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Pubbl. Mer, 7 Set 2022

Le segregazioni patrimoniali

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Cesare Valentino
Dottore di ricercaNessuna



Attraverso tale elaborato è offerta un´analisi delle differenti forme di segregazione patrimoniale previste nel sistema italiano.


ENG

Asset segregations

Through this paper an analysis of the different forms of asset segregation envisaged in the italian system is offered.

Sommario: 1. La separazione patrimoniale; 1.1. Inquadramento generale; 1.2. Le fattispecie tipiche di separazione patrimoniale e la graduazione della segregazione patrimoniale; 1.3. Patrimonio separato e patrimonio autonomo; 2. La segregazione patrimoniale assistita da tutela reale: il trust; 2.1. Inquadramento generale; 2.2. Fattispecie controverse di trust; 2.2.1. In particolare il trust interno immobiliare e il trust autodichiarato; 2.2.2. Il trust come alternativa alla liquidazione ordinaria o alle procedure concorsuali; 2.2.3. Il trust nel sistema delle garanzie: il trust di garanzia; 2.2.4. Una fattispecie di trust liberale di dubbia ammissibilità; 2.3. Le tutele nel trust; 3. Il negozio di destinazione patrimoniale ex art. 2645 ter c.c.; 3.1. Inquadramento generale del negozio di destinazione ex 2645 ter c.c.; 3.2. Natura dell’art. 2645 ter c.c. e ambito applicativo dello stesso; 3.3. Sull'ammissibilità del negozio destinatario puro;  - 3.4. La linea di confine tra trust e negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c.; 4. La segregazione patrimoniale assistita da una tutela obbligatoria: la fiducia - 4.1. Inquadramento generale della fiducia; 4.2. Le varie forme di fiducia; 4.3. Il rapporto tra la fiducia e le altre forme di segregazione patrimoniale; 5. Conclusioni.

1. La separazione patrimoniale

1.1. Inquadramento generale

L’art. 2740 c.c. cristallizza il principio della responsabilità patrimoniale[1] universale e illimitata, prevedendo espressamente che ciascun debitore risponda dell’adempimento delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni presenti e futuri. A tale principio si riconnette, nel caso di pluralità di creditori, quello della par condicio creditorum[2], enucleato all’art. 2741 c.c., in forza del quale se più creditori risultano insoddisfatti a causa dell’inadempimento del debitore, gli stessi hanno pari diritto di soddisfarsi sul patrimonio dello stesso, salva la sussistenza di cause legittime di prelazione.

In particolare tale ultimo principio trova piena attuazione nel processo di esecuzione forzata individuale[3] e collettiva, concretandosi nella prima ipotesi nella possibilità di intervento per i creditori diversi dal promotore dell’azione esecutiva, nella seconda invece in una preclusione a qualsivoglia iniziativa esecutiva individuale al fine di consentire la destinazione del patrimonio del debitore al soddisfacimento di tutti i creditori[4].

Ciò premesso, l’assolutezza del principio di responsabilità patrimoniale cristallizzato al c. 1 art. 2740 c.c. sembra tuttavia ridimensionata dal c. 2[5] della norma de qua, che nei casi previsti dalla legge ammette limitazioni di tale responsabilità[6].  

Da tale riserva di legge viene tratto non solo il principio di tassatività delle fattispecie implicanti limitazioni di responsabilità patrimoniale, ma anche l’impossibilità di prefigurare tali fattispecie al di fuori dei casi previsti dalla legge, costituendo il c. 2 dell’art. 2740 c.c. norma eccezionale non suscettiva di applicazione analogica.

In concreto le limitazioni di responsabilità cui fa riferimento la disposizione in analisi sono quelle conseguenti a fenomeni di separazione patrimoniale[7], derivanti a loro volta dall’apposizione di vincoli di destinazione[8] su talune porzioni del patrimonio generale, che ne determinano la conformazione del regime giuridico.

Occorre tuttavia distinguere due forme di destinazione[9], ossia quella determinante la separazione bilaterale[10] da quella implicante la separazione unilaterale. Ed infatti solo nella prima forma di separazione sussiste una netta distinzione ed un’assoluta incomunicabilità tra patrimonio separato e patrimonio generale, da cui discende, sul versante disciplinare, che mentre il patrimonio destinato risponde delle sole obbligazioni correlate allo scopo, su quello generale gravano tutte le altre.

Dalla diversa conformazione strutturale della separazione unilaterale deriva invece che mentre il patrimonio destinato risponde esclusivamente delle obbligazioni funzionali allo scopo, quello generale è posto a presidio non solo delle obbligazioni non funzionali, ma anche di quelle funzionali, sebbene in via sussidiaria[11].

1.2. Le fattispecie tipiche di separazione patrimoniale e la graduazione della segregazione patrimoniale

In via meramente esemplificativa costituiscono fattispecie tipiche di separazione patrimoniale: I) i beni costituiti in fondo patrimoniale[12]; II) il patrimonio dell’erede che ha accettato con beneficio di inventario[13], sul quale non possono rivalersi i creditori ereditari e i legatari[14]; III) i fondi speciali per la previdenza e l’assistenza costituiti dall’imprenditore ai sensi dell’art. 2117 cod. civ.[15], non soggetti all’azione esecutiva dei creditori dello stesso o dei prestatori di lavoro; IV) i patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447bis cod. civ.[16], di regola sottratti all’esecuzione da parte dei creditori sociali[17]; V) il trust; VI) il negozio di destinazione ex art. 2645 ter cod. civ.; VII) nel settore finanziario, le somme versate dai partecipanti ai fondi comuni di investimento, costituenti patrimonio separato sia rispetto al patrimonio della società di gestione del fondo, sia rispetto al patrimonio degli altri investitori partecipanti al fondo[18]; VIII) nel settore assicurativo, gli attivi[19] posti a copertura delle riserve tecniche, che ai sensi dell’art. 42 c. 2 cod. ass. priv.[20] costituiscono patrimonio separato rispetto alle altre attività detenute dall'impresa di assicurazione, se iscritti nel registro degli attivi[21].

Quelle sin ora esposte costituiscono fattispecie tipiche di separazione patrimoniale, comportanti una segregazione patrimoniale. Purtuttavia tale ultimo concetto va rettamente inteso. Ed infatti nel sistema italiano è possibile distinguere: I) fattispecie di segregazione assistite da una tutela reale, come il trust e il negozio di destinazione ex art. 2645ter; II) fattispecie di segregazione patrimoniale assistite da una tutela obbligatoria, come la fiducia; III) fattispecie di segregazione patrimoniale solo apparente, come quella derivante dall’operazione di simulazione.

Nel presente elaborato tuttavia l’analisi sarà limitata solo alle prime due forme di segregazione patrimoniale.

1.3. Patrimonio separato e patrimonio autonomo

Il patrimonio separato, come dianzi prefigurato, non va confuso con il patrimonio autonomo 22]. In particolare la linea di confine tra le due figure si rinviene nella diversa struttura. Ed infatti nell’ipotesi di separazione patrimoniale, il disponente conserva la titolarità sia del patrimonio destinato sia del patrimonio generale, assoggettando gli stessi ad un diverso regime in ordine alla responsabilità patrimoniale[23]. Viceversa, nell’ipotesi di patrimonio autonomo[24], si assiste all'attribuzione dello stesso ad un ente[25], anche non personificato, che non coincide con il soggetto disponente.

Pur presentando diversità di struttura, il patrimonio autonomo e il patrimonio separato costituiscono tecniche alternative ed equivalenti di differenziazione della disciplina della responsabilità patrimoniale[26].

2. La segregazione patrimoniale assistita da tutela reale: il trust

2.1. Inquadramento generale

Il trust[27] è un istituto disciplinato dalla Convenzione dell'Aja[28], in forza del quale un soggetto (disponente) imprime su un complesso di beni o rapporti un vincolo di destinazione, attribuendoli ad altro soggetto (amministratore fiduciario), che avrà l’obbligo di gestirli e amministrarli nell’interesse di un terzo beneficiario o per la realizzazione di una certa finalità[29].

Sul versante strutturale il conferimento di beni in trust presuppone un collegamento[30] tra un negozio costitutivo, atto unilaterale[31] attraverso cui vengono dettate le regole cui il trustee dovrà attenersi[32], e un negozio dispositivo, in forza del quale i beni vincolati vengono attribuiti al trustee e che secondo la più recente giurisprudenza[33] riveste natura gratuita e non comporta effetti traslativi in senso proprio, giacché da esso non discende un’attribuzione definitiva di tali beni al trustee, che è tenuto solo ad amministrarli e custodirli[34].

Purtuttavia, condizione essenziale[35] affinché si configuri un trust é che all’effetto dispositivo si accompagni una effettiva volontà di segregazione[36].

La suindicata conformazione strutturale consente di accostare il trust alla fiducia, ove però, come si avrà modo di rilevare, non si realizza l’effetto di separazione patrimoniale[37] che invece caratterizza il trust[38]. In quest’ultima figura infatti i beni conferiti non entrano a far parte del patrimonio del trustee, con la conseguenza che gli stessi non sono suscettibili di azioni esecutive da parte dei creditori di quest’ultimo.

La pluralità di modelli[39] di trust emersi nella prassi è indicativo delle potenzialità applicative dell’istituto. Al riguardo, lungo una prospettiva funzionale, è possibile distinguere: I) il trust di garanzia, se istituito in funzione di garanzia; II) il trust liquidatorio, funzionale alla liquidazione di beni al fine di soddisfare i creditori; III) il trust liberale[40], volto alla realizzazione di una liberalità[41]; IV) il trust familiare[42], i cui beneficiari sono familiari e il cui scopo è il soddisfacimento delle esigenze della famiglia[43].

In ordine alla natura, occorre rilevare che il trust non è dotato di soggettività giuridica[44], costituendo un mero complesso di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e solo formalmente intestati al trustee.

