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Pubbl. Mar, 9 Ago 2022
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Il diritto dei conflitti armati nel pensiero di Ugo Grozio

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Luciano Labanca
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L´articolo ha l´obiettivo di presentare i temi principali del diritto internazionale dei conflitti armati, nelle due accezioni classiche di ius ad bellum e ius in bello, presentati dal celebre autore olandese, nei tre libri del ”De iure belli ac pacis”, sottolineando il suo contributo allo sviluppo di questa branca del diritto internazionale.


ENG The article aims to present the main themes of international law of armed conflicts, in the two classic meanings of ius ad bellum and ius in bello, presented by the famous Dutch author, in the three books of ”De iure belli ac pacis”, emphasizing its contribution to the development of this branch of international law.

Sommario: 1. Introduzione; 2. La figura di Ugo Grozio; 3. Il diritto internazionale dei conflitti armati nel De iure belli ac pacis; 3.1 I Prolegomena; 3.2. Libro I; 3.3 Libro II; 3.4 Libro III; 4. Il contributo di Ugo Grozio allo sviluppo del diritto internazionale dei conflitti armati; 5. Osservazioni conclusive.

1. Introduzione

La triste attualità del tema bellico ci porta oggi a riflettere sulle fonti del diritto internazionale dei conflitti armati, guardando il pensiero di un autore, Ugo Grozio (1583-1645), considerato uno dei più grandi maestri del diritto internazionale contemporaneo, padre del cosiddetto giusnaturalismo moderno. I temi specifici del diritto bellico sono affrontati dall’autore nel celebre trattato De iure belli ac pacis libri tres, un autentico monumento della scienza giuridica, profondamente radicata sul razionalismo moderno, con un influsso indiscutibile sulle fonti del diritto bellico ancora vigente. Nonostante gli studiosi abbiano abbondantemente discusso sull’effettiva originalità delle sue posizioni, il sistema groziano rimane un punto di riferimento per la scienza del diritto internazionale.  

2. La figura di Ugo Grozio

Huig van Groot, il cui nome latinizzato è Grotius, da cui in italiano Ugo Grozio (1583-1645)[1], è figura di spicco dell’epoca moderna, giurista, filosofo e teologo olandese, considerato in assoluto il padre del diritto internazionale[2]. Per accostarsi alla sua figura, tuttavia, non si può prescindere dal considerare la profonda influenza su di lui esercitata dagli altri grandi padri del diritto internazionale, tra cui gli autori della Scuola di Salamanca, come Francisco de Vitoria, Luis de Molina, Francisco Suàrez e il grande umanista italiano Alberico Gentili. Il contributo portante del Grozio si riferisce alla teorizzazione del diritto naturale, in quello che si definisce giusnaturalismo moderno[3]. La sua tesi principale è l'esistenza di un diritto razionale distaccato dalle preoccupazioni di ordine teologico, fondato sull’autonomia della ragione. La sua riflessione è quella tipica di un umanista cristiano, fortemente influenzato dal pensiero di Erasmo da Rotterdam, cercando di far emergere una trama razionale alla base del sistema giuridico e teologico, che ne costituisce l'essenza e ne sorregge le altre componenti non sostanziali.

Tra gli scritti fondamentali del giurista olandese si colloca l’opera Mare liberum del 1609, frutto della rielaborazione di uno scritto precedente, il De iure predae. In questo saggio, Grozio sostiene la tesi della libertà dei mari per la navigazione e il commercio, a favore degli olandesi contro il monopolio degli spagnoli e dei portoghesi sulle rotte delle Indie orientali e occidentali e su quelle dell’Asia. Grozio, riprendendo il pensiero di Francisco de Vitoria, teorizza per gli olandesi la medesima libertà naturale di pacifica circolazione e pacifico commercio che spagnoli e portoghesi avevano reclamato come iustus titulus per la conquista dell’America nei confroni degli Indiani[4].

3. Il diritto internazionale dei conflitti armati nel De iure belli ac pacis

Il De iure belli ac pacis, l’opera in cui Grozio tratta in maniera sistematica il diritto bellico, fu  pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1625, ed ebbe ben 53 edizioni[5]. Essa è caratterizzata da quattro parti: una introduzione, detta Prolegomena e tre libri. Si tratta di un’opera molto sistematica, frutto dello spirito razionalistico moderno, con l’aggiunta di riflessioni, proposte e indicazioni tratte dalla storia civile ed ecclesiastica, greca, romana e cristiana[6].

