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Pubbl. Gio, 18 Ago 2022

Il rapporto tra concorso esterno e aggravante agevolazione mafiosa

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Domenico Chirumbolo



Lo scritto analizza innanzitutto la disciplina del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, esaminandone l’evoluzione giurisprudenziale. In secundis, pone la sua attenzione sull’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p., considerando, in particolar modo, la problematica relativa alla natura giuridica della norma. In ultimo, si occupa del rapporto tra i due istituti in oggetto, alla luce della sentenza della Suprema Corte in sezioni unite n. 8545 del 2020.


ENG

The ratio between external competition in mafia association and aggravanting facilitator circumstance of mafia association

First of all, the paper analyzes the crime of external competition in mafia association, examining the jurisprudential evolution. Then, it observes the rules of art. 416-bis.1 of the Italian Criminal Code, considering the problem relating to its legal nature. Finally, it deals with the relationship between the two institutes in question, considering the sentence of the Supreme Court n. 8545 of 2020.

Sommario: 1. Breve premessa storica sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa; 1.2. La disciplina del reato di concorso esterno in associazione mafiosa; 1.3 La nascita e l'evoluzione giurisprudenziale del delitto di concorso esterno: le sentenze Demitry, Villecco, Carnevale, Mannino e Pittelli; 1.4. Alcune criticità; 2. La disciplina dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 c.p.; 2.1. La natura giuridica dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 c.p.; 2.2. Alcune criticità; 3. Rapporto tra i due istituti in parola alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione in Sez. U. n. 8545/2020.

1. Breve premessa storica sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa

La configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria non è una novità introdotta dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma, diversamente, è stata legittimata dalla giurisprudenza già nel secolo scorso (Corte di Cassazione di Palermo nel 1875) [1], e quindi, molto prima dell’introduzione del delitto oggetto di analisi.

In seguito, nei primi anni 90 (del XX secolo) per fronteggiare l’esacerbarsi del fenomeno mafioso, la giurisprudenza si è riappropriata dell’antico modello di incriminazione del concorso esterno, questa volta ricollegandolo al delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Dunque, partendo dall’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 416bis c.p. –  che richiede il dolo specifico, ovvero la coscienza e volontà di entrare a far parte dell’associazione mafiosa in maniera stabile e permanente (c.d. affectio societatis) e la comunione di intenti –  si è posto l’interrogativo se fosse possibile ravvisare un concorso eventuale ex art. 110 c.p. nel reato di associazione mafiosa da parte di un soggetto che non fosse un membro stabile dell’organizzazione (c.d. extraneus), ma che tuttavia fornisca un contributo al suo interno.

Siffatta ipotesi, dapprima è stata esclusa, per poi essere rivalutata dalla giurisprudenza, tanto da dar vita ad una specifica fattispecie di reato, antenata dell’istituto oggetto di analisi[2].

Dal punto di vista storico, tale estremizzazione dell’interpretazione giurisprudenziale, tanto da porsi quasi a pari del legislatore, era giustificata dalla necessità di introdurre una norma che punisse la condotta del concorrente esterno, poiché, a seguito della stagione del “maxi processo a Cosa Nostra”[3], erano sempre più numerosi i soggetti che apportavano forme di agevolazione alle cosche mafiose, senza però far parte stabilmente del sodalizio criminale.

Tali condotte, caratterizzate comunque da una contiguità profonda con la consorteria delittuosa, dovevano essere distinte dalla più semplice species del favoreggiamento, ex artt. 378 e 379 c.p., in quanto intrise di un disvalore maggiore[4].

1.2. La disciplina del reato di concorso esterno in associazione mafiosa

Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, tutt’oggi, non è disciplinato da una norma tipica contenuta nel codice penale, ma la condotta criminosa diviene punibile grazie al combinato disposto tra l’art. 110 c.p., che regola il concorso di persone nel reato, e l’art. 416-bis c.p., che disciplina il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso.

