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Pubbl. Ven, 24 Giu 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Sequestro probatorio e limiti alla cognizione del giudice del riesame

Marco Grande
Dottore di ricercaUniversità degli Studi di Torino



Nell’inquadrare la disciplina del sequestro a fini di prova, esaminandone l’oggetto, i presupposti ed i profili di differenza con gli altri istituti contigui, si analizzerà la decisione Cass., Sez. III, 8.2.2022, n. 4363, con riguardo ai poteri di cognizione del giudice del riesame che ha la facoltà di confermare il provvedimento applicativo della misura anche per ragioni diverse da quelle ivi indicate ma trova un limite alla sua cognizione nella necessaria correlazione ai fatti posti a fondamento del provvedimento di sequestro probatorio, che non possono essere sostituiti o integrati da ipotesi accusatorie autonomamente formulate in base a dati di fatto diversi. Il solo pubblico ministero ha il potere di procedere, in qualsiasi momento, alle modificazioni fattuali della contestazione.


Sommario: 1. Considerazioni preliminari; 2. La disciplina del sequestro a fini di prova; 3. (Segue). L’oggetto e i presupposti del sequestro probatorio; 4. Sequestro probatorio e istituti affini; 5. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte suprema; 6. (Segue). I limiti alla cognizione del giudice del riesame; 7. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. Considerazioni preliminari; 2. La disciplina del sequestro a fini di prova; 3. (Segue). L’oggetto e i presupposti del sequestro probatorio; 4. Sequestro probatorio e istituti affini; 5. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte suprema; 6. (Segue). I limiti alla cognizione del giudice del riesame; 7. Considerazioni conclusive.

1. Considerazioni preliminari

Nell’occuparsi della disciplina del sequestro probatorio può subito rilevarsi come, ictu oculi, appaia piuttosto evidente la connessione logica con le altre forme di sequestro previste dal codice di rito. Operando un raffronto tra di esse, pare ben possibile notare, specie tra il sequestro probatorio e quello preventivo, come non sia agevole tracciare una precisa linea di demarcazione[1] che valga a distinguerli così nettamente.

Cionondimeno esiste una autonomia ontologica e quindi anche una peculiare ratio sottesa ad ognuna delle forme di sequestro previste nel sistema processuale penale.

Del resto, già durante i lavori preparatori dell’attuale codice di rito[2], in una logica di coerente continuità con l’orientamento formatosi durante la precedente redazione del progetto preliminare del 1978[3], venivano introdotte tre forme ben distinte di sequestro: quello probatorio, quello conservativo e quello preventivo, che dovevano rimarcare e rafforzare il distinguo finalistico che il provvedimento di apprensione può acquisire con riferimento al suo oggetto, al momento della sua emanazione o alla ragione sottostante al provvedimento stesso.

A livello etimologico, scorrendo le pagine del vocabolario della lingua latina, nel ricercare il sostantivo neutro sĕquestrum è possibile notare come il termine stesso descriva una apprensione fisica di una “cosa oggetto di contestazione”, da custodire[4].

In ogni caso, il sequestro probatorio (art. 253 ss. c.p.p.) trova il proprio fondamento nella necessità, dopo la realizzazione di un reato, che determinate res vengano assicurate al processo; rectius è il mezzo attraverso il quale il «corpo del reato» o le «cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti» vengono sottratti alla disponibilità del proprietario, del possessore o del detentore e vincolati al servizio esclusivo del processo, per i fini della prova[5]. Si tratta di un vincolo di indisponibilità delle cose di interesse processuale finalizzato a conservare immutate le caratteristiche delle stesse, al deliberato fine dell’accertamento dei fatti.

Volendo far cenno delle altre tipologie di adprehensio, può riferirsi che il sequestro preventivo (art. 321 ss. c.p.p.) ha la funzione di evitare che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso o agevolare la commissione di altri reati.

Il sequestro conservativo (art. 316 ss. c.p.p.) mira invece ad impedire che manchino o si disperdano le garanzie patrimoniali per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese e dei crediti dello Stato riguardanti il procedimento in essere.

Quanto ai mezzi di impugnazione, può rilevarsi, con specifico riferimento a tale ultimo sequestro, come l’art. 318 c.p.p. preveda espressamente la possibilità di impugnare l’ordinanza che lo dispone tramite riesame, anche nel merito, ai sensi dell’art. 324 c.p.p.[6]

La tematica dei mezzi di impugnazione – in una logica di comparazione tra i diversi strumenti processuali in parola – rende ancor più “sfumata” la linea di demarcazione tra le altre due tipologie di sequestro. Ed invero, per il sequestro probatorio e per quello preventivo il codice prevede un mezzo di impugnazione fondamentalmente univoco, azionabile da parte dell’interessato o da chi ha subìto le conseguenze del provvedimento, o comunque da chi avrebbe diritto alla restituzione delle res, che si concretizza in una impugnativa, anche nel merito, per poter vagliare tanto l’esistenza dei presupposti necessari per l’applicazione del provvedimento quanto la legittimità tout court dello stesso[7].

Nel prosieguo si cercherà di inquadrare con maggiore approfondimento la disciplina del sequestro probatorio, specie con riguardo al suo oggetto ed ai suoi presupposti, si riscontreranno, inoltre, alcune peculiarità degli istituti prodromici rispetto ad esso.

Si analizzerà poi il caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, avendo cura di inquadrare quali siano, in concreto, i poteri di cognizione del giudice del riesame.

2. La disciplina del sequestro a fini di prova

Per inquadrare, sia pure succintamente, la regolamentazione del sequestro probatorio occorre partire dalla lettera dell’art. 253 c.p.p. Il comma 1 della norma in parola conferisce il potere  di  disporre  detto  sequestro  alla  autorità  giudiziaria,  da  intendersi  sia  come  quella giudicante che requirente[8], la quale emana un provvedimento di sequestro con decreto motivato[9] (a pena di nullità, ai sensi dell’art. 125, comma 3, c.p.p.)[10], che tenga in debito conto i limiti imposti all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali, in primis, quella personale di cui all’art. 13 Cost., o comunque degli altri diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo, tra i quali ricomprendere senz’altro il diritto alla protezione della proprietà riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo[11], trattandosi di atti che comunque incidono sui diritti di libertà dei soggetti interessati.

Per tali ragioni, il dovere generalmente previsto dalla Costituzione, all’art. 111, comma VI, di motivare i provvedimenti giurisdizionali, deve trovare ancor più specifica applicazione quando il sequestro è disposto con finalità probatorie.

Autorevole dottrina sostiene che il decreto che dispone il sequestro probatorio debba essere necessariamente sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti. In particolare, secondo la tesi in discorso, dovranno essere sempre esplicitate – tanto per il «corpo del reato» quanto per le «cose pertinenti al reato» – le ragioni che giustificano la necessità dell’acquisizione del bene “per l’accertamento dei fatti” inerenti al thema decidendum del processo, secondo il catalogo enunciato dall’art. 187 c.p.p., in funzione dell’assicurazione della prova del reato per cui si procede o della responsabilità dell’autore[12].