Discussa è anche la qualificazione della posizione di quest’ultimo, rispetto alla quale rilevanza decisiva assumerà la volontà delle parti. Purtuttavia non sembra azzardato intendere la stessa in termini di proprietà temporanea[45], in quanto perimetrata sul versante temporale tramite l’apposizione di un termine finale[46], ed altresì conformata[47], atteso che i poteri gestori del trustee sono vincolati alle istruzioni contemplate nel negozio costitutivo[48].

2.2. Fattispecie controverse di trust

2.2.1. In particolare il trust interno immobiliare e il trust autodichiarato

Discussa é l’ammissibilità di talune fattispecie di trust, come il trust interno[49] immobiliare e il trust autodichiarato[50]. In particolare ricorre trust interno allorquando settlor e trustee sono soggetti italiani e i beni conferiti si trovano in Italia. L’unico elemento di estraneità è la legge applicabile, che è quella straniera.

Al riguardo occorre rilevare che un’autorevole prospettazione[51], muovendo dal principio di tipicità della trascrizione, propende per l’inammissibilità del trust interno immobiliare. Per altra dottrina[52] invece tale fattispecie potrebbe trovare ingresso nel sistema italiano attraverso l’art. 2645 ter. c.c. Per una diversa corrente interpretativa[53] invece l’ammissibilità del trust interno immobiliare discende dall’insussistenza di indici normativi contrari all’ammissibilità[54].

Beninteso, comportando pur sempre il trust una limitazione di responsabilità patrimoniale conseguente all’effetto di separazione patrimoniale, occorre procedere alla verifica della funzione assolta in concreto dallo stesso, che può condurre ad una declaratoria di nullità allorquando si accerta l’immeritevolezza degli interessi perseguiti[55].

Ciò premesso, occorre rilevare che alla riconosciuta ammissibilità del trust interno immobiliare si ricollega il problema dell’astratta trascrivibilità dello stesso, che secondo la giurisprudenza di merito[56] può aver luogo ai sensi del combinato disposto degli art. 2643 n. 1 e 2645 c.c., con possibilità di opporre ai creditori personali del trustee l’intestazione solo formale e dunque l’effetto di separazione patrimoniale discendente dal conferimento di beni in trust e per tale via risolvere eventuali conflitti circolatori in favore del beneficiario.

Purtuttavia, la mancanza di soggettività del trust implica che la trascrizione debba esser eseguita nei confronti del trustee[57], rimanendo altrimenti priva di effetti.

Come dianzi rilevato, discussa è anche l’ammissibilità del trust autodichiarato, è configurabile allorquando disponente e trustee sono la stessa persona e che a differenza del modello base si connota per la mancanza dell’effetto attributivo, atteso che i beni vincolati rimangono in capo allo stesso disponente[58].

L’inammissibilità di tale figura sembra potersi ricavare dalla lettera dell’art. 2 c. 2 lett. b) Conv. Aja, da cui si desume la necessità che i beni siano attribuiti ad un soggetto diverso[59] dal disponente al fine di evitare che la complessiva fattispecie si risolva in un mero fenomeno segregativo potenzialmente pregiudizievole per i creditori. Da tanto discende la nullità del trust autodichiarato cui si correla la mancata produzione dell’effetto segregativo che normalmente connota il trust (non autodichiarato)[60].

2.2.2. Il trust come alternativa alla liquidazione ordinaria o alle procedure concorsuali

Nell’ambito del diritto societario e della crisi d’impresa[61] gli interpreti si son dovuti confrontare con tre forme[62] di trust emerse nella prassi: I) trust concluso per sostituire in toto il procedimento di liquidazione “ordinaria”[63] attraverso il recupero dell’attivo, il pagamento del passivo, la ripartizione del residuo e la cancellazione della società; II) trust endoconcorsuale, quale alternativa alle fattispecie di soluzione concordata della crisi di impresa[64]; III) trust “anticoncorsuale”[65], funzionale a surrogare la procedura fallimentare (da luglio 2022 liquidazione giudiziale) precludendo lo spossessamento[66] dell’imprenditore insolvente.

Alla prima fattispecie la giurisprudenza di legittimità[67] e di merito[68] accorda cittadinanza giuridica, muovendo non solo dalla considerazione che al riguardo non sembrano sussistere ostacoli di ordine normativo ma anche alla luce delle recenti modifiche normative[69], da cui si desume un certo favor legislativo nei confronti della soluzione negoziata della crisi d'impresa. Purtuttavia tale conclusione interpretativa risulta solo in parte condivisibile, atteso che il procedimento di liquidazione formale, almeno per le società di capitali, risulta inderogabile[70] e pertanto non può esser surrogato tramite la costituzione di un trust.

Invero, dubbi sembrano sussistere anche in ordine al trust endoconcorsuale, la cui ammissibilità secondo la giurisprudenza di legittimità[71] discenderebbe anzitutto dalla valorizzazione, da parte delle recenti riforme della crisi di impresa, delle soluzioni negoziali quali valide alternative alle procedure concorsuali, come quella fallimentare. Non meno importante è la considerazione che nell’ambito delle procedure negoziate, come il concordato preventivo e fallimentare, è possibile stabilire un trattamento differenziato[72] tra creditori appartenenti a classi diverse.

Tali argomenti tuttavia, a parere di chi scrive, non risultano sufficienti a conferire cittadinanza giuridica al trust endoconcorsuale, atteso che le prefate procedure, sebbene consentano una non irrilevante valorizzazione dell’autonomia negoziale, presidiano maggiormente l’interesse del ceto creditorio, munendo lo stesso non solo del potere di effettuare un controllo sulle condizioni negoziate di soluzione della crisi, ma anche di sollecitare l’intervento giudiziale, giustificato alla luce della sostanza pubblicistica degli interessi coinvolti. Si pensi ad esempio al potere di opposizione[73] alla proposta concordataria nel concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione[74] dei debiti ex art. 182-bis l. fall[75].

Infine, è da escludere anche l’ammissibilità del trust “anticoncorsuale”, diretto a surrogare la procedura fallimentare. A tale conclusione interpretativa si perviene muovendo dalla considerazione che uno strumento di matrice privatistica giammai può costituire un’alternativa ad una procedura pubblicistica, qual è quella fallimentare, posta a tutela dell’interesse generale della par condicio creditorum e come tale inderogabile attraverso diversa convenzione delle parti.

Ed infatti il trust anticoncorsuale, a differenza della procedura fallimentare, non solo non garantisce l’attuazione di tale principio, ma non esclude nemmeno l’attivazione di procedure esecutive individuali, né prevede alcun potere di amministrazione e controllo da parte di un organo pubblico neutrale, risolvendosi in una liquidazione (non vigilata) rimessa alla discrezionalità del trustee.

Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza di legittimità[76] e di merito[77] secondo cui il trust anticoncorsuale è inesistente e non già nullo, atteso che lo stesso non è suscettivo di riconoscimento in quanto contrastante con le norme inderogabili di ordine pubblico che disciplinano le procedure concorsuali[78].

Dal che discende l’impossibilità di configurare l’effetto segregativo patrimoniale che normalmente connota il trust finanche nell’ipotesi in cui nell’atto costitutivo si dichiara espressamente che il fine del trust liquidatorio è provvedere ad una liquidazione armonica della società nell’esclusivo interesse del ceto creditorio o è contemplata la clausola che nell’ipotesi di procedura concorsuale sopravvenuta prevede la consegna dei beni al curatore.

Purtuttavia sembra aprire all’ammissibilità del trust anticoncorsuale una parte della giurisprudenza[79], ma a condizione che la fattispecie rispetti i limiti posti dalla legge fallimentare (oggi Cod. Crisi) ed in particolare dal sistema delle revocatorie concorsuali, e dunque che non si concreti nella segregazione di tutti i beni dell’impresa a discapito delle procedure pubblicistiche di natura concorsuale.

2.2.3. Il trust nel sistema delle garanzie: il trust di garanzia

Figura problematica è anche il trust di garanzia[80], che secondo la giurisprudenza[81] è ammissibile a condizione che preveda meccanismi tali da evitare il rischio che il creditore, attraverso tale operazione, possa ricevere un importo maggiore rispetto a quanto gli é dovuto.

Sulla base di tale coordinate interpretative, la compatibilità di tale figura con il divieto di stipulazioni commissorie di cui all’art. 2744 c.c.[82] poggia sull’adozione di cautele marciane”, e dunque sulla necessità che il trasferimento del bene al creditore in caso di inadempimento avvenga ad un valore stimato da un terzo al momento del trasferimento, con il conseguente obbligo per il creditore di corrispondere l’eventuale differenza tra il valore del bene trasferito e l’ammontare del credito garantito e rimasto inadempiuto[83].

La concreta operatività di tale meccanismo richiede pertanto che tra i beneficiari del trust di garanzia figuri anche il disponente, al fine di assicurare allo stesso il diritto alla restituzione dell’eccedenza rispetto al credito garantito.

Discussa è l’ammissibilità del trust di garanzia allorquando alla costituzione di tale forma di trust provveda un debitore insolvente. Ad una soluzione in senso negativo della vexata quaestio perviene parte della giurisprudenza[84], muovendo dalla considerazione che il trust di garanzia, al pari del trust liquidatorio, cui è assimilabile, è idoneo ad eludere le norme inderogabili che presidiano le procedure concorsuali.

Per tale via è possibile sostenere la nullità dello stesso. Purtuttavia tale conclusione interpretativa, ad un attento esame, non si sottrae a rilievi critici. Anzitutto dubbi sussistono in ordine alla possibile assimilazione tra trust liquidatorio e trust di garanzia, atteso che sul versante strutturale mentre il primo involge la totalità del patrimonio del debitore, tale ultima fattispecie concerne solo alcuni beni. Ma non è questo il rilievo decisivo.