3.1 I Prolegomena

Grozio nell’introduzione della sua opera espone l’intento con cui ha voluto comporre lo scritto e il metodo di lavoro. Il giurista sin dall’apertura dell’opera manifesta l’intenzione di trattare il diritto che regola i rapporti fra più popoli e governi, sia fondato sul diritto naturale o divino, sia sulla consuetudine o su un tacito patto umano[7]. Con estrema attualità, sin dall’inizio, l’autore registra la pericolosissima opposizione fra le armi e il diritto, che porta alla soluzione delle controversie tra i popoli con la sola forza[8].

Grozio, riflettendo sul fondamento del diritto, prende le mosse da una profonda rilettura antropologica, riconoscendo la tendenza sociale arricchita dal linguaggio e dalla facoltà di conoscere e agire secondo principi generali. Il giurista sostiene che questa «è la fonte del diritto, che viene propriamente definito con tale nome, comprendente l’astensione dalle cose altrui, la restituzione dei beni altrui e del guadagno da essi derivato, l’obbligo di mantenere le promesse, il risarcimento del danno arrecato per colpa, e il merito della pena fra gli uomini»[9]. Subito più avanti, in uno dei passi più famosi che gli ha attribuito la fama di padre del giusnaturalismo moderno, da intendersi come la concezione del diritto autonoma dalla teologia, egli afferma: «certamente le cose che abbiamo detto fin qui, avrebbero comunque fondamento se ammettesimo – cosa che non può darsi senza gravissima empietà – che Dio non esistesse o che egli non si occupasse delle cose umane (etiamsi daremus […] non esse Deum[10]. Commentando questo passaggio, Todescan afferma: 

«Concentrando l’attenzione su questa frase tutta la storiografia ottocentesca, e in larga misura anche novecentesca, vedeva nel giurista olandese l’assertore del diritto naturale “laico”, valido a prescindere da qualunque cornice teologica. Ora questa interpretazione è risultata essere troppo semplice e riduttiva: è chiaro che una frase da sola non può far sorgere una mentalità. Tuttavia essa coglie un aspetto reale, e precisamente che nell’opera di Grozio stanno maturando i germi della modernità, ma non perché l’autore olandese improvvisamente abbia inventato la “formula” del diritto naturale laico, quanto perché, per un processo molto più complesso, nelle sue opere si manifestano i sintomi della secolarizzazone […] Il problema è molto più complesso ed è se, formula o non formula, la “mentalità” che sorregge l’opera di Grozio ha una mentalità individualistica, razionalistica, secolarizzante, nel qual caso soltanto la formula può essere un punto di riferimento preciso e significante»[11].

A questo punto, Grozio passa all’analisi del diritto divino positivo, per poi soffermarsi su uno dei principi cardine del diritto internazionale, quello dello stare pactis. L’autore ritiene trattarsi di una norma di diritto naturale, che obbliga gli uomini e dalla quale scaturiscono tutti i diritti positivi per coloro che si sono consociati o si sono posti sotto un’autorità, oppure avevano assunto l’impegno di uniformarsi a quanto stabilito dal gruppo o da coloro che avevano autorità[12].

Al capitolo XVII dei Prolegomena, Grozio definisce il cosiddetto “diritto delle genti” (ius gentium), come l’insieme delle norme giuridiche, non originate in vista dei singoli raggruppamenti statali, ma dell’intero loro complesso, distinguendosi dal diritto naturale[13].

Al cap. XXV della medesima sezione, il giurista olandese entra nel vivo della trattazione del diritto bellico, sottolineando la necessità di coniugare guerra e diritto, sia perché ogni guerra non deve essere intrapresa se non per attuare il diritto, sia perché deve essere combattuta secondo il diritto, in maniera leale, con la medesima attenzione con cui si porta avanti un giudizio in tribunale[14]. Qualche rigo più avanti, Grozio presenta tutta l’attualità del suo messaggio: «Vedevo che nel mondo cristiano le guerre si conducono con una mancanza di freni vergognosa perfino per popoli barbari; per futili o inesistenti motivi si ricorre alle armi, una volta prese le quali viene meno ogni rispetto per il diritto divino e per quello umano, proprio come se una norma universale autorizzasse ad infuriare in crimini di ogni specie»[15].