Pertanto, attesa la sua connotazione di misura precautelare reale, potrebbe sostenersi che il sequestro probatorio possa essere inquadrato come un particolare mezzo di ricerca della prova, che non dovrebbe trasformarsi, anche alla luce delle considerazioni sopra esposte, in un mezzo di ricerca della notizia di reato.

Ragionando in questi termini, quindi, il provvedimento dovrebbe essere sorretto da una congrua motivazione, che quantomeno indichi l’esistenza di ipotesi criminose, sia pure sommariamente individuabili in quel momento del procedimento (lasciando un più approfondito esame, poi, al giudice di merito), individuando il legame, la relazione, l’afferenza delle res oggetto di adprehensio con le fattispecie di reato per le quali si intende procedere.

In ogni caso, il comma 2 dell’art. 253 c.p.p. chiarisce che sono «corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto, il prezzo». Si è poco sopra riferito che insieme al «corpo del reato» sono sequestrabili anche le «cose pertinenti al reato», tuttavia, nonostante la norma preveda una specificazione su cosa debba intendersi con il primo, non vi è invece alcuna indicazione su cosa consistano esattamente le seconde[13].

Peraltro, quando la norma descrive il corpus delicti collega tramite la congiunzione «e» le «cose sulle quali o mediante le quali» viene commesso il reato con «il prodotto», «il profitto», «il prezzo», sembrerebbe quindi collocare tutte le categorie in questione sullo stesso piano (art. 253, comma 2, c.p.p.).

Inoltre, mentre la nozione di «corpo del reato» postula l’esistenza di un rapporto di immediatezza tra la cosa e l’illecito penale (con conseguente efficacia probatoria diretta in ordine all’avvenuta commissione del reato, indiziaria in ordine al suo autore), la locuzione «cosa pertinente al reato» esprime un concetto di più ampia portata che include, oltre al corpus delicti ed ai producta sceleris, le cose che servono, anche indirettamente, ad accertare la consumazione dell’illecito, il suo autore e le circostanze del reato, con riferimento ad ogni possibile legame, individuabile caso per caso, tra le cose stesse e l’accertamento dell’illecito, che sia ritenuto rilevante ai fini del processo[14].

3. (Segue) L’oggetto e i presupposti del sequestro probatorio

Si è già accennato come l’art. 253 c.p.p. indichi il corpo del reato come «cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso», e come cose che ne costituiscano il «prodotto», il «profitto» o il «prezzo». Si tratta di una formula normativa che sembra rievocare la previsione contenuta nell’art. 240 c.p. con riguardo alla confisca.

La norma del codice di rito individua, quindi, nel «corpo del reato» e nelle «cose pertinenti al reato» l’oggetto del sequestro probatorio.

Secondo un’opinione consolidata in dottrina[15], stante la natura coercitiva della misura, l’indicazione è da intendersi tassativa. E ciò anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale[16] che ha affermato l’illegittimità del sequestro probatorio avente ad oggetto beni diversi dal corpo del reato o dalle cose pertinenti al reato.

Il corpo del reato e le cose ad esso pertinenti, per il loro inscindibile nesso con il delitto, hanno quindi una spiccata capacità di rappresentare le circostanze fattuali dell’illecito stesso, come una sorta di “fotografia” che dovrà essere analizzata dall’autorità giudiziaria per la ricostruzione dei fatti.   

Tradizionalmente si afferma che la nozione di «corpo del reato» si compone di un “elemento materiale”, implicito nel concetto stesso di «corpo» e di un “elemento di relazione”, integrato dal rapporto tra cosa e reato[17].

Per quanto concerne specificamente, il «prodotto» del reato si è chiarito che esso rappresenta il risultato, ossia il frutto che l’autore ricava direttamente dall’attività illecita, il «profitto» è costituito dal lucro, cioè dal vantaggio economico che deriva dalla commissione del reato, mentre il «prezzo» rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un soggetto a commettere il reato[18], ma anche tutte quelle res acquisite direttamente con il reato, o da questo create, sia qualsiasi vantaggio, patrimoniale e non patrimoniale, tratto dal reato, sia i beni valutabili economicamente dati o promessi al colpevole per la commissione del reato[19]. Nella nozione di «prodotto del reato» sarebbero da includere anche i beni che siano stati acquistati dall’imputato con il denaro ricavato dai reati contestatigli[20].

Atteso l’evidente collegamento sistematico tra l’art. 253, comma 2, c.p.p. e l’art. 240 c.p., secondo una tesi avanzata in dottrina la nozione di corpus delicti dovrebbe comprendere anche le cose il cui uso, porto, fabbricazione, detenzione costituisce reato[21]. Secondo altra impostazione teorica, invece, dette res sarebbero da ricondurre al concetto di «cose pertinenti al reato» in quanto “oggetto” e non “strumento” di prova[22].

Per quanto la prima tesi appaia più convincente e maggiormente conforme all’addentellato testuale dell’art. 253, comma 2, c.p.p. poiché si tratta in ogni caso di res «mediante le quali il reato è stato commesso», si potrebbe sostenere che al di là di una questione meramente definitoria, comunque le si voglia inquadrare, a fini pratici, di certo sono “cose sequestrabili” ai sensi del comma 1 dello stesso articolo.  

Diverso potrebbe essere il discorso circa la “facoltatività” o la “obbligatorietà” del sequestro di alcune res rispetto ad altre a seconda che siano corpo del reato o cose ad esso pertinenti. Nella prassi, di certo, anche simile distinzione potrebbe agevolmente cedere il passo ad esigenze molto più concrete: di fronte al rinvenimento di cose legate da un nesso più o meno intenso con il delitto, l’agire degli organi preposti dovrebbe orientarsi nel senso di acquisirle al processo.

Peraltro, elemento fondamentale ai fini della validità del provvedimento di adprehensio è che il vincolo di indisponibilità riguardi figure conformi al paradigma normativo, non essendo consentito creare categorie “nuove” di possibili res da sequestrare[23].

È poi chiaro come simili reperti, aventi un tangibile nesso “fisico” con il reato, possano essere utilizzati come prove a carico dell’indagato/imputato (si pensi alle armi omicide, ai segni contraffatti, alle cose rubate, ai compensi ai sicari ecc.). Le res in parola potrebbero considerarsi come delle figure, per così dire, “fluide”: sequestrabile, perché legata al fatto da «nesso strumentale immediato e necessario», è l’automobile su cui il ladro va al lavoro delittuoso ed eseguitolo, trasporta la refurtiva; non sequestrabile (secondo l’identica premessa) è quella che agevola la prostituzione altrui[24].

Possono essere oggetto di apprensione i beni mobili, quelli immobili ma anche i beni immateriali[25]. Alla nozione di corpo del reato può essere data una accezione più ampia di quella legata all’esistenza di un’essenza materiale connessa alla commissione del reato, in quanto tale tangibile ed apprensibile a fini processuali. Ed infatti, se è vero che la reiterata utilizzazione del termine “cosa” nell’art. 253 c.p.p. potrebbe indurre a ritenere che il legislatore abbia voluto attribuire al corpo del reato una accezione strettamente materiale, si deve considerare che gli artt. 254 e 254 bis c.p.p., dimostrano come ciò che al legislatore preme acquisire sia il contenuto della corrispondenza, del dato informatico, telematico e della telecomunicazione, anche se l’intervento ablativo si materializza sul contenitore (la lettera di carta o il supporto informatico). L’oggetto del sequestro viene così a connaturarsi di profili di immaterialità, identificandosi, ai fini del provvedimento ablativo, il contenuto della comunicazione o del dato informatico, rilevante per il processo, con il supporto materiale che lo contiene o lo ha registrato[26].