A sconfessare la suindicata conclusione interpretativa cui addiviene il giudice meneghino sono le implicazioni applicative discendenti dalla stessa. Ed infatti tale prospettazione, portata alle estreme conseguenze, induce a ritenere che qualsivoglia forma di garanzia, non solo quella costituita tramite trust, vada incontro ad un’invalidità in quanto idonea ad eludere i principi inderogabili di ordine pubblico che innervano le procedure di soluzione della crisi di impresa. Ma una tale implicazione è smentita dall’attuale sistema concorsuale che prevede, quale rimedio tipico avverso gli atti costitutivi di garanzia[85] da parte del debitore insolvente l’azione revocatoria (ordinaria fallimentare e fallimentare) e non già un’azione di nullità, che differiscono non solo in ordine agli effetti ma anche in relazione alla disciplina.

2.2.4. Una fattispecie di trust liberale di dubbia ammissibilità

In ambito successorio, quale alternativa al testamento, è emersa nella prassi una figura di trust liberale di dubbia ammissibilità, che consentirebbe di realizzare scopi estranei all’ambito testamentario, come ad esempio la sottrazione della gestione del compendio ereditario ad un erede non affidabile.

Discusso è l’inquadramento di tale fattispecie, sebbene l’immediata efficacia attributiva della stessa consente di ritenerla figura estranea al divieto dei patti successori[86]. Nondimeno, se diretta a realizzare una liberalità indiretta in favore di un beneficiario, deve ritenersi ammissibile l’esperibilità dell’azione di riduzione[87], al fine di evitare che tale forma di trust si concreti in uno strumento idoneo a pregiudicare i legittimari.

2.3 Le tutele nel trust

Particolarmente articolato è il plesso di rimedi predisposto nell’ipotesi di abusivo utilizzo del vincolo di destinazione impresso sui beni conferiti in trust. Al riguardo occorre distinguere tra rimedi attivabili dal disponente, dai creditori del disponente, dall’eventuale beneficiario, dovendosi precisare che i creditori del trustee non possono attaccare i beni costituiti in trust per l’effetto di separazione patrimoniale discendente da tale fattispecie.

In relazione al disponente, è possibile per lo stesso agire nei confronti del trustee per responsabilità da inadempimento contrattuale, allorquando quest’ultimo, disattendendo le direttive del primo, contemplate nel negozio costitutivo, arrechi un danno allo stesso.

Per quanto concerne i creditori del disponente, è possibile per gli stessi contare su diversi rimedi. Anzitutto potranno chiedere la revoca dell’atto costitutivo[88] del trust se idoneo a pregiudicare le loro ragioni. In secondo luogo possono avvalersi dell’azione di simulazione allorquando il conferimento di beni in trust è meramente apparente e non già reale. In terzo luogo non è da escludere l’attivazione del rimedio della nullità, allorquando sussista l’immeritevolezza degli interessi perseguiti tramite il conferimento di beni in trust.

In relazione all’eventuale o agli eventuali beneficiari occorre rilevare che gli stessi il più delle volte sono pregiudicati da condotte abusive del trustee, come ad esempio l’alienazione dei beni conferiti in trust a terzi. In tale specifica ipotesi l’unico rimedio attivabile dagli stessi è quello risarcitorio ex art. 2043 c.c.

3. Il negozio di destinazione patrimoniale ex art. 2645 ter c.c.

3.1. Inquadramento generale del negozio di destinazione ex 2645 ter c.c.

L’art. 2645 ter c.c.[89] reca la disciplina generale del negozio di destinazione patrimoniale, ossia la fattispecie attraverso cui, tramite l’imposizione di un vincolo su beni immobili o mobili registrati, è possibile destinare gli stessi alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. L’ammissibilità di tale controversa fattispecie, come è dato inferire dalla norma in analisi, richiede la sussistenza di specifici requisiti afferenti l’oggetto, la forma e la finalizzazione della destinazione.

Quanto all’oggetto occorre rilevare, come dianzi indicato, che nel negozio di destinazione ex art. 2645ter il vincolo può esser apposto solo su beni mobili registrati o immobili[90]. In ordine al vincolo formale, è richiesto che il negozio de quo rivesta la forma dell’atto pubblico[91].

Per quanto concerne la finalizzazione della destinazione, è prescritto che la stessa sia volta alla realizzazione di interessi meritevoli[92] di tutela[93]. Sul punto ci si chiede se la meritevolezza[94] si identifica con la liceità della causa destinatoria o se si distingue da essa. L’impostazione[95] che appare preferibile propende nel secondo senso, muovendo dalla considerazione che il controllo di meritevolezza precede quello di liceità e afferisce alla positiva valutazione da parte dell’ordinamento dello schema negoziale adoperato dalle parti. Tale principio, calato nella prospettiva del negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c., induce  a ritenere che l’interesse sotteso allo stesso, per risultare meritevole, debba essere non futile o non inconsistente[96] o ridondare in pubblica utilità[97], dovendosi bilanciare e valutare gli interessi contrapposti del beneficiario dell’atto e dei creditori del conferente sacrificati dall’imposizione del vincolo sui beni del proprio debitore[98].

Controversa è anche la natura del negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c. Ci si chiede infatti se lo stesso rivesta o meno natura contrattuale, e se assume carattere oneroso o gratuito.

In ordine alla prima questione, occorre rilevare che parte della dottrina[99] propende per la natura contrattuale, muovendo da un duplice rilievo. Anzitutto sul versante funzionale la necessità dell’accettazione del beneficiario discende dall’esigenza di assicurare, anche nell’ottica di tutela dei creditori, l’effettività dell’interesse dello stesso alla destinazione. In secondo luogo risulta dubbia l’applicabilità dell’art. 1987 c.c. relativamente ad un modello privo di contenuto, qual è il negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c Parte della giurisprudenza invece riconosce al negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.cc natura di negozio unilaterale[100].

In ordine al carattere oneroso o gratuito del negozio in analisi, la prevalente impostazione[101] propende nel secondo senso, muovendo dalla considerazione che lo stesso determina di per sé un sacrificio patrimoniale del solo disponente, che non trova una contropartita in un’attribuzione in suo favore. Da ciò discenderebbe l’applicabilità del rimedio ex art. 2929 bis c.c.[102].

Purtuttavia occorre rilevare che la giurisprudenza di merito[103] esclude la gratuità del negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c. - con conseguente inapplicabilità del rimedio de quo - allorquando lo stesso assume natura solutoria, come nel caso in cui il disponente tramite tale atto intende adempiere ad una specifica obbligazione[104] nei confronti del beneficiario suo creditore o allorquando la destinazione risulta funzionale al buon esito di un concordato preventivo[105].

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità[106], nell’ipotesi in cui ciascuno dei beneficiari del vincolo abbia destinato a sua volta propri beni in favore delle esigenze di tutti gli altri non viene meno la natura gratuita di tali atti di destinazione, giacché tra le reciproche destinazioni di beni non sussiste corrispettività.

3.2. Natura dell’art. 2645 ter c.c. e ambito applicativo del negozio di destinazione

Discussa è la natura[107] dell’art. 2645 ter c.c. Ci si chiede infatti se la norma costituisca norma sull’atto o norma sugli effetti. Nel secondo senso propende una prima corrente interpretativa[108], muovendo dalla collocazione sistematica della norma de qua nel libro VI del cod. civ. nella parte relativa alla pubblicità immobiliare. Tale argomento tuttavia non risulta decisivo ai fini della risoluzione della vexata quaestio, atteso che l’art. 2645ter non disciplina solo gli effetti delle formalità pubblicitarie del negozio di destinazione, ma anche taluni profili inerenti il negozio in sé[109], come la forma, l’oggetto, e la funzionalizzazione dello stesso al perseguimento di un interesse meritevole di tutela.

Per quanto concerne il raggio di operatività del negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c., occorre rilevare che lo stesso ha trovato ampia applicazione in materia di famiglia di fatto, rispetto alla quale è preclusa l’operatività del fondo patrimoniale. Sempre sul versante familiare, parte della giurisprudenza[110] ha ritenuto trascrivibili ex art. 2645 ter c.c. gli accordi di separazione implicanti trasferimenti immobiliari al fine di assicurare ai figli minori una fonte certa di reddito, non aggredibile dai creditori del coniuge intestatario.

L’art. 2645 ter c.c. è considerato[111] anche il veicolo normativo tramite cui riconoscere cittadinanza giuridica alle fondazioni non riconosciute[112], in quanto avrebbe consentito il superamento dell’argomento[113] posto alla base dell’inammissibilità di tale figura, ossia l’irrilevanza di un mero patrimonio destinato allo scopo privo di soggettività.

Sul versante della crisi d’impresa, si discute in ordine ai rapporti tra vincolo di destinazione ex 2645ter e concordato preventivo[114]. In particolare ci si chiede se dalla costituzione del vincolo de quo possa conseguire l’inammissibilità della proposta concordataria.

Al riguardo una prima corrente interpretativa[115] rileva che non sussiste incompatibilità tra un vincolo di destinazione costituito ex art. 2645 ter c.c. e concordato preventivo allorquando il vincolo de quo è finalizzato al soddisfacimento proporzionale dei creditori non muniti di cause di prelazione. Una siffatta iniziativa infatti non solo consente la conoscibilità dello stato di crisi, ma preserva anche il patrimonio da eventuali atti di distrazione o da iniziative volte ad avvantaggiare solo alcuni creditori a scapito degli altri.

Altra prospettazione ermeneutica[116] invece rileva l’incompatibilità tra vincolo di destinazione ex 2645 ter c.c. e concordato preventivo, con conseguente inammissibilità dell’eventuale proposta concordataria, allorquando la costituzione del primo avviene solo a favore dei creditori risultanti dalle scritture contabili, con esclusione degli altri. Da siffatto ragionamento sembra quasi potersi desumere l’ammissibilità di un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter preventivo rispetto ad un’eventuale proposta concordataria allorquando attraverso lo stesso non è imposta alcuna limitazione rispetto ai vari creditori, destinando agli stessi la totalità dei beni del debitore.

Purtuttavia siffatta conclusione interpretativa, benché potenzialmente idonea ad evitare che il vincolo de quo costituisca strumento volto ad aggirare il principio della par condicio creditorum, non risulta condivisibile sulla base delle medesime considerazioni svolte in relazione al trust endoconcorsuale.

