Pubbl. Mar, 20 Set 2022
Autotutela sinallagmatica
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Cesare Valentino
Con il presente elaborato sono analizzati i diversi rimedi in autotutela previsti per reagire all´inadempimento contrattuale nei contratti sinallagmatici
Synallagmatic self-protection
This paper analyzes the various self-protection remedies envisaged to react to breach of contract in synallagmatic contractsSommario: 1. Inquadramento generale dell’autotutela sinallagmatica; 2. I diversi rimedi per la risoluzione stragiudiziale per inadempimento; 3. Risoluzione su diffida; 4. Clausola risolutiva espressa; 5. La risoluzione per decorso del termine di adempimento essenziale; 6. Recesso con ritenzione della caparra; 7. Eccezione di inadempimento; 8. Eccezione di insolvenza; 9. Clausola solve et repete.
1. Inquadramento generale
In generale con l’espressione autotutela sinallagmatica si intende il complesso di rimedi stragiudiziali apprestati dall’ordinamento per ovviare all’inadempimento[1] di prestazioni afferenti contratti sinallagmatici[2]. Sul versante sistematico occorre rilevare il carattere eccezionale[3] dei rimedi de quibus, atteso il generale divieto di autotutela[4] nell’ordinamento, la cui violazione integra gli estremi del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni[5].
In ordine alla ratio, occorre rilevare che i rimedi in analisi si fondano sulla necessità di ovviare ad un’alterazione sopravvenuta del sinallagma, che potrebbe pregiudicare l’attuazione del programma contrattuale convenuto dalle parti. Dal punto di vista tipologico, tali rimedi possono assumere carattere conservativo o caducatorio, a seconda che consentano o meno la conservazione del rapporto contrattuale.
Nel novero dei rimedi stragiudiziali conservativi rientrano l’azione di adempimento e le eccezioni di cui agli art. 1460, 1461[6], 1462 c.c. Assumono invece carattere caducatorio, in quanto comportanti lo scioglimento del rapporto contrattuale, le fattispecie di risoluzione di diritto per inadempimento previste e disciplinate agli art. 1454, 1456, 1457 e 1385 c. 2.
2. I diversi rimedi per la risoluzione stragiudiziale per inadempimento
Tra i rimedi sinallagmatici che la legge concede alla parte non inadempiente per reagire all’inadempimento della controparte figura la risoluzione[7].
La medesima può essere giudiziale[8], se lo scioglimento del vincolo contrattuale deriva da una sentenza costitutiva del giudice, o stragiudiziale[9], qualora l’effetto risolutorio prescinda da un pronunciamento giudiziale.
Tra le ipotesi tipiche di risoluzione stragiudiziale per inadempimento figurano: I) la diffida a adempiere; II) la clausola risolutiva espressa; III) il termine di adempimento essenziale; IV) il recesso in autotutela ex art. 1385 c. 2 c.c.
3. Risoluzione su diffida
La risoluzione su diffida[10], disciplinata all’art. 1454 c.c., risulta strutturata su due elementi, ossia una intimazione scritta[11] di adempimento entro un congruo termine[12] accompagnata dalla dichiarazione[13] che scaduto il termine assegnato per l’adempimento senza che vi sia stata l’esecuzione della prestazione dovuta il contratto sarà automaticamente risolto.
La risoluzione del rapporto contrattuale si realizza se alla scadenza del termine di adempimento assegnato la parte inadempiente non esegue la prestazione dovuta. L’inadempimento legittimante lo scioglimento stragiudiziale del rapporto contrattuale deve essere non solo imputabile ma anche “grave”, in ossequio ai principi generali che governano la disciplina della risoluzione per inadempimento[14].
Presupposto di operatività della diffida è l’esatto adempimento da parte del diffidante. Diversamente l’inadempimento del diffidato resta giustificato in forza dell’art. 1460 c.c.
In ordine all’effetto risolutorio, vi è da rilevare che lo stesso si ricollega alla mera scadenza del termine assegnato. Discussa è la disponibilità di tale effetto. Secondo la giurisprudenza[15], il diffidante una volta spirato il termine può rinunziare agli effetti della diffida a adempiere rimasta senza riscontro o può concedere un nuovo termine al fine di consentire l’adempimento[16]. Una diversa corrente interpretativa[17] invece fornisce al quesito una soluzione più articolata. In linea di massima andrebbe esclusa una rinunzia agli effetti risolutori della diffida già verificatisi, in quanto il diffidato che non ha adempiuto nel termine assegnatogli, facendo affidamento sulla risoluzione del contratto, potrebbe non esser pronto per un adempimento tardivo. Viceversa, non vi è alcuna lesione dell’affidamento del diffidato sull’avvenuta risoluzione del contratto allorquando il diffidante accetta un adempimento tardivo offertogli dal diffidato. Da siffatto comportamento delle parti infatti discenderebbe un tacito accordo di rinunzia agli effetti risolutori della diffida[18].