Le fonti del trattato del giurista olandese, come egli stesso afferma, sono da rivedersi nelle posizioni di Francisco de Vitoria, di Alberico Gentili, oltre che degli antichi filosofi, dei retori, del diritto romano e della storia antica e si poggia sull’autorità delle Scritture e degli antichi Concili. Grozio, seppur in maniera indiretta, non è alieno, tuttavia, da un certo atteggiamento critico nei confronti del diritto canonico, sottolineando l’intento di attenersi maggiormente alle fonti precedenti. Non sembra possibile, in base a quanto emerge dal testo, affermare con certezza se l’atteggiamento di Grozio sia quello del background protestante, notoriamente critico verso le fonti del diritto canonico, oppure se si tratti di una improbabile “non conoscenza” effettiva della lezione offerta dai testi canonici del Corpus iuris canonici e dei suoi maggiori commentatori medievali[16]. Questa seconda possibilità, inoltre, sembra contraddetta da citazioni di Decretali e altri testi canonici, che emergono nel corso della trattazione[17].

3.2 Libro I

In apertura del libro I del trattato, Grozio presenta una definizione di guerra, intesa come «lo status di coloro che affrontano contrasti mediante la forza»[18]. Ciò che risalta immediatamente da questa definizione, è l'estrema generalità, che non permette una chiara distinzione tra conflitti sul piano di autorità statali indipendenti e conflitti interni, come sarà chiaro negli sviluppi giuridici successivi.

Subito dopo, Grozio riflette sulla possibile esistenza di una guerra giusta o sulla liceità di fare la guerra, esaminando il problema secondo diverse prospettive: quello della storia sacra, del consenso dei popoli, del diritto delle genti, come anche delle Sacre Scritture[19].

Nel capitolo III del I libro viene offerta un’analisi dettagliata del concetto di sovranità, partendo dalla prima grande divisione fra la guerra pubblica, condotta da un’autorità dotata di giurisdizione, quella privata, mossa da autorità priva di giurisdizione e quella mista, nella quale convivono entrambe le forme precedenti[20]. Il potere, per dirsi sovrano, deve fondarsi su atti che non sottostanno al diritto altrui, salvo a quello di colui che esercita la stessa sovranità o il suo successore nel medesimo potere. Lo Stato è il soggetto comune di questo potere, mentre il soggetto proprio è chi detiene il potere effettivo, a livello personale, come nel caso di un sovrano, o una collettività, come nel caso di una democrazia, secondo la specificità di ciascun popolo[21].

Al capitolo IV viene presentato il tema della guerra dei sudditi contro i loro sovrani. Grozio, in questo contesto, parlando dell’obbedienza all’autorità, fa appello alla coscienza e afferma: «Se i superiori ordinano qualcosa di contrario al diritto naturale o ai precetti divini, non si deve fare ciò che comandano. Quando gli Apostoli, infatti, dissero di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, si richiamarono ad una regola certissima scritta in ogni cuore […] ma poi se ci viene inflitto qualche maltrattamento, a causa di tale rifiuto di obbedire, o perché così piace al sovrano, bisogna tollerarlo piuttosto che resistergli con la forza»[22].

Soffermandosi ancora sulle prerogative dell’autorità, il giurista olandese descrive il ruolo dello Stato nel limitare il diritto personale indiscriminato di resistenza, per tutelare un bene maggiore che è la pace e l’ordine pubblico della società intera, evitando che la società si trasformi in una «moltitudine disgregata» (dissociata multitudo)[23].

3.3. Libro II

Il libro II, trattando in modo particolare le cause di una guerra giusta, rappresenta la parte più corposa dell’intero trattato di Grozio. In esso vengono esaminati dettagliatamente numerosi istituti di diritto privato e di diritto delle genti, legati al diritto bellico.