La condotta delittuosa prevedere che l’extraneus apporti un contributo al consorzio criminale, che abbia degli specifici requisiti, sintetizzabili in: occasionalità e autonomia; che sia funzionale allo scopo associativo; che sia causalmente efficiente per il rafforzamento e consolidamento dell’organizzazione criminale [5].

Per quanto concerne l’irrogazione della sanzione, si rimanda alla norma di cui all’art. 110 c.p., che prevede che:

quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita” [6].

1.3. La nascita e l’evoluzione giurisprudenziale del delitto di concorso esterno

La nascita del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa – che si ribadisce, tutt’oggi non è disciplinato da una norma tipica – è dunque conseguenza di una, non pacifica, evoluzione giurisprudenziale.

Ad originem, si riteneva che qualsivoglia ipotesi di contributo causale all’organizzazione criminale fosse di per sé assorbita dall’art. 416bis c.p., o, comunque, in altre fattispecie di reato. Segnatamente, per le condotte che non potevano essere ricomprese fra quelle di partecipazione all’associazione, si faceva riferimento ad altre species come il favoreggiamento personale, ex art. 378 c.p., rispetto al reato associativo; l’assistenza agli associati di cui all’art. 418 c.p [7]; oltre che la contestazione dell’aggravante ex art. 7 D.L. n. 152/1991 (ora art. 416-bis.1 c.p.) nell’ipotesi di realizzazione di reati-fine commessi avvalendosi del metodo mafioso, o al fine di agevolare l’attività dell’organizzazione mafiosa.

Siffatta impostazione – si anticipa – è stata totalmente sorpassata.

La controversia giurisprudenziale sulla configurabilità del delitto in esame, ha portato, per la prima volta nel 1994, la questione dinnanzi alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza Demitry, hanno risolto la quaestio affermandone la possibilità applicativa.

Siffatta sentenza sottolinea, in primis, il carattere atipico della condotta concorsuale, rispetto alla condotta stricto sensu tipica dei soggetti facenti parte dell'associazione. Il contributo, anche occasionale, fornito attraverso la condotta esterna, si riflette sulla condotta tipica degli intranei alla cosca stabilmente inseriti nella societas sceleris[8].

Altra assoluta novità introdotta dalla Demitry, interessa la strutturazione dell’elemento soggettivo ricollegato alla fattispecie delittuosa, ritenendo di dover distinguere il dolo della condotta esterna da quella dell’associato, giacché il primo non persegue il fine del sodalizio.

Per tale ragione, il dolo sarebbe generico, concernente alla volontà di offrire la propria contribuzione, ove e nei modi demandati, ma senza curarsi dei progetti e degli scopi che la consorteria mafiosa persegue[9].

A voler essere precisi, si potrebbe ritenere che il dolo specifico rimarrebbe comunque configurabile per il concorrente esterno, assumendo diversa connotazione rispetto a quello dell’intraneo, consistendo dunque nella volontà di contribuire alla realizzazione dei fini dell'associazione, con la consapevolezza che il suo ruolo si esaurirà una volta prestato il contributo richiesto[10].

La predetta sentenza, si sofferma, altresì, sulla bipartizione tra concorso morale e concorso materiale – de facto equiparandoli – affermando che la condotta di concorso morale deve essere sempre considerata atipica, mentre quella materiale presenti dei caratteri di tipicità tali da renderla meno estranea rispetto alla condotta del concorrente necessario.

In ultimo, la Demitry effettua una distinzione fondamentale tra il soggetto partecipe e il concorrente esterno, affermando che il primo è “colui senza il cui apporto quotidiano o, comunque, assiduo l’associazione non raggiunge i suoi scopi o non li raggiunge con la dovuta speditezza”, mentre il secondo è colui che non intende partecipare e che non è chiamato a farlo da parte dei soggetti associati, ma che fornisce un contributo qualificato[11].