4. Clausola risolutiva espressa
La risoluzione in presenza di clausola risolutiva espressa[19] costituisce un’altra forma di risoluzione stragiudiziale per inadempimento[20].
Con tale clausola le parti stabiliscono specificamente[21] l'obbligazione o le obbligazioni il cui inadempimento determina la risoluzione del contratto. La necessità della previsione specifica dianzi indicata si giustifica in forza della conseguenza grave che si ricollega all'inadempimento delle obbligazioni indicate, ossia lo scioglimento del vincolo contrattuale. Ne consegue che sarà inefficace una clausola risolutiva che preveda genericamente[22] che dall’inadempimento di obbligazioni contrattuali non meglio specificate derivi la risoluzione del rapporto contrattuale.
La peculiarità della risoluzione stragiudiziale nell’ipotesi di clausola risolutiva espressa si riconnette alla non automaticità dell’effetto risolutorio[23]. Affinché si produca quest’ultimo è infatti necessario che all’inadempimento imputabile del debitore si accompagni la dichiarazione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva[24]. Tale dichiarazione costituisce un negozio unilaterale e recettizio[25]. Ne consegue che l’effetto risolutorio si produce nel momento in cui la medesima perviene a conoscenza del destinatario, in applicazione del principio generale di cui all’art. 1334 c.c. Dunque, a differenza della risoluzione su diffida ove l’effetto risolutorio è automatico, nella clausola risolutiva manca tale automatismo, derivando il prefato effetto da una fattispecie modulata su un inadempimento imputabile e su una dichiarazione negoziale di volersi avvalere della clausola[26]. Ulteriore profilo differenziale tra le due forme di risoluzione stragiudiziale radica nel profilo della gravità dell’inadempimento cristallizzato in via generale all’art. 1455 c.c. Infatti, nella risoluzione su diffida l’effetto risolutorio automatico presuppone la gravità dell’inadempimento. Tale presupposto non è invece richiesto nel caso della clausola risolutiva in quanto con quest’ultima la valutazione di gravità è effettuata ex ante dalle parti tramite la previsione specifica delle obbligazioni il cui inadempimento determina risoluzione[27].
5. La risoluzione per decorso del termine di adempimento essenziale
La risoluzione per decorso del termine di adempimento essenziale[28] costituisce la terza forma di risoluzione stragiudiziale di diritto. Tratto qualificante della medesima è la connotazione in termini di essenzialità[29] del termine di adempimento, che consente di distinguerla dalla risoluzione su diffida, ove tale connotazione manca[30]. L’essenzialità può essere obiettiva, se deriva dalla natura del contratto, oppure soggettiva, se deriva dagli accordi delle parti[31]. La problematicità della fattispecie risolutiva in esame consiste nella esatta individuazione del momento in cui si verifica l’effetto risolutorio.
Al riguardo, dal combinato disposto dei c. 1 e 2 dell’art. 1457 c.c. si può inferire che: i) la parte nel cui interesse è previsto il termine di adempimento “essenziale” entro 3 giorni dalla scadenza dello stesso può dichiarare all’altra parte di avere interesse all’adempimento[32], in tal modo precludendo l’effetto risolutorio; ii) la parte nel cui interesse è previsto il termine di adempimento essenziale entro 3 giorni dalla scadenza dello stesso può non manifestare all’altra parte di avere interesse all’adempimento: in tale ipotesi si può ritenere, muovendo dalla lettera del c. 2 art. 1457 c.c., che l’effetto risolutorio si produce il terzo giorno successivo alla scadenza[33].
6. Recesso con ritenzione della caparra
Il recesso con ritenzione della caparra o “pretesa del doppio” è un rimedio “in autotutela”[34] avverso l’inadempimento di contratti sinallagmatici previsto all’art. 1385 c. 2 c.c., che consente alla parte non inadempiente non solo di sciogliere il vincolo contrattuale, ma anche di incamerare la caparra o pretendere il doppio dell’importo della stessa a seconda che sia la parte che ha dato o ricevuto la caparra.
