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Pubbl. Mar, 14 Giu 2022

Casistiche del lavoro agile alla prova del diritto

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Ciro D´ambrosio
TecnicoNessuna



L’assegnazione alla prestazione smart, il riconoscimento dei buoni pasto durante la giornata agile, la possibilità di rimborsi integrativi per il lavoratore a distanza: sono i principali elementi strettamente correlati alla nuova prestazione lavorativa oggetto di disamina dottrinale. L’articolo pone al centro l’analisi di ciascun elemento tracciando le possibili prossime ipotesi regolatorie, traendo spunto dal complesso normativo, la giurisprudenza di riferimento, e i primi orientamenti sul tema.


ENG The assignment to the smart service, the recognition of meal vouchers during the smart day, the possibility of supplementary reimbursements for the remote worker: these are the main elements closely related to the new job performance subjected to doctrinal analysis. The article focuses on the examination of each element by tracing the possible next regulatory hypotheses, drawing inspiration from the regulatory complex, the relevant jurisprudence, and the first guidelines on the subject.

Sommario: 1. Premessa; 2. Principali casistiche: assegnazione smart, buoni pasto, e rimborsi al lavoratore; 3. Conclusioni.

1. Premessa

Il passaggio dall’eccezione all’ordinarietà del lavoro agile, in via di definizione a seguito del passato emergenziale, pone una serie di aspetti correlati al nuovo mondo del lavoro e rintracciabili in casi di specie.

Oggetto di interpretazione prioritaria sono, in particolare, i criteri di scelta dei dipendenti da ammettere al lavoro da remoto, il riconoscimento di benefici aggiuntivi del contratto di lavoro quali i ticket restaurant (o buoni pasto) e il rimborso dei costi a carico del lavoratore per lo svolgimento agile dell’attività lavorativa.

2. Principali casistiche: assegnazione smart, buoni pasto, e rimborsi al lavoratore

In via principale, è spinosità attuale quella relativa alla possibilità di vedersi riconosciuta la modalità agile nell’attività lavorativa, perlomeno in tutti quei lavori in cui sia effettivamente praticabile (ad es., i servizi). Al proposito, si deve considerare come si siano cristallizzati, in poco tempo, i lineamenti di un “diritto” di alcuni lavoratori al posto di altri, al punto da rendere necessarie e dirimenti opportune policy aziendali tali da stabilire le specifiche “relative ai criteri di accesso, ai destinatari potenziali e ai criteri di preferenza o priorità nella concessione della modalità di lavoro agile[1].

In mancanza di una policy in tal senso e/o di ulteriori specificazioni della normativa giuslavoristica "ordinaria", il “diritto al lavoro agile” si è conformato, in particolare durante il regime emergenziale, attraverso le decretazioni d’urgenza, con previsioni che, dapprima, hanno incluso i lavoratori dipendenti pubblici e privati disabili o immunodepressi o con un familiare in tali situazioni e comunque maggiormente esposti al rischio di contagio (fino al 31 dicembre 2020) [2] e, successivamente, quei dipendenti pubblici e privati fragili[3], genitori con figlio minore di 16 anni convivente[4] o con un figlio con disabilità grave[5] (fino al 30 giugno 2021). Il risultato è stato l'ingerenza di orientamenti giurisprudenziali, spesso a livello locale, rispetto alla formazione di un diritto in tale veste. Un caso pregnante è stato quello trattato dal Tribunale di Grosseto del 2020[6]: il Tribunale, in tale occasione, ha dichiarato l’illegittimità della decisione del datore di lavoro di rifiutare la richiesta di un dipendente alla modalità “agile”, adducendo motivazioni generali di carattere organizzativo e gestionale, poiché “accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore, tantomeno laddove vi siano titoli di priorità legati a motivi di salute”.

Sul punto, la tutela giudiziaria ha posto in risalto non soltanto gli elementi relativi alla priorità di accesso per i soggetti con particolari patologie riconosciute dai decreti emergenziali ma l’evidenza relativa alla compatibilità della mansione con la modalità a distanza riconosciuta ad altri dipendenti di pari mansione[7] (nel caso, la figura di addetto al servizio di assistenza legale e contenzioso ritenuto di backoffice) quale fumus boni iuris.