Le «cose pertinenti al reato» hanno comunque una sorta di relazione indiretta con il delitto. Esse risultano strumentali all’accertamento dei fatti, alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all’identificazione del colpevole all’accertamento del movente ed alla determinazione dell’ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, pur se esterne nell’iter criminis perché funzionali all’accertamento del fatto e all’individuazione dell’autore[27].

La richiamata esigenza istruttoria rileva sul piano pratico-applicativo, costituendo imprescindibile presupposto dell’istituto. Ed invero, all’atto di adozione del sequestro probatorio è necessario che sia già configurabile un’ipotesi di reato; non è quindi consentito, un uso dell’istituto volto alla ricerca di potenziali notizie di reato ovvero in presenza della mera intenzione di commettere un reato o, ancora, della generica possibilità che qualcuno ne abbia commesso uno[28].

Pertanto, il sequestro disposto per fini meramente esplorativi deve ritenersi illegittimo[29], dovendo il giudice chiamato a pronunciarsi sulla validità del sequestro stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, senza compiere, però, valutazioni sulla fondatezza dello stesso illecito[30].

4. Sequestro probatorio e istituti affini

Nell’accostarsi allo studio del sequestro a fini di prova, sia pure nei limiti consentiti dal presente lavoro, non può trascurarsi una breve panoramica sugli istituti che con quel mezzo di ricerca della prova hanno un carattere di contiguità.

Doverosa appare però una precisazione: un sequestro non deve necessariamente essere proceduto da altro mezzo di ricerca della prova, ben potendo essere emesso un provvedimento “indipendente” di acquisizione al processo delle res[31].

Si è già riferito che alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità un sequestro non può essere utilizzato come un “mezzo di ricerca della notitia criminis[32], le stesse considerazioni potrebbero effettuarsi con riguardo ad un altro mezzo di ricerca della prova, affine al sequestro: la perquisizione[33].

Sotto un profilo etimologico il termine deriva dalla lingua latina, segnatamente dalla perifrasi della preposizione per unitamente a quaero e cioè “cercare attraverso”[34]. Come è noto si tratta di un mezzo di ricerca della prova, tipicamente “a sorpresa”[35], previsto dall’art. 247 ss. c.p.p. e dalla legislazione speciale[36], che si estrinseca in una attività di ricerca su persone[37], in luoghi[38] oppure all’interno di sistemi informatici o telematici[39].

Il suo scopo è quello di acquisire al procedimento il corpo del reato e le cose pertinenti al reato ovvero eseguirsi l’arresto dell’imputato o dell’evaso. La sua funzione è chiaramente prodromica rispetto a quella del sequestro. È l’atto che sotto un profilo cronologico lo precede.

Un altro atto che tendenzialmente viene compiuto prima del sequestro, di cui in questa sede occorre far cenno, è la richiesta di consegna (art. 248 c.p.p.) che può “sostituire” la perquisizione quando l’autorità giudiziaria cerchi una cosa determinata e inviti, con possibilità di delegare al compimento dell’atto (non anche i semplici agenti ma i soli) ufficiali di polizia giudiziaria, a consegnarla spontaneamente. Rimane sempre salva la possibilità di effettuare una perquisizione, pure successivamente all’avvenuta realizzazione dell’actio ad exhibendum, giustificata dalla completezza delle indagini. La consegna può essere richiesta per una res determinata (comma 1) anche presso gli istituti bancari (comma 2), oppure nei riguardi dei soggetti tenuti al segreto professionale o d’ufficio (art. 256 che richiama gli artt. 200 e 201) o finanche nei riguardi dei servizi di informazione per la sicurezza[40] (art. 256 bis).

Ulteriore mezzo di ricerca della prova che merita di essere segnalato è l’ispezione (art. 244 ss. c.p.p.). La sua radice etimologica si riscontra nel verbo inspĭcĭo, che significa “guardare da vicino”, “osservare attentamente”, “esaminare”[41].

L’ispezione può riguardare persone, luoghi o cose ed è disposta con decreto motivato qualora occorra accertare le «tracce e gli altri effetti materiali del reato», è uno strumento processuale che dimostra maggiore sensibilità rispetto alla disciplina previgente, per gli interessi individuali coinvolti nell’osservazione diretta[42]. L’istituto potrebbe quindi designare qualunque indagine introspettiva, tanto da portare la dottrina a sostenere che potrebbero considerarsi ispezioni anche le perizie psichiatriche e l’esame testimoniale; nonostante la stessa impostazione teorica abbia precisato che nel lessico tecnico, il vocabolo sia riferito soltanto alla ricerca visiva di un possibile segno, cioè le tracce e gli effetti materiali del reato[43]. L’ispezione viene intesa come l’obiettiva e statica constatazione di fatto attuale[44], per come cade sotto i sensi del soggetto procedente ovvero come la percezione della persona o della cosa nella loro condizione attuale[45], all’unico fine della loro descrizione obbiettiva[46].

Particolare interesse ha avuto in dottrina e in giurisprudenza il dibattito[47] sul nesso logico-funzionale tra l’atto prodromico ed il susseguente sequestro (specie con riferimento alla perquisizione), segnatamente sul riverberarsi dei profili di illegittimità dell’atto presupposto sul sequestro. La tematica in parola non verrà in questa sede specificamente affrontata, rinviandosi, in punto, ad altri Autori[48].

Se a seguito di perquisizioni, richieste di consegna, o finanche ispezioni[49], verranno rinvenute delle res che hanno un nesso con il delitto, nei termini anzidetti, aventi quindi rilevanza per l’accertamento, esse potranno trovare “ingresso” nel processo penale tramite il sequestro probatorio.

Non bisognerebbe, in ultimo, trascurare che il codice prevede anche una singolare ipotesi di sequestro probatorio (o, se si vuole, di “pre-sequestro”) da parte del privato, che abbia effettuato un arresto in flagranza. Ed invero, quando quest’ultimo è obbligatorio per la polizia giudiziaria sarà facoltativo per il quivis de populo. Il privato che decida di procedere in tal senso dovrà consegnare alla polizia giudiziaria, ai sensi del comma 2 dell’art. 383 c.p.p. oltre che la persona arrestata anche il corpo del reato rinvenuto, concretizzandosi così una sorta di anticipazione del sequestro vero e proprio che sarà poi effettuato dagli organi preposti[50].

Dopo aver tracciato una breve parabola sulla disciplina del sequestro probatorio, con qualche richiamo al suo oggetto, ai suoi presupposti, alle differenze con i sequestri cautelari, con alcuni cenni agli atti prodromici rispetto allo stesso – sia pure senza alcuna pretesa di completezza –, occorre ora entrare ancor più specificamente in medias res, partendo dal caso che ha interessato la giurisprudenza di legittimità per approfondire come, secondo la stessa, debba articolarsi il controllo nel giudizio di riesame.

5. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte suprema

Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano, confermativa del decreto di sequestro probatorio del suo telefono cellulare. Secondo il Tribunale era da ritenersi sussistente il fumus commisi delicti con riferimento ai reati previsti e puniti dall’art. 7 della legge 5 maggio 1974, n.195[51] (anche in concorso con altre persone), nonché di cui all’art. 3 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74[52], che sarebbero stati commessi tra il 2018 ed il 2020. Si tratta, nel primo caso, di ipotesi di reato riguardanti i finanziamenti illeciti ai partiti, la seconda fattispecie contestata riguarda le dichiarazioni fraudolente al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Avverso il provvedimento del giudice del riesame l’indagato proponeva ricorso tramite il di lui difensore, deducendo in primis la violazione di legge perché il Tribunale del riesame avrebbe confermato il decreto di sequestro probatorio senza alcuna motivazione sull’astratta configurabilità del reato di dichiarazioni fraudolente, nonostante specifica impugnazione su questo profilo che avrebbe imposto, secondo il ricorrente, un annullamento parziale del decreto.

Il ricorrente, in secundis, si doleva del vizio di violazione di legge perché il Tribunale della libertà con riguardo al reato di finanziamento illecito ai partiti – in concorso con altre persone – ed in relazione ad un mutuo non munito di cause legittime di prelazione (chirografario), erogato da un istituto di credito, avrebbe reso una motivazione apparente rispetto al motivo di riesame con cui il ricorrente aveva evidenziato che il mutuo stesso, garantito da fideiussioni dei soci, era stato erogato nel 2019 a favore di una società e non anche favore di un coindagato (esponente politico). Il ricorrente si doleva quindi del fatto che il Tribunale del riesame aveva ritenuto sussistente il fumus commisi delicti soltanto perchè il legale rappresentante della società mutuataria era stato candidato nel 2011 per il partito politico fondato dal coindagato (ancora l’esponente politico ut supra) ed in base ad un rapporto commerciale risalente al 2008.

Inoltre, con il terzo motivo il ricorrente deduceva il vizio di violazione di legge in quanto il sequestro probatorio è stato emesso contestualmente alla notifica dell’avviso di chiusura indagini ex art. 415 bis c.p.p., senza alcuna finalità probatoria, quando cioè il materiale investigativo avrebbe potuto mutare solo su iniziativa dell’indagato ai sensi dello stesso art. 415 bis, comma 3, c.p.p.

Punto focale delle doglianze del ricorrente è quello in cui lo stesso lamentava che il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto sussistente il fumus dei reati di finanziamento illecito ai partiti (anche in concorso) in base a fatti storici diversi da quelli contestatigli, con conseguente pregiudizio per il di lui diritto di difesa, che non avrebbe potuto controdedurre per un’ipotesi di reato non contestata dal pubblico ministero[53]. Rilevava, infine, il ricorrente che le imputazioni avrebbero prospettato “fatti eccentrici” rispetto al reato previsto dall’art. 7 della legge 195/1974. E ciò sarebbe stato addirittura riconosciuto anche dal Tribunale del riesame il quale, però, aveva deciso di non annullare il decreto di sequestro probatorio, ponendo, però, a sostegno della propria motivazione dei fatti diversi da quelli contestati.

6. (Segue). I limiti alla cognizione del giudice del riesame

La suprema Corte nella sentenza in commento ha ritenuto fondati tutti i motivi esposti dal ricorrente. Ed invero, sul primo motivo di ricorso, il Collegio ha ritenuto che con riferimento al capo di imputazione riguardante le dichiarazioni fraudolente per evadere il Fisco, il Tribunale del riesame, pur dando atto della sussistenza del fumus commissi delicti, si è limitato ad affermare che «permangono i dubbi sulla configurabilità di cui al capo C». Di guisa che non si è chiaramente pronunciato sulla sussistenza o meno del fumus stesso.

La Corte ha poi affrontato le doglianze riferite agli altri due motivi, chiarendo ex professo che il decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo del reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione che non si deve limitare ad indicare le disposizioni di legge violate, ma deve comprendere anche l’individuazione della relazione tra la cosa sequestrata ed il delitto ipotizzato, descrivendo gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione del fatto[54].

Nella sentenza si è chiarito che la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato presuppone una contestazione, anche provvisoria, posto che il giudice deve verificare la compatibilità e la congruità degli elementi addotti dall'accusa (e della parte privata ove esistenti) con la fattispecie penale oggetto di contestazione[55]. La valutazione sulla sussistenza della astratta configurabilità deve essere effettuata dal Tribunale del riesame in relazione alla (sola) incolpazione provvisoria elevata dal pubblico ministero nel decreto di sequestro probatorio.

La Corte ha poi definito chiaramente l’ambito dei poteri del giudice del riesame. Quest’ultimo, pur avendo il potere di confermare il provvedimento applicativo della misura anche per ragioni diverse da quelle ivi indicate, trova un «limite alla sua cognizione» e quindi alla decisione che si basa sulla necessaria correlazione ai fatti posti a fondamento del provvedimento di sequestro probatorio. Fatti, questi, che non possono essere sostituiti o integrati da ipotesi accusatorie autonomamente formulate in base a dati di fatto diversi, in quanto unico soggetto che ha il potere di procedere alle modificazioni fattuali della contestazione è il pubblico ministero. E ciò può avvenire tanto nella fase delle indagini preliminari, quanto in ogni momento, anche nel corso dell’udienza per il riesame delle misure cautelari.

Secondo il deciso, peraltro, non è consentito al giudice del riesame – in funzione di un’ottica “conservativa” del decreto di sequestro probatorio – rinvenire, come avvenuto nel caso in commento, una diversa struttura della fattispecie di reato, quindi un fatto diverso da quello per il quale è stato adottato il decreto di sequestro probatorio poiché l’iniziativa spetta al pubblico ministero al quale compete in modo esclusivo di individuare il fatto per il quale intende procedere.

Il Tribunale del riesame deve verificare se i fatti oggetto delle contestazioni, cioè se la ricezione dei finanziamenti ottenuti, abbia concretizzato o meno l’astratta configurabilità degli illeciti ascritti o se il fatto contestato possa essere qualificato diversamente in un altro reato.

Il Giudice della nomofilachia ha poi affrontato una ulteriore questione: nel censurare ancora una volta l’operato del Tribunale del riesame ha constatato come nella vicenda non vi fosse alcuna motivazione sulle esigenze probatorie, rispetto ai reati contestati, pur avendo l’indagato rappresentato nei motivi di riesame l’avvenuta estrazione delle copie dei dati contenuti nel telefono cellulare e l’avvenuta notifica dell’avviso di chiusura indagini. Secondo la Corte è legittima l’emissione del decreto di sequestro probatorio compiuta successivamente alla spedizione dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., a condizione che non sia scaduto il termine per la conclusione delle indagini e che del deposito del relativo provvedimento sia data comunicazione all’interessato affinché quest’ultimo possa esercitare le facoltà riconosciutegli per legge[56]. Ulteriormente viene chiarito nella decisione che il pubblico ministero può compiere dopo la notifica dell’avviso di conclusione attività integrativa di indagine (art. 430 c.p.p.) purché non si tratti di atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del difensore di questo, tra i quali rientra l’esecuzione del sequestro probatorio in quanto la generica locuzione «è prevista la partecipazione» comprende, oltre gli atti per i quali è stabilita la partecipazione necessaria del difensore, anche quelli in cui vi è la sola facoltà d’intervento del difensore stesso[57].

