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Pubbl. Gio, 28 Lug 2022

Le Sezioni Unite sullo scioglimento della comunione immobiliare attuato mediante attribuzione dell´intero al coniuge affidatario della prole

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Francesco Maria Gesuito
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Napoli Federico II



Lo scritto si propone di analizzare e commentare la recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ud. 12 aprile 2022, dep. 9 giugno 2022, n. 18641, in cui la Suprema Corte, risolvendo un annoso dibattito, tanto giurisprudenziale quanto dottrinale, ha affermato che, in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati, già adibito a casa familiare, l´attribuzione del cespite in proprietà esclusiva al coniuge assegnatario configura una causa automatica di estinzione del diritto di godimento di cui quest´ultimo è titolare. Pertanto, lo stesso, non potrà avere alcuna incidenza sulla determinazione del conguaglio dovuto all´altro coniuge comproprietario dell´immobile, cui va conferito un valore economico pieno.


ENG

The Joint Chambers on the dissolution of the co-ownership implemented by the attribution of the whole property to the spouse assignee of the offspring

The paper aims to analyze and comment on the very recent ruling of the United Sections of the Court of Cassation, ud. 12 April 2022, dep. 9 June 2022, n. 18641, in which the Supreme Court, resolving a long-standing debate, both jurisprudential and doctrinal, stated that, in the division of a property jointly owned by two legally separated spouses, already used as a family home, the attribution of the property exclusive to the assignee spouse configures an automatic cause of extinction of the right of enjoyment of which the latter is holder. Therefore, the same cannot have any impact on the determination of the balance due to the other spouse who is co-owner of the property, to whom a full economic value corresponding to the market value must be given.

Sommario: 1. Il fatto e l'iter processuale; 2. La casa familiare e l'assegnazione come diritto personale di godimento sui generis; 3. La comunione immobiliare e la sua divisione; 4. Il dibattito su cui si fonda la controversia; 4.1. Le ragioni a sostengo dell'incidenza del diritto di godimento sul conguaglio; 4.2. Le ragioni a sostegno della non incidenza del diritto di godimento sul conguaglio; 5. La decisione della Corte; 6. Conclusioni.

1. Il fatto e l'iter processuale

La vicenda muove i primi passi in data 28 ottobre 2008, quando l'attore conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la convenuta, dalla quale era legalmente separato, per sentire disporre lo scioglimento della comunione legale esistente su un determinato immobile. La convenuta, che era affidataria della prole, si opponeva in via principale allo scioglimento della comunione immobiliare ed in via subordinata chiedeva che si procedesse a divisione immobiliare, previo accertamento del valore dell'immobile.
 
Fondamentale per l'accertamento del valore dell'immobile era, in particolare, la richiesta della convenuta di tenere in considerazione l'assegnazione dell'immobile in suo favore a titolo di casa familiare, disposta nel precedente giudizio di separazione giudiziale, e quindi il deprezzamento dell’immobile. 

Il Tribunale, all'esito di consulenza tecnica, disponeva lo scioglimento della comunione legale ed attribuiva la proprietà esclusiva dell'immobile, per intero, alla convenuta, a fronte del conguaglio da parte di quest'ultima, in favore dell'ex coniuge, stimato in euro 522.500,00.

In data 20 luglio 2017, la convenuta in primo grado proponeva appello avverso la sentenza di prime cure, chiedendo che la stessa venisse riformata, eventualmente rinnovando la consulenza tecnica di primo grado, in relazione alla rideterminazione del conguaglio da versare all'appellato, attore in primo grado. Quest'ultimo si costituiva in secondo grado per sentire rigettare l'appello di controparte e contestualmente proponeva appello incidentale, per sentire accertato il valore del deprezzamento dell'immobile per effetto dell'assegnazione della casa coniugale all'appellante in misura inferiore a quanto ritenuto dal c.t.u.

La Corte di appello di Roma rigettava l'appello principale e dichiarava assorbito quello incidentale. Il giudice di secondo grado confermava l'attendibilità delle valutazioni compiute dal c.t.u. in primo grado per quanto riguarda la stima dell'immobile; in particolare, poi, la Corte d'appello condivideva la sentenza di primo grado con riferimento al punto della mancata considerazione, ai fini della determinazione del conguaglio, del diritto di assegnazione come casa familiare vantato dall'appellante principale sull’immobile, quale coniuge legalmente separato dal marito. 