In ordine alla natura, vi è da rilevare che tale forma di recesso è stato ricondotto tra le figure di risoluzione stragiudiziale per inadempimento. Logica conseguenza applicativa di tale inquadramento dogmatico è la subordinazione dell’ammissibilità del recesso in autotutela alla condizione che l’inadempimento al quale consente di porre rimedio sia imputabile alla controparte e grave[35].
Detta forma di recesso ha posto tuttavia problemi di coordinamento con la previsione di cui al comma 3 dell’art. 1385 che consente alla parte non inadempiente, in alternativa al recesso con ritenzione della caparra o pretesa del doppio, di agire in giudizio per l'adempimento o la risoluzione, potendo ottenere nell’uno e nell’altro caso anche un risarcimento del danno che verrà liquidato dal giudice in base alle regole generali. Non si tratterà dunque di un risarcimento liquidato ex ante ed in via convenzionale come nell'ipotesi di cui al c. 2.
Proprio la diversità strutturale e funzionale tra il recesso in autotutela di cui all'art. 1385 c. 2 e la risoluzione di cui all'art. 1385 c. 3 ha indotto la Suprema Corte[36] ad escludere la possibilità per la parte non inadempiente, una volta proposta domanda di risoluzione ai sensi del c. 3, di mutare la stessa in domanda di recesso con ritenzione della caparra o pretesa del doppio.
7. Eccezione di inadempimento
L’eccezione di inadempimento[37] è un rimedio conservativo che nei contratti a prestazioni corrispettive consente ad uno dei contraenti di poter rifiutare l’esecuzione della prestazione in caso di inadempimento dell’altro contraente. Presupposti applicativi[38] di tale rimedio sono: i) un inadempimento[39] intervenuto in ordine ad un contratto a prestazioni corrispettive[40]; ii) la non contrarietà a buona fede[41] del rifiuto di esecuzione della prestazione [42].
L’eccezione di inadempimento trova applicazione qualora chi si avvale dell’eccezione deve eseguire la prestazione contemporaneamente o successivamente all’altra parte[43]. Sotto tale profilo si distingue dall’eccezione di insolvenza, ove invece la sospensione dell’esecuzione presuppone che la parte che si avvale di tale rimedio debba eseguire la prestazione prima dell’altra.
Dal punto di vista degli effetti l’eccezione de qua non libera la parte eccipiente dalla sua obbligazione[44]. In ordine all'ambito applicativo, occorre rilevare che l’eccezione ex 1460, stante la natura sostanziale[45], in quanto incidente immediatamente sul rapporto contrattuale, può essere fatta valere anche al di fuori di un processo[46], sebbene la stessa il più delle volte viene opposta per paralizzare una domanda giudiziale di risoluzione o di adempimento[47].
8. Eccezione di insolvenza
L’eccezione di insolvenza[48] è un rimedio conservativo applicabile in relazione ai contratti sinallagmatici in forza del quale ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione dovuta se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente sono divenute tali da porre in pericolo il conseguimento della controprestazione[49]. Trattasi di un'eccezione avente natura sostanziale, in quanto fondata su un diritto potestativo riconosciuto al contraente[50].
L’operatività dell’eccezione di insolvenza richiede la sussistenza di due requisiti[51]: i) un mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente tale da mettere in pericolo il conseguimento della controprestazione; ii) la mancata prestazione di idonea garanzia[52].
Particolarmente controverso è il significato di mutamento delle condizioni patrimoniali, in ordine al quale la giurisprudenza[53] più che fornire un criterio generale ed astratto per orientare gli interpreti, ha individuato casi concreti di pericolo di non ricevere la controprestazione, come il timore di fallimento della controparte, il pericolo di rivendica da parte di terzi.
Per tale ragione parte della dottrina[54] ha proposto come criterio generale ed astratto quello che ravvisa un mutamento delle condizioni patrimoniali in presenza di un mutamento della consistenza quantitativa e qualitativa del patrimonio dell’altro contraente che senza arrivare a configurare l’insolvenza, metta in pericolo l’attuazione dei rimedi avverso l’inadempimento e la possibilità di rivalersi sul patrimonio[55].
Per quanto concerne i rapporti tra le eccezioni previste agli articoli 1460 e 1461 c.c., occorre rilevare anzitutto che quest’ultima a differenza della prima presuppone un pericolo di inadempimento e non già inadempimento o inesatto adempimento
In secondo luogo, a differenza dell'eccezione di cui all’art. 1460 la sospensione dell’esecuzione trova applicazione qualora la parte sia tenuta all’adempimento prima dell’altra e non può dunque giovarsi dell’eccezione di inadempimento (che comunque presuppone inadempimento o inesatto adempimento).
