programmatica del provvedimento normativo, i cui decreti attuativi sono in corso di redazione[22], perseguendo il chiaro intento di rendere il procedimento penale più celere ed efficiente modificando, in parte qua, il codice di procedura penale in materia di processo[23].

Nella cornice del diritto di difesa la stessa conoscenza della data stabilita per l’udienza si configura come un presupposto essenziale per l’esercizio delle garanzie difensive ma anche un valido strumento orientato al rispetto dei canoni del giusto processo[24].

In quest’ottica assume importanza pregnante la fase dell’udienza preliminare all’interno della quale si compie la verifica della regolare costituzione delle parti. In quel momento processuale il giudice deve accertare che la notifica a mani proprie sia stata effettuata.

Qualora il giudice si accerti della regolarità della notifica e l’imputato, non comparso, non adduca alcun legittimo impedimento, la rinuncia alla presenza può dirsi volontaria e non equivoca, ai sensi dell’art. 420 bis, comma 2, c.p.p.

Il processo verrà celebrato nei confronti di un imputato dichiarato assente, con una declaratoria di assenza pronunciata per un comportamento consapevole dell’imputato[25].

Se la notifica non è stata fatta a mani proprie dell’imputato ma questi abbia avuto conoscenza certa del procedimento aliunde, il giudice dichiara parimenti l’imputato assente (art. 420 bis, comma 2, c.p.p.). Si tratta anche in questo caso di una assenza consapevole perché la conoscenza della celebrazione del processo e la rinuncia volontaria a comparire vengono presuntivamente dedotte da ipotesi normativamente previste.

Qualora invece il giudice non individui delle evenienze che facciano presumere la conoscenza certa del procedimento in capo all’imputato, il processo deve essere sospeso[26], con parallela sospensione del decorso della prescrizione, fino a che l’imputato non venga reperito ai sensi dell’art. 420 quater, comma 2 c.p.p.

L’imputato ha comunque la possibilità di provare in altro momento la sua mancata ed incolpevole conoscenza della celebrazione del processo. Tale evenienza può verificarsi sia nel corso del procedimento di primo grado (art. 420 bis, comma 4, c.p.p.; art. 420 quinquies, comma 2, c.p.p.), sia nei gradi successivi, nonché quando sia intervenuta sentenza irrevocabile[27].

Il rimedio è rappresentato da un nuovo giudizio in primo grado con garanzia del riconoscimento del diritto alla prova.

3. (Segue). La disciplina dell’assenza, la sospensione del processo e le nuove ricerche

Si è già accennato come gli artt. 420 bis e ss. c.p.p. contengano la disciplina dell’assenza dell’imputato. Si tratta di una disciplina su una “condizione personale” dell’accusato, che a far tempo dall’entrata in vigore della citata L. n. 67/2014, ha sostituito quella della contumacia nel procedimento penale.

Le disposizioni de quibus che anche se contenute nella parte relativa alla disciplina dell’udienza preliminare si applicano anche alla prima udienza dibattimentale, ai sensi del collegamento contenuto nell’art. 484, comma 2 bis, c.p.p.

La precedente formulazione dell’art. 420 quater c.p.p., durante la vigenza della c.d. legge Carotti, prevedeva che il giudice dichiarasse la contumacia dell’imputato, libero o detenuto, che non compariva alla prima udienza di costituzione delle parti qualora ci fosse una mancata partecipazione volontaria. Ciò poteva avvenire all’udienza preliminare oppure all’udienza dibattimentale, nel caso di citazione diretta a giudizio.

La dichiarazione di contumacia, tuttavia, non poteva essere dichiarata nel caso in cui fosse rilevata una nullità della notificazione, della citazione, dell’avviso; oppure si era verificata una ipotesi di mancata conoscenza, effettiva ed incolpevole, da parte dell’imputato, dell’avviso dell’udienza preliminare o del decreto di citazione diretta a giudizio, sempre che non vi fosse stata la notifica di tali atti al difensore; ovvero un legittimo impedimento dell’imputato a comparire all’udienza. L’imputato dichiarato contumace era rappresentato dal difensore.

Si è supra[28] accennato che la contumacia cristallizzava nel provvedimento interinale la condizione dell’imputato che volontariamente non partecipava al processo.

A livello pratico l’effetto più considerevole della disciplina della contumacia si traduceva nell’imposizione di un termine per proporre impugnazione, che decorreva dalla notifica al contumace dell’estratto del provvedimento, alla quale doveva procedersi anche ove il deposito del provvedimento impugnabile fosse avvenuto nel termine previsto per legge o stabilito dal giudice[29].

Durante la vigenza della legge Carotti vi erano due espresse previsioni normative di particolare considerazione processuale per il contumace.

Quest’ultimo avrebbe potuto evitare la dichiarazione di contumacia provando la propria mancata incolpevole conoscenza del procedimento pendente. Ma era inoltre possibile provare che la sua assenza era incolpevole[30] in quanto cagionata da forza maggiore o caso fortuito[31].

Come detto, la L. n. 67/2014 ha realizzato una profonda rivisitazione della precedente disciplina, apportando delle modifiche, contenute negli artt. 420 quater e 420 quinquies c.p.p., che possono sintetizzarsi nei termini che seguono.

In primo luogo, fuori dai casi previsti dagli artt. 420 bis e 420 ter c.p.p., ove l’imputato sia assente, il giudice rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato nelle mani dell’imputato, quindi a lui personalmente, ad opera della polizia giudiziaria.

Nel caso in cui la notifica non risulti possibile, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente e fissa una nuova udienza.

Decorso un anno dall’emanazione dell’ordinanza (e ad ogni successiva scadenza annuale, allorché il procedimento non abbia ripreso il suo corso), o anche in periodo anteriore quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice dispone nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso.

Il provvedimento di sospensione del processo viene revocato se le ricerche di polizia giudiziaria hanno avuto esito positivo, ma anche se l’imputato ha nel frattempo nominato un difensore di fiducia; ovvero in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l’imputato è a conoscenza del procedimento; o ancora se deve essere pronunciata sentenza a norma dell’art. 129 c.p.p.

La revoca della sospensione del processo avviene con ordinanza con cui il giudicante determina la data per la nuova udienza, disponendo che l’avviso sia notificato all’imputato e al suo difensore, alle altre parti private e alla persona offesa, nonché comunicato al pubblico ministero.

Durante il corso dell’udienza così fissata l’imputato ha la possibilità di chiedere che il giudizio sia definito con un rito alternativo. Può optarsi sia per il giudizio abbreviato sia per l’applicazione della pena su richiesta delle parti[32].