In sostanza la Corte d'appello, d'accordo col giudice di primo grado, riteneva che l'assegnazione dell'immobile oggetto di divisione, come casa familiare, alla convenuta, non potesse sortire alcun effetto sulla determinazione del valore dello stesso.

Motivo di tale orientamento era, secondo i due giudici, che tale provvedimento potesse avere rilevanza sulla determinazione del valore dell'immobile solo in caso di vendita a terzi, i quali avrebbero potuto subire pregiudizio dallo stesso; non in questo caso però, in cui a diventare proprietario dell'immobile dividendo, era lo stesso coniuge assegnatario di quest'ultimo come casa familiare. 

In caso contrario, infatti, il coniuge non assegnatario avrebbe subito, ad avviso della Corte, un'indebita locupletazione a favore del coniuge assegnatario, il quale si sarebbe avvantaggiato del minor valore dell'immobile, derivante dalla destinazione dello stesso a casa familiare, potendo anche, in futuro, vendere l'immobile, beneficiando dell'intero valore venale di mercato. 

Avverso la richiamata sentenza di appello, la convenuta in primo grado, appellante in secondo, proponeva ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360, I comma, n. 3, del codice di procedura civile per violazione e/o falsa applicazione del 'combinato disposto' degli artt. 337-sexies, I comma, c.c., e 6, VI comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché degli artt. 116, 720 e 726 c.c., oltre che dell'art. 3 della Costituzione. 

In particolare, la contestazione dell'interessata muoveva dall'orientamento giurisprudenziale e dottrinario secondo cui l'assegnazione della casa familiare, già in regime di comunione tra i coniugi, al coniuge convivente con la prole, instaura un vincolo sull'immobile che comporta una riduzione in re ipsa del valore della proprietà, e del quale si deve necessariamente tenere conto in sede di determinazione del valore dell'immobile, sia che si tratti di vendita a terzi, sia che si tratti di attribuzione in piena proprietà all'uno o all'altro coniuge.

La seconda sezione civile, avendo ravvisato un contrasto giurisprudenziale sulla questione oggetto di controversia, peraltro anche tra decisioni passate della stessa Corte, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite. Quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 374, II comma, del codice di procedura civile, assegnava la causa alle Sezioni unite.

2. La casa familiare e l'assegnazione come diritto personale di godimento sui generis

Prima di analizzare nel profondo le ragioni del dibattito, le posizioni polarizzate intorno a due orientamenti e le conclusioni della Suprema Corte nella sentenza in oggetto, è utile quanto necessario soffermarsi sul concetto e sulla rilevanza giuridica della casa familiare. Quest'ultima è protagonista della questione, dal momento che si tratta della comunione di una proprietà immobiliare, ma a rendere ancora più complessa la fattispecie è che l'immobile in oggetto rappresenti la casa familiare del coniuge, legalmente separato, cui è affidata la prole. 

La questione della casa familiare costituisce un punto nevralgico delle relazioni familiari, soprattutto successive alla separazione legale dei coniugi; è ormai pacifica, infatti, l'esistenza e la rilevanza di fondamentali esigenze esistenziali ed economiche di tutti i membri della precedente comunità di vita, oltre che di interessi di terzi; il tutto confermato da una diffusa impostazione giurisprudenziale[1].

A tale, concorde, rilevanza della casa familiare non è però corrisposta, almeno non in tempi risalenti, un'adeguata ed organica disciplina normativa; tale esigenza risulta soddisfatta, anche se solo in parte, solo di recente, con la legge n. 54 del 2006 che ha interpolato l'articolo 337-bis del codice civile. 

La centralizzazione, in ambito sociale e giuridico, del concetto di casa familiare vede la propria origine da una pronuncia delle Sezioni Unite che, ricostruendo la disciplina riguardante il passaggio dalla fase fisiologica a quella patologica della comunità di vita familiare, hanno evidenziato l' «assegnazione della casa [...] nell'ambito del "regime primario" della famiglia»[2]. L'inclusione della casa familiare nel cd. regime primario della famiglia, avallata anche dalla Corte costituzionale, non è una questione meramente formale o di poca importanza, bensì rappresenta la conferma della diffusa tendenza a ricondurre le vicende relative alla casa familiare a quell'insieme di regole cui risulta affidata la reciproca integrazione economica, considerata necessaria ed imprescindibile in un'ottica di concreta valorizzazione del valore della solidarietà nella comunità di vita familiare. 