La Corte ha quindi deciso di accogliere il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviandola per un nuovo giudizio al Tribunale territorialmente competente.

7. Considerazioni conclusive

Appare, così, allora opportuno effettuare alcune brevi osservazioni conclusive sulla tematica qui concisamente trattata. L’esatta individuazione dei poteri sia di cognizione che di decisione del giudice del riesame e quindi l’esatto perimetro del suo controllo tuttora, ad oltre trent’anni dalla sua istituzione, si presenta come una questione problematica e di non agevole risoluzione.

Occorre circoscrivere l’ambito al controllo da esercitarsi sul sequestro probatorio, il quale per la sua natura di mezzo di ricerca della prova non reca con sé il rischio per l’indagato/imputato che si possa formare un giudicato cautelare[58].

Cionondimeno è sempre possibile che il giudizio di riesame invada un campo che non gli è proprio, spingendosi a valutare la fondatezza dell’accusa che è prerogativa, invece, del giudice di merito[59]. Ma una simile eventualità è una chiara deriva rispetto alla previsione normativa che demarca l’ambito del giudizio di riesame ad un controllo – piuttosto rapido – sulla legalità del sequestro. Una valutazione di merito è possibile ma soltanto sul provvedimento di adprehensio. È nota poi la differenza tra il riesame e l’appello. Il primo non è vincolato all’enunciazione di motivi, essendo un mezzo di impugnazione “a critica libera”. Anzi, per espressa previsione normativa il riesame, anche del sequestro probatorio, ai sensi dell’art. 309, comma 9, c.p.p.[60] consente al Tribunale della libertà di decidere sulla base di motivi differenti da quelli previsti nella richiesta, oltre che di confermare il provvedimento per ragioni diverse da quelle contenute nella motivazione dell’atto stesso.

L’organo giurisdizionale, in sede di riesame, ha quindi il potere di verificare che l’atto impugnato sia adeguatamente motivato con riguardo a tutti gli elementi che ne giustificano l’adozione. Occorrerà quindi che il Tribunale verifichi che le cose oggetto di apprensione abbiano un nesso di pertinenzialità con l’illecito ascritto e l’esistenza di esigenze probatorie che solo mediante la permanenza del sequestro potranno essere soddisfatte. Dal canto suo, l’autorità requirente dovrebbe enucleare in maniera chiara l’addebito contestato con precise coordinate temporali e spazio-ambientali in cui sarebbe avvenuto l’illecito. Soltanto così nel procedimento di riesame il Tribunale potrà avere un quadro chiaro per poter vagliare anche la sussistenza del fumus.

L’organo giudicante potrà effettuare degli apprezzamenti in merito alle risultanze processuali che emergono dagli atti disattendendo anche totalmente la linea accusatoria del magistrato requirente. Ma al di là di queste modalità d’azione il sindacato del giudice del riesame incontrerà un chiaro limite derivante dalla impossibilità di espletare una verifica in concreto sulla fondatezza dell’accusa[61].

Nel caso di specie, dunque, correttamente la Cassazione ha ritenuto che il Tribunale del riesame abbia travalicato i limiti cognitivi delineati dall’ormai consolidato indirizzo «restrittivo». Peraltro, l’obbligo, in punto, di limitare il controllo del giudice del procedimento incidentale ad un accertamento che riguardi soltanto la legalità del sequestro, risulta in seguito, e pur di recente, ancor affermato, con apprezzabile, ed apprezzato, esercizio di accuratezza nomofilattica – e in perfetta linea con quanto da noi qui sostenuto – da successive e ben solide elaborazioni giurisprudenziali dei giudici supremi[62].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Pare opportuno precisare che sebbene il sequestro probatorio sia stato collocato tra i mezzi di ricerca della prova, in realtà esso mira all’apprensione del bene, individuato – tendenzialmente – mediante la perquisizione, e realizza direttamente lo spossessamento del proprietario o di chi, comunque, ne aveva la disponibilità (cfr. S. RUGGERI – P. MAGGIO, Il sequestro probatorio, in La prova penale, a cura di P. Ferrua – E. Marzaduri – G. Spangher, Torino, 2013, 785). D’altro canto, è stato sottolineato che permane un comune denominatore strutturale tra le varie tipologie di sequestro, dovuto all’intrinseca attitudine cautelare dello strumento ablativo, (Cass, Sez. Un., 16 aprile 2003, in C.E.D. Cass., Rv. n. 224184; in dottrina N. TRIGGIANI, Ispezioni, Perquisizioni e Sequestri, in Trattato di Procedura Penale, diretto da G. Spangher, a cura di A. Scalfati, Torino, Vol. II, Tomo I, 2009, 439; N. VENTURA, Sequestro preventivo, in Dig. pen., II agg., Torino, 2004, 751); giacché anche il sequestro probatorio presenta i tratti del provvedimento interinale, volto a garantire determinati risultati acquisitivi che potrebbero altrimenti risultare compromessi (cfr. F. PERONI, In tema di sequestro penale di libretti bancari, titoli di stato e conti correnti, in Cass. pen. 1996, 2711). Pertanto, la distinzione tra le varie tipologie di sequestro è meno netta di quanto potrebbe apparire a prima vista, poiché l’obbiettivo di salvaguardia della genuinità della prova finisce con l’attribuire una connotazione cautelare anche al sequestro probatorio (ancora, S. RUGGERI – P. MAGGIO, Il sequestro probatorio cit.,784). Tra gli elementi comuni a tutte le ipotesi di sequestro è senz’altro ravvisabile un vincolo di indisponibilità giuridica e materiale sulla res, finalizzato alla sottrazione di un determinato bene alla sua libera fruizione dunque definibile come sequestro una qualsiasi misura coercitiva destinata a imporre su una cosa, mobile o immobile, tale vincolo. In altri termini, proprio la “indisponibilità” del bene sequestrato rappresenta la connotazione comune all’intero genus del sequestro. In argomento, P. P. RIVELLO, sub art. 253, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda – G. Spangher, Tomo I, V ed., Milano, 2017, 2454.

[2] Cfr. Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni e delle norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni, in Gazz. Uff.Suppl. Ord., 24 ottobre 1988, n. 250, 68, 79 s.  

[3] Basterebbe scorrere le pagine della Commissione ministeriale per il nuovo codice di procedura penale. Progetto preliminare del codice di procedura penale, Roma, 1978, ove i «sequestri», quali «mezzi di ricerca della prova» (artt. 245 – 257), venivano già distinti a livello di tecnica di previsione, con consequenziale differente disciplina, dal «sequestro conservativo» (artt. 302 – 306) e dal «sequestro preventivo» (artt. 307 – 309), da intendersi, questi ultimi, quali «misure di coercizione reale». È noto come l’acuta dissonanza fra il contesto generale nel Paese e lo spirito del testo proposto (basti pensare al “clima dell’emergenza” nel quale, oltre al resto, si assistette al rapimento e poi all’uccisione di Aldo Moro) favorì un esito sfavorevole di quel progetto: l’inosservanza del termine – peraltro ripetutamente prorogato –  da parte dell’esecutivo fece, infatti, decadere la delega del legislatore promulgata come l. 3 aprile 1974, n. 108 (cfr. I lavori preparatori dei codici italiani, a cura della Biblioteca Centrale Giuridica del Ministero della Giustizia – Dipartimento degli affari di giustizia, Roma, 2013, 66-67).