In ordine all’ambito applicativo occorre rilevare che l’eccezione di insolvenza, al pari dell'eccezione di inadempimento, può esser opposta anche al di fuori di un processo[56].
9. Clausola “solve et repete”
La clausola solve et repete[57] costituisce una clausola con cui si preclude ad una delle parti di opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare l’esecuzione della prestazione dovuta[58]. Il fondamento di tale clausola si ricollega al principio di corrispettività, che essendo stabilito nell’interesse delle parti, è rinunziabile dalle stesse. E tale rinunzia si concretizza tramite la clausola de qua che comporta una preclusione in ordine all’opponibilità di eccezioni[59].
Per quanto concerne la ratio della clausola solve et repete, vi è da rilevare che la stessa è finalizzata ad impedire che una delle parti si esima dalla propria prestazione o la ritardi opponendo eccezioni dipendenti dal comportamento della controparte[60], assicurando in tale prospettiva una tutela rafforzata del credito di una delle parti[61].
Controverso è l’ambito applicativo della clausola in analisi. Ed infatti ad una prima impostazione[62] che ricomprende nel raggio operativo della clausola de qua sia l’eccezione di inadempimento[63] che quella di sospensione di pagamento, si contrappone un’altra corrente ermeneutica[64] secondo cui la clausola solve et repete varrebbe a prevenire l’eccezione di inesatto adempimento ma non quella di totale in esecuzione della prestazione[65].
In ordine alla disciplina della clausola solve et repete, occorre rilevare innanzitutto che la stessa, attesa la natura vessatoria, necessita di specifica approvazione per iscritto. In secondo luogo, tale clausola non opera per le eccezioni di invalidità (nullità e annullabilità) e di rescissione[66], non essendo giustificata la prestazione in base ad un contratto invalido. Ne consegue che potrà essere sempre opposta la nullità o l’annullabilità del contratto per evitare l’esecuzione della prestazione.
[1] L’inadempimento consiste nella mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta e si concreta in un fatto lesivo dell'interesse del creditore all’ottenimento della medesima. Sull’inadempimento F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, p. 637 e ss.; C.M. BIANCA, La responsabilità, Milano, 2012, p. 1 e ss.; A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2021, p. 456 e ss.
[2] Sono sinallagmatici o corrispettivi quei contratti in cui le reciproche prestazioni contrattuali sono legate da un nesso detto sinallagma, che ne spiega la sorte comune. Sui contratti sinallagmatici si vd. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 534 e ss.; C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2019, p. 443 e ss.
[3] Sul carattere eccezionale dell’autotutela sinallagmatica si vd. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, (a cura di) F. Anelli e C. Granelli, Milano, 2021, p. 240.
[4] In generale con l’espressione autotutela si intende il diritto di farsi giustizia da sé, senza ricorrere all’autorità giudiziaria. Sul punto si vd. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op.cit., p. 240.
[5] Costituiscono altre eccezioni al divieto de quo i provvedimenti di secondo grado emessi dalla pa a fronte di provvedimenti illegittimi o inopportuni e la legittima difesa.
[6] Riconducono i rimedi de quibus al principio di autotutela F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, p. 1032; C.M. BIANCA, La responsabilità, Milano, 2012, p. 368 e ss.
[7] In generale il termine risoluzione indica lo scioglimento del vincolo contrattuale, che costituisce un effetto che accomuna figure diverse: mutuo dissenso (risoluzione convenzionale), recesso, condizione risolutiva, risoluzione. In una seconda accezione il termine suindicato indica uno specifico rimedio contrattuale “caducatorio” che consente di ovviare ad alterazioni sopravvenute del sinallagma funzionale di contratti a prestazioni corrispettive. Sulla risoluzione per inadempimento in generale si vd. L. GUAGLIONE, Il contratto, Torino, 2018, p. 441 e ss.; C.M. BIANCA, La responsabilità, Milano, 2012, p. 283 e ss.; U. CARNEVALI, voce Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., Il contratto, Milano, 2021, p. 1076 e ss.