In determinate circostanze quindi il giudice dichiara l’assenza dell’imputato, che sarà da quel momento in avanti rappresentato dal difensore[33]. Il che non è un fenomeno da sottovalutare: non sarà effettuata al diretto interessato la notifica della data di rinvio della prossima udienza, essendo sufficiente che questa venga comunicata al suo difensore. Si tratta di ipotesi normativamente previste in cui l’imputato, libero o detenuto, non sia presente all’udienza o, comunque, anche se impedito, abbia espressamente rinunciato ad assistervi. L’assenza può essere dichiarata anche quando sussistano determinate condizioni dalle quali possa desumersi la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, individuate nella nomina di un difensore di fiducia, nella pregressa elezione o dichiarazione di domicilio, nella sottoposizione dell’imputato nel corso del procedimento ad arresto o fermo, ovvero ad una misura cautelare, nonché nella notifica a sue mani dell’avviso dell’udienza. La declaratoria di assenza può avvenire anche nel caso in cui la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato risulti, comunque, “con certezza” o anche quando sia accertata la volontaria sottrazione, da parte dell’imputato stesso, alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo[34].

4. Il contrasto nella giurisprudenza di legittimità sull’impedimento a comparire dell’imputato

L’art. 420 ter c.p.p. si occupa della disciplina dell’impedimento a comparire in udienza dell’imputato (e del difensore). Qualora l’imputato, anche se detenuto, non si presenti alla prima udienza, e risulti che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza, rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato all’imputato l’atto introduttivo del giudizio. Nel caso in cui le condizioni appena indicate sussistano in occasione di udienze successive alla prima il giudice provvederà allo stesso modo, con ordinanza, a disporre il differimento dell’udienza e disporrà, in favore dell’imputato, la notifica del verbale dell’udienza medesima.

Le notificazioni spettano esclusivamente in favore del soggetto impedito, mentre per tutti coloro che sono o devono considerarsi presenti, vale la lettura dell’ordinanza che fissa la nuova udienza.

Occorre allora ripercorre le linee interpretative createsi in argomento nella giurisprudenza della suprema Corte[35], partendo dal solco tracciato da una decisione delle Sezioni unite del 2006[36], che ha avuto specifico riguardo, tra le ipotesi di legittimo impedimento a comparire dell’imputato, quella concernente la detenzione dello stesso accusato per altra causa.

Secondo la decisione in parola la conoscenza, da parte del giudice che procede, di un legittimo impedimento dell’imputato preclude la dichiarazione di contumacia o di assenza e, solo qualora questi consenta alla celebrazione dell’udienza in sua assenza o, se detenuto, rifiuti esplicitamente di assistervi, trova applicazione l’istituto dell’assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p.

Ancora, secondo il deciso del 2006, integra un’ipotesi di legittimo impedimento la detenzione dell’imputato per altra causa, anche nel caso in cui questi avrebbe potuto comunicare al giudice la condizione di limitazione della libertà personale in cui versa, in tempo utile per consentire la sua traduzione. Ne consegue che, in mancanza di qualsivoglia dichiarazione di rinuncia a comparire dell’imputato e di un onere – normativamente non previsto – di previa comunicazione della condizione di limitazione della libertà personale in cui versa lo stesso interessato, l’accertata presenza di un legittimo impedimento, del quale il giudice sia reso edotto, non produce alcun effetto abdicativo e la dichiarazione di contumacia o di assenza non è legittimamente resa.

Quattro anni più tardi la Cassazione a Sezioni unite, nuovamente investita della questione, ha sostanzialmente ribadito l’approccio ermeneutico poc’anzi descritto. Ed invero nel 2010[37] la Corte, nella sua massima composizione, nell’affrontare la questione con segnato riferimento al giudizio camerale d’appello, ha avuto modo di chiarire expressis verbis che «nel giudizio ordinario deve essere sempre assicurata, in mancanza di un inequivoco rifiuto, la presenza dell’imputato» e, che quindi, qualora questi non si presenti e in qualche modo risulti (o appaia probabile) che l’assenza sia dovuta a caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, «spetta al giudice disporre, anche d’ufficio, il rinvio ad una nuova udienza, senza che sia necessaria una qualche richiesta dell’imputato in tal senso». Il provvedimento in discorso ritiene necessario ordinare la traduzione del medesimo imputato, a meno che non vi sia stato un esplicito rifiuto di assistere all’udienza.

L’arresto del 2010 appena segnalato è stato oggetto di ulteriori conferme nel corso del tempo con tre diverse pronunce di tre distinte Sezioni semplici, rispettivamente nel 2013[38], nel 2014[39] e nel 2016[40].

Secondo la decisione più recente, e cioè quella del 2016, ricorre in ogni caso un’ipotesi di legittimo impedimento dell’imputato, già citato a giudizio in stato di libertà e successivamente tratto in arresto e detenuto per altra causa, qualora non ne sia stata ordinata la traduzione, e non vi sia espressa rinuncia a presenziare al giudizio. Pertanto, secondo questa decisione, in assonanza con la consolidata tendenza della Corte a ricondurre la sua interpretazione al tipo codificato, in tali condizioni non può procedersi in sua assenza, conseguendo altrimenti la nullità di tutti gli atti compiuti senza che egli abbia avuto modo di partecipare al giudizio.

Si segnala poi un ulteriore e peculiare orientamento della giurisprudenza di legittimità che ravvisa a carico dell’imputato, regolarmente citato in stato di libertà e successivamente tratto in arresto per altra causa, l’onere di segnalare “tempestivamente” al giudice il suo sopravvenuto stato di detenzione, non desumibile dagli atti né altrimenti comunicato, e la sua volontà di prendere parte al giudizio: in caso di mancato assolvimento di tale onere di tempestiva comunicazione si configura la legittimità della dichiarazione di assenza resa dal giudice e la ritualità dell’udienza svolta in tali condizioni, non potendo l’imputato invocare a posteriori la mancata partecipazione al processo[41].

Su questa lunghezza d’onda si pone un’altra decisione del 2015, in cui si è sostenuto che «non è ipotizzabile che ogni volta che un imputato (che risulta libero in relazione ai fatti per cui si procede) non sia presente in udienza incomba al giudice l’onere di accertare, prima di procedere alla declaratoria di contumacia, se lo stesso sia detenuto per altra causa» e occorre, invece, che il giudice procedente sia comunque reso edotto dello stato di detenzione (sopravvenuto) in cui versa l’imputato[42].

Rispetto a quanto finora segnalato, la Sezione VI della Corte suprema, cui era stato assegnato il procedimento di legittimità del caso che qui ci occupa, ha chiesto alle Sezioni unite, in particolare, di chiarire se sia consentita, ai fini in discorso, l’equiparazione del trattamento previsto per i soggetti ristretti in carcere a quello riservato ai soggetti nei cui confronti sia imposta la permanenza al domicilio, opzione rispetto alla quale si registrano decisioni contrastanti.