Tale visione in merito al sostegno apportabile dal concorrente esterno, a seguito della sentenza in oggetto, non diviene definitiva, ed anzi ha incontrato diverse discromie, ed in particolar modo va citata la sentenza cd. Villecco del 2001, che ha riproposto la tesi negazionista.

Segnatamente, nella motivazione, il Supremo consesso, esaminando dettagliatamente l’istituto del concorso eventuale nel reato ex art. 416-bis c.p., ne nega la possibilità applicativa, ritenendo che in ambito di associazione per delinquere di tipo mafioso, il combinato disposto degli artt. 110 e 115 cod. pen. impedisce la configurazione di un concorso esterno o eventuale, giacché il supporto recato all’organizzazione mafiosa nei periodi di crisi e/o fibrillazione integra, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, una condotta partecipativa all’associazione delittuosa stessa[12].

La predetta sentenza appare critica anche con riguardo all’elemento psicologico del reato, sconfessando la decisione imposta con la Demitry, la quale ritiene si caratterizzi dal dolo del concorrente eventuale, ma, diversamente, secondo la sentenza in parola, piuttosto che di dolo di concorso, deve parlarsi di dolo di agevolazione[13], che, per l’appunto, sostiene una condotta oggettiva di agevolazione del consorzio criminale, la quale, ad ogni modo, per ritenersi considerevole dal punto di vista penale dovrebbe essere resa tipica dal legislatore[14].

Altra discordanza con la sentenza Demitry attiene all’equiparabilità tra concorso morale e materiale, poiché, in relazione a quest’ultimo, si prospetterebbe una sorta di sovrapponibilità tra la condotta del partecipe e quella del concorrente, mentre sul piano dell’elemento psicologico, analogamente, sarebbe complicato non riconoscere la difformità di dolo tra gli agenti[15].

Da tale orientamento, è conseguito un nuovo conflitto giurisprudenziale, sciolto solo nel 2003 con un’altra sentenza delle Sezioni Unite: la c.d. Carnevale.

Quest’ultima, ribadisce innanzitutto la configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria, identificando il soggetto “concorrente esterno” in quello sprovvisto della c.d. affectio societatis e dunque, non inserito permanentemente ed organicamente nel consorzio criminale, ma che, nonostante tutto, procura all’associazione un apporto concreto, specifico, consapevole e volontario, anche solo saltuariamente, ma che abbia un importanza causale ai fini del mantenimento o del consolidamento dell’associazione[16].

La Carnevale dirime i dubbi avanzati in merito alla configurabilità del concorso esterno ritenendo, innanzi tutto che

"i principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale sono soddisfatti appieno dalla norma incriminatrice di parte speciale ex art. 416 bis c.p. e di conseguenza la natura espansiva di cui all'art. 110 c.p. non incide negativamente sui principi stessi, rientrando in quelle particolari fattispecie ampliative del fatto tipico di reato (altro esempio è rappresentato dall'art. 56 c.p. con riguardo al delitto tentato" [17].

In secundis, contravvenendo agli orientamenti che inquadrano il contributo del concorrente come necessariamente permanente, ritiene che è pur sempre configurabile un apporto contributivo di tipo temporaneo. Questo sulla base del fatto che l'offensività della fattispecie associativa non è data soltanto dal suo carattere permanente, bensì, soprattutto, dall’offesa all'ordine pubblico che il sodalizio reca. Sicché, questo carattere di offensività può pacificamente essere integrato dal contributo dell’extraneus, pur solo in specifici istanti della vita associativa[18].

La sentenza Carnevale, pur confermando taluni dei principi della sentenza Demitry, si discosta da essa nella valutazione dell’elemento soggettivo del reato. I Giudici della Suprema Corte, nel caso di specie, pur ribadendo nel contenuto la differenza nella condotta dolosa tra gli agenti, ritiene non possa parlarsi, come afferma la Demitry, di dolo generico, ma che si tratti di dolo specifico rivolto alla realizzazione dei fini associativi, anche solo parziali[19].