Il regime primario si caratterizza per la prevalente considerazione, per quanto riguarda i beni, della loro funzione rispetto alla relativa titolarità; proprio a conferma di questa visione, e dell'applicazione della stessa al concetto di casa familiare, la Corte costituzionale ha sottolineato che «l'abitazione non è identificata dal legislatore in una figura giuridica formale, quale potrebbe essere un diritto reale o personale di godimento, ma nella concreta res facti che prescinde da qualsiasi titolo giuridico sull'immobile», e ancora, definendo l'assegnazione della casa familiare come un provvedimento che «non crea tanto un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei coniugi, quanto conserva la destinazione dell'immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare».

Al di là dell'importanza di un approfondimento sulla casa familiare e dell'evoluzione storico-giuridica della sua concezione, ciò che maggiormente interessa per l'argomento della trattazione, quindi il commento della sentenza n. 18641/2022, è il provvedimento di assegnazione della casa familiare e la qualificazione giuridica del diritto vantato dal coniuge che la riceve. È senza dubbio da considerare l'evoluzione dinanzi riportata, e quindi la predetta fondamentale destinazione dell'immobile, più che la sua titolarità, a casa familiare; ciò che viene in rilievo, però, è anche la posizione del coniuge assegnatario ed il suo rapporto giuridico col bene destinato a casa familiare. 

L'approdo della giurisprudenza[3], in merito al diritto vantato dal coniuge assegnatario, è la qualificazione dello stesso come «diritto personale di godimenti sui generis», o ancora, «diritto personale di godimento, variamente segnato da tratti di atipicità». Analizzando, quindi, tale definizione, rileva subito il carattere personale del diritto di godimento, che in quanto tale deriva da un rapporto obbligatorio, nel caso specifico il provvedimento di assegnazione della casa familiare, e si differenzia per questo motivo dal diritto reale di godimento. 

Questione rilevante riguardo il diritto personale di godimento in oggetto è l'opponibilità ai terzi: in origine l'articolo 155-quater, IV comma, del codice civile, prevedeva l'assegnazione della casa nel giudizio di separazione personale, senza nulla dire riguardo la trascrizione; fu poi la Corte costituzionale, con la sentenza n. 454 del 1989, a sancire l'illegittimità costituzionale dell'articolo 155-quater nella parte in cui non prevedeva la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, al coniuge affidatario della prole, per l'opponibilità ai terzi.

In origine, quindi, la giurisprudenza traeva il fondamento della trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale nel richiamo alla disciplina della locazione, ai sensi dell'articolo 1599 del codice civile, essendo, quindi, opponibile al terzo acquirente per nove anni dalla data di assegnazione, in caso di mancata trascrizione, oppure anche oltre i nove anni in caso di trascrizione.

Ad integrare e modificare tale disciplina è, poi, intervenuto il d.lgs. 54 del 2006 che qualificava l'assegnazione della casa coniugale come la costituzione di un atipico diritto personale di godimento, in quanto tale trascrivibile ed opponibile ai terzi ai sensi dell'articolo 2643 e ss. del codice civile.

Alla luce di queste considerazioni, può dirsi superato il dibattito, vivente in dottrina e giurisprudenza, relativo al carattere assoluto, reale o personale del diritto sulla casa familiare, a seguito di provvedimento di assegnazione nel procedimento di separazione. Problematica risolta con la qualificazione del diritto come quello di una posizione riconducibile ad una detenzione qualificata motivata dall'assoluta priorità di garantire continuità e serenità alla prole nel proprio ambiente domestico, in ossequio ad una forte prospettiva paidocentrica.

3. La comunione immobiliare e la sua divisione

Analizzato il concetto giuridico-sociale di casa familiare ed il provvedimento di assegnazione della stessa, è ora utile, in premessa, trattare dell'altro istituto protagonista della vicenda: la divisione della comunione immobiliare. Innanzitutto, com'è noto, ai sensi dell'articolo 1100 del codice civile, la comunione è la situazione per la quale la proprietà o un altro diritto reale spetta a più persone; nel caso in cui il diritto comune a più persone sia quello di proprietà, può parlarsi di comproprietà. 