Il primo concetto sviluppato da Grozio è quello di causae belli, che egli distingue accuratamente in cause utili e cause giuste. Solo quelle che muovono dal giusto sono oggetto di attenzione del nostro giurista, perché fondano i principi del diritto bellico[24]. Esaminandole nello specifico, il nostro autore afferma: «Chiaramente quelle che sono fonti delle azioni forensi, lo sono anche della guerra: infatti dove vengono meno le azioni giudiziarie, inizia la guerra. Si danno, dunque, azioni o a causa dell’ingiuria non commessa, o a causa di quella commessa. A causa di quella non commessa, per chiedere la cauzione riguardo al non aver attaccato, ugualmente del danno inferto, e avendo interdetto gli altri per non fare violenza. A causa di quella commessa, o per riparare, o per punire […] 2. La maggior parte delle guerre determinano tre cause giuste: la difesa, il recupero di beni e la punizione»[25].

Viene poi esaminato il concetto di difesa, come giusta causa di guerra, sviluppato in diverse dimensioni, quali la difesa della vita, quella contro un aggressore o in caso di pericolo presente e certo o per il pericolo di mutilazione o contro la pudicizia[26].

Al capitolo XX del libro II, concentrandosi sull’istituto giuridico della “pena” il nostro giurista dichiara che i re e coloro che ne hanno i medesimi diritti, possono muovere guerra verso coloro che violano il diritto naturale o il diritto delle genti, non solo verso se stessi o i propri sudditi, ma anche verso qualunque altra persona. Il giurista olandese sostiene con forza che verso tali barbari, «più bestie che uomini»[27], la guerra sarebbe totalmente naturale e più che giusta. Di grande attualità risulta essere anche il passo in cui Grozio si interroga sulla liceità di muovere guerra verso coloro che non abbracciano la religione cristiana. Il nostro autore risponde negativamente in base a due motivazioni: in primo luogo perché la fede conserva una dimensione misterica, che deriva dall’opera segreta della grazia di Dio, a cui non si può sostituire alcuna opera umana, poi, perché Cristo nella nuova legge, ha dichiarato che nessuno deve essere costretto ad accogliere la fede con la forza o per timore[28].   

Proseguendo le sue argomentazioni, Grozio presenta la necessità di evitare le guerre, ricorrendo all’arbitrato, soprattutto fra le nazioni cristiane[29].

Sulla scia della scuola di Salamanca, nonché del giurista Alberico Gentili, anche Grozio si è interrogato sulla possibilità che una guerra sia giusta da entrambe le parti coinvolte. Egli si concentra anzitutto sulle differenti accezioni di giusto, secondo la causa o secondo l’effetto. In base alla causa, per quanto concerne la giustizia di chi opera, o la giustizia della cosa che si compie. In base all’oggetto, evidentemente non può esistere una guerra giusta da entrambe le parti. A livello soggettivo, invece, se qualcuno agisce in maniera ingiusta inavvertitamente, può accadere che entrambe le parti si ritrovino ad essere nel “giusto” soggettivamente parlando, perché entrambi sarebbero in buona fede[30]. Anche dal punto di vista dell’effetto della guerra, Grozio sostiene che possa esistere una guerra combattuta giustamente da entrambe le parti[31].

Trattando di una guerra mossa in favore di altre persone, che siano i propri sudditi, oppure altri, in un passaggio del capitolo XXV, Grozio sostiene che se un cittadino innocente viene minacciato di morte dal nemico, egli potrebbe essere senza alcun dubbio abbandonato nelle sue mani, se ragionevolmente non si può prevedere un successo, data la superiorità militare del nemico[32]. È evidente, in questo caso, che il criterio applicato sia quello della pubblica sicurezza, come superiore alla tutela del singolo. In questa posizione di Grozio, si coglie una visione ancora molto immatura, rispetto a quella che sarà la rielaborazione contemporanea di quello che si chiama il diritto internazionale dei diritti umani[33]. In esso, infatti, si riscontra uno dei principi fondamentali che è quello della tutela della vita del singolo, come precondizione e riconoscimento basilare di ogni altro diritto civile e politico e mai derogabile, neache di fronte ad una minaccia pubblica dell’esistenza dello Stato[34].

Molto interessante, inoltre, quanto arguito da Grozio circa il possibile intervento bellico in favore di sudditi altrui, per allontanare da loro le eventuali offese di chi li governa.  Nel linguaggio attuale, si definisce questo tipo di intervento come ingerenza umanitaria. A dire di Grozio, nonostante i diritti dei sovrani e la loro legittima autonomia, questo tipo di intervento sarebbe fondamentale in casi di somma necessità e quando si presentano le esigenze della vera carità[35].