Ed infatti, benché le recenti riforme normative mostrano un indiscutibile favor legislativo nei confronti delle soluzioni negoziali della crisi di impresa, è pur vero che le stesse, nonostante l’innegabile sostanza negoziale, risultano presidiate da particolari garanzie, anche giurisdizionali, manchevoli invece rispetto al vincolo ex art. 2645ter, che pertanto giammai potrà esser “preventivo” rispetto ad un’eventuale proposta concordataria.

Finanche, piaccia rilevare come sia controversa è la linea di confine tra il trust e il negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c. che parte della dottrina[117] e della giurisprudenza[118] individua nella circostanza che un trasferimento della proprietà, nel senso dianzi precisato,  è ravvisabile solo nella prima delle suindicate fattispecie, mentre nell’ipotesi di destinazione ex 2645 ter c.c.  la proprietà permane al conferente. Purtuttavia, anche se il negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c. non determina necessariamente la fuoriuscita di beni dal patrimonio del disponente lo stesso comporta comunque, al pari del trust validamente costituito, un effetto di segregazione patrimoniale[119].

3.3. Sull’ammissibilità del negozio destinatorio puro

Discussa è l'ammissibilità di un negozio di destinazione puro[120], ossia del negozio diretto semplicemente all’apposizione di un vincolo di destinazione su beni.

Una prima tesi[121], qualificando l’art. 2645 ter c.c. in termini di norma sugli effetti, propende per l’inammissibilità di tale fattispecie, atteso che l’effetto di destinazione deve accompagnarsi necessariamente ad un effetto traslativo o obbligatorio. Diversamente infatti si eluderebbe il principio espresso dal c. 2 art. 2740 c.c., consentendo al debitore di sottrarre a suo piacimento i propri beni alla garanzia dei creditori pur continuando ad esser titolare non solo formale ma anche sostanziale[122].

All’inammissibilità del negozio destinatorio puro perviene anche parte della dottrina[123] muovendo dalla considerazione che l’art. 2645ter costituisce norma di stretta interpretazione, atteso che l’interesse perseguito con la destinazione entra comunque in conflitto con quello dei creditori.

Una terza tesi[124] invece rileva che sebbene effetto di destinazione ed effetto traslativo siano diversi, in quanto mentre il primo si concreta in un’attività di organizzazione quest’ultimo implica l’attribuzione di un diritto, non è da escludere un’interferenza tra gli stessi nell’ipotesi di destinazione traslativa[125], cioè di destinazione per la cui concreta attuazione occorre l’attribuzione di un diritto.

Purtuttavia si precisa che in tale specifica ipotesi l’effetto traslativo sotteso alla fattispecie è privo di una qualificazione giuridica sicura[126], che potrà aver luogo solo all’esito di tale attività di destinazione.

3.4. Regime dei beni destinati, tutele dei creditori e loro circolazione

Come è dato desumere dall’art. 2645 ter c.c., il vincolo di destinazione impresso sui beni è opponibile a terzi a condizione che sia trascritto[127].

Per quanto concerne i creditori, occorre distinguere tra i creditori della destinazione (funzionali) e creditori generali (non funzionali), atteso che solo i primi potranno far valere le loro pretese sui beni destinati, inattaccabili invece dai creditori generali.

La tutela di questi ultimi avverso l’atto di costituzione del vincolo di destinazione è tuttavia imperniata sulla possibilità di avvalersi della revocatoria ex art. 2901 c.c., atteso che tale negozio, sebbene non determini la fuoriuscita di beni dal patrimonio del disponente, comporta comunque un effetto di segregazione patrimoniale, idoneo a sottrarre tali beni alla garanzia patrimoniale generica[128] su cui possono rivalersi i creditori generali[129].

Nonostante l’apposizione del vincolo di destinazione su taluni beni, può capitare che il conferente alieni gli stessi a terzi. Dall’inapplicabilità dell’art. 2644 c.c. discende la prevalenza di questi ultimi se hanno acquistato il bene destinato con un atto avente data certa anteriore all’atto di destinazione. Ma i terzi acquirenti, in applicazione dell’art. 2915 c.c., cui rinvia l’art. 2645ter, soccombono rispetto ai creditori funzionali se effettuano la trascrizione a seguito della trascrizione del pignoramento[130].

4. La segregazione patrimoniale assistita da una tutela obbligatoria: la fiducia

4.1. Inquadramento generale della fiducia

Da un punto di vista sistematico la fiducia rientra nel perimetro delle fattispecie di segregazione patrimoniale non assistite da tutela reale bensì obbligatoria, distinguendosi sotto tale profilo dalla contigua figura del trust.

In particolare con l’espressione fiducia[131] si intende un’operazione contrattuale strutturata su un collegamento[132] tra un negozio ad effetti reali e un negozio ad effetti obbligatori attraverso cui un soggetto (fiduciante) attribuisce ad un altro (fiduciario) un bene con l’obbligo in capo a quest’ultimo: I) di amministrare e gestire il bene secondo le indicazioni del fiduciante; II) di ritrasferire a quest’ultimo, nel termine fissato, i beni.

Le componenti negoziali su cui è modulata la fiducia sono pertanto: I) il pactum fiduciae, che è il negozio ad effetti obbligatori con cui il fiduciario si obbliga ad amministrare i beni secondo le indicazioni del fiduciante e a ritrasferire in un dato termine il bene a quest’ultimo. Trattasi di un negozio ad efficacia interna, improduttivo di effetti verso i terzi; II) il negozio attributivo, attraverso cui il bene è trasferito dal fiduciante al fiduciario.

L’elemento che connota la complessa operazione fiduciaria è dunque la titolarità di un diritto nell’interesse del fiduciante, sebbene controversa è la natura della posizione rivestita dal fiduciario. Ci si chiede infatti se il medesimo è titolare di un diritto di proprietà (temporanea), in base allo schema della fiducia romanistica, o se invece lo stesso è solo legittimato all’esercizio dei diritti inerenti una proprietà altrui, che rimane al fiduciante, secondo lo schema della fiducia germanica.

Al riguardo un possibile criterio risolutivo potrebbe fondarsi sulla natura dell’oggetto trasferito. In particolare se lo stesso è un valore mobiliare o un titolo di credito, al fiduciario sarebbe attribuita una mera legittimazione, perché in ordine a tali beni la legge ammette una divaricazione tra titolarità e legittimazione. Viceversa se l’oggetto trasferito è un immobile o altri tipi di beni mobili, in capo al fiduciario sussisterebbe un vero e proprio diritto di proprietà. Purtuttavia per tale operazione di qualificazione importanza decisiva assume la volontà delle parti[133].

4.2. Le varie forme di fiducia

L’operazione fiduciaria può assumere diverse forme[134]. Al riguardo é possibile anzitutto distinguere tra fiducia romanistica e fiducia germanica.

Nella prima ipotesi al fiduciario è attribuito un potere assimilabile a quello del proprietario[135] Nel caso di fiducia germanica[136] invece il fiduciario è legittimato all’esercizio di un diritto di cui però rimane proprietario il fiduciante.

Si distingue inoltre tra fiducia cum amico e fiducia cum creditore a seconda che il vincolo fiduciario sia adoperato o meno in funzione di garanzia[137]. Nello schema della fiducia cum creditore, che presuppone strutturalmente che il fiduciario sia creditore del fiduciante[138], tale funzione viene attuata prevedendo che il bene trasferito torni a quest’ultimo nel momento in cui lo stesso esegue la prestazione dovuta. Purtuttavia non può sottacersi che lo schema fiduciario in parola può costituire un espediente per eludere il divieto di stipulazioni commissorie ex art. 2744 c.c.[139], giacché si concreta in una garanzia più incisiva rispetto al pegno e all’ipoteca in quanto, conferendo al creditore la titolarità del bene, consente allo stesso di bypassare le procedure esecutive e di conseguire arricchimenti ingiustificati[140] in danno del debitore allorquando il bene ceduto in “garanzia fiduciaria” sia di valore superiore al credito garantito.

La fiducia cum amico[141] invece è adoperata il più delle volte al fine di conferire al fiduciario il potere di amministrare un bene o una pluralità di beni in considerazione delle particolari doti gestionali dello stesso.

Purtuttavia la prassi dimostra che tale forma di fiducia é sovente utilizzata per conseguire interessi non meritevoli di tutela[142], trattandosi di strumento talvolta adoperato non solo per eludere le disposizioni in tema di successione legittima, al fine di far pervenire ai legittimari meno di quanto gli spetta, ma anche per sottrarre beni alla garanzia patrimoniale generica[143].

Parte della dottrina[144] infine distingue anche tra fiducia statica[145] e fiducia dinamica. In particolare la prima fattispecie ricorre allorquando il bene da amministrare e ritrasferire è lo stesso di quello ricevuto. La fiducia dinamica invece si configura allorquando il fiduciario è munito del potere di alienare e reinvestire, trasferendo nel termine convenuto i frutti dell’attività gestoria.

4.3. Il rapporto tra la fiducia e le altre forme di segregazione patrimoniale

Delineati i tratti essenziali dell’operazione fiduciaria, occorre distinguere la stessa dalle altre figure di segregazione patrimoniale. In particolare, a differenza del trust, l’operazione de qua dà luogo ad una segregazione patrimoniale assistita da efficacia obbligatoria e non già reale, non implicante una separazione patrimoniale, atteso che i beni trasferiti al fiduciario entrano nel patrimonio di quest’ultimo, confondendosi con i suoi beni. Con la conseguenza che i creditori dello stesso possono compiere azioni esecutive sui beni soggetti al vincolo fiduciario.

Nel qual caso, se l’esecuzione avverrà, il fiduciario sarà tenuto a risarcire il fiduciante[146]. Ma può anche darsi il caso che il fiduciario alieni il bene ad un terzo. In tale specifica ipotesi l’unico rimedio[147] a disposizione del fiduciante è quello risarcitorio, attesa l’inopponibilità del patcum fiduciae nei confronti dei terzi.