In sintesi, trova tutela il diritto al lavoro agile non solo in un ambito soggettivo secondo la condizione individuale del soggetto, ma anche in ambito oggettivo, con riferimento alla mansione effettivamente svolta secondo l’inquadramento lavorativo e, quindi, al di là di ogni esigenza aziendale non meglio specificata. Fermo restando la mansione “smartabile”, la salute del lavoratore può assumere tratti variabili ma ugualmente prioritari nel riconoscimento della prestazione agile così come emerso, sebbene indirettamente, in un caso giunto nel 2020 all'attenzione della Cassazione [8] in cui, a un dipendente vittima di mobbing[9] era stata negata la modalità a distanza. Seppure incidentalmente si è allora posta la questione di come, la modalità a distanza, possa fungere finanche da difesa piscologica del lavoratore e,come tale, possa essere riconducibile nell'alveo degli obblighi di sicurezza a carico del datore di lavoro[10].

Altra questione oggetto di conflittualità tra le lavoratore e datore è apparse essere quella relativa al “diritto” ad avere i buoni pasto anche in regime di lavoro agile. La presunzione di esigibilità anche nel caso di prestazioni lavorative da remoto ha trovato spunto in forza di quel trattamento economico e normativo garantito dalla norma al lavoratore agile[11].

Il ricorso massivo allo smart working durante la pandemia ha infatti registrato alterne vicende di riconoscimento presso i datori di lavoro, sia nel settore pubblico che privato, giungendo però ad una definizione univoca negativa. In merito, si osserva una decisa reiezione, secondo recente ma consolidata giurisprudenza, che ha visto, da ultimo, l’ordinanza della Corte di Cassazione del 2020[12] respingere il riconoscimento dei ticket per i lavoratori agili in via automatica. Giustificazione di una simile statuizione va rinvenuta nella natura stessa dell’elemento definito “agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, pertanto non rientranti nel trattamento retributivo in senso stretto”. Un’aspettativa non legittima in quanto afferente più che altro una prassi aziendale (in principio, come servizio di sostituzione della mensa aziendale) consolidata nell’ambito di un’organizzazione di lavoro in presenza e non già un elemento retributivo o contrattuale, avente l’unico fine di garantire il benessere fisico derivante dall’orario giornaliero contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio.

In altre parole, nella liberalizzazione dell’organizzazione oraria del lavoro da smart working, ora in capo al lavoratore, è venuto meno il beneficio del ticket poiché condizionato proprio dal regime temporale.  Oltretutto, essendo la moderna modalità di esecuzione connessa alle esigenze organizzative e gestionali nell’ambito di attività “smartabili”, ogni valutazione in tema di buono pasto assurge all’autonomia dello stesso datore di lavoro. Ciò che ne rimane è quindi la scelta unilaterale dell’organizzazione nella concessione di un beneficio salvo diverse ed eventuali trattative sindacali che nel frattempo potrebbero essere tese a sancire il ticket come un nuovo diritto contrattuale oggetto di conquista.

Infine, sempre tra i nuovi elementi oggetto di negoziazione e regolamentazione tra le parti, va annoverata la casistica relativa alle indennità integrative (rimborsi) volte a compensare i costi gravanti sul lavoratore a causa di una prestazione svolta esternamente e l'esigenza di renderli immediatamente monetizzabili. Favorevolmente al rimborso, si rinvengono una serie di interventi dell’Agenzia delle Entrate del 2021[13].