La comproprietà di un immobile può avere origine da diverse situazioni, il regime legale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, quando questi ultimi non decidano per diversi regimi patrimoniali dei beni, ne è esempio tipico. In forza della comunione legale tra i coniugi, ai sensi della disciplina codicistica, ogni acquisto concluso dal singolo coniuge, arricchisce anche il patrimonio dell’altro. Inoltre, caratteristiche fondamentali di tale regime sono l'inderogabile uguaglianza delle quote e il tipo di amministrazione, che può essere congiunta o disgiunta. Va sottolineato, poi, che per tutta la durata del matrimonio, il singolo coniuge non può né chiedere né disporre la divisione del bene comune; cosa che può invece fare in caso di separazione, proprio come nel caso in oggetto. 

È possibile quindi chiedere, al ricorrere di determinati presupposti, la divisione del bene. La divisione può essere "amichevole" o giudiziale; nel primo caso i comproprietari riescono ad addivenire facilmente se senza liti ad un accordo innanzitutto sula volontà di dividere, e poi relativamente alle rispettive quote; nel caso ciò non sia possibile allora il comproprietario può adire l'autorità giudiziaria per chiedere la divisione giudiziale. 

In generale è comunque da tenere in considerazione l'orientamento prevalente[4], secondo cui la comunione immobiliare non è facilmente divisibile quando il frazionamento del bene non è oggettivamente possibile oppure determinerebbe un notevole deprezzamento economico delle porzioni. Tutto quanto detto finora vale anche per la divisione in oggetto, in particolare quella dell'immobile in comproprietà fra i coniugi, fattispecie resa particolarmente complessa dal fatto che l'immobile oggetto di divisione è stato assegnato come casa familiare; anche se come vedremo, le due questioni vanno considerate in modo autonomo.

4. Il dibattito su cui si fonda la controversia

Come già descritto nel primo paragrafo, relativo al fatto e all'iter processuale, la controversia giunta sino alla Suprema Corte è una questione relativa al dovere o meno di considerare il diritto personale di godimento, di cui la convenuta risultava assegnataria, nel procedimento di separazione giudiziale, per la determinazione del conguaglio da corrispondere all'altro coniuge. Il fatto oggetto di controversia non è di banale rilevanza o risoluzione, ne è la prova l'esistenza, al di là della contrapposizione relativa a questo processo, di un dibattito polarizzato intorno a due opposti orientamenti.

Da un lato vi è chi sostiene, tra cui il Tribunale e la Corte di appello della controversia in oggetto, che il provvedimento di assegnazione della casa familiare viene, sì, ad incidere in sede di determinazione del valore dell'immobile, ma solo in caso di vendita a terzi; nel caso, invece, in cui l'immobile venga, in sede di divisione, assegnato per intero al coniuge affidatario della prole, l'esistenza del diritto personale di godimento sui generis, proprio in quanto del coniuge assegnatario stesso, non va ad incidere sulla determinazione del conguaglio da corrispondere alla controparte; questo perché, in questo caso, vi sarebbe un'inevitabile ed automatica estinzione per confusione del diritto di godimento, assorbito dal nascente diritto di proprietà per intero, cosicché alcun deprezzamento soffrirebbe il coniuge assegnatario della casa familiare, divenuto proprietario esclusivo dell'immobile.

Dall'altro lato, opposto orientamento sostiene che l'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, che non abbia la proprietà esclusiva dell'immobile, instauri un vincolo oggettivo che determina una decurtazione in re ipsa del valore della proprietà, tanto totalitaria quanto parziaria. Pertanto, sarebbe inevitabile nel giudizio di divisione tener conto della decurtazione di valore dell'immobile in sede di valutazione dello stesso; va da sé che secondo tale orientamento, il coniuge assegnatario della casa familiare, e di conseguenza dell'immobile in proprietà esclusiva in sede divisione, assume la stessa posizione del terzo acquirente.

4.1. Le ragioni a sostegno dell'incidenza del diritto di godimento sul conguaglio

A questo punto della trattazione, dunque, è necessario analizzare compiutamente il dibattito che vede contrapposti i due orientamenti appena esposti, per poter comprendere le ragioni dell'intervento delle Sezioni unite, tanto quelli giurisprudenziali quanto quelli dottrinali. In aderenza al primo orientamento, quello che sostiene la non considerazione del deprezzamento dell'immobile, in sede di determinazione del valore dello stesso, in caso di assegnazione, in sede di divisone, al coniuge, vi sono diverse pronunce della Suprema Corte. 