Al di là del panorama appena descritto, anche sotto un profilo diacronico – sia pur succintamente, occorre, in sintesi, schematizzare il contrasto, raggruppandolo in due filoni. 

Secondo un primo orientamento, che prende le mosse dalle linee interpretative tracciate in materia dalla sentenza delle Sezioni unite del 2006, il sopravvenuto stato di detenzione per altra causa, anche non inframuraria,  – di cui il giudice sia reso edotto –  integra un’ipotesi di legittimo impedimento dell’imputato a comparire e preclude la legittima celebrazione del processo pur se risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del suo status in tempo utile per la traduzione. A sostegno di questa opzione interpretativa si adduce la mancanza di una previsione normativa in tal senso e l’eccezionalità del rito contumaciale o in assenza le cui norme devono intendersi di stretta interpretazione. Peraltro, nell’ottica di un processo di tipo accusatorio, la partecipazione dell’imputato afferisce al diritto di autodifesa, certamente rinunziabile, ma non «delegabile, né confiscabile»[43].

Diverso è un altro orientamento, che le Sezioni unite definiscono «più consistente», secondo il quale diversamente da quanto previsto per l’imputato in custodia intramuraria –  nei confronti del quale incombe al giudice procedente di emettere l’ordine di traduzione –, la persona sottoposta agli arresti domiciliari per altra causa ha l’onere di chiedere tempestivamente al giudice della cautela (che in tesi non coincide con il giudice che procede) l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per il tempo necessario, autorizzazione che, benché dovuta, non potrà intervenire in assenza di una manifestazione di volontà, ossia di un atto di impulso, da parte dell’interessato[44].

Secondo questo filone giurisprudenziale i principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni unite del 2006 in merito alla «assoluta impossibilità di comparire» – che giustifica, a norma dell’art. 420 ter c.p.p., l’avviso per la nuova udienza – afferiscono alla sola detenzione ordinaria e non anche allo status del soggetto agli arresti domiciliari per altra causa, poiché questi, ricevuta la citazione, è in condizione di chiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione a recarsi in udienza, sicché solo qualora questa gli venga negata per un qualsiasi motivo ricorrerà l’ipotesi di «assoluta impossibilità a comparire»[45].

5. Il caso sottoposto all’attenzione delle Sezioni unite e la soluzione interpretativa offerta

Atteso il contrasto creatosi si profilava quindi necessario l’intervento chiarificatore delle Sezioni unite. La vicenda sottopostale dalla Sezione VI rimettente traeva origine da un procedimento celebratosi in seconde cure presso la Corte d’appello di Catanzaro, la quale con sentenza del 21 settembre 2020 ha confermato le statuizioni di primo grado del Tribunale di Crotone che avevano ritenuto l’imputato colpevole del reato di evasione, per essersi allontanato senza autorizzazione dal luogo ove era sottoposto agli arresti domiciliari, ed ha ridotto la pena inflitta ad anni uno di reclusione.

Il difensore ha proposto ricorso per cassazione denunciando inosservanza della legge penale e vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di rigettare l’eccezione di nullità della pronuncia di primo grado.

Nel ricorso si è avuto modo di rilevare – e questo è il punto focale della vicenda all’attenzione delle Sezioni unite – che nel corso del primo giudizio, a cui l’imputato non ha partecipato, la difesa aveva segnalato la sottoposizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa. Il Tribunale di Crotone aveva, pertanto, disposto il rinvio dell’udienza, senza emettere ordine di traduzione dell’interessato per quella successiva, che si era svolta in sua assenza, pur nel permanere delle condizioni di restrizione.

Ulteriore motivo di doglianza dell’imputato riguarda il fatto che erroneamente la Corte catanzarese, nel rigettare l’eccezione di nullità del primo giudizio, ha ritenuto insussistente il dovere del giudice di disporre la traduzione dell’interessato, ritenendo che spettasse all’imputato attivarsi presso il giudice del diverso procedimento in cui era stata applicata la misura, al fine di ottenere l’autorizzazione a recarsi in udienza, pur in assenza di disposizione di legge in tal senso. A sostegno della tesi difensiva il ricorrente ha richiamato diverse pronunce di Cassazione che qualificano come legittimo impedimento a comparire qualsiasi limitazione della libertà personale ed impongono la concessione di un rinvio del processo per consentire la presenza dell’interessato in udienza, a meno che non risulti un espresso rifiuto di questi a partecipare alla stessa. Il ricorrente, come ulteriore motivo di ricorso, ha inoltre eccepito inosservanza della legge penale e vizio di motivazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Le Sezioni unite hanno dapprima ricostruito con molta precisione il panorama giurisprudenziale creatosi[46], evidenziando le ragioni del contrasto e descrivendo che la parte maggioritaria della giurisprudenza ha ritenuto di continuare a tracciare una distinzione tra l’imputato ristretto in carcere e quello agli arresti domiciliari per altra causa ritenendo che, in quest’ultimo caso, l’impedimento non sarebbe legittimo ed assoluto, poiché l’imputato può chiedere l’autorizzazione o l’accompagnamento o la traduzione al giudice competente

Le Sezioni unite hanno avuto modo di suddividere in quattro gruppi le motivazioni delle pronunce che si sono occupate della tematica in parola.

Le prime disconoscono espressamente l’identità di condizione tra persona detenuta ed agli arresti domiciliari per altra causa e ritengono che la restrizione domiciliare non determini un impedimento assoluto[47].

Un secondo gruppo di decisioni attribuisce specifico rilievo alla omessa tempestiva attivazione per ritenere legittimo il processo in assenza dell’imputato[48].

Un terzo filone ritiene che non sia configurabile un obbligo dell’autorità giudiziaria procedente di disporre la traduzione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa se questi non abbia avanzato tempestiva richiesta al giudice procedente[49].

Un quarto gruppo valorizza lo status dell’imputato al momento della notifica del decreto di citazione a giudizio ed osserva che, qualora la restrizione della libertà personale per altra causa intervenga successivamente, non sussiste un obbligo di attivazione ufficiosa del giudice ignaro della sopravvenuta misura limitativa. E ritiene che la restrizione domiciliare non determini un impedimento assoluto, atteso che l’interessato può rimuoverlo, formulando richiesta di autorizzazione a lasciare l’abitazione[50].

Il Collegio ha stabilito di operare dei “correttivi” agli orientamenti appena descritti, in quanto il primo gruppo di decisioni non si basa sui principi contenuti nei provvedimenti delle stesse Sezioni unite del 2006[51] e del 2010[52] e non adduce argomentazioni per confutare le affermazioni che i casi di restrizione della libertà personale diversi dalla detenzione in carcere determinano un legittimo impedimento giuridico, non differente, agli effetti che qui interessano, dall’impedimento costituito dalla detenzione in carcere, e che l’esercizio di un diritto fondamentale, come quello di partecipare al processo, non può essere subordinato ad oneri non espressamente previsti dalla legge.