Pur senza evidenze statistiche rintracciabili, è possibile ritenere ragionevolmente che i lavoratori agili, soprattutto durante il periodo dell’emergenza Coronavirus, abbiano sopportato costi ulteriori e non irrilevanti per svolgere le proprie mansioni. Si tratta quindi di quei casi sempre più frequenti in cui i datori di lavoro siano intenzionati, in sede negoziale o regolamentativa, a prevedere appositi rimborsi da erogare ai lavoratori ma da non assoggettare alla base imponibile Irpef[14] onde evitare un aggravio in termini retributivi e rendere più “appetibile” il lavoro agile. L’unica modalità ammessa risulterebbe l’inquadramento dei cosiddetti “rimborsi generali rapportati al risparmio aziendale[15]” e cioè quei costi “aziendali” che una qualsiasi struttura produttiva vedrebbe sensibilmente ridotti con la collocazione esterna dei dipendenti: costi di struttura, postazioni fisse, riscaldamento e climatizzazione, connessioni e utenze energetiche, arredamento e strumenti con tutte le necessarie esigenze di servizio e manutenzioni. Solo in questi termini, si potrebbe sostanziare un incentivo sia per il datore di lavoro che per il lavoratore nell’attivazione della modalità a distanza.

La possibilità è accordata dall’agenzia fiscale nel rispetto del principio generale per cui solo le mere anticipazioni da parte del lavoratore di costi di interesse esclusivo del datore di lavoro sarebbero idonee a costituire oggetto di rimborso da non includere nella retribuzione del lavoratore soggetta a tassazione[16]. Riconoscere al lavoratore un rimborso esente da imposizione fiscale per singolo giorno di lavoro agile sarebbe quindi possibile solo determinando preventivamente l’importo dei costi aziendali per tipologia (ad es., il consumo di energia, i costi di esercizio, il riscaldamento, ecc.) solo quando emerga che l’importo calcolato per singolo lavoratore agile sia inferiore rispetto a quello riconosciuto allo stesso lavoratore in presenza. Diversamente, sarebbero inapplicabili modalità di “rimborsi forfettari[17]” poiché determinati in quote percentuali in quanto tali non oggettive, seppure da calcolarsi sui consumi effettivi sostenuti dal dipendente a distanza (ad es., fatture per la connessione Internet, utenze energetiche e di riscaldamento, ecc.).

Parimenti, non risulterebbe nemmeno possibile un’esenzione tramite “rimborso diretto dei costi di connessione[18]” in qualsiasi modo configurata (connessione tramite rete mobile o rete domestica) per il lavoratore a distanza, ciò in quanto il collegamento da remoto non sarebbe esclusivo dell’uso lavorativo. In sintesi, l’unica modalità realmente applicabile per “indennizzare” le spese sostenute dal lavoratore agile ricadrebbe soltanto nell’ipotesi di un effettivo risparmio per il datore di lavoro che però dovrebbe rendersi concreto solo nel momento in cui vi sia una effettiva riorganizzazione degli spazi in senso riduttivo che comporti la conseguente diminuzione dei costi (ad es. la dismissione di un ufficio o di uno locale di lavoro). Una situazione che però paleserebbe nel contempo non poche criticità in tutto l’impianto normativo del lavoro agile perché vorrebbe dire l’impossibilità di ripristinare, all’occorrenza, la sede fisica del lavoratore così come ammesso tramite recesso dalla modalità agile[19] e già descritto quale elemento essenziale dell’accordo tra le parti.

3. Conclusioni

In conclusione, quel che emerge e che concreta le sfide del mondo del lavoro nel prossimo futuro, è innanzitutto il tema dell’assegnazione alla prestazione agile, certamente appetibile in termini di rapporto vita-lavoro per il lavoratore. Il “diritto alla prestazione agile”, seppure ammissibile, necessita di due ambiti adeguati: uno soggettivo, cioè relativo ad una specifica condizione individuale del soggetto stesso da esprimere sia in forma di tutela sia di conciliazione, e un altro, oggettivo, cioè riferito alla mansione assegnata dal datore di lavoro, che quindi assume una caratteristica nuova la cui rappresentazione è demandata unicamente al datore di lavoro e alla contrattualistica di settore.