[8] L’azione di risoluzione costituisce un rimedio caducatorio riconosciuto alla parte non inadempiente a fronte dell'inadempimento della controparte nei contratti sinallagmatici - corrispettivi. Trattasi di un rimedio attivabile in presenza di un “grave inadempimento”, così come statuito all’art. 1455 c.c. Ne consegue che l’inadempimento non grave può legittimare solo una richiesta risarcitoria. Controversi sono i rapporti tra azione di adempimento e azione di risoluzione. In particolare l’azione di adempimento costituisce un rimedio manutentivo, in quanto consente la conservazione del vincolo contrattuale, mentre l’azione di risoluzione (giudiziale) per inadempimento costituisce un rimedio caducatorio, atteso che in caso di accoglimento si realizza la caducazione retroattiva del vincolo contrattuale. In forza del c. 2 dell’art. 1453 c.c. una volta domandato l’adempimento è ammissibile la mutatio della domanda di adempimento in domanda di risoluzione. Nel caso in cui invece è domandata la risoluzione del contratto, è inammissibile una mutatio della domanda di risoluzione in domanda di adempimento, in quanto con tale domanda la parte ha manifestato il venir meno dell’interesse al mantenimento del vincolo contrattuale. In posizione complementare rispetto all’azione di adempimento o all’azione di risoluzione si colloca il rimedio risarcitorio, che assolve tuttavia ad una diversa funzione a seconda che acceda all’uno o all’altro rimedio. Infatti in caso di azione di adempimento il risarcimento del danno assolve alla funzione di riparare il danno da ottenimento tardivo della prestazione. Nel caso di azione di risoluzione invece il risarcimento del danno copre il danno derivante dal mancato ottenimento della prestazione. Sul risarcimento del danno da risoluzione si rinvia all'approfondita disamina di U. CARNEVALI, op. cit., p. 1080 e ss.
[9] Sulla risoluzione stragiudiziale per inadempimento si vd. L. GUAGLIONE, op. cit., p. 448 e ss.; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1086.
[10] M.C. DIENER, op. cit., p. 831; L. GUAGLIONE, op. cit., p. 449; C.M. BIANCA, op. cit., p. 331 e ss.; A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 693; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1086.
[11] Come rileva U. CARNEVALI, op. cit., p. 1086, per la diffida “non sono necessarie formule sacramentali, ma deve risultare in modo chiaro la volontà del contraente di ottenere l'adempimento. La diffida vale perciò anche come costituzione in mora”.
[12] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1087.
[13] Secondo U. CARNEVALI, op. cit., p. 1087, la diffida ad adempiere deve contenere la precisa ammonizione dell’automatica risoluzione del contratto. In mancanza tale diffida produce i soli effetti di una mera costituzione in mora.
[14] L. GUAGLIONE, op. cit., p. 449; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1087.
[15] Cass. sent. n. 23824/2010; Cass. sent. n. 23315/2007.
[16] Sul punto si vd. L. GUAGLIONE, op. cit., p. 449.
[17] U. CARNEVALI, op. cit, p. 1087 e ss.
[18] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1088.
[19] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 691; C.M. BIANCA, op. cit., p. 340 e ss.; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, p. 1029; M.C. DIENER, op. cit., p. 834; L. GUAGLIONE, op. cit., p. 449 e ss.; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1088.
[20] La cui ratio si ricollega all'esigenza di tutelare l'interesse del contraente all'adempimento di specifiche obbligazioni contrattuali. Sul punto si vd. U. CARNEVALI, op. cit., p. 1088.
[21] F. GAZZONI, op. cit., p. 1029.
[22] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1088.
[23] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1088.
[24] Secondo la giurisprudenza (Cass. sent. n. 5734/2011) il creditore può rinunziare alla facoltà di avvalersi della clausola. Sul punto si vd. F. GUAGLIONE, op. cit., p. 450.
[25] F. GAZZONI, op. cit., p. 1029.
[26] F. GAZZONI, op. cit., p. 1029.
[27] L. GUAGLIONE, op. cit., p. 450; F. GAZZONI, op. cit., p. 1029.
[28] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 693; M.C. DIENER, op. cit., p. 832; L. GUAGLIONE, op. cit., p. 450 e ss.; C.M. BIANCA, op. cit., p. 348 e ss; F. GAZZONI, op. cit., p. 1030; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1089.
[29] Come rileva U. CARNEVALI, op. cit., p. 1089, l’essenzialità sta a significare che il decorso infruttuoso del termine rende la prestazione del tutto inutile per il creditore.
[30] Ne deriva che nella fattispecie risolutiva tratteggiata all’art. 1454 c.c. il termine di adempimento è non essenziale.
[31] L. GUAGLIONE, op. cit., p. 450.
[32] L. GUAGLIONE, op. cit., p. 451.