L’operazione fiduciaria va distinta inoltre anche dalla simulazione, ove la segregazione patrimoniale é solo apparente e non già effettiva. Purtuttavia nelle ipotesi di simulazione assoluta le due figure presentano punti di contatto atteso che il titolare apparente può alienare il bene a terzi che se di buona fede fanno salvo il proprio acquisto, al pari dei terzi che acquistano dal fiduciario.

Ma in tale ultimo caso la salvezza dell’acquisto discende non già dalla buona fede ma dalla suindicata inopponibilità del pactum fiduciae ai terzi[148], derivante dalla natura meramente obbligatoria[149] dello stesso[150].

5. Conclusioni

È di tutta evidenza che all’estensione della portata applicativa delle fattispecie di segregazione implicanti separazione patrimoniale, come il trust e il negozio di destinazione ex art. 2645ter c.c., corrisponde un ridimensionamento del carattere tendenzialmente assoluto della riserva di legge di cui al c. 2 art. 2740 c.c., che come dianzi rilevato, ammette limitazioni della responsabilità patrimoniale nei soli casi previsti dalla legge.

Purtuttavia, al fine di non rendere tale precetto lettera morta, tenuto conto anche della finalità protettiva immanente allo stesso, in quanto volto alla tutela dei creditori “generali”, si rende necessario limitare l’utilizzo delle segregazioni patrimoniali implicanti separazione patrimoniale alle sole ipotesi in cui le medesime non compromettano i diritti di questi ultimi, riverberandosi in danno degli stessi. Coerentemente con tale premessa, sono stati in precedenza sollevati seri dubbi su talune configurazioni del trust note e diffuse nella prassi, come il trust "endoconcorsuale" e il trust "anticoncorsuale", talvolta ammessi sulla base del generico riferimento al principio per cui se un istituto non è vietato dalla legge lo si può ritenere ammissibile.

Una siffatta impostazione metodologica tuttavia non risulta condivisibile, giacché il principio de quo non può vivere isolato, in quanto in una prospettiva di sistema non può non esser rapportato ad altri principi o esigenze, come quella dei creditori generali a non veder dispersa, talvolta con evidenti finalità abusive, la garanzia patrimoniale generica sulla quale possono rivalersi.


Note e riferimenti bibliografici

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[2] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, p. 658 e ss; A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 478; P.G. JAEGER, Par condicio creditorum, in Giur. Comm., 1984, I, p. 93.

[3] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 479.

[4] A. ALCARO, op. cit., p. 278.

[5] F. ALCARO, op. cit., p. 279.

[6] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, p. 657 e ss.

[7] F. ALCARO, op. cit., p. 279.

[8] P. SPADA, Destinazioni patrimoniali e impresa, in AA.VV., Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di) G. Doria, Torino, 2010, p. 331; ID., Persona Giuridica e articolazione del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. dir.civ., 2002, p.842; R. QUADRI, La destinazione patrimoniale. Profili Normativi e autonomia privata, Napoli, 1994; A. PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950; G. PALERMO, Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione, in AA.VV., Destinazione dei beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale, (a cura di) B. Libonati e P. Ferro- Luzzi, Milano, 2003, p. 249; A. PALAZZO, Interesse a costituire il vincolo di destinazione e tutela dei terzi, in AA.VV., Atti negoziali di destinazione e trust, (a cura di) G. Vettori, Padova, 2008, p. 287; M. NUZZO, Il principio di indivisibilità del patrimonio, in AA.VV., Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di) G. Doria, Torino, 2010, p. 31; D. MESSINETTI, Il concetto di patrimonio separato e la c.d. Cartolarizzazione dei crediti, in Riv. Dir. civ., 2002 II, p.101; A. MASI, Destinazione di beni e autonomia privata, in Destinazione dei beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale, (a cura di) B. Libonati e P. Ferro- Luzzi, Milano, 2003, p. 235; U. LA PORTA, Destinazione dei beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1996; A. GRISOLI, Unipersonalità, patrimonio separato, impresa individuale a responsabilità limitata e problemi affini, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1967, p. 286; A. FALZEA, Introduzione e considerazioni conclusive, in Destinazione dei beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale, a cura di B. Libonati e P. Ferro- Luzzi, Milano, 2003, p. 23; G. DORIA, Il patrimonio finalizzato, in Riv. dir. civ., 2007, p. 490; ID., Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto, in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di) G. Doria, Torino, 2010, p. 2; M. CEOLIN, Destinazione e vincoli di destinazione nel diritto privato, Milano, 2010; M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996; ID., voce Vincoli di destinazione del patrimonio, in Enc. Gur., vol. XV, Roma, 2007, p. 204; A. CAIAFA, Il patrimonio destinato: profili lavoristici e fallimentari, in Dir. fall., 2004, I, p. 692; A. GAMBARO, Unità e separazione del patrimonio, in T&AF, 2000, p.155; A. GENTILI, Destinazioni patrimoniali, trust e tutela del disponente, in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di) G. Doria, Torino, 2010, p. 330; L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, Padova, 2001.

[9] F. ALCARO, op. cit., p. 279 e ss.

[10] Esempi di separazione patrimoniale bilaterale sussistenti nel sistema italiano sono, nel diritto di famiglia, il fondo patrimoniale e sul versante del diritto societario il patrimonio destinato ad uno specifico affare, di cui si tratterà in seguito. Sul punto F. ALCARO, op. cit., p. 280.

[11] F. ALCARO, op. cit., p. 280.

[12] Sul fondo patrimoniale F. ALCARO, op. cit., p. 280; S A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 1260 e ss.; P.G. DEMARCHI ALBENGO, Il fondo patrimoniale, Milano, 2011; T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Il regime patrimoniale della famiglia, (a cura di) G. Bonolino - G. Cattaneo, Torino, 1997, p. 349; G. CIAN – G. CASAROTTO, voce Fondo Patrimoniale della famiglia, in Nov. Dig. It. App., vol. III, Torino, 1982, p. 825; G. GABRIELLI, voce Patrimonio Familiare e Fondo patrimoniale, in Enc. dir., vol. XXXII, Milano, 1982, p. 306.

[13] L'accettazione con beneficio di inventario è una forma di accettazione in cui si impedisce la confusione tra patrimonio de de cuius e patrimonio del chiamato, specie quando il primo è oberato di debiti. Sul piano patrimoniale tale forma di accettazione comporta che l'erede beneficiato risponda dei debiti ereditari non ultra vires ma nei limiti di quanto ricevuto.

[14] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 203.

[15] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 203.

[16] F. ALCARO, op. cit., p. 280.

[17] Su tale forma di separazione patrimoniale si vd. R. SANTAGATA, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Manuale di diritto commerciale, (a cura di) M. Cian, Torino, 2019, 637 e ss.; C. COMPORTI, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in La riforma delle società, (a cura di) M. Sandulli - V. Santoro, II, Torino, 2003, p. 957; G. FAUCEGLIA, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Fallimento, 2003, p. 809; P. FERRO LUZZI, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. Società, 2002, p. 121; G. GIANNELLI, I patrimoni destinati (commento agli artt. 2447-bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, octies, novies, decies c.c.), in La riforma delle società di capitali. Commentario, (a cura di) G. Niccolini - A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, p. 1272; R. LENZI, I patrimoni destinati: costituzione e dinamica dell’affare, in Riv. Not., 2003, I, p. 543; A. MAFFEI D’ALBERTI, Commento agli art. 2447 bis- 2447 decies, in Il nuovo diritto delle società, (a cura di) A. Maffei Alberti, II, Padova, 2005, p. 1695.

[18] Con la conseguenza che su di esso non potranno rivalersi né i creditori di tale società né quelli dei singoli investitori partecipanti. Sul punto A. TORRENTE - SCHLESINGER, op. cit., p. 1071.

[19] La ratio di tali attivi è far fronte alle obbligazioni assunte dall’impresa di assicurazione attraverso la sottoscrizione dei contratti.

[20] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 204.

[21] Sempre nel settore assicurativo, in particolare nel ramo vita, l’art. 1923 cod. civ. sottrae le somme dovute dall’assicuratore all’azione esecutiva dei creditori del contraente o del beneficiario.

[22] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 204.

[23] F. ALCARO, op. cit., p. 281.

[24] L. BIGLIAZZI GERI, voce Patrimonio autonomo e patrimonio separato, in Enc. dir., vol. XXXII, Milano, 1982, pag. 292.

[25] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 204.

[26]  F. ALCARO, op. cit., p. 281.