Il secondo indirizzo, secondo le Sezioni unite, non tiene conto, quanto meno per fornire una differente prospettazione giustificativa, della motivazione della sentenza del 2010 poco sopra citata, secondo cui l’impedimento di chi è sottoposto a restrizione della libertà diversa dalla detenzione in carcere è pur sempre legittimo ed assoluto e una differenziazione delle due situazioni sarebbe foriera di irragionevolezza, ove si consideri che il detenuto in carcere può più facilmente dialogare con l’autorità giudiziaria procedente tramite l’ufficio matricola, mentre non sempre l’imputato agli arresti domiciliari in grado di veicolare le sue richieste, in assenza di strumenti adeguati o di persone in grado di agire in sua vece.

Molto critico il Collegio rispetto alle pronunce del terzo e del quarto filone in quanto, secondo la sentenza in commento, esse «prescindono dal contesto normativo e dai principi elaborati dalle Sezioni Unite in tema di processo in assenza anche per effetto dei plurimi interventi della Corte Edu»[53].

La soluzione interpretativa che il Collegio ritiene di dover sostenere è quella che configura, in capo all’imputato che abbia reso il giudice edotto del sopravvenuto stato restrittivo per altra causa, il pieno diritto di vedere assicurata la propria presenza al processo mediante la disposizione della traduzione e senza ulteriori oneri a proprio carico.

Del resto, diverse ragioni militano a favore della centralità della garanzia di partecipazione al processo da parte dell’imputato, riscontrabili sia all’interno della normativa sovranazionale[54], sia in quella costituzionale (art. 111, comma 3, Cost.), sia nelle diverse decisioni della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo[55].

Alla luce del panorama così individuato nella decisione in commento si è affermata la centralità del diritto dell’imputato di partecipare al processo e si sono identificate le rigorose condizioni cui è subordinata la celebrazione del giudizio in absentia. Per vero, affinché la celebrazione del processo possa così avvenire occorre in primis la certezza della conoscenza del processo, della data e del luogo fissati per il suo svolgimento; in secundis l’inequivocità della rinuncia a comparire nel giorno fissato.

Soltanto sulla base di questi principi secondo le Sezioni unite si può dedurre che il procedimento in assenza, la cui disciplina costituisce il necessario punto di equilibrio tra pretesa della tutela punitiva statuale ed esigenza di garantire il diritto dell’imputato alla partecipazione al suo processo, è legittimo. Ma tale legittimità sussiste soltanto qualora vi sia certezza della conoscenza dell’accusa, della data di udienza e delle possibilità di accesso alla stessa da parte dell’imputato e vi sia stato a cura del giudice, inoltre, un rigoroso e non equivoco accertamento della volontà dell’interessato di sottrarsi al procedimento. In caso contrario il giudice deve disporre la traduzione dell’imputato al processo.

6. (Segue). L’impedimento dell’imputato a comparire in udienza per altra causa di restrizione carceraria o domiciliare. Tra l’ordine di traduzione del giudice e gli obblighi di comunicazione della parte

La decisione qui in commento, ha avuto modo di chiarire che esiste una parificazione degli effetti delle forme di restrizione, carceraria o domiciliare, ai fini della valutazione dell’impedimento.

Le Sezioni unite hanno anche previsto due diverse eventualità che potrebbero verificarsi. Vediamole separatamente.

Se il giudice che procede, nell’ipotesi in cui emerga, in qualsiasi modo, dagli atti la circostanza che l’imputato, libero nel suo procedimento, sia in condizione di restrizione di qualsiasi natura per altra causa, deve attivarsi a disporre l’ordine di traduzione, ed il rinvio del procedimento, qualora tale ordine non sia eseguibile per l’udienza già fissata – nell’ipotesi in cui tale conoscenza sia acquisita nell’immediatezza della prima udienza e non sia possibile procedere utilmente all’emissione dell’ordine per quella data – con correlato obbligo di rinnovo dell’avviso.

La seconda ipotesi è quella che tale condizione di restrizione per altra causa non emerga dagli atti. In tal caso deve farsi carico all’imputato correttamente citato, o al suo difensore, di comunicare la stessa condizione di restrizione sopraggiunta, che abbia effetto impeditivo della libertà di accesso all’udienza. E ciò perché sul piano funzionale, sarebbe impensabile gravare l’ufficio che procede di ricerche negli istituti carcerari o presso gli uffici giudiziari in ordine allo stato di restrizione, carceraria o domiciliare, in tutti i casi in cui l’imputato, libero per il procedimento in corso, non compaia.

L’obbligo di procedere al rinvio ed alla traduzione dell’interessato per la nuova udienza si realizza in tal caso solo ove la condizione di restrizione sia portata a conoscenza del giudice entro le formalità di apertura del dibattimento, fase funzionale all’accertamento delle regolare costituzione delle parti; ne consegue che è consentito procedere in assenza solo ove risulti la corretta citazione dell’interessato, e, qualora non sia stata formulata espressa rinuncia alla partecipazione, non emerga alcun impedimento alla comparizione, condizioni che, congiuntamente valutate, permettono di concludere per la volontaria sottrazione al processo e ne consentono la sua regolare instaurazione.

All’impossibilità per chi procede di accertare ogni ipotetica causa di assenza, anche se non dedotta, fa da contraltare l’onere, per chi ha ricevuto notizia diretta della citazione, di veicolare al proprio giudice l’informazione inerente alla sua condizione di restrizione, onere che, in difetto di deduzione di cause impeditive della comunicazione entro la prima udienza, esclude ogni rilevabilità successiva di causa di nullità, non esposta, né altrimenti nota al giudicante.

Pertanto, in assenza di risultanze o comunicazioni che giustifichino la presenza di impedimenti, l’accertamento della regolare costituzione delle parti, effetto del controllo conclusosi con esito positivo sulla conoscenza da parte dell’interessato sia dell’accusa elevata, che della data e del luogo del processo, rende legittimo il procedimento in assenza.

7. Spunti conclusivi

La decisione in commento affronta la peculiare tematica della partecipazione effettiva e consapevole dell’imputato in udienza. Essa può essere impedita anche dalla restrizione della libertà del soggetto per altra causa (rectius, in un altro procedimento).

Sembra allora opportuno effettuare alcune brevi considerazioni conclusive sulle problematiche che sono state succintamente descritte nelle pagine che precedono.

Secondo il provvedimento che qui ci occupa la restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, documentata o, comunque, comunicata al giudice procedente, in qualunque tempo, integra un impedimento legittimo a comparire che impone al medesimo giudice di rinviare ad una nuova udienza e disporne la traduzione.

Quel che rileva, al fine di valutare la legittimità di un processo penale in absentia, è la concreta (e dimostrabile) mancanza di un impedimento e nel ricondurre la non comparizione dell’imputato ad una rinuncia a comparire.