Con maggiori margini di discussione si pone, invece, il riconoscimento dei buoni pasto acclarata in via giurisprudenziale “la natura assistenziale” di questi, che quindi risultano oggi esclusi fra i “diritti contrattuali”. La questione. giunta proprio a queste conclusioni, trova un’unica "via di fuga" elevandosi ad elemento retributivo che però solo il sistema delle relazioni industriali può ammettere, cogliendo l’occasione data dai prossimi rinnovi contrattuali della parte normativa.  Infine, la possibilità di compensare economicamente i lavoratori da remoto gravati da ulteriori spese di consumo nel rendere le moderne prestazioni ha aperto un ultimo fronte di intervento. Una modalità teoricamente ammissibile, anche in ambito negoziale fra datore e lavoratore, ma da sottoporre alla stringente disciplina fiscale che attribuisce al rimborso economico solo ipotesi di anticipazione delle somme da parte del lavoratore, certamente difficoltose da determinare in relazione all’attività lavorativa rispetto ad un uso proprio.


Note e riferimenti bibliografici

[1] E. DAGNINO, M. MENEGOTTO, L. M. PELUSI, M. TIRABOSCHI, Guida Pratica al Lavoro Agile dopo la Legge n. 81/2017. Formule contrattuali - Schemi operativi - Mappatura della contrattazione collettiva, ADAPT University Press, ISBN 978-88-98652-78-5.

[2] Articolo 39 comma 1 e 2-bis del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”.

[3] Articolo 15 del Decreto Legge n. 41 del 22 marzo 2021 “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19”.

[4] Articolo 2 comma 1 del Decreto Legge n. 30 del 13 marzo 2021 “Misure urgenti per fronteggiare la diffusione del COVID-19 e interventi di sostegno per lavoratori con figli minori in didattica a distanza o in quarantena”.

[5] Articolo 21ter del Decreto Legge n. 104 del 14 agosto 2020 “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia”.

[6] Ordinanza n. 502 del Tribunale di Grosseto, Sezione Lavoro, del 23 aprile 2020.

[7] Il riferimento è all’articolo 2103 del Codice Civile inerente la prestazione di lavoro e alla mansione quale concreta attività, compito o operazione compiuta dal lavoratore in adempimento della prestazione dovuta al datore di lavoro.

[8] Sentenza della Cassazione Civile, Sez. Lav., n. 27913 del 4 dicembre 2020.

[9] Come chiarito dalla giurisprudenza, Cassazione Civile, Sezione Lavoro n. 17698 del 6 agosto 2014 “ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere molteplici elementi: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) il suindicato elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

[10] L’articolo 2087 del Codice Civile inerente la “Tutela delle condizioni di lavoro” prevede che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

[11] Articolo 20 comma 1 della Legge 22 maggio 2017 numero 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

[12] Ordinanza n. 16135 della Corte di Cassazione del 28 luglio 2020.

[13] Il riferimento è alle risposte dell’Agenzia delle Entrate ad interpello n. 314 del 30 aprile 2021, n. 328 dell’11 maggio 2021 e n. 371 del 24 maggio 2021.

[14] L’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) è l’imposta più rilevante del sistema tributario italiano derivante dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986 e successive modifiche e integrazioni quale “Testo Unico delle Imposte sui Redditi”.

[15] Il riferimento è alla risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 314 del 30 aprile 2021 inerente la possibilità di prevedere la sottoscrizione di un accordo sindacale di secondo livello o di regolamento aziendale avente ad oggetto il trattamento economico e normativo dei propri lavoratori integrandolo con un rimborso di 0,50 euro per ogni giorno di lavoro in smart working per ciascun lavoratore.

[16] Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 326 del 23 dicembre 1997.

[17] Il riferimento è alla risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 328 dell’11 maggio 2021 inerente la possibilità di prevedere, all’interno dell’accordo individuale di ciascun lavoratore agile, un rimborso pari al 30 per cento dei consumi effettivi addebitati al dipendente nelle fatture derivanti dal costo della connessione ad Internet e per i costi di energia elettrica, climatizzazione e riscaldamento.

[18] Il riferimento è alla risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 371 del 24 maggio 2021 inerente la possibilità di prevedere un rimborso a ciascun lavoratore agile per il costo della connessione internet al fine di consentire lo svolgimento della prestazione a distanza.

[19] Articolo 19 comma 1 della Legge 22 maggio 2017 numero 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.