[27] La letteratura in materia di trust é particolarmente cospicua. Senza pretesa di esaustività si segnalano i principali contributi in materia: P. SCHLESINGER, Una novella per il trust, in Notariato, 2001, p. 337; ID., Il Trust nell’ordinamento giuridico italiano (conclusioni), in AA.VV., Il Trust nell’ordinamento giuridico italiano, Quaderni del Notariato, Milano, 2002, p.179; G. SCHIANO DI PEPE, Trust di protezione patrimoniale e fallimento, in T & AF, 2004, p. 220; M. LUPOI, Lettera ad un notaio conoscitore di Trust, in Riv. Not., 2001 p. 1166; ID., Profili processuali del trust, in T&AF, 2009, p. 162; ID., Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Eur. dir. Priv., 1998, p. 427; ID., The shapeless Trust, in Vit. Not., 1995, p. 51; ID., Trusts, II ed., Milano, 2001; ID., voce: Trusts, II, in Enc. Giur., XXV, Roma, 1995; ID., voce: Trusts, I, in Enc. Giur., XXV, Roma, 1995; ID., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985, in Vit. Not., p. 966; ID., Introduzione ai trusts: Diritto inglese, Convenzione dell’Aja, diritto italiano, Milano, 1994; ID., Istituzioni del diritto dei trusts e degli affidamenti fiduciari, Milano, 2010; G. LENER, La circolazione del modello del trust nel diritto continentale del mercato mobiliare, in Riv. Soc., 1989; P. MANES, Trust e art. 2740 cc: un problema finalmente risolto, in Cont. impr., 2002, p. 580; S. MAZZAMUTO, Il trust nell’ordinamento italiano dopo la Convenzione dell’Aja, in Vit. Not., 1998, pag.754; ID., Il trust, in Manuale di diritto privato europeo, (a cura di) C. Castronovo - S. Mazzamuto, Milano, 2007, II, p. 633; U. LA PORTA, Cause traslative, Autonomia privata ed opponibilità nel dibattito in materia di trust, in AAVV, Il Trust nell’ordinamento giuridico italiano, Quaderni del Notariato, n.7, 2002, p.39; M. GRAZIADEI - B. RUDDEN, Il diritto inglese dei beni e il trust: dalle res al fund, in Quadrimestre, 1992, p. 31; M. GRAZIADEI, Agency e Trust, in AA.VV., I Trusts in Italia oggi, (a cura di) I. Beneventi, Milano, 1996, p. 455; ID., Diritti nell’interesse altrui- Undisclosed agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Trento, 1996; E. ANDREOLI, Il Trust nella prassi bancaria e finanziaria, Padova, 1998; S. BARTOLI, Il trust, Milano, 2001; A. GAMBARO, Trust e trascrizione, in T&AF, 2002, p. 346; ID., Il Trust in Italia, in Convenzione relativa alla legge sui trusts, (a cura di) A. Gambaro- A. Giardina- G. Ponzanelli, cit. p.1214; ID., voce Trust, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., XIX, Torino, 1999, p.452; G. BROGGINI, Il trust nel diritto internazionale privato, in Jus, 1997, p. 11; ID., Il Trust nel diritto internazionale privato italiano, in Il trust in Italia oggi, (a cura di) I. Beneventi, Milano, 1996, pag.11; ID., Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Eur. e dir. priv., 1998, pag. 410; F. DI CIOMMO, Per una teoria negoziale del trust (ovvero perché non possiamo farne a meno), in Corr. Giur., 1999, p. 632; C. CASTRONOVO, Il Trust e “sostiene Lupoi”, in Eur. Dir. pr., 1998, p.441; ID., Trust e diritto civile italiano, in Vit. Not., 1998, pag. 279; G. CONTALDI, Il Trust nel diritto internazionale privato italiano, Milano, 2001; F. GAZZONI, Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, in Riv. Not., 2002, p. 1107; ID., In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e altre bagattelle), in Riv. Not, 2001, pag. 1247; A. MORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007; ID., Struttura dell’atto negoziale di destinazione e del trust, anche alla luce della legislazione fiscale ed azione revocatoria, in Contr. impr., 2009, p. 448; A. GIARDINA, La Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento- note introduttive, in Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, (a cura di) A. Gambaro- A. Giardina- G. Ponzanelli,  in NLCC, 1993, p. 1212; G. PALERMO, Contributo allo studio dei trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. Dir. Comm., 2001, p. 396; L. PANZANI, Il trust nell’esperienza giuridica italiana: il punto di vista della giurisprudenza e degli operatori, in Giur. Mer., 2010, p. 2934; P. PICCOLI, I Trusts e figure affini in diritto civile. Analogie e differenze, in Vita Not., 1998, p. 785; M. SACCHI, La segregazione patrimoniale del trust con particolare riguardo alle operazioni di cartolarizzazione, in T& AF, 2005, p. 428.

[28] Sul piano normativo, occorre rilevare che il trust è un istituto non espressamente disciplinato dal legislatore italiano, che con legge n. 364/1989 ha autorizzato la ratifica della Convenzione Internazionale dell'Aja, entrata in vigore il primo gennaio 1992. La convenzione de qua nasce dall’esigenza di armonizzare la disciplina e il riconoscimento dei trust in paesi non appartenenti all’area di common law in cui fosse assente una disciplina specifica degli stessi. Il problema almeno in origine si poneva per i trusts internazionali, configurabili allorquando il disponente (settlor) era un soggetto straniero, che attribuiva ad un amministratore fiduciario (trustee) beni situati in Italia. In tali ipotesi ci si chiedeva quali poteri e quali facoltà spettassero al trustee nel caso di lite sorta in Italia avente ad oggetto i beni conferiti in trust.

[29] Dalla suindicata definizione è possibile distinguere il trust di scopo dal trust con beneficiari.

[30] Cass. n. 3986/2021.

[31] Sulla natura unilaterale e non contrattuale dell’atto istitutivo Cass. n. 3986/2021.

[32] Sul versante penalistico, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. sent. n. 50672/2014) qualora il trustee volga a proprio vantaggio i beni conferiti in trust è configurabile il delitto di appropriazione indebita.

[33] Cass. n. 3986/2021.

[34] Sul punto si vd. anche Cass. n. 224/2021; Comm. Trib. Reg. Lombardia - Brescia, 28.8.2020.

[35] Come chiarito dalla giurisprudenza più recente (Cass. n. 3128/2020) la generale ammissibilità di un trust passa attraverso una valutazione della causa in concreto  sottesa alla complessiva operazione di segregazione.

[36] Sul punto Cass. n. 224/2021.

[37] Sull’effetto segregativo Cass. n. 3128/2020.

[38] Purtuttavia l’effetto di separazione tra i beni conferiti in trust e patrimonio personale del trustee avrà luogo solo in caso di riconoscimento del trust, che presuppone la costituzione dello stesso in conformità alla legge scelta o determinata secondo i criteri di cui all'art. 7 Conv. Aja.

[39] Cass. n. 3986/2021; Cass. n. 224/2021.

[40] Sul trust liberale Cass. civ., n. 25478/2015, su Iltributarista.it, 2016, con nota di A. BENIGNI.

[41] Sul punto si vd. anche F. GAZZONI, Manuale, p. 991.

[42] Sul trust familiare Cass. n. 9320/2019, su Ilfamiliarista.it, 2019, con nota di F. SCARFO’. Tale forma di trust avrebbe natura gratuita atteso che il conferimento di beni non trova controprestazione in un’attribuzione a favore del disponente. Sul punto si vd. Trib. Monza, 7.7.2020; Trib. Ravenna, n. 227/2021.

[43] Cass. n. 10105/2014; Trib. Genova, 20.1.2022.

[44] In dottrina F. GAZZONI, op. cit., p. 991. In giurisprudenza: Cass. n. 10105/2014; Cass. n. 3986/2021; Cass. n. 224/2021; Cass. n. 3128/2020; Trib. Roma, sez. spec. impr., 20.7.2017.

[45] Cass. n. 224/2021.

[46] In generale F. ALCARO, Diritto privato, p. 127, apre all’ammissibilità di una proprietà temporanea, cioè segnata da un termine finale, muovendo non dal presunto carattere strutturale della perpetuità, ma dalla funzionalità della temporaneità rispetto al vincolo, allo scopo, che può modellare il diritto di proprietà.

[47] Cass. n. 224/2021.

[48] Secondo una parte della giurisprudenza  (Cass. n. 1826/2022) invece la peculiarità del trust risiede nello sdoppiamento del concetto di proprietà, tipico dei paesi di common law. Ed infatti, sebbene la proprietà legale del trust attribuita al trustee rende quest’ultimo unico titolare dei relativi diritti, sia pure nell’interesse dei beneficiari o per il perseguimento dello scopo definito, i beni conferiti restano pur sempre segregati e dunque risultano estranei non solo al patrimonio del disponente ma anche a quello personale del trustee. Parte della dottrina (P. ZATTI, Manuale di diritto civile, Padova, 2015, p. 775), nell’ipotesi di trust con beneficiari, distingue una proprietà formale del fiduciario e una proprietà sostanziale dell’interessato-beneficiario. Sul concetto di proprietà nell’interesse altrui si vd. G. MINNITI, La proprietà nell’interesse altrui, in Destinazione dei beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale, (a cura di) B. Libonati e P. Ferro- Luzzi, Milano, 2003, p. 286; A. SATURNO, La proprietà nell’interesse altrui nel diritto civile italiano e comparato, Napoli, 1999.

[49] V. SCALISI, Ancora in ordine all’ammissibilità del trust interno, in Mandato, fiducia e trust, a cura di F. Alcaro - R. Tommasini, Milano, 2003, p. 188; G. PALERMO, Sulla riconducibilità del trust interno alle categorie civilistiche, in Riv. dir. comm., 2000, p. 146; D. MURITANO, Il. c.d. trust interno prima e dopo l'articolo 2645 ter c.c., in Negozi di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano 2007, p. 23; F. GALLUZZO, Il trust cd. interno e i negozi di destinazione allo scopo, in N.G.C.C., 2005, II, p. 88; R. CALVO, La tutela dei beneficiari nel trust interno, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1998, p. 54; M. LUPOI, Legittimità dei trusts interni, in I Trusts in Italia oggi, (a cura di) I. Beneventi, Milano, 1996, pag. 30; V. MARICONDA, Contrastanti decisioni sul trust interno: nuovi interventi a favore, ma sono nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità, in Corr., Giur., 2004, p.76; S. MAZZAMUTO, Trust interno e negozio di destinazione, in Europa e dir. priv., 1998, p. 439; L. RAGAZZINI, Trust interno ed ordinamento giuridico italiano, in Riv. Not., 1999, pag. 279.

[50] Cass. n. 3986/2021; S. BARTOLI, Il trust autodichiarato nella Convenzione de l’Aja sui trusts, in I trusts interni e le loro clausole, (a cura di) E. Q. Bassi - F. Tassinari, Milano, 2007, p. 71; A. CATARCI, Trust autodichiarato e tutela dei creditori, in Giur. Mer., 2008, p.717.

[51] F. GAZZONI, op. cit., p. 992.

[52] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 665; P. ZATTI, op. cit., p. 776.

[53] Cass. sent. n. 10105/2014.

[54] Ma come rileva C.M. BIANCA, La proprietà, Milano, 2017, p. 138, a condizione che siano rispettati i limiti inderogabili posti da norme imperative, ordine pubblico e buon costume.

[55] Cass. sent. n. 10105/2014.

[56] Trib. Milano, 29.10.2002.