[33] In tal senso sembra orientato anche U. CARNEVALI, op. cit., p. 1089 e ss.
[34] C.M. BIANCA, op. cit., p. 389; A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 240.
[35] C.M. BIANCA, op. cit., p. 394. Secondo l'A. se la caparra confirmatoria è abbinata ad una clausola risolutiva espressa, il recesso prescinde dalla non scarsa importanza dell'inadempimento.
[36] SS.UU. Cass. sent. n. 553/2009; C.M. BIANCA, op. cit., p. 394 e ss. Secondo l'A., la differente disciplina apprestata per i due rimedi implica che “la scelta di una delle due vie precluda il ricorso all'altra”.
[37] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 694; C.M. BIANCA, op. cit., p. 360 e ss.; F. GAZZONI, op. cit., p. 1032; V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2011, p. 919 e ss.; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1095.
[38] Come rileva C.M. BIANCA, op. cit., p. 375, tale eccezione non richiede il requisito della gravità dell’inadempimento.
[39] Secondo U. CARNEVALI, op. cit., p. 1095, “non è necessario che si tratti di un inadempimento totale, anche l'inadempimento inesatto (qualitativamente o quantitativamente) è inadempimento e perciò legittima l'eccezione”.
[40] Con conseguente inapplicabilità del rimedio de quo in ordine a contratti non corrispettivi. Sul punto si vd. C.M. BIANCA, op. cit., p. 361.
[41] Come rileva U. CARNEVALI, op. cit., p. 1096, il rifiuto della prestazione viene ritenuto contrario a buona fede se l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave o ha scarsa importanza tenuto conto dell’interesse dell’altra parte ai sensi dell'art. 1455 c.c.
[42] C.M. BIANCA, op. cit., p. 376 e ss.
[43] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1095.
[44] C.M. BIANCA, op. cit., p. 369.
[45] Come rileva U. CARNEVALI, op. cit., p. 1096.
[46] C.M. BIANCA, op. cit., p. 372.
[47] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1095.
[48] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 695; C.M. BIANCA, op. cit., p. 381; F. GAZZONI, op. cit., p. 1033; V. ROPPO, op. cit., p. 924 e ss.; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1097.
[49] Come rileva C.M. BIANCA, op. cit., p. 383, eccezione di insolvenza ed eccezione di inadempimento assolvono alla medesima funzione, in quanto le stesse garantiscono “eguaglianza delle posizioni delle parti nell'esecuzione del contratto”.
[50] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1097.
[51] Secondo C.M. BIANCA, op. cit., p. 383, anche l’esercizio del rimedio in parola deve esser rispettoso del principio di buona fede, sebbene la legge non ne faccia esplicita menzione.
[52] Come rileva U. CARNEVALI, op. cit., p. 1098, “può trattarsi indifferentemente di garanzia reale o personale, e può esser data anche da un terzo”.
[53] Come rileva U. CARNEVALI, op. cit., p. 1097.
[54] U. CARNEVALI, op. cit., p. 1097.
[55] Come rileva U. CARNEVALI, op. cit., p. 1097 e ss., si discute anche in ordine al momento in cui si è verificato il mutamento delle condizioni patrimoniali, sebbene la lettera dell'art. 1461 consente di ritenere, attraverso l'utilizzo dell’espressione “mutamento”, che la situazione di difficoltà economica è venuta ad esistenza dopo la conclusione del contratto.
[56] C.M. BIANCA, op. cit., p. 383.
[57] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 696; C.M. BIANCA, op. cit., p. 384 e ss.; V. ROPPO, op. cit., p. 926 e ss.; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1098.
[58] Come rileva C.M. BIANCA, op. cit., p. 384, attraverso tale clausola possono esser esclusi i suindicati rimedi dell’eccezione di inadempimento e di insolvenza.
[59] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 696.
[60] Sul punto C.M. BIANCA, op. cit., p. 386, nt. 7; Cass. sent. n. 3450/1962.
[61] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 696.
[62] C.M. BIANCA, op. cit., p. 386.
[63] Sui rapporti tra la clausola solve et repete ed eccezione di inadempimento si vd. U. CARNEVALI, op. cit., p. 1098.
[64] Cass. sent. n. 6406/1981.
[65] Dubbioso al riguardo C.M. BIANCA, op. cit., p. 386, secondo cui “la distinzione tra eccezione di totale inadempimento ed eccezione di inesatto adempimento appare di difficile giustificazione posto che il convenuto esercita comunque un rimedio contro l'inadempimento”.
[66] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 696.