[4] Cfr. L. CASTIGLIONI – S. MARIOTTI, IL vocabolario della lingua latina, voce sĕquestĕr, tra, trum e sĕquestĕr, tris, tre, Roma, 1994, 963. Sulla custodia delle cose sequestrate v. art. 259 c.p.p.

[5] F. MORLACCHINI, in AA. VV., Procedura penale teoria e pratica del processo, diretto da G. Spangher, A. Marandola, G. Garuti, L. Kalb, a cura di G. Spangher, Volume I, Torino, 2015, 1175.

[6] Secondo una parte della dottrina, rispetto al sequestro probatorio, il riesame sarebbe l’unico mezzo di gravame esperibile, non essendo prevista da alcuna norma la possibilità di chiederne la revoca con apposita istanza allo stesso organo che ha emanato l’atto. Sul punto: U. DE CRESCENZIO, Il sequestro penale e civile, Padova, 1997, 108. Il riesame anche nel merito del provvedimento di sequestro (non anche sulla fondatezza dell’accusa) è possibile in forza del collegamento tra le disposizioni di cui artt. 257, comma 1, 309, comma 9 e 324, comma 7 c.p.p. V. pure infra, par. 7.

[7] Sulla specifica tematica del riesame delle cautele reali v. R. ADORNO, Il riesame delle misure cautelari reali, Milano, 2004, passim, nonché, anche per i rimedi impugnatori verso le altre forme di sequestro: E. CONFORTI – A. CANCELLARA MONTESANO, Il sequestro penale. Presupposti applicativi, gestione dei beni e strumenti di impugnazione, Milano, 2016, 227 ss.

[8] N. TRIGGIANI, Ispezioni, Perquisizioni e Sequestri cit., 441. Le finalità assegnate al mezzo di ricerca in parola porterebbero a qualificare il sequestro probatorio come uno strumento tipico della fase delle indagini, ad utilizzo quasi esclusivo dell’organo requirente, che potrebbe adottarlo in maniera autonoma tramite un decreto, potendo anche delegarne l’esecuzione materiale ad un ufficiale di polizia giudiziaria, il quale può, a sua volta, subdelegare ad altro ufficiale (cfr. Cass., Sez. VI, 10 ottobre 2012, in C.E.D. Cass., Rv. n. 254315). Non bisogna, tuttavia, trascurare, poi, che già sotto un profilo testuale (art. 368 c.p.p.) il codice di rito prevede espressamente la decisione del giudice per le indagini preliminari, nel caso in cui il pubblico ministero ritenga che non si debba procedere a sequestro, a fronte di una richiesta dell’interessato (da intendersi come la persona dell’indagato o di quella danneggiata dal reato). Per una peculiare ipotesi di decreto di perquisizione e sequestro disposti autonomamente dall’autorità giudicante, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., v. Cass., Sez. IV, 16 novembre 2004, n. 44481, in Pluris, che ha ritenuto corretto l’operato del giudice del merito.

[9] La suprema Corte ha statuito che la motivazione del decreto deve riguardare la natura e la destinazione delle cose da sequestrare più che l’esistenza e la configurabilità del reato, il cui accertamento è riservato alla definitiva decisione sul merito, essendo indispensabile l’indicazione di elementi dai quali possa individuarsi il rapporto diretto o pertinenziale tra cosa sequestrata e delitto ipotizzato (Cass., Sez. V, 16 marzo 2005, in C.E.D. Cass., Rv. n. 231686). Secondo una parte della dottrina il livello di specificità della motivazione del decreto di sequestro disposto o convalidato dal pubblico ministero sarà maggiore o minore a seconda del grado di maggiore o minore intrinsecità giustificativa del sequestro stesso, pertanto, in alcuni casi, sarà sufficiente anche una spiegazione essenziale e lapidaria (in argomento, C. GABRIELLI, «L’intrinsecità giustificativa del sequestro probatorio»: una formula suggestiva, ma pericolosamente sfuggente, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 1409). Relativamente alla specificazione del nesso investigativo con il reato per il quale si procede, pare possibile sostenere che la legge processuale imponga che nella motivazione del decreto vi sia l’enunciazione del fatto per cui si procede, con l’indicazione, sia pure sommaria, degli elementi costitutivi, in modo da consentire al giudice del riesame la verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto in una specifica ipotesi di reato, nonché della sussistenza del rapporto di pertinenzialità con l’oggetto del sequestro non essendo mai sufficiente la semplice indicazione delle norme di legge che si assumono violate (su tale ultimo profilo v. Cass., Sez. III, 15 aprile 2009, n. 15711, in www.italgiure.giustizia.it/).

[10] G. SPANGHER, La pratica del processo penale, Soggetti, atti, prove, misure cautelari, Vol. III, Padova, 2013, 622.

[11] Cfr. F. MORLACCHINI, in AA.VV., Procedura penale teoria e pratica del processo cit., 1184. La norma in parola rubricata «Protezione della proprietà» sancisce al primo comma «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale».

[12] G. SPANGHER, La pratica del processo penale cit., 622.

[13] Su entrambe le categorie, comunque, si è pronunciata a più riprese la giurisprudenza di legittimità, come meglio si avrà modo di riferire infra

[14] Cfr. Cass., Sez. II, 13 marzo 2007, in C.E.D. Cass., Rv. n. 236390; Cass., Sez. III, 2 dicembre 2005, ivi, Rv. n. 233366, nonché Trib. Enna, 24 maggio 2006, inedita.

[15] G. JESU, Inaccettabili approdi inquisitori in tema di sequestro probatorio, in Cass. pen., 1999, 1081; S. MONTONE, Sequestro penale, in Dig. pen., vol. XIII, Torino, 1997, 254; G. TRANCHINA, Sequestro penale, in Enc. giur., XXVIII, Roma, 1990, 2.

[16] Corte cost., sent. 19 giugno 1998, n. 229, in www.giurcost.org., la quale ha chiarito che se una perquisizione e un susseguente sequestro, non hanno ad oggetto né il corpo di reato né cose pertinenti al reato, sono da considerare illegittimamente disposti, e devono condurre il giudice a cancellare il provvedimento ablativo, perché il materiale così sequestrato deve essere considerato inutilizzabile ai sensi dell’art. 191 c.p.p., trattandosi di prove illecitamente acquisite.

[17] C. U. DEL POZZO, Corpo del reato, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 650.

[18] Cass., Sez. Un., 3 luglio 1996, in Cass. pen., 1997, 971.

[19] Cass., Sez. I, 12 maggio 1993, in Riv. pen., 1995, 132; Cass., Sez. I, 5 giugno 1992, in Arch. nuova proc. pen., 1993, 173; Cass., Sez. II, 19 novembre 1990, in Cass. pen., 1991, 876.