[57] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 1465.

[58] Cass. n. 3986/2021.

[59] Trib. Ancona, sez. spec. impr., 2.11.2020.

[60] Discussa è anche l’ammissibilità del trust autodestinato, strutturalmente modulato sulla coincidenza soggettiva tra disponente e beneficiario.

[61] F. FIMMANO’, Trust e diritto delle imprese in crisi, in Riv. Not., 2011, p. 511; U. APICE, Trust strumento di esemplificazione della procedura concorsuale, in Diritto e Pratica del Fallimento, 2006, p. 3; G. FAUCEGLIA, La funzione del trust nelle procedure concorsuali, in Il Fallimento, 2004, p. 101; A. GALLARATI, La composizione negoziale della crisi di impresa mediante concordato preventivo e trust, in Riv. Dir. impresa, 2012, p. 123; D. GALLETTI, Il trust e le procedure concorsuali: una convivenza subito difficile, in Giur. comm., 2011, II, p. 900; ID., Trust liquidatorio ed (in)derogabilità del diritto concorsuale, in AA.VV., Moderni sviluppi dei trust, Atti del V Congressso Nazionale dell’associazione il Trust in Italia, Quaderni di trust, Milano 2011, p. 554; F. GALLUZZO, Validità di un trust liquidatorio istituito da una società in stato di decozione, in Corr. Giur., 2010, p. 527; M. ATZORI, Riflessioni finali sui trust liquidatori, in AA.VV., Moderni sviluppi dei trust, Atti del V Congressso Nazionale dell’associazione il Trust in Italia, Quaderni di trust, Milano 2011, p. 594; A. BUSANI – C. FANARA – O. MANNELLA, Trust e crisi di impresa, Milano, 2013; G. CABRAS, Trust e crisi di impresa, consultabile su www.dircomm.it, 2005, n.10; C. CAVALLINI, Trust e procedure concorsuali, in Riv. Soc, 2011, p. 1093; V. GRECO, Il Trust nelle procedure concorsuali, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2010, I, p. 761; ID., Il trust quale strumento di soluzione e prevenzione della crisi di impresa nella riforma delle procedure concorsuali, in T&AF, 2007, p. 212; P. LICCARDO, Trust e procedure concorsuali, in AA.VV., Il Trustee nella gestione dei patrimoni, (a cura di) D. Zanchi, Torino, 2009, p. 399; M. LUPOI, Due tecniche sull’atto istitutivo di un trust liquidatorio e sui trust nudi, in T&AF, 2011, p. 211; D. MURITANO, Note sul trust istituito da imprese in crisi (in funzione liquidatoria), studio n. 161/2011 del Consiglio nazionale del Notariato, approvato dalla commissione studi di impresa il 1° marzo 2012; L. PANZANI, Trust e procedure concorsuali, in AA.VV., Le procedure concorsuali, (a cura di) A. Caiafa, Padova, 2011, p. 1022; L. SALVATORE, Atto di destinazione e crisi di impresa: strumento a tutela o contro le procedure concorsuali, in Riv. Not., 2012, p. 1087; ID., L’utilizzazione del trust a servizio dell’impresa, in Riv. Not., 2006, p.146; G. TUCCI, Trusts, concorso dei creditori e azione revocatoria, in Trusts & AF, 2003, p. 25; E. RAGANELLA – M. REGNI, Il trust liquidatorio nella disciplina concorsuale, in T&AF, 2009, p. 603.

[62] Altre figure dubbie (ammissibili secondo il Trib. Ancona, 2.11.2020) di trust emerse nell’ambito della soluzione della crisi di impresa sono: i) il trust “protettivo”, attraverso cui un imprenditore in bonis previene azioni esecutive da parte dei futuri creditori, mettendo a loro disposizione in trust alcuni beni funzionali alla loro soddisfazione; ii) trust “di salvataggio”, posto in essere da un imprenditore in stato di crisi reversibile, al fine di gestire la stessa e scongiurare il concordato preventivo o l’istanza di fallimento.

[63] Sulla liquidazione di società di capitali sia consentito rinviare a: M. DE ACUTIS, Lo scioglimento e la liquidazione delle società di capitali, in Manuale di diritto commerciale, (a cura di) M. Cian, Torino, 2019, p. 611 e ss.; G.F. CAMPOBASSO, Diritto delle società, (a cura di) M. Campobasso, Milano, 2020, p. 541 e ss. (s.p.a.) e 595 e ss. (s.r.l.). Per la liquidazione delle società di persone si vd. L. PISANI, Lo scioglimento della società, in Manuale di diritto commerciale, (a cura di) M. Cian, Torino, 2019, p. 373 e ss.; G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 113 e ss.

[64] L. COSENTINO, Il trust di Jersey nel concordato preventivo, consultabile sul sito www.ilcaso.it, doc. del 23 giugno 2013; C. D’ARRIGO, L’impiego del trust nella gestione negoziale della crisi d’impresa, in AA.VV., La crisi d'impresa. Questioni controverse del nuovo diritto fallimentare, (a cura di) A. Di Marzio, Padova, 2010, p. 466; L. PANZANI, Trust e concordato preventivo, in Il Fallimento, 2005, p. 535; D. PARISI, Trust a garanzia dei creditori che aderiscono ad un piano di ristrutturazione, in T &AF, 2008, p. 448; L. ROVELLI, Il ruolo del trust nella composizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art. 182 bis.l.f., in T&AF, 2007, p. 302; G. LO CASCIO, Il Concordato preventivo ed il trust, in Il Fallimento, 2007, p. 249; ID., Proposta di concordato preventivo mediante trust, in Fallimento, 2009, p. 340; D. ZANCHI, Osservazioni in ordine alla possibile applicazione di un trust agli accordi di cui all’art. 182-bis L.F., in T&AF, 2008, 155.

[65] E. SCODITTI, Trust e fallimento, in T & AF, 2010, p. 472; G. SEMINA, Trust e segregazione dei crediti fiscali del fallimento esigibili dopo la chiusura della procedura, in T &AF, 2004, p. 343; P. PIRUCCIO, La segregazione dell’intero patrimonio aziendale nel trust non consente il normale svolgimento della procedura concorsuale in danno della massa dei creditori, in Giur. Mer., 2010, p. 1593; F. IOZZO, Note in tema di trust e fallimento, in Giur. Comm., 2008, p. 206; F. FIMMANO’, Profili del trust e procedure concorsuali, in Il Fallimento- Gli Speciali, 2010, p. 33; P. BASSO, Trust liquidatorio e fallimento del disponente: una possibile forma di collaborazione, in AA.VV., Moderni sviluppi dei trust, Atti del V Congresso Nazionale dell’associazione il Trust in Italia, Quaderni di trust, Milano 2011, p. 297; V. GRECO, La funzione del trust nel fallimento, in Giur. Comm., 2005, p. 708.

[66] Sullo spossessamento in generale si vd. M. SCIUTO, Gli effetti del fallimento, in Manuale di diritto commerciale, (a cura di) M. Cian, Torino, 2019, p. 209.

[67] Cass. n. 10105/2014.

[68] Trib. Ancona, 2.11.2020.

[69] G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in La riforma della legge fallimentare. Profili della nuova disciplina, (a cura di) S. Ambrosini, Bologna, 2006, p. 384; A. JORIO, Le soluzioni concordate della crisi d'impresa tra privatizzazione e tutela giudiziaria, in Il Fallimento, 2005, p. 1453; M. FABIANI, Nuovi incentivi per la regolazione concordata della crisi di impresa, in Corr. Giur., 2012, p. 1265; ID., Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa, consultabile sul sito www.ilcaso.it, doc. 303/2012; N. ABRIANI, Soluzioni negoziate e prevenzioni della crisi, in AA.VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, 2013, p. 83; S. BONFATTI, Le misure di incentivazione delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa. Gli accordi di ristrutturazione, consultabile sul sito www.ilcaso.it, doc. n. 251/2011.

[70] Sul punto sia consentito rinviare a G. CARRARO, Le trasformazioni eterogenee, Torino, 2010, p. 34 e ss.

[71] In particolare Cass. n. 10105/2014.

[72] M. SCIUTO, Il concordato preventivo, in Manuale di diritto commerciale, (a cura di) M. Cian, Torino, 2019, p. 244.

[73] M. SCIUTO, Il concordato preventivo, p. 253 e ss.

[74] M. SCIUTO, Gli accordi stragiudiziali, in Manuale di diritto commerciale, (a cura di) M. Cian, p. 266.

[75] Il cui contenuto è rifluito negli art. 57 e ss. cod. crisi (d.lg. n. 14/2019).

[76] Cass. n. 10105/2014.

[77] Contrari all’ammissibilità del trust anticoncorsuale per le stesse ragioni dianzi indicate: Trib. Roma, sez. spec. impresa, 20.7.2017; Trib. Roma, 20.6.2017.

[78] Come chiarito dalla Suprema Corte con la sentenza da ultimo citata, la sanzione della nullità presuppone invece che l’atto sia stato riconosciuto dall’ordinamento.

[79] Cass. n. 3128/2020.

[80] M. LUPOI, Trust e riflessi sul sistema delle garanzie, in Il Fallimento, 2002, p. 939; G. SANTO, Trust e pegno rotativo, in T&AF, 2000, p. 322; ID., Trust di strumenti finanziari in funzione di garanzia, in T&AF, 2002, p. 128.

[81] Trib. Milano, 20.2.2021, in Ilsocietario.it, 2022, con nota di P. SPOLAORE - M. SABBIONI.

[82] Sul quale sia consentito rinviare a C. VALENTINO, Alienazioni in garanzia, in questa Rivista, 2020.

[83] Cass. n. 844/2020.

[84] Trib. Milano, 20.2.2021.

[85] Su cui M. SCIUTO, Gli effetti del fallimento, p. 217 e ss.

[86] Sui quali sia consentito rinviare a C. VALENTINO, Il patto di famiglia, su questa Rivista, luglio 2022.

[87] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 1384 e ss.