In poche parole, si ritiene che il concorrente esterno possa contribuire alla vita dell'associazione e - anche solo parzialmente - alla realizzazione del programma criminoso, senza però la volontà di aderirvi in maniera stabile ed organica (affectio societatis).

Seppur quest’ultima decisione del Supremo consesso potrebbe apparire risolutiva del caso, cosi non è stato, infatti, il problema sulla configurabilità del delitto de quo, riemerse nella giurisprudenza italiana, tant’è che la quaestio è ritornata alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza denominata Mannino.

Quest’ultima, riconosce pacificamente la configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria, in conformità con le precedenti Sezioni Unite, riprendendo e sviluppando principalmente due aspetti della sentenza Carnevale, ossia l’idoneità causale e il dolo specifico.

Riguardo al primo punto, ha introdotto il criterio di valutazione ex post factum circa l'incidenza causale del contributo apportato[20], con riguardo al consolidamento o al rafforzamento dell'associazione mafiosa, che diviene valutazione obbligatoria, anche nei casi di carenza probatoria, non potendo in alcun modo essere oggetto di deroga. Con riguardo all’elemento psicologico, ha confermato in toto quanto già affermato nella precedente sentenza analizzata, con riguardo alla specificità del dolo[21].

Ad oggi, sembra non permangano dubbi sulla configurabilità del delitto in analisi, cosi per come sopra descritto. Anche se, invero, la sentenza Pittelli, si discosta dai suoi precedenti giurisprudenziali per quanto attiene lo stato di necessità in cui deve versare l’associazione mafiosa, quale elemento imprescindibile per la consumazione del reato da parte dell’extraneus.

In particolare, viene ribaltato il concetto espresso dalla sentenza Dimitry in merito all’agire del concorrente esterno in una fase di fibrillazione del consorzio criminale, considerato requisito fondamentale dal citato orientamento. La Demitry, infatti, afferma che

“senza la previa verifica, secondo le circostanze del caso concreto, del presupposto dello stato di emergenza dell’associazione alla stregua del concetto di infungibilità, il concorso esterno non appare integrato”.

Al contrario, la Pittelli ritiene la sussistenza dello stato di crisi dell’organizzazione criminale un mero requisito specializzante, il cui superamento, indotto dal contributo dell’extraneus, rappresenta il fatto costitutivo del delitto[22].

In pratica, mentre la Demitry sostiene che senza la fibrillazione associativa non può configurarsi il reato di concorso esterno, in quanto presupposto fondamentale, la Pittelli non ritiene che il citato elemento non sia fondamentale. Inoltre, dalla sentenza in esame, emerge altresì la sussistenza di qualche perplessità in merito all’elemento psicologico del reato, dato che neppure quest’ultimo orientamento giurisprudenziale si appresta ad essere definitivo, poiché, molto recentemente disatteso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 25619/2020 (c.d. sentenza Pittelli)[23] che riprende la teoria sul dolo generico presente nella sentenza Dimitry.

1.4. Alcune criticità

Nonostante le numerose sentenze che si sono susseguite, permangono diverse criticità, sia in merito alla configurabilità del reato in esame, seppur considerata acclarata dal Supremo consesso, sia in merito al dolo generico riproposto dalla sentenza Pittelli.

Come predetto, il concorso esterno in associazione mafiosa non è una norma tipica, ma ha origini esclusivamente giurisprudenziali. Sebbene gli Ermellini, in merito alla configurabilità, affermano siano fatti salvi i principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale, parrebbe comunque violato il più generale principio di legalità.

La Corte di Cassazione nelle diverse sentenze – de facto – equipara la fonte legislativa a quella giurisprudenziale, ma poiché il sistema giuridico italiano è di civil law e non di common law, per quanto il precedente giurisprudenziale possa essere influente, non può elevarsi a fonte normativa, proprio in ossequio del principio testé citato, che risulta violato nel caso di specie.