Al capitolo XXVI del libro II, infine, in una sorta di diritto all’obiezione di coscienza ante litteram, Grozio tratta del dovere dei militari di astenersi dal combattere quando gli consti l’ingiustizia della causa di guerra[36].

3.4.Libro III

Dopo l’esame di temi legati allo ius ad bellum, come i soggetti autorizzati a muovere guerra nel libro I, le cause di guerra nel II, nel libro III Grozio si sofferma diffusamente sullo ius in bello, ossia su quanto sia lecito fare o non fare in un conflitto bellico già iniziato. Le fonti di questa normativa sono da lui individuate nel diritto naturale e in quello pattizio[37]. Vengono anzitutto enumerati tre principi generali di diritto naturale, che stanno alla base del diritto bellico:

I. In guerra sono lecite le cose necessarie per la difesa della vita, per l’invasione di un territorio altrui in caso di pericolo e per recuperare con la forza ciò che era stato ingiustamente sottratto;

II. Il diritto può sorgere anche da cause che possono sorgere in corso di conflitto, come avviene nel caso di processi, dove possono sorgere ulteriori diritti alle parti.

III. Al diritto di agire conseguono indirettamente e al di fuori del proposito di chi agisce, molte altre cose, di cui per sé stesse non esisterebbe diritto[38].

Proseguendo nella sua trattazione, al capitolo III, Grozio sostiene l’assoluta necessità di indire ufficialmente la guerra, decretandola pubblicamente, affinchè l’altra parte possa venirne a debita conoscenza[39]. A margine di quanto sostenuto da Grozio, una studiosa sostiene che «la regola di Grozio intendeva precludere attacchi infidi da uno Stato ad un altro in casi in cui non c’erano stati precedenti conflitti di una certa proporzione e dove lo Stato attaccato non avrebbe avuto mezzi per difendersi; tutto ciò dunque era necessario per assicurare che la guerra fosse portata avanti su chiara decisione di entrambe le parti»[40].

Al capitolo IV, Grozio si sofferma sul diritto di uccidere i nemici in guerra, presentando anche delle affermazioni alquanto problematiche e contraddittorie, rispetto all’economia dell’intero trattato. Il giurista olandese dichiara che esiste un diritto di uccidere tutti coloro che si trovano entro i confini del nemico, sia che siano armati, sia che siano sudditi di chi ha intrapreso la guerra[41] e che questo diritto, addirittura, possa estendersi anche su donne e bambini[42]. Si tratta, evidentemente, di pagine molto problematiche, che manifestano ancora una volta una certa acerbità del pensiero groziano. Il diritto bellico attuale, infatti, prevede l’assoluta protezione della popolazione civile in guerra, secondo il cosiddetto principio di distinzione[43]. Tuttavia, qualche pagina oltre, Grozio sorprendentemente afferma che l’uccisione di nemici, ostaggi o supplici, realizzata in riferimento alla legge del taglione o alla pertinacia nel difendersi, sarebbe comunque ingiusta[44].

Tra il VI e il IX capitolo vengono altre tematiche di ius in bello, come il diritto naturale di acquisire beni in guerra, il diritto di porre in schiavitù i prigionieri, il diritto di imperio sui vinti e il diritto di postliminio, ossia la riacquisizione dei diritti e della libertà, a cessazione della guerra e mediante il ritorno in patria[45].

Al capitolo X, Grozio sostiene che in caso di guerra ingiusta, gli stessi atti che sarebbero leciti nel contesto di una guerra giusta subiscono delle forti limitazioni, come ad esempio l’uccisione, la distruzione dei beni e la rapina[46]. Anche in una guerra giusta, tuttavia, il diritto di uccidere è sempre sottoposto ad una stretta moderazione. È evidente come queste pagine siano fortemente incoerenti, rispetto a quanto lo stesso autore aveva affermato al capitolo IV del medesimo libro III, circa l’uccisione dei nemici. L’argomento di Grozio, in questo contesto, si fonda sul principio in base al quale si deve evitare il più possibile il male degli innocenti, che per presunzione di diritto sono in primis i bambini e le donne, a meno che esse stesse non abbiano usato le armi, perdendo l’innocenza[47]. Accanto alle donne e ai bambini, Grozio rifacendosi espressamente al diritto delle Decretali[48], elenca anche diverse categorie di persone, che per presunzione di diritto sono da ritenersi innocenti, quali i naviganti, i chierici, i monaci, i religiosi, i letterati, i contadini, i mercanti e gli artigiani[49].