[88] Sull’assoggettamento del trust a revocatoria: Trib. Ravenna, 22.3.2021; Trib. Brindisi, 24.6.2021.

[89] Anche la letteratura in tema di negozio di destinazione ex art. 2645 ter é particolarmente cospicua. Senza pretesa di esaustività si segnalano i seguenti contributi: R. QUADRI, L’art. 2645 ter cc e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contr. e impr. 2006, p. 1732; F. PATTI, Gli atti di destinazione e trust nel nuovo art. 2645 ter cc, in Vita Not., 2006, p. 980; G. PALERMO, Configurazione dello scopo, opponibilità del vincolo, realizzazione dell’assetto di interessi, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano 2007, p. 75; M. LUPOI, “Gli atti di destinazione” nel nuovo art. 2645 ter c.c. quale frammento di trust, in T&AF, 2006, p. 173; F. GAZZONI, Osservazioni sull’art. 2645 ter, in Giust. Civ., 2006, I, p. 166; G. VETTORI, Atto di destinazione e trascrizione. L’art. 2645-ter, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano, 2007, cit., p. 176; G. FANTICINI, L’articolo 2645 ter del codice civile: “trascrizione degli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altre due persone fisiche”, in La protezione dei patrimoni, (a cura di) M. Montefameglio, Ravenna, 2006, p. 327; A. DI MAJO, Il vincolo di destinazione tra atto ed effetto, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano, 2007, p. 111; G. BARALIS, Prime riflessioni in tema di art. 2645 ter cc, in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Quaderni della Fondazione del Notariato, 2007, p.145; U. LA PORTA, L’atto di destinazione dei beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell’art. 2645 ter cc, in Riv. Not, 2007, p. 1070; G. OBERTO, Atti di destinazione (art 2645 ter cc) e trust: analogie e differenze, in Contr. impr. Eur., 2007, p. 360; M. BIANCA, La categoria dell’atto negoziale di destinazione: vecchie e nuove prospettive, in Negozi di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano 2007, p. 177; ID., Il nuovo art. 2645 ter. Notazioni a margine di un provvedimento del Giudice tavolare di Trieste, in Giust. civ., 2006, II, p. 190; ID., L’atto di destinazione: problemi applicativi, in Riv. Not., 2006, p. 1175; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, L’atto notarile di destinazione. L’art. 2645 ter cc, Milano, 2006; R. LENZI, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645 ter cc, in Contr. impr, 2007, p. 238; P. SPADA, Conclusioni, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano, 2007, p. 203; ID., Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo, in Atti notarili di destinazione dei beni: art. 2645 ter cc, Atti del convegno di Milano, 19 giugno 2006; G. ROJA ELGUETA, Il rapporto tra l’art. 2645 ter cc e l’art. 2740 cc: un’analisi economica della nuova disciplina, in BBTC, 2007, p. 189; G. OPPO, Riflessioni preliminari, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano, 2007, p. 11; G. VETTORI, Atto di destinazione e trascrizione. L’art. 2645 ter, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano, 2007, p. 182; ID., Atto di destinazione e trust: prima lettura dell’art. 2645 ter, in Obbl. e contr., 2006, p. 779.

[90] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 1462; F. ALCARO, Manuale, p. 284.

[91] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 1462; F. ALCARO, op. cit., p. 284.

[92] M. NUZZO, L’interesse meritevole di tutela tra liceità dell’atto di destinazione e opponibilità dell’effetto della separazione patrimoniale, in Famiglia e impresa: strumenti negoziali per la separazione patrimoniale, in Quaderni della Fondazione del Notariato, 2010, p. 28; M. BIANCA, Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi, in Riv. Dir. civ., 2011, p. 789.

[93] Sul giudizio di meritevolezza ex art. 2645ter si vd. anche Trib. Ascoli Piceno, 24.3.2020.

[94] G.B. FERRI, Meritevolezza dell'interesse e utilità sociale, in Riv. Dir. comm., 1971, II, p. 81.

[95] F. ALCARO, op. cit., p. 286.

[96] F. ALCARO, op. cit., p. 286.

[97] F. GAZZONI, Manuale, p. 843.

[98] C. App. L'Aquila, 1.4.2022.

[99] F. GAZZONI, op. cit., p. 843.

[100] Cass. n. 3697/2020; Trib. Ravenna, 22.3.2021.

[101] Cass. n. 3697/2020; Trib. Ravenna, 22.3.2021.

[102] Sul punto Trib. Firenze, 20.11.2018.

[103] Trib. Firenze, 20.11.2018.

[104] Cass. n. 29727/2019.

[105] Trib. Firenze, 20.11.2018.

[106] Cass. n. 3697/2020.

[107] P. MANES, La norma sulla trascrizione degli atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti, in Contr. Impr., 2006, p. 626.

[108] Trib. Reggio Emilia, 7 giugno 2012.

[109] In tal senso anche P. ZATTI, op. cit., p. 776, secondo cui sebbene l’art. 2645ter è dettato in materia di pubblicità, sono innegabili i riflessi che la stessa spiega sul piano sostanziale.

[110] Trib. Reggio Emilia, 26.3.2007.

[111] F. ALCARO, op. cit., p. 90.

[112] F. GALGANO, Sull’ ammissibilità di una fondazione non riconosciuta, in Riv. Dir. civ., 1963, II, p. 172.

[113] Tratto dalla concezione “soggettivistica” del patrimonio.

[114] Sul punto si vd. A. PEZZANO - G. CIPRIANI, L’atto di destinazione ex art. 2645ter cod. civ. “preventivo”, in Dir. Fall., 2013, I, p. 440 e ss.

[115] Trib. Lecco, 26.4.2012; Trib. Prato, 12.8.2015.

[116] C. App. Trieste, 19.12.2013; Trib. Verona, 13.3.2012.

[117] F. GAZZONI, op. cit., p. 843 e ss.

[118] Cass. n. 29727/2019; Trib. Pisa, 20.3.2020.

[119] Trib. Bari, 22.3.2021.

[120] U. LA PORTA, La causa del negozio di destinazione e neutralità dell’effetto traslativo, in Destinazione dei beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale, (a cura di) B. Libonati e P. Ferro- Luzzi, Milano, 2003, p. 59.

[121] Trib. Reggio Emilia, 27.1.2014; Trib. Santa Maria C.V., 28.11.2013.

[122] Sul punto Trib. Ravenna, 22.4.2015.

[123] F. GAZZONI, op. cit., p. 843.

[124] F. ALCARO, op. cit., p. 285.

[125] F. ALCARO, op. cit., p. 285.

[126] F. ALCARO, op. cit., p. 285.

[127] F. GAZZONI, op. cit., p. 844. Sul punto si vd. anche L. SALAMONE, Destinazione e pubblicità immobiliare, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano, 2007, p. 157; M. D’ERRICO, La trascrizione del vincolo dei destinazione nell’ art. 2645 ter cc. Prime Riflessioni, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, (a cura di) M. Bianca, Milano, 2007, p. 121; A. FEDERICO, La trascrizione degli atti di destinazione, in I contratti di destinazione patrimoniale, Milano, 2014.

[128] Trib. Livorno, 3.3.2020; Trib. Alessandria, 25.8.2020; Trib. Bari, 22.3.2021.

[129] F. GAZZONI, op. cit., p. 844.

[130] F. GAZZONI, op. cit., p. 844.

[131] U. CARNEVALI, Intestazione fiduciaria, in Diz. Dir. priv., (a cura di) N. Irti, 1, Diritto civile, Milano, 1980, p. 453; C. GRASSETTI, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. Dir. Comm., 1936, I, p. 3; ID., Trust anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, in Riv. dir. Comm., 1936, I, p. 551; N. LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, 1964; M.C. DIENER, Il contratto in generale, Milano, 2015, p. 91 e ss.; L. GUAGLIONE, Il contratto, Torino, 2018, p. 318 e ss.; C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2019, p. 668 e ss.

[132] L. CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari, Padova, 1933, p. 27 e ss.; E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, p. 300 e ss.; M.C. DIENER, op. cit., p. 92. In giurisprudenza si vd. Cass. n. 17785/2015; Cass. n. 1944/2014.

[133] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 662.

[134] Un cenno va fatto anche alle società fiduciarie, che provvedono in via professionale ad intestarsi determinati beni del fiduciante, curandone l’amministrazione ed esercitando in nome proprio ma in base alle istruzioni ricevute da quest’ultimo i relativi diritti. Sul punto si vd. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 663; N. NISIO, Attività di “amministrazione” delle società fiduciarie: evoluzione e prospettive, in BBTC, 2003, p. 42; ID., Società fiduciarie - Sim, Bari, 2012.

[135] M.C. DIENER, op. cit., p. 97 e ss.

[136] M.C. DIENER, op. cit., p. 97.

[137] M.C. DIENER, op. cit., p. 96 e ss.; P. ZATTI, Manuale di diritto civile, Padova, 2015, p. 774 e ss.

[138] M.C. DIENER, op. cit., p. 96.

[139] Evidenzia il problema P. ZATTI, op. cit., p. 774.

[140] P. ZATTI, op. cit., p. 775.

[141] M.C. DIENER, op. cit., p. 97.

[142] M.C. DIENER, op. cit., p. 97.

[143] M.C. DIENER, op. cit., p. 97.

[144] F. GAZZONI, op. cit., p. 988; M.C. DIENER, op. cit., p. 98 e ss.

[145] N. LIPARI, Fiducia statica e Trust, in Rass. dir. civ., 1996, p. 483.

[146] P. ZATTI, op. cit., p. 775.

[147] M.C. DIENER, op. cit., p. 95-96.

[148] F. GAZZONI, op. cit., p. 989.

[149] P. ZATTI, op. cit., p. 775.

[150] Come rileva F. GAZZONI, op. cit., p. 989 il terzo in mala fede che ha acquistato dal fiduciario, pur facendo salvo il proprio acquisto è tenuto a risarcire ex art. 2043 c.c. il fiduciante avendo cooperato all’inadempimento del pactum fiduciae.