[20] Cass., Sez. VI, 19 dicembre 1997, in C.E.D. Cass., Rv. n. 210676; nonché Cass., Sez. I, 27 maggio 1994, in Arch. nuova proc. pen., 1995, 155.

[21] A. BEVERE, Coercizione reale. Limiti e garanzie, Milano, 1999, 61.

[22] S. MONTONE, Sequestro penale cit., 160.

[23] In questi termini, Cass., Sez. VI, 21 maggio 1992, in C.E.D. Cass., Rv. n. 190695.

[24] Cfr. F. CORDERO, Procedura penale, 9a ed., Milano, 2012, 837. Secondo l’Autore l’attuale formula normativa contiene un riferimento esatto: “pertiene” al reato ogni reperto utile alla decisione; ovvio che il requirente cerchi anche eventuali prove a difesa (art. 358) e quando ne scova (ad esempio, un alibi), le sequestri.

[25] Fin dagli anni Novanta la Corte suprema ha ritenuto possibile questa modalità di sequestro, in specie, per diritti di credito: cfr. Cass., Sez. V, 22 maggio 1997, in Cass. pen., 1999, 635.

[26] Così, Cass., Sez. Un., 23 luglio 2014, in www.archiviopenale.it.

[27] Cass., Sez. IV, 17 novembre 2010, in C.E.D. Cass., Rv. n. 249487.

[28] Cass., Sez. III, 9 maggio 2013, n. 19962, in http://www.italgiure.giustizia.it/.

[29] Cass., Sez. III, 27 giugno 2013, n. 28151, in http://www.italgiure.giustizia.it/.

[30] Cfr. Cass., Sez. Un., 20 novembre 1996, in Cass. pen., 1997, 1673, secondo cui tale astrattezza non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente «prendere atto» della tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività, ma determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. Alla giurisdizione compete, perciò, il potere dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti deve essere compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il giudice di merito non deve instaurare un “processo nel processo”, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano sequestro (sul punto, in senso conforme, v. anche Cass., Sez. Un., 11 novembre 1994, ivi, 1995, 535).

[31] In questi termini v. C. TAORMINA, Il regime della prova nel processo penale, Torino, 2007, 85.

[32] V. supra, nei precedenti paragrafi.

[33] Sul punto, di recente, Cass., Sez. V, 28 marzo 2019, n. 13690, in http://www.italgiure.giustizia.it/; nonché Cass., Sez. V, 8 marzo 2018, n. 32009, ivi.

[34] Cfr. L. CASTIGLIONI – S. MARIOTTI, IL vocabolario della lingua latina cit., voce per nonché voce quaero, 755 e 861.

[35] Così Corte cost., 6 giugno 1991, n. 251 in www.giurcost.org; nonché Corte cost., 8 maggio 1974, n. 123, ivi.

[36] Si pensi all’art. 41 del c.d. T.U. di Pubblica Sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) che facoltizza ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, che abbiano notizia, anche se per indizio, della esistenza, in qualsiasi locale pubblico o privato o in qualsiasi abitazione, di armi, munizioni o materie esplodenti, non denunciate o non consegnate o comunque abusivamente detenute, a procedere immediatamente a perquisizione e sequestro. Oppure si pensi al all’art. 103, comma 3, del c.d. T.U. sugli stupefacenti (d.p.R. 9 ottobre 1990, n. 309), che facoltizza i soli ufficiali di polizia giudiziaria, quando ricorrano motivi di particolare necessità ed urgenza che non consentano di richiedere l’autorizzazione telefonica del magistrato competente, a procedere a perquisizioni dandone notizia, senza ritardo e comunque entro quarantotto ore, al procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, le convalida entro le successive quarantotto ore.

[37] Prevista dall’art. 249 c.p.p., è la forma forse più invasiva di perquisizione che inevitabilmente risulta essere, insieme a quella domiciliare, fortemente limitativa della libertà personale.

[38] Potrebbe esplicarsi in un domicilio (251 c.p.p.) oppure essere classificata come lato sensu locale (art. 250 c.p.p.) qualora l’attività di perquisizione non si esplichi, appunto, nel domicilio dell’interessato.

[39] In forza della l. 18 marzo 2008, n. 48. Sulle perquisizioni si rinvia alle opere monografiche di M. D’ONOFRIO, La perquisizione nel processo penale, Padova, 2000 e di P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, 2a ed., Milano 2012 e alle voci enciclopediche di P. BALDUCCI, voce Perquisizione, in Enc. Dir., Agg., IV, Milano, 2000, 252 ss.; M. BARGIS, voce Perquisizione, in Dig. pen., IX, Torino, 1995, 489 ss. Per una visione sovranazionale v. F. FALATO, (il) Legittimità sistemica delle perquisizioni. Tra normazione nazionale e giurisdizione europea. A proposito di Corte EDU, prima sezione, 27 settembre 2018, causa Brazzi c. Italia, in www.archiviopenale.it/. Per la disciplina previgente si rimanda a v. G. RICCIO, Le perquisizioni nel codice di procedura penale, Napoli, 1974.

[40] Sulla peculiare disciplina dei servizi di informazione per la sicurezza e sulle differenze tre essi e ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che operano “sotto copertura”, sia consentito rinviare a M. GRANDE, Le attività di investigazione “sotto copertura” nel processo penale, in Ordines, fasc. 2/2020, 167-168.

[41] Cfr. L. CASTIGLIONI – S. MARIOTTI, IL vocabolario della lingua latina cit., voce inspĭcĭo, 543.

[42] In questi termini, F. DEAN, Ispezione giudiziale, II, ispezione ed esperimento giudiziale, in Enc. giur., XVII, 1989, 3.

[43] F. CORDERO, Procedura penale cit., 824.

[44] P. MOSCARINI, Ispezione giudiziale, in Enc. dir., agg. II, 1998, 464.

[45] A. VITALE, sub art. 244, in AA.VV., Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di G. Illuminati e L. Giuliani, 3a ed., Padova, 2020, 1024.

[46] E. BASSO, sub art. 244, in Commento al nuovo codice di procedura penale, II Volume, coordinato da M. Chiavario, Torino, 1990, 677.

