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Pubbl. Mer, 4 Nov 2015

Stilisti che cambiano, consumatori che tremano 7JYWGVQGSNYAZOL

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Ivan Allegranti


Quale danno deriva al consumatore a fronte degli improvvisi e repentini passaggi di poltrone tra stilisti? E ancora, quali i rimedi azionabili?


E' da pochi giorni che è stato annunciato che Raf Simons, guida creativa di Dior, lascia la maison francese.

"È dopo attenta e lunga riflessione che ho deciso di lasciare la mia carica di direttore creativo delle collezioni donna di Christian Dior. E´ stata una decisione basata esclusivamente sul mio desiderio di concentrarmi su altri interessi nella mia vita, compreso il mio marchio e le passioni che mi guidano fuori del mio lavoro. Christian Dior è una società straordinaria, ed è stato un immenso privilegio di scrivere alcune pagine di questo magnifico libro. Voglio ringraziare il signor Bernard Arnault per la fiducia che ha riposto in me, dandomi l´incredibile opportunità di lavorare in questa bella maison circondato dalla più sorprendente squadra che avrei potuto mai sognare. Ho anche avuto la possibilità nel corso degli ultimi anni di beneficiare della guida di Sidney Toledano. Rimarrà come una delle esperienze più importanti della mia carriera professionale", ha dichiarato Simons in una nota ufficiale della griffe.

Ma questo, purtroppo, non è un caso isolato. Oramai, vi sono di continuo spostamenti fra marchi e stilisti, capeggiati e guidati dalle potenze economiche quali, soprattutto, LVMH (Louis Vuitton Moet Hennesy) e Kering che puntano e spremono le singole griffe di loro proprietà a rendere sempre di più e così gli stessi stilisti che, creativamente parlando, sono le menti dei successi o dei fallimenti del marchio a cui sono a capo. 

L´idea base, come ripetuto anche in precedenti articoli, è di fare in modo che i ricavi aumentino incessantemente, costi quel che costi. Lo stilista, oramai, soprattutto se a questi livelli, non conta più come individuo ma come "macchina da guerra", pronto a sfornare, sempre nel più breve tempo possibile, abiti nuovi e belli, ma soprattutto vendibili. 

Frida Giannini lascia Gucci, arriva Alessandro Michele; Peter Dundas lascia Emilio Pucci, arriva Massimo Giorgietti, Alexander Wang lascia Balenciaga, arriva Demna Gvasalia ed ora, infine, Raf Simons lascia Dior. Ma chi arriverà? E così, quasi ogni mese, arrivano questi colpi e cambiamenti radicali, ma il consumatore, come la prende?

A prescindere dal fatto che l´80% di coloro che comprano prodotti di "lusso", dalla cosmetica all'abbigliamento, conoscano bene questi giochi di poltrona, comunque la differenza e l´impatto che il consumatore ha sul marchio non è del tutto irrilevante. Basti pensare ad Alessandro Michele che, da Gucci, ha cambiato completamente il concept di tutti i negozi della maison di tutto il mondo, stravolgendo il look "oro e testa di moro" stile neoclassico-modernista di Frida Giannini in qualcosa di totalmente diverso. Ora, passeggiando per via Montenapoleone a Milano e guardando le vetrine Gucci si notano fiori, intarsi geometrici, sedute che mixano l´antico al contemporaneo. Ma il consumatore, come la vede questa cosa? 

Certo, per i più innocenti in materia, è una bellissima novità vedere che la moda cambia così radicalmente, ma, per coloro che sono più informati, non è cosa piacevole, perchè la continuità a livello stilistico è assente, soprattutto per il fatto che questi spostamenti avvengono così rapidamente da griffe a griffe. 

Ovviamente, a livello legale, non è possibile tutelarli in nessun modo perchè non si ha nessun tipo di violazione di nessuna norma del codice del consumo o di qualsiasi altra norma che tuteli il consumatore, poichè a livello mediadico comunque la notizia viene data. Ma il danno a livello morale per il consumatore vi può essere nel caso in cui lui, ingenuamente, compra un prodotto di un determinato marchio perchè pensa che sia stato creato da un determinato stilista quando, in realtà, a causa di un giro di poltrone improvviso, non sia più lui ad averlo creato? 

Sarebbe possibile in questo caso chiedere un risarcimento del danno? Probabilmente sì, in regola con l´art. 4 comma 2 del codice del consumo che disciplina la tutela del consumatore e le informazioni a lui date, qualora un addetto alle vendite di un determinato negozio, non solo monomarca ma anche plurimarca, non dichiari, prontamente che il determinato prodotto non è frutto dell´ingegno creativo di un designer ma bensì di un´altro.

Quindi, cari CEO di Holding potentissime, attenti a fare in modo che il vostro personale sia ben informato dei vostri ´giochi di poltrone´, altrimenti, il rischio di confondere il consumatore finale e quindi il cliente che vi permette di avere i mega fatturati, è altissimo.

 

[Immagine di copertina di vogue.com]