Da qui, la seconda criticità, giacché non si comprende la ragione per cui il legislatore – peraltro solitamente non restio alla produzione normativa – si trattenga dal creare una norma tipica ad hoc. Infine, pur volendo ammettere la configurabilità del reato, ormai accertata secondo la giurisprudenza maggioritaria, si ritiene illogica la conclusione della sentenza Pittelli (ultima in ordine cronologico) in merito all’elemento psicologico.

Il dolo - secondo lo scrivente - deve forzatamente essere specifico e non generico, poiché è strettamente necessaria la consapevolezza di procurare al consorzio criminale un apporto concreto, specifico, consapevole e volontario, seppur transitoriamente, ma che sia importante per il mantenimento o il rafforzamento dell’organizzazione mafiosa.

La conclusione della sentenza n. 25619/2020 (cd. Pittelli) è priva di ogni logica giuridica.

Non meno criticabile, infine, è il postulato della sentenza Pittelli in merito al componente della fibrillazione dell’associazione mafiosa, considerato da quest’ultima – come si è detto – un elemento specializzante e non fondante, come contrariamente ritenuto dalle decisioni che l’hanno preceduta. Invero, siffatta conclusione desta perplessità, giacché mentre per la sentenza Mannino, le uniche fibrillazioni rilevanti sono quelle pericolose per i rapporti associativi, essenziali per il corretto funzionamento dell’organizzazione criminale, in relazione alla capacita di raggiungere il fine prefissato, per la Pittelli, il concetto di fibrillazione – peraltro non fondamentale per la consumazione del reato stesso –  è esteso all’inverosimile, talché, nel caso concreto, si afferma l’importanza del contributo dell’imputato sull’assunto che avrebbe reso possibile

“agli esponenti della consorteria di operare in condizioni di maggiore sicurezza e avvedutezza”.

Tale interpretazione così ampia, scevra dalla nozione di crisi della consorteria per come imposto dalla giurisprudenza precedente, lascerebbe spazio a future ermeneusi in cui il concetto di fibrillazione diverrebbe totalmente irrilevante al fine della contestazione del reato in esame.

2. La disciplina dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 c.p.

Il secondo istituto giuridico oggetto di analisi è rappresentato dall’aggravante ad effetto speciale, disciplinata dall’art. 416-bis.1 c.p., per i reati connessi alle attività mafiose.

La norma prevede che l’aggravante possa concretizzarsi sotto due profili, la prima ipotesi è quella dell’utilizzo del metodo mafioso, in richiamo dell’art. 416-bis c.p.. La seconda ipotesi si realizza quando il reato è commesso con il fine di agevolare l’organizzazione mafiosa.

Con riguardo alla prima ipotesi, è ormai pacifico in giurisprudenza che per la configurazione dell’aggravante de qua è irrilevante l’effettiva sussistenza di un’associazione mafiosa organicamente costituita[24] o la concreta partecipazione ad essa del soggetto attivo, in quanto si ritiene sufficiente per la contestazione in parola che gli agenti, nella commissione del reato, si avvalgano della forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso[25].

L’applicazione di tale normativa è estremamente rilevante al fine sanzionatorio, poiché l’eventuale riconoscimento dell’aggravante fa conseguire un aumento di pena per i reati connessi che va da un terzo alla metà

In realtà, però, la ragione della norma non è solo quella dell’aumento sanzionatorio, ma, come ritenuto dalla Corte di Cassazione, il fine principale è quello di opporsi con maggiore fermezza alla condotta di quei soggetti che, indipendentemente dalla loro partecipazione ad un eventuale organizzazione di cui all’art. 416-bis c.p., si atteggiano da mafiosi, o, quantomeno, si servono dell’assoggettamento della vittima conseguente all’atteggiamento intimidatorio tipico della condotta di cui al citato art. 416-bis[26].