In caso contrario (e si tratta dello sviluppo processuale che ha interessato le Sezioni unite), se l’imputato – impedito a comparire per altra causa – dimostrando la presenza dell’impedimento chiede al giudice, tramite il difensore, di poter presenziare all’udienza, la mancata traduzione dello stesso e l’avvenuta prosecuzione del giudizio in sua assenza, rendono lo stesso giudizio viziato in quanto celebrato al di fuori delle condizioni legittimanti.

Alla luce di queste considerazioni le Sezioni unite hanno disposto l’annullamento senza rinvio sia della sentenza di appello sia di quella del procedimento di primo grado (nel corso del quale l’impedimento era a conoscenza del giudice procedente), con la trasmissione degli atti al Tribunale di Crotone per la celebrazione del nuovo giudizio di primo grado.

Di certo, in conformità alla realtà processuale, le Sezioni unite avrebbero dovuto distinguere il caso del difensore di fiducia da quello di ufficio. In questa seconda eventualità difficilmente un difensore nominato d’ufficio potrebbe avere contezza di tutte le vicende che riguardano l’imputato (quali ad esempio detenzioni per altra causa) alla stregua del difensore di fiducia.

In ogni caso, ben apprezzabilmente la sentenza in commento ha già trovato terreno fertile nella successiva giurisprudenza di legittimità, in cui sono stati per intero recepiti i principi in essa contenuti[56].

Ciò nondimeno, anche per evitare futuri overulling nelle decisioni, sarebbe auspicabile, de iure condendo, una modifica alla disciplina dei commi 1 e 3 dell’art. 420 ter c.p.p. Potrebbe infatti espressamente essere previsto che gli arresti domiciliari costituiscano titolo di detenzione valido quale legittimo impedimento dell’imputato. Inoltre, per non creare alcun margine di incertezza, dopo la previsione riguardante la fissazione della nuova udienza con rinnovo dell’avviso, già contenuta nei due commi in parola, potrebbe essere espressamente indicato l’ordine di traduzione del giudice nei confronti dell’imputato non comparso per queste tipologie di legittimo impedimento.

È ben vero, del resto – lo si affermava, autorevolmente e con lungimiranza, esattamente 179 anni fa –, «il processo penale va sempre a paro con lo sviluppo dell’umana ragione, ed è il più sicuro termometro dell’umana civiltà»[57].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul punto, v. diffusamente, B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale nell’antica Roma, 2a ed., Milano, 1998, 103 ss.

[2] La figura del magistrato era comunque differente da quella odierna, essendo perlopiù inquadrabile in una carica dal profilo politico. Fin dalle c.d. Leges Liciniae Sextiae (367 a. C.) si determinò, un riassetto delle strutture dello stato repubblicano nella sua realtà istituzionale, stabilendosi, tra l’altro, una ben definita (sia pure empirica) gerarchia delle magistrature. Al vertice, oltre la censura, il consolato, la pretura e la dittatura (con il relativo magister equitum: magistrature maggiori ordinarie e permanenti le prime due, straordinaria la terza) cum imperio, che si ricollegavano in qualche modo all’antico esercizio del comando dell’esercito centuriato. La loro titolarità comportava, perciò, in genere, il comando militare con i connessi grandi poteri coercitivi e la facoltà di indire leve. Dava inoltre, il diritto di convocare e presiedere le assemblee cittadine e il senato (ius agendi cum populo, cum patribus); il potere di esercitare immediatamente, anche per mezzo di subordinati, qualunque atto coercitivo –  esclusi, in genere, quelli che implicavano la provocatio ad populum –  per ottenere l’obbedienza dei cittadini e dei magistrati inferiori (coercitio); la facoltà di emanare e pubblicare nel foro (apud forum palam) i propri edicta, cioè particolari disposizioni o programmi di governo in materie di propria competenza (ius edicendi); la capacità di assumere gli auspici maggiori e, quindi, titolo per il trionfo (che si poteva celebrare solo in caso di vittoria militare avvenuta sotto i propri auspici). In argomento, v. ampiamente, F. CASSOLA – L. LABRUNA, in AA. VV., Lineamenti di storia del Diritto romano, a cura di M. Talamanca, 2a ed., Milano, 1989, 126 s.

[3] Così, da uno studio dei primi anni del 1900 su Pseudo Asconio di T. STANGL, Ciceronis orationum scholiastae Asconius, scholia bobiensia, scholia pseudasconii sangallensia, scholia cluniacensia et recentiora ambrosiana ac vaticana, scholia lugdunensia sive gronoviana et eorum excerpta lugoliadunensia, Vienna, 1912, 225, «apud veteres et iudices et rei et accusatores et defensores citabantur a praecone pretorio»; v. anche M. T. CICERONE, In C. Verrem, Actionis secundis, a cura di V. Brugnola, Torino, 1923, 92 e 97 s.

[4] Il vocabolo “reo” è da intendersi come imputato. Peraltro, al di là delle precisazioni terminologiche, si è discusso molto, sicuramente per oltre un secolo, a proposito dell'inquadramento da conferire al sistema processuale penale romano di epoca imperiale. Ci si è chiesti se fosse un sistema inquisitorio, o prevalentemente tale, oppure su un sistema accusatorio, o prevalentemente tale. Per molto tempo è prevalsa nettamente la prima tesi, nel senso che la cognitio extra ordinem sia da considerarsi un processo di tipo inquisitorio, sebbene la dottrina più autorevole non si sia mai sbilanciata particolarmente in argomento: non sembra abbia mai affermato a chiare lettere che il processo penale romano di epoca imperiale fosse basato su principi e regole tipici di una cultura inquisitoria (cfr. T. MOMSEN, Römisches Strafrecht, Graz, 1955, 351). Non sono mancate però affermazioni circa una presunzione di innocenza e quindi sull’esistenza di un sistema processuale di tipo accusatorio (cfr. S. GIGLIO, Principii e caratteri della «cognitio» criminale romana, in Riv. Dir. Rom., XIX, 2019, 9 s.).

[5] Ancora in M. T. CICERONE, In C. Verrem cit., 99, è dato leggersi «ex reis eximere».

[6] Rileva B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale nell’antica Roma cit., 173, che numerosi processi in assenza degli imputati furono condotti dalla quaestio (straordinaria) ex lege Pedia contro i cesaricidi. La possibilità di procedere contro l’assente è confermata dal provvedimento augusteo ricordato in Lucio Cassio 54, 3, 6, che prescrisse in tale ipotesi il voto palese e la condanna all’unanimità.

[7] N. NICOLINI, Della procedura penale nel Regno delle Due Sicilie, vol. II, Livorno, 1843, 19.