La Cassazione ha innanzitutto, nel 2001[5], escluso che si debba tener conto della diminuzione di valore dell'immobile in comproprietà, ai fini della valutazione dello stesso, in quanto la causa del deprezzamento non sarebbe un diritto reale di godimento, bensì un diritto personale di godimento attribuito in funzione del benessere dei figli. In quanto tale, quindi, destinato inevitabilmente a venire meno nel caso in cui il coniuge, assegnatario stesso della casa familiare, chieda la proprietà esclusiva dell'immobile, vista la giuridicamente inevitabile ed automatica consumazione del diritto di godimento, assorbito dalla proprietà.

Sempre in aderenza al primo orientamento, la Cassazione[6] ha precisato che nel caso, contrario all'orientamento, in cui si prendesse in considerazione il deprezzamento dell'immobile per la presenza del diritto personale di godimento, si avrebbe un'ingiusta penalizzazione del coniuge non assegnatario, il quale riceverebbe un conguaglio inferiore alla metà del valore dell'immobile; circostanza penalizzante soprattutto se si considera che ben potrebbe il coniuge assegnatario, in un eventuale futuro, vendere l'immobile al valore pieno, ricavandone l'intero prezzo, non diminuito chiaramente dell'estinguendo diritto personale sullo stesso.

Dello stesso tenore anche altre pronunce della Corte di cassazione, segnatamente la n. 17843 del 2016 e la n. 33069 del 2018, che sottolineano l'esclusività dell'interesse dei figli posto alla base dell'assegnazione dell'immobile e la conseguente locupletazione a favore del coniuge assegnatario in caso di successiva vendita, e l'automatica estinzione per confusione del diritto di godimento in caso di acquisto della proprietà esclusiva.

Non ha mancato, poi, anche parte della dottrina di prendere parte al dibattito dimostrandosi anch'essa nettamente divisa sulla conclusione da raggiungere nel merito della questione. L'indirizzo dottrinario maggioritario ha sostenuto che in caso in cui il bene non sia divisibile, o, comunque, nessuno dei due coniugi ne chieda l'attribuzione, allora se vi sarà l'acquisto da parte di un terzo, è necessario considerare il deprezzamento dell'immobile in sede di valutazione del suo valore per la vendita; in tal caso, infatti, il terzo sarebbe tenuto a rispettare il vincolo che preme sull'immobile a favore del coniuge assegnatario della prole ed è quindi inevitabile che il valore del bene venga rivalutato in funzione di ciò.

Nel caso, invece, in cui sia il coniuge assegnatario della prole a chiedere la proprietà esclusiva del bene, è altrettanto necessario non considerare alcun tipo di diminuzione del valore dell'immobile, in quanto la causa di tale deprezzamento, il diritto personale di godimento del coniuge stesso, sarebbe inevitabilmente assorbito da quello dominicale pieno che nasce a seguito di divisone con assegnazione.

4.2. Le ragioni a sostegno della non incidenza del diritto di godimento sul conguaglio

Non sono mancate, però, ed è stato questo in parte il motivo della necessità di una pronuncia delle Sezioni Unite, pronunce anche in direzione opposta della stessa Cassazione.

In aderenza, infatti, all'orientamento secondo cui sarebbe necessario considerare il deprezzamento dell'immobile, dovuto all'insistenza del diritto personale di godimento, nel valutare il conguaglio per il coniuge, si è pronunciata la Suprema Corte[7] nel 2004, in una pronuncia in cui afferma che il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge genera un vincolo idoneo a causare un deprezzamento del valore del diritto di proprietà dell'altro coniuge e che lo stesso incide anche, appunto, sulla valutazione del bene in sede di divisione ed assegnazione al coniuge cui è assegnata la prole. 

Sempre in questo senso anche altre due pronunce[8], le quali si soffermano sul deprezzamento che viene considerato in caso di vendita a terzi, dovuto al diritto di abitazione, esito del procedimento di separazione giudiziale, e che in quanto tale va considerato, in egual misura, anche nel caso di assegnazione in proprietà esclusiva ad uno dei coniugi. 

Va sottolineato che nessuna delle pronunce giurisprudenziali a favore di questo orientamento si è soffermata sulla considerazione dell'estinzione per confusione del diritto personale di godimento a fronte del diritto di proprietà esclusivo, problematica sicuramente da risolvere per sostenere tale punto di vista. Come affermato in precedenza, l'orientamento teorico prevalente si schiera in favore al precedente orientamento, ma non manca parte della dottrina che aderisce a quest'ultimo esposto.