Molto più complessa è l’analisi relativa alla seconda ipotesi, ovvero la contestazione dell’aggravante in quanto la condotta del reato è posta al fine di agevolare la consorteria criminale. Sicché, da tale fattispecie ne è susseguita un importante problematica in merito alla natura giuridica della norma, di seguito argomentata.

2.1. La natura giuridica dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p.

La natura giuridica dell’aggravante in esame è da sempre oggetto di incertezze. Tali perplessità, giocoforza, si riverberano nella valutazione dell’elemento psicologico, nonché sulla possibilità di estendere siffatta aggravante ai correi.

In realtà, sulla quaestio, è doverosa una distinzione. Con ossequio all’utilizzo del metodo mafioso, non sussistono particolari perplessità in merito alla natura giuridica, talché, la giurisprudenza maggioritaria ha affermato, in diverse decisioni, che sia di tipo oggettivo.

Non altrettanto placidamente può dirsi in merito alla natura giuridica dell’aggravante sotto il profilo del fine agevolativo, infatti, per anni si sono susseguiti diversi contrasti giurisprudenziali.

Secondo una prima visione, l’aggravante avrebbe natura soggettiva, poiché sarebbe integrata da un atteggiamento psicologico definito in termini di dolo specifico[27]. Sicché, diverrebbe essenziale che l’agente, oltre a voler consumare il reato-fine, agisca con lo scopo specifico, e non necessariamente esclusivo, di favorire l’organizzazione mafiosa.

In tal caso, l’aggravante atterrebbe ai motivi delittuosi o all’intensità del dolo, divenendo riconducibile nell’alveo di quelle disciplinate dall’art. 118 c.p., valutabili esclusivamente alla persona a cui si riferiscono e non estendibili ai concorrenti del delitto[28].  

L’orientamento opposto afferma che l’aggravante è costituita da un elemento oggettivo della condotta, ovvero il mero fine agevolativo dell’associazione mafiosa, con conseguente ascrivibilità alla categoria delle aggravanti oggettive ex art. 70 del codice penale[29], in quanto attinenti alle modalità dell’azione, con conseguenziale estendibilità ai concorrenti [30].

In tale species, dunque, sussiste il dolo specifico in capo ad almeno uno dei correi, ma l’aggravante si estende anche verso ai corresponsabili non consapevoli, ritenendosi bastevole l’ignoranza incolpevole.

Altresì, è emerso un terzo filone ideologico, che si pone in via intermedia fra i due testé analizzati, e che ritiene che l’aggravante de qua assume natura oggettiva o soggettiva in base alla fattispecie concreta che la investe[31]. Ordunque, se l’aggravante rivela una peculiare tendenza a delinquere del singolo avrà natura soggettiva, non estendibile ai concorrenti, al contrario, se si impone come forma di agevolazione della consumazione del reato, avrà natura oggettiva, certamente estensibile ai correi[32].

Siffatta quaestio ha generato non pochi problemi, finché non è stata affrontata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8545 del 2020. Il Supremo consesso ha ritenuto che l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p. abbia natura soggettiva, poiché attinente ai motivi a delinquere[33]. Ma benché necessario il dolo specifico, la Corte non esclude l’estensione ai correi, ritenendo fondamentale una valutazione della fattispecie concreta.

Segnatamente, gli Ermellini ritengono sia possibile estendere l’applicazione dell’aggravante de qua verso i concorrenti che, pur non mossi dal dolo specifico di avvantaggiare il consorzio criminale, siano comunque consci dello scopo agevolativo dell’agente principale[34].

2.2. Alcune criticità

La succitata sentenza delle Sezioni Unite, seppur da un lato attenua la problematica che attanaglia l’aggravante in oggetto, dall’altro, lascia talune perplessità.