[8] La contumacia in udienza preliminare è stata introdotta nel vigente codice di rito con l’art. 420 quater, originariamente inserito dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 che ha poi subito una radicale modifica ad opera della L. 28 aprile 2014, n. 67, con relativa abolizione della disciplina del processo contumaciale. La normativa del 1999 si discostava dalle premesse del codice del 1988, che anche sulla scorta delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo considerava applicabile, ma con i dovuti accorgimenti, l’istituto della contumacia alla sola fase dibattimentale ma non anche all’udienza preliminare. Ciò costituiva il frutto di un meditato e non agevole sforzo volto a ricondurre in chiave sistematica evenienze processuali in varia misura raccordate, ma pur sempre eterogenee, al precipuo scopo di configurare una equilibrata ed armonica normativa che da un lato garantisse l’effettiva partecipazione dell’imputato alla fase centrale del processo e, dall’altro, consentisse di pervenire celermente alla celebrazione del dibattimento, scoraggiando il ricorso ad espedienti dilatori (cfr. Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni e delle norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni, in Gazz. Uff.Suppl. Ord., 24 ottobre 1988, n. 250, 104 e spec.123). La normativa di fine anni Novanta aveva inserito nella fase dell’udienza preliminare una disciplina corrispondente a quella originariamente prevista per gli atti introduttivi del dibattimento dagli artt. 485, 486, 487 e 488. All’abrogazione di tali disposizioni aveva fatto seguito l’introduzione, rispettivamente, degli artt. 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies (richiamati, per la fase dibattimentale, dall’art. 484 comma 2 bis), così da estendere all’udienza preliminare le regole dettate in ordine all’accertamento dei presupposti delle eventuali dichiarazioni di contumacia o assenza dell’imputato. La scelta del legislatore era ispirata dall’esigenza di adeguare le garanzie di partecipazione dell’imputato e del difensore alle modifiche apportate al “nuovo volto” dell’udienza preliminare operato dalla stessa 1. 479/1999, in particolare, per quanto riguarda le integrazioni probatorie ma anche gli scenari conclusivi della stessa fase. Sulla riforma c.d. “Carotti” del 1999, in dottrina, poco dopo la sua emanazione, v. P. MOSCARINI, Udienza preliminare e presenza dell’imputato: un’anticipazione (quasi) completa degli istituti di garanzia predibattimentale e dibattimentale, in F. PERONI, Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Padova, 2000, 297; L. FILIPPI, La contumacia e l’assenza dell’imputato nell’udienza preliminare, in L. Kalb (a cura di), Le recenti modifiche al codice di procedura penale. Commento alla Legge 16 dicembre 1999, n. 479 (c.d. Legge Carotti), Vol. I, Le innovazioni in tema di indagini e di udienza preliminare, Milano, 2000, 349; C. RIVIEZZO, Contumacia e legittimo impedimento del difensore, Dig. pen., II Agg., Torino, 2004, 165; v. anche F. CASSIBBA, L’udienza preliminare struttura e funzioni, in Trattato di procedura penale, XXX, a cura di G. Ubertis – G. P.Voena, Milano, 2007, 208; più di recente, M. NOFRI, sub art. 420 bis, in AA.VV., Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di G. Illuminati e L. Giuliani, 3a ed., Padova, 2020, 2027.

[9] All’indomani della riforma sul «(…) preteso mutamento indotto dalla c.d. legge Carotti» v. V. MAFFEO, in AA. VV., La Procedura penale, a cura di G. Riccio – G. Spangher, Napoli, 2002, p. 370.

[10] Per tale formula, nella vigenza della legge Carotti, si veda P. CORSO, in AA. VV., Manuale di Procedura penale, a cura di M. Pisani e altri, 7a ed., Bologna, 2006, 381. 

[11] Per tale limpida descrizione dell’udienza preliminare v. P. TONINI – C. CONTI, Manuale di procedura penale, 22a ed., Milano, 2021, 645.

[12] Sull’uso di questo vocabolo per indicare la fase dibattimentale v. F. CORDERO, Procedura penale, 9a ed., Milano, 2012, 921.

[13] Cfr. L. CASTIGLIONI – S. MARIOTTI, IL vocabolario della lingua latina, voce contŭmax, acis, Roma, 1994, 204.

[14] Del risvolto pratico della contumacia si dirà infra, par. 3.

[15] In argomento MOSCARINI P., Una riforma da tempo necessaria: l’abolizione della contumacia penale e la sospensione del processo contro l’imputato irreperibile, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di C. Conti, A. Marandola, G. Varraso, Padova, 2014, 239 ss.

[16] La dottrina più autorevole, già molto tempo prima della riforma, segnalava questa esigenza: cfr. P. FERRUA, Il “giusto processo” tra modelli, regole e principi, in Dir. pen. e proc., 2004, 401 s.; V. GREVI, Il principio della «ragionevole durata» come garanzia oggettiva del «giusto processo» penale, in Cass. pen., 2003, 3204; M. CHIAVARIO, voce Giusto processo, in Enc. Giur. Treccani, XV, Roma, 2001, 16.

[17] Così P. TONINI – M. INGENITO, La sospensione del processo contro l’irreperibile, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale cit., 183.

[18] Si pensi all’art. 175, comma 8; all’art. 429, comma 1, lett. f); all’art. 552, comma 1, lett. d) del codice di procedura penale.

[19] Per una ricostruzione delle tappe della giurisprudenza sovranazionale v. E. A. A. DEI-CAS, Il procedimento penale nei confronti di imputati irreperibili tra la giurisprudenza della Corte europea e normativa interna, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale cit., p. 189 ss.

[20] In argomento, A. MARANDOLA, in AA. VV., Procedura penale teoria e pratica del processo, diretto da G. Spangher, A. Marandola, G. Garuti, L. Kalb, a cura di G. Spangher, Volume I, Torino, 2015, 1004 s.

[21] Sul punto, per una trattazione sistematica, per tutti, v. G. L. GATTA, La riforma della giustizia penale, contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sist. pen., 15 ottobre 2021, 1 ss.

[22] Cfr. V. STELLA, Processo penale, oggi i decreti attuativi. Spangher: «Limitazioni alla difesa», in Il Dubbio, 4 agosto 2022, in cui è dato leggersi «Oggi finalmente ci sarà l’attesissimo Consiglio dei ministri durante il quale la ministra della Giustizia Cartabia porterà i decreti attuativi della riforma del processo penale (…) Circa 500 pagine divise nei tre pilastri principali: processo penale, sistema sanzionatorio, giustizia riparativa».