Secondo un indirizzo dogmatico, infatti, il diritto personale di godimento del coniuge assegnatario della prole non si estinguerebbe a seguito dell'acquisto della proprietà esclusiva ma resterebbe efficace fintanto che l'unità immobiliare resti destinata alla tutela delle esigenze della prole stessa. 

Altro indirizzo dogmatico ancora, sempre ascrivibile a questo orientamento, basa la propria ragione sul testo dell'articolo 568, II comma, del codice di procedura civile, il quale, fissando i criteri di determinazione del valore del bene immobile, afferma la necessità di considerare a tal fine i vincoli ed oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, e sostenendo, quindi, che l'assegnazione incida sul valore economico del cespite.

5. La decisione della Corte

La Corte di cassazione, in data 9 giugno 2022, ha pronunciato sentenza di rigetto del ricorso presentato e, in motivazione, risolto il dibattito sin qui esposto. Le Sezioni Unite, intervenendo nel dibattito, si schierano con decisione a favore del primo orientamento esposto ossia quello che nega la considerazione del deprezzamento dell'immobile, in sede di divisione, in caso di acquisto della proprietà intera da parte del coniuge assegnatario della prole. 

Inequivocabile è la motivazione della Corte, la quale, infatti, dichiara: 

«Ad avviso di queste Sezioni unite deve essere condiviso l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui lo scioglimento della comunione immobiliare si attui mediante attribuzione dell'intero al coniuge affidatario della prole, il valore dell'immobile oggetto di divisione non può risentire del diritto di godimento già assegnato allo stesso a titolo di casa coniugale, poiché esso viene ad essere assorbito o a confondersi con la proprietà attribuitagli per intero, con la conseguenza che, ai fini della determinazione del conguaglio in favore dell'altro coniuge, bisognerà porre riferimento, in proporzione alla quota di cui era comproprietario, al valore venale dell'immobile attribuito in proprietà esclusiva all'altro coniuge, risultando, a tal fine, irrilevante la circostanza che nell'immobile stesso continuino a vivere i figli minori o non ancora autosufficienti rimasti affidati allo stesso coniuge divenutone proprietario esclusivo, in quanto il relativo aspetto continua a rientrare nell'ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole da regolamentare nella sede propria, cona la eventuale modificazione in proposito dell'assegno di mantenimento». 

Le motivazioni che la Corte adduce a sostegno della propria decisione ricalcano sostanzialmente l'orientamento precedentemente esposto. Innanzitutto, la Corte sottolinea la totale autonomia tra il provvedimento di assegnazione della casa coniugale al coniuge convivente con la prole e l'istituto della divisione dell'immobile, anche se specificamente destinato a casa familiare; una cosa è, infatti, il titolo fonte della comproprietà dei coniugi sull'immobile, altra è il provvedimento giudiziale che lo assegna ad uno dei due. 

Sancito quanto appena detto, rileva, poi che, ai sensi della disciplina codicistica, in caso di domanda di assegnazione della proprietà intera ad uno dei coniugi, in sede di divisione, il coniuge che ottiene il diritto domenicale sul bene deve ex lege corrispondere un conguaglio pari alla metà del valore dell'immobile in comproprietà. 

Venendo al punto relativo al conguaglio, quest'ultimo non deve, si ribadisce, subire il deprezzamento derivante dall'esistenza del diritto personale di godimento sull'immobile. Sul punto, la Corte chiarisce che il diritto del coniuge assegnatario della prole di abitare l'immobile è stato qualificato come un diritto personale di godimento cd. sui generis ed in quanto tale, nel momento in cui il coniuge affidatario della prole ed assegnatario del bene, diviene anche titolare del diritto domenicale sull'immobile, il primo va a confondersi nel secondo. 

È chiaro, infatti, che divenendo il coniuge, già assegnatario dell'immobile, proprietario, il diritto personale di godimento perde una base logico-giuridica e non può che estinguersi in ossequio anche al principio nemini res sua servit. Sottolineano, poi, le Sezioni Unite, che valutare l'immobile ad un prezzo inferiore rispetto al suo valore venale di mercato per il sol fatto dell'esistenza del diritto personale di godimento, costituirebbe un ingiusto danno nei confronti del coniuge non assegnatario dal momento che quest'ultimo riceverebbe meno della metà del valore del bene, contra legem, e contestualmente anche un ingiusto arricchimento per il coniuge assegnatario, il quale se decidesse di rivendere il bene potrebbe ricavarne l'intero valore venale di mercato.  