Se nella prima parte, stabilendo la natura soggettiva dell’aggravante, la Cassazione attua un ragionamento ineccepibile, diversamente deve ritenersi quando afferma l’estendibilità ai concorrenti se ricorrono talune specifiche circostanze, lasciando uno spiraglio a future libere interpretazioni di senso avverso.

La mera conoscenza della finalità agevolativa dell’agente principale, senza che il correo l’abbia approvata, ma che, al contrario, agisce per il solo beneficio personale, non pare idonea alla contestazione dell’aggravante per estensione.

Salvo che la “consapevolezza” emerga in concreto tanto da manifestare la condivisione da parte del correo dei motivi a delinquere dell’agente principale. Invero, però, stabilire tale differenziazione sarebbe una probatio diabolica.

Inoltre, il principio della Corte di Cassazione non tiene conto della conoscenza casuale delle finalità dell’agente da parte del concorrente.

Segnatamente, stando a quanto si desume dalla giurisprudenza della sentenza n. 8545/2020, se un correo mosso da un differente fine personale scopre accidentalmente che l’altro agente si è prefisso fini agevolativi di una consorteria mafiosa, sarebbe assoggettato, per la mera consapevolezza postuma e fortuita, all’applicazione dell’aggravante de qua.

A parere di chi scrive, tale mera conoscenza non può essere idonea a far imputare l’aggravante per estensione, salvo che non si possa dimostrare che tale elemento sia stato per il concorrente una ragione aggiuntiva che lo ha spinto a consumare il delitto.

3. Rapporto tra i due istituti in esame alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione in Sez. U. n. 8545/2020

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in Sezioni unite n. 8545/2020, non si è limitata a dissertare sulla natura giuridica dell’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 416-bis1 c.p., cosi per come testé argomentato, ma si è soffermata sulla comparazione tra l’aggravante de quo ed il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Invero, tale distinzione è particolarmente delicata.

Gli Ermellini ritengono che il principale punto in comune fra i due istituti è la sussistenza di un’associazione mafiosa [35].

La differenza però sta nella condotta dell’agente. Nel delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, il concorrente esterno detiene un rapporto concreto e strutturale con la consorteria, e ne ha una conoscenza complessiva della natura e della funzione.

Inoltre, l’extraneus arreca un contributo, seppur occasionale, insostituibile e fondamentale per la sopravvivenza del gruppo, specie nei momenti di difficoltà dell’organizzazione mafiosa[36].

Al contrario, la condotta relativa all’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 416-bis.1 c.p., è caratterizzata da un quid minus [37], giacché concretizza un intervento estemporaneo e tranquillamente sostituibile rispetto alla realtà associativa, la cui vantaggiosità per l’organizzazione criminale può essere conosciuta anche esclusivamente da uno solo dei correi[38].

Una seconda differenza fra i due istituti è data dal fatto che, nel caso del concorso esterno, per ritenersi consumato il reato è necessario che si realizzi, a seguito dell’intervento dell’extraneus, il risultato positivo per l’associazione mafiosa[39].

Si ribadisce che il concorrente esterno agisce in un momento di complicazione per il consorzio malavitoso, sicché l’aiuto diviene necessario per il buon andamento dell’organizzazione criminale stessa, la quale, in momenti di prosperità, teoricamente, non avrebbe bisogno della collaborazione dell’extraneus.

Siffatto elemento, all’opposto, è del tutto irrilevante nell’aggravante de qua, poiché in tal caso –  come si è detto – la condotta dell’agente è “estemporanea e fungibile” riguardo l’attività criminale, e dunque non deve forzatamente generare una reale agevolazione[40].