[23] La riforma in parola prevede in nove punti, contrassegnati dalle lettere a) – i) un ampliamento delle garanzie dell’imputato. Segnatamente, di ridefinire i casi in cui l’imputato si deve ritenere presente o assente nel processo, prevedendo che il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole (lett. a); a questi fini che l’imputato sia tempestivamente citato per il processo a mani proprie o con altre modalità comunque idonee a garantire che lo stesso venga a conoscenza della data e del luogo del processo e del fatto che la decisione potrà essere presa anche in sua assenza nonché prevedere che, ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del processo, l’autorità giudiziaria possa avvalersi della polizia giudiziaria (lett. b); di disciplinare quando non si abbia certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio o della rinuncia dell’imputato a comparire, si possa comunque procedere in assenza dell’imputato quando il giudice, valutate le modalità di notificazione e ogni altra circostanza del caso concreto, ritenga provato che l’imputato ha conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una scelta volontaria e consapevole (lett. c); prevedere che, se all’udienza preliminare o, quando questa manca, alla prima udienza fissata per il giudizio, l’imputato è assente e non impedito a comparire, il giudice verifichi la sua rinuncia a comparire o, in mancanza, l’effettiva conoscenza dell’atto introduttivo oppure la sussistenza delle condizioni di cui alla lettera c) che legittimano la prosecuzione del procedimento in assenza dell’imputato (lett. d); prevedere che, quando non sono soddisfatte le condizioni per procedere in assenza dell’imputato, il giudice pronunci sentenza inappellabile di non doversi procedere; prevedere che, fino alla scadenza del doppio dei termini stabiliti dall’art. 157 c.p., si continui ogni più idonea ricerca della persona nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di non doversi procedere, al fine di renderla edotta della sentenza, del fatto che il procedimento penale sarà riaperto e dell’obbligo di eleggere o dichiarare un domicilio ai fini delle notificazioni; prevedere la possibilità che, durante le ricerche, si assumano, su richiesta di parte, le prove non rinviabili, osservando le forme previste per il dibattimento; prevedere che, una volta rintracciata la persona ricercata, ne sia data tempestiva notizia all’autorità giudiziaria e che questa revochi la sentenza di non doversi procedere e fissi nuova udienza per la prosecuzione del procedimento, con notificazione all’imputato con le forme di cui alla lettera b); prevedere che, nel giudizio di primo grado, non si tenga conto, ai fini della prescrizione del reato, del periodo di tempo intercorrente tra la definizione del procedimento con sentenza di non doversi procedere e il momento in cui la persona nei cui confronti la sentenza è pronunciata è stata rintracciata, salva, in ogni caso, l’estinzione del reato nel caso in cui sia superato il doppio dei termini stabiliti dall’art. 157 c.p.; prevedere opportune deroghe per il caso di imputato nei confronti del quale è stata emessa ordinanza di custodia cautelare in assenza dei presupposti della dichiarazione di latitanza (lett. e); prevedere una disciplina derogatoria per il processo nei confronti dell’imputato latitante, consentendo di procedere in sua assenza anche quando non si abbia certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio e della rinuncia dell’imputato al suo diritto a comparire al dibattimento, stante la possibilità di un rimedio successivo ai sensi della lettera g); rivedere la disciplina della latitanza, di cui agli artt. 295 e 296 c.p.p., al fine di assicurare che la dichiarazione di latitanza sia sorretta da specifica motivazione circa l’effettiva conoscenza della misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarvisi (lett. f); ampliare la possibilità di rimedi successivi a favore dell’imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo, armonizzando la normativa processuale nazionale con quanto previsto dall’articolo 9 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 (lett. g); prevedere che il difensore dell’imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo specifico mandato a impugnare l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell’imputato assente, un ampliamento del termine per impugnare (lett. h); prevedere che, nella citazione a giudizio, l’imputato sia avvisato che, non comparendo, sarà egualmente giudicato in assenza e che, nel provvedimento di esecuzione, sia contenuto l’avviso al condannato che, ove si sia proceduto in sua assenza senza che egli abbia avuto conoscenza del processo, lo stesso potrà esercitare i diritti previsti ai sensi della lettera g (lett. i).

[24] All’interno del panorama sovranazionale si ravvisa una particolare considerazione rispetto al diritto dell’imputato di partecipare al processo. Si pensi alla direttiva 2016/343/UE, del 9 marzo 2016, (su cui in dottrina: L. CAMALDO, Presunzione di innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due garanzie fondamentali del giusto processo in un’unica direttiva dell’Unione Europea, in Dir. pen. cont., 23 marzo 2016). L’atto in questione risulta essere il primo nel panorama sovranazionale europeo ad occuparsi ex professo della problematica in parola. La direttiva de qua deve comunque essere letta in coordinamento sistematico e rafforzativo con la CEDU. Ed invero, per quanto l’art. 6 della Convenzione non preveda espressamente il diritto dell’imputato a partecipare all’udienza e al processo, grazie alla interpretazione Corte Europea dei diritti dell’uomo tale ultimo diritto viene considerato indefettibile per l’esercizio di tutte le garanzie previste dal paragrafo 3 dell’art. 6. al pari del diritto al silenzio (in argomento: Corte EDU, Grande Camera, S. contro Italia, 1° marzo 2006; Corte EDU, S. contro Italia, 18 maggio 2004).

[25] Queste evenienze vengono definite da una parte della dottrina «presupposti negativi della dichiarazione di absentia». Cfr. A. BARAZZETTA, sub art. 420 ter, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda - G. Spangher, Tomo I, V ed., Milano, 2017, 1397 ss.

[26] Sul procedimento di revoca della sospensione v. F. FOCARDI, Le nuove ricerche e la revoca della sospensione, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale cit., p. 273 ss.

[27] Con il mezzo di impugnazione straordinario della rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629 bis c.p.p.

[28] V. par. 1.

[29] In questi termini, v. AA.VV., Procedura penale, a cura di E. Busuito e altri, Milano, 2022, 342. 

[30] Sul punto, all’indomani della riforma del 2014, v. M. CASSANO, Restituzione nel termine e abolizione della contumacia: il residuo ambito di applicabilità dell’art. 175 c.p.p., in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale cit., 207 ss.

[31] In primo luogo, era consentita la restituzione nel termine per proporre impugnazione, ovvero opposizione al decreto penale di condanna. Inoltre, l’imputato, contumace in primo grado, nel giudizio di appello che dimostrava di non essere potuto comparire, poteva chiedere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603 c.p.p.

[32] In caso di sospensione del processo nell’ambito di procedimento pendente nei confronti di più imputati a titolo di concorso, si dovrà provvedere alla separazione del procedimento ex art. 18, comma 1, lett. b), c.p.p. La sospensione del processo penale non determina la sospensione del giudizio civile qualora sia stata proposta, nei confronti dell’imputato, un’azione in tale ultima sede, e ciò, in deroga alla previsione dell’art. 75, comma 3, c.p.p., anche qualora quest’ultima sia stata promossa dopo la costituzione di parte civile. Durante la sospensione del processo, il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili. La sospensione del processo a norma dell’art. 420 quater c.p.p. determina anche la sospensione del corso della prescrizione, salvi comunque i termini massimi previsti dall’art. 161 c.p.p.