[47] La tematica in questione, già oggetto di ampio dibattito durante la vigenza del codice abrogato è molto controversa, atteso che, sul punto, sono andati consolidandosi i due contrastanti orientamenti formatisi nell’elaborazione dottrinale e in quella giurisprudenziale sotto il vigore del 1930. Da un lato, infatti, una prima corrente di pensiero, facendo proprie le argomentazioni elaborate da autorevole dottrina (F. CORDERO, Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, 613 ss.), sostiene la piena autonomia giuridica degli atti de quibus, nel senso che tra perquisizione e sequestro non intercorrerebbe un nesso di dipendenza logico-causale, ma esclusivamente una consequenzialità cronologica, risultando il sequestro soltanto “occasionato” dal compimento di una previa perquisizione (c.d. tesi del male captum bene retentum). Cosicché, i vizi inficianti le legittimità di quest’ultima non potrebbero propagarsi sul sequestro conseguente (in questi termini, v. Cass., Sez. V, 27 novembre, 1995, in Cass. pen., 1996, 1936; Cass., Sez. VI, 26 luglio 1995, in C.E.D. Cass., Rv. n. 202589). Secondo altro orientamento sussisterebbe un nesso di interdipendenza logica tra perquisizione e sequestro, tale da rendere la prima non un mero antecedente casuale o cronologico del sequestro, bensì il suo antecedente logico e funzionale – id est il mezzo legalmente predisposto dal legislatore per giungere al sequestro. Tale ultimo orientamento sostiene quindi che i vizi dell’atto prodromico dovrebbero propagarsi sul sequestro conseguente (c.d. “teoria dei frutti dell’albero avvelenato” – di provenienza statunitense), menzionando le regole della inutilizzabilità della prova previste dall’art. 191 c.p.p. (Cfr. Cass. Sez. V, 22 settembre 1995, in Cass. pen., 1996, 1545; Cass., sez. V, 13 marzo 1992, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1127 ss.), o, comunque, il meccanismo della nullità derivata previsto dall’art. 185 c.p.p. (Cass., Sez. III, 26 aprile 1995, in Cass. pen., 1996, 1876; Cass., Sez. VI, 12 maggio 1994, in C.E.D. Cass., Rv. n. 200053). Peraltro, in quel lasso temporale sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali, con la sentenza 16 maggio 1996, in Cass. pen., 1996, 3272 (e qualche tempo dopo: Cass., Sez. un., 20 novembre 1996, in Arch. nuova proc. pen.,1997, 198) hanno affermato che il rapporto tra perquisizione e sequestro non è esauribile nell’area riduttiva di una mera conseguenzialità cronologica, in quanto la perquisizione non è soltanto antecedente cronologico del sequestro, rappresentando invece lo strumento giuridico che rende possibile il ricorso al sequestro stesso. Nonostante queste premesse hanno però concluso nel senso di ritenere, in ogni caso, valido il sequestro del corpo del reato o delle cose ad esso pertinenti, indipendentemente da come si è pervenuti a quel risultato.

[48] F. CORDERO, Tre studi sulle prove penali cit., 613 ss.; P. FELICIONI, in AA.VV., Trattato di procedura penale, XX, a cura di G. Ubertis e G. P. Voena, Milano, 2007, 556 ss.; A. ZAPPULLA, Le indagini per la formazione della notitia criminis: il caso della perquisizione seguita da sequestro, in Cass. pen., 1996, 1888.

[49] Cfr. C. TAORMINA, Diritto processuale penale, Vol. I, Torino, 1995, 282, secondo cui è possibile che a seguito di ispezione possano crearsi delle esigenze di azionare l’impiego di un mezzo ablativo ben più complesso e penetrante del rilievo tecnico previsto dall’art. 244, comma 2, c.p.p. e cioè di un vero e proprio sequestro in senso tecnico.

[50] La limitazione al solo «corpo del reato» del potere di sequestro previsto dalla disposizione de qua, per vero non solo appare conforme alla stessa formulazione letterale della norma, ma, soprattutto, appare corrispondere ad una ben precisa ratio, da rinvenirsi nella fondamentale esigenza di circoscrivere l’attività dei privati capace di incidere sui diritti soggettivi altrui – nei casi in cui sia loro concessa –, al minimo indispensabile per le esigenze di giustizia. Così argomentando, dunque, le cose pertinenti al reato non sarebbero legittimamente sequestrabili ad iniziativa del privato che ha proceduto all’arresto in flagranza, con conseguenziale rischio di dispersione di materiali probatori potenzialmente utili ai fini dell’accertamento dei fatti. Ciò nondimeno, il legislatore, in ragione dell’ampiezza indeterminata della categoria ontologica delle «cose pertinenti al reato», al fine di circoscrivere le subitanee scelte discrezionali del privato, ha ritenuto opportuno limitare il di lui potere di assicurazione al processo in funzione probatoria solo e soltanto alle res che presentino una così evidente e intuitiva relazione di immediata pertinenza con il reato, da apparire ictu oculi quali, per l’appunto, una sorta di «corpus» fisico di esso. In argomento, volendo, M. GRANDE, Flagranza del reato e sequestro da parte del privato, in www.archiviopenale.it/., fasc. 1, 2018.  

[51] Rubricata «Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici», nel caso di specie viene contestato nei capi di incolpazione provvisoria alle lettere A) - B). La prima ipotesi si sarebbe concretizzata con alcuni coindagati nel giugno 2018, la seconda ipotesi contestata si sarebbe realizzata con altri coindagati tra ottobre 2018 e aprile 2019.

[52] Rubricato «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205», viene contestato nel capo C) e sarebbe avvenuto tra il dicembre 2019 e il novembre 2020.

[53] Su questi profili v. Cass., Sez. III, 3 luglio 2018, n. 42457, in www.italgiure.it/.

[54] Per alcuni precedenti: Cass., Sez. III, 16 gennaio 2019, in C.E.D. Cass., Rv. n. 275688 – 01; Cass., Sez. VI, 12 settembre 2018, ivi, Rv. n. 274781; Cass., Sez. V, 27 febbraio 2015, ivi, Rv. n. 262898.

[55] In argomento si veda anche Cass., Sez. Un., 31 marzo 2016, in C.E.D. Cass., Rv. n. 266789.

[56] Sul punto, v. Cass., Sez. III, 8 giugno 2011, in C.E.D. Cass., Rv. n. 250858 – 01.

[57] In argomento, v. Cass., Sez. IV, 15 gennaio 2020, in C.E.D. Cass., Rv. n. 278434 – 01.

[58] Sul delicato problema del giudicato delle misure cautelari reali v. Cass., Sez. Un., 31 maggio 2018, n. 46201, in www.italgiure.giustizia.it/.

[59] Sul punto la Corte suprema aveva già chiarito che il procedimento incidentale di riesame non dovesse in alcun modo sostituirsi al procedimento principale sino al punto da effettuare una verifica di fondatezza dell’accusa del pubblico ministero. Cfr. Cass., Sez. I, 25 giugno 1999, in Cass. pen., 2000, 2075; Cass., Sez. I, 14 ottobre 1996, ivi, 1997, 3495.

[60] Da leggersi in collegamento sistematico con gli artt. 257, comma 1 e 324, comma 7 c.p.p.

[61] Cass., Sez. IV, 30 novembre 2011, in Guida dir., 2012, 78; Cass., Sez. V, 18 aprile 2011 n. 4589, in DeJure; Cass., Sez. V, 18 maggio 2005, in C.E.D. Cass., n. 231901; Cass., Sez. Un., 11 novembre 1994, in Cass. pen. 1995, 535. In dottrina v. F. LIACI, Il controllo di merito del decreto di sequestro probatorio in sede di riesame, in Percorsi di procedura penale, a cura di V. Perchinunno, Vol. IV, Milano, 2008, 150 ss.

[62] Sul punto, peraltro di poco successiva alla sentenza qui in commento: Cass. Sez. II, 25 febbraio 2022, n. 16540, in http://www.italgiure.giustizia.it/. Tra le altre v. Cass., Sez. II, 5 maggio 2016, in C.E.D. Cass., Rv. n. 267007; Cass., Sez. III,10 marzo 2015, ivi, Rv. n. 263053.

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