Un’ultima differenza si ravvisa nel rapporto tra i due istituti in analisi ed il reato di cui all’art. 416-bis del codice penale [41]. Infatti, mentre l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p. può “concorrere” con il reato di associazione mafiosa, giacché il singolo associato può tranquillamente concretizzare condotte (reati-fine) aggravate dallo scopo agevolativo o dal metodo mafioso, all’opposto, vi è totale incompatibilità fra il delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso e quello di cui all’art. 416-bis c.p.[42], poiché sarebbe palesemente contraddittorio un eventuale concorso esterno da parte di un soggetto già intraneo all’associazione mafiosa.


Note e riferimenti bibliografici

[1] T. Passarelli, “Il concorso esterno: origine ed evoluzione giurisprudenziale”, in Riv. Cammino Diritto, ISSN 2532-9871, Fasc. 11/2020;

[2] V. Manzini, “Trattato di diritto penale italiano”, UTET, Torino, 1983, vol. VI, 208 ss;

[3] T. Passarelli, “Il concorso esterno…”, op. cit.;

[4] T. Passarelli, “Il concorso esterno…”, op. cit.;

[5] Cass. Pen. Sez. Un., n. 22327 del 21/05/2003;

[6] F. Ramacci, “Codice Penale e leggi complementari”, Giuffrè Francis Lefebvre S.p.a., Milano 2022, 115;

[7] F. Turrone, “Il delitto di associazione mafiosa”, Giuffrè, Milano, 2015, 443 ss.;

[8] Cass. Pen. Sez. Un., n. 16/1994;

[9] Cass. Pen. Sez. Un., n. 16/1994;

[10] F. Turrone, “Il delitto di associazione…”, op. cit., 438-439;

[11] Cass. Pen. Sez. Un., n. 16/1994;

[12] Cass. Pen. Sez. VI, n. 3383/2001 (cd. Villecco);

[13] E. Dinacci, “Concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso”, in enciclopedia Treccani – Diritto Online, www.treccani.it, 2014;

[14] Cass. Pen. Sez. VI, n. 3383/2001;

[15] E. Dinacci, “Concorso esterno nel reato…”, op. cit.;

[16] Cass. Pen. Sez. Un., n. 22327/2003;

[17] Cass. Pen. Sez. Un., n. 22327/2003;

[18] Cass. Pen. Sez. Un., n. 22327/2003;

[19] Cass. Pen. Sez. Un., n. 22327/2003;

[20] T. Passarelli, “Il concorso esterno…”, op. cit., 10;

[21] G. Turrone, “Il delitto di associazione…”, op. cit., 462-463;

[22] V. Maiello, “Il cantiere sempre aperto del concorso esterno”, in rivista Sistema Penale, www.sistemapenale.it, 22/02/2021;

[23] Cass. Pen. Sez. VI, n. 25619/2020;

[24] ex plurimis Cass. Pen. Sez. I, n. 6035/2022;

[25] Cass. Pen. Sez. I, n. 6035/2022;

[26] Cass. Pen. Sez. VI, n. 49090/1998;

[27] ex plurimis Cass. Pen. Sez. VI, n. 24883/2019, Crocitti;

[28] ex plurimis Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020; Cass. Pen. Sez. Un., 10/2001; Cass. Pen. Sez. Un., n. 337/2008;

[29] ex plurimis Cass. Pen. Sez. II, n. 24046/2017; Cass. Pen. Sez. II, n. 52025/2016;

[30] Stasi S.; “La natura dell’aggravante agevolatrice di cui all’art. 416 bis.1 c.p. e il rapporto con il concorso esterno in associazione mafiosa”, in www.diritto.it, 04/05/2020;

[31] ex plurimis Cass. Pen. Sez. II, n. 22153/2019; Cass. Pen. Sez. II, n. 53646/2017;

[32] ex plurimis Cass. Pen. Sez. II, n. 22153/2019; Cass. Pen. Sez. II, n. 53646/2017;

[33] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[34] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[35] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[36] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[37] S. Stasi, “La natura dell’aggravante…” op. cit.;

[38] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[39] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[40] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[41] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;

[42] Cass. Pen. Sez. Un., n. 8545/2020;