[33] A. MARANDOLA, in AA. VV., Procedura penale teoria e pratica del processo cit., 1007.

[34] Le Sezioni unite della Corte di cassazione con sentenza del 28 novembre 2019, in C.E.D. Cass., Rv. 279420, con segnato riferimento alla tematica dell’elezione di domicilio ed alla sua efficacia ai fini della dichiarazione di assenza hanno chiarito che che la mera elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso.

[35] Per una ricostruzione della giurisprudenza creatasi sul versante della sospensione del processo per assenza dell’imputato v. E. GALLUCCI, sub artt. 420 bis ss., in AA. VV. Codice di procedura penale annotato con la giurisprudenza, a cura di G. Lattanzi, Milano, 2019, 1457 s.

[36] Cass., Sez. un., 26 settembre 2006, in C.E.D. Cass., Rv. n. 234600.

[37] Cass., Sez. un., 24 giugno 2010, in C.E.D. Cass., Rv. 247837.

[38] Cass., Sez. VI, 10 dicembre 2013, in C.E.D. Cass., Rv. 258246.

[39] Cass., Sez. IV, 14 ottobre 2014, in C.E.D. Cass., Rv. 263490.

[40] Cass., Sez. II, 10 febbraio 2016, in C.E.D. Cass., Rv. 266217.

[41] Per questo orientamento si segnalano: Cass., Sez. II, 22 marzo 2019, in C.E.D. Cass., Rv. 276563; Cass., Sez. II 14 marzo 2017, in C.E.D. Cass., Rv. 270594 e Cass., Sez. II, in C.E.D. Cass., 9 aprile 2015, in C.E.D. Cass., Rv. 263532.

[42] Cass., Sez. III, 15 luglio 2015, in C.E.D. Cass., Rv. 264204.

[43] Cass., Sez. V, 20 novembre 2020, in C.E.D. Cass., Rv. 280139; Cass., Sez. V, 12 luglio 2019, in C.E.D. Cass., Rv. 277113; Cass. Sez. IV, 30 gennaio 2014, in C.E.D. Cass., Rv. 261562; Cass., Sez. IV, 3 ottobre 2013, in C.E.D. Cass., Rv. 258177.

[44] Cass., Sez. IV, 18 febbraio 2020, in C.E.D. Cass., Rv. 278610; Cass., Sez. IV, 21 gennaio 2020, ivi, Rv. 278289; Cass., Sez. V, 10 febbraio 2018, ivi, Rv. 275498; Cass., Sez. II, 15 novembre 2018, ivi, Rv. 275608; Cass., Sez. V, 16 luglio 2018, in www.italgiure.giustizia.it/sncass/,n. 32667; Cass., Sez. I, 2 maggio 2018, ivi, n. 39768; Cass., Sez. VII, 12 gennaio 2018, ivi, n. 20677; Cass, Sez. II, 20 ottobre 2016, ivi, n. 48030; Cass., Sez. III, 15 luglio 2015, in C.E.D. Cass., Rv. 264204; Cass. Sez. V, 22 dicembre 2014, ivi, Rv. 263423; Cass., Sez. V, 10 novembre 2014, ivi, Rv. 263887; Cass., Sez. V, 1° luglio 2014, ivi, Rv. 262402; Cass., Sez. V, 5 giugno 2014, ivi, Rv. 260677; Cass., Sez. II, 24 aprile 2008, ivi, Rv. 240107; Cass., Sez. V, 14 novembre 2007, ivi, Rv. 238505; Cass., Sez. IV, 13 maggio 2005, ivi, Rv. 232436; Cass., Sez. V, 15 novembre 2002, ivi, Rv. 224859; Cass., Sez. VI, 30 aprile 1997, ivi, Rv. 209739.

[45] Sul punto v., in specie, Cass., Sez. VI, 25 giugno 2014, in C.E.D. Cass., Rv. 260620.

[46] Di cui si è fatto cenno supra, nel precedente paragrafo.

[47] Cass., Sez. II, 15 novembre 2018 cit.; Cass., Sez. V, 10 dicembre 2018, in C.E.D. Cass., Rv. 275608; Cass. Sez. V, 16 luglio 2018 cit.; Cass. Sez. I, 2 maggio 2018 cit.   

[48] Cass., Sez. V, 10 novembre 2014 cit.; Cass., Sez. V, 22 dicembre 2014 cit.

[49] Cass., Sez. IV, 18 febbraio 2020 cit.; Cass. Sez. VII, 12 gennaio 2018 cit.; Cass. Sez. II, 20 ottobre 2016 cit.; Cass., Sez. V, 1° luglio 2014 cit.

[50] Cass., Sez. IV, 21 gennaio 2020 cit.; Cass. Sez. III, 15 luglio 2015 cit.; Cass., Sez. II, 09 aprile 2015 cit.; Cass., Sez. V, 5 giugno 2014 cit.; Cass., Sez. 6, 14 dicembre 2011, in C.E.D. Cass., Rv. 251572.

[51] V. supra, par. 4 e la precedente nota 36.

[52] V. supra, par. 4 e la precedente nota 37.

[53] Le Sezioni unite hanno citato i seguenti precedenti di legittimità: Cass., Sez. un., 24 ottobre 2019, in C.E.D. Cass., Rv.277470; Cass., Sez. un., 27 febbraio 2020, ivi, Rv. 278869; Cass., Sez. un., 26 novembre 2020, ivi, Rv. 280931.

[54] L’art. 6 CEDU, art. 14 del Patto internazionale dei diritti civili e politici, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la Direttiva UE 343 del 9 marzo 2016.

[55] Le Sezioni unite hanno menzionato, tra le altre, le seguenti pronunce della Corte EDU: X contro Olanda, 3 novembre 2021; M. contro Russia, 18 dicembre 2018; G.C.D. contro Croazia, 20 ottobre 2015; P. contro Russia, 24 dicembre 2009; G.C.S. contro Turchia, 27 novembre 2008; G.C.S. contro Italia, 1° marzo 2006; Grande Camera, H. contro Italia, 18 ottobre 2006; S. contro Italia, 10 novembre 2004; D. L. contro Italia, 12 febbraio 2004; L. contro Olanda, 22 settembre 1994; P. contro Francia, 23 novembre 1993; F.C.B. contro Italia, 28 agosto 1991; C. contro Italia, 12 febbraio 1985.

[56] Ci si riferisce alla sentenza Cass., Sez. V, depositata il 1° giugno 2022, in www.italgiure.giustizia.it/sncass/, n. 21474.

[57] N. NICOLINI, Della procedura penale nel Regno delle Due Sicilie, vol. I, Livorno, 1843, 314.

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