Non manca, poi, di soffermarsi su misure eventualmente complementari; proprio in considerazione del mancato deprezzamento, infatti, in caso di acquisto della proprietà per intero, il coniuge assegnatario della prole può, eventualmente, chiedere l'adeguamento del contributo di mantenimento dei figli all'altro coniuge, in quanto, anche venendo automaticamente meno la componente relativa all'assegnazione della casa familiare, resta l'obbligo per l'altro coniuge di garantire il diritto dei figli di usufruire di una casa adeguata e che soddisfi le loro esigenze di vita e sociali.

Dalle conclusioni della Corte risulta pacifico, quindi, che debba essere adoperata una diversa soluzione e disciplina a seconda che l'immobile in comproprietà venga trasferito ad un terzo o al coniuge non assegnatario dell'immobile come casa familiare, o che, al contrario, venga trasferito al coniuge già titolare del diritto personale di godimento sui generis su tale immobile. Nel primo caso, infatti, andrà preso in considerazione il peso del diritto personale sul bene e, di conseguenza, diminuito il valore dello stesso rispetto a quello venale di mercato; nel secondo caso, invece, l'immobile dovrà essere stimato in linea col semplice valore di mercato dello stesso, senza deprezzamenti.

6. Conclusioni

La questione che è stata oggetto di questa trattazione è sicuramente di importanza rilevante, tanto per il dibattito che sulla stessa si era formato, che necessitava di un indirizzo conformatore, tanto per le implicazioni e le conseguenze dell'uno o dell'altro orientamento seguito; le quali, come si è avuto modo di vedere, portano a soluzioni nettamente differenti.

I fatti oggetto di controversia, e del dibattito in generale, riguardano istituti diffusi e fondamentali nel nostro ordinamento giuridico, come la comproprietà e la divisione del relativo bene; ma ancor di più, rilevanti e fondamentali concetti sociali e giuridici, come quello di casa familiare, ed in generale la tendenza, assurta ormai a principio, di considerare i figli, nella fase fisiologica, e ancor più decisamente nella fase patologica, quali soggetti cui si indirizzano in primis l'interesse e la tutela dell'ordinamento.

Dal punto di vista pratico, poi, non si può negare l'importanza di questa decisione, che interviene in tutela del coniuge non assegnatario, il quale potrebbe ricevere un danno non indifferente, nel caso in cui venisse seguito l'orientamento non condiviso dalle Sezioni Unite.

Alla luce di questa trattazione e di quanto analizzato ed approfondito, è pacifica la non considerazione dell'incidenza del diritto personale di godimento sui generis, del coniuge assegnatario, ai fini della determinazione del conguaglio da versare al coniuge non assegnatario; così com'è chiaro il pregiudizio che subirebbe quest'ultimo in caso contrario.


Note e riferimenti bibliografici

[1] In particolare, come riferimento, Cass. Civ. 30 agosto 2014, n. 18066, in Foro.it.

[2] Si fa riferimento a Cass. Civ., SS. UU., 26 luglio 2002, n. 11096, in Foro.it.

[3] Si rimanda per la ricostruzione di tale definizione a Cass. Civ. SS. UU., 26 luglio 2002, n. 11096 e Cass. Civ. SS.UU., 21 luglio 2004, n. 13603.

[4] Cass. Civ., n. 14577, del 2012.

[5] Cass. Civ. Sez. II, n. 11630 del 2001.

[6] Cass. Civ., Sez. II, n. 27128, del 2014.

[7] Cass. Civ., Sez. II., n. 20319, del 2004.

[8] Cass. Civ., Sez. II, n. 9310, del 2009 e Cass. Civ., Sez. II, n. 8202 del 2016.

Bibliografia

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E. QUADRI, La casa familiare e la sua sorte a seguito della crisi della famiglia, in Famiglia e diritto, 5/2022.

E. QUADRI, L'attribuzione della casa familiare in sede di separazione e divorzio, in Famiglia e diritto, 269/1995.

M. SESTA, Manuale di diritto di famiglia, Roma-Bari, 2005.