Accanto alla moderazione del diritto di uccidere (ius interficiendi), il giurista olandese nei capitoli successivi, estende lo stesso criterio a diversi aspetti della guerra, come alla distruzione, alla requisizione di beni, ai prigionieri, al potere di imperio e al diritto di postliminio[50].

In apertura del libro III, Grozio aveva specificato che le fonti dello ius in bello sono il diritto naturale e il diritto derivato da accordi, il cosiddetto diritto pattizio. Dopo aver esaminato la prima fonte, a partire dal XIX capitolo, Grozio entra nella trattazione della seconda fonte. Egli sostiene che è proprio della società fondata sulla ragione e sul linguaggio, come nel caso della società umana, avere diritti basati su promesse[51]. Il principio stare pactis, a suo dire, si estende anche ai nemici traditori, ma si deve tener presente, tuttavia, che il nemico può mancare ad alcune condizioni del patto, facendo venir meno l’obbligo anche per l’altra parte, oppure a causa della compensazione, ossia quando ciò che abbiamo promesso può non essere osservato, se non vale di più dei nostri beni che illecitamente sono nelle mani altrui[52].

A partire dal capitolo XX Grozio tratta della conclusione della guerra, soffermandosi soprattutto sullo strumento dei trattati: a suo dire la stipulazione dell’accordo di pace, deve avvenire ad opera di coloro che posseggono il medesimo potere di muovere guerra, ossia i responsabili degli Stati[53]. Nelle pagine successive, con dovizia di particolari, si sofferma anche sull’interpretazione dei trattati di pace, la loro osservanza, l’eventuale rottura e gli effetti sul territorio, sui beni e sui prigionieri di guerra[54].

Nel capitolo XXI vengono esaminati tre particolari istituti mediante i quali osservare i patti in bello: le tregue, il diritto di passaggio e la liberazione dei prigionieri[55].

Di grande interesse e attualità sembra quanto Grozio descrive nel capitolo XXIV, dove fa cenno ai segnali convenzionali, che possono avere un valore significativo in guerra: «Ci sono anche alcuni segnali muti significativi per consuetudine, come una volta le fasce e i rami degli ulivi, presso i Macedoni l’erezione di aste, presso i romani gli scudi messi sul capo, segni di supplice resa, che obbligano dunque a riporre le armi. Ci si chiede se chi accetta la resa vi sia obbligato e fino a che punto, in base a quanto affermato prima. Oggi le vele bianche significano tacitamente richiesta di dialogo: obbligheranno dunque non meno che se la irichiesta fosse compiuta a voce»[56].

In questo elemento descritto da Grozio, si può chiaramente leggere l’anticipazione di quanto è stabilito nel diritto internazionale dei conflitti armati vigente, dove i segnali, come la croce rossa, la mezzaluna rossa o il leone rosso sono convenzionalmente utilizzati per indicare i mezzi di soccorso, oppure i luoghi deputati alla cura degli ammalati[57].

5. Il contributo di Ugo Grozio allo sviluppo del diritto internazionale dei conflitti armati

Volendo raccogliere sinteticamente alcuni elementi relativi al contributo di Grozio allo sviluppo del diritto di guerra, si può anzitutto far riferimento alla metodologia dell’autore olandese. Facendo nostra la linea di Todescan, sembra potersi riconoscere nello scritto groziano un doppio movimento metodologico: quello analitico a priori e quello sintetico a posteriori[58]. I concetti del diritto naturale, infatti, possono ricavarsi sia in una forma, che nell’altra. Si potrebbe partire dall’analisi di principi autoevidenti, come nelle opere degli autori della Seconda Scolastica, come anche mediante l’indagine del consenso dei popoli, con un peso fondante attribuito all’indagine storica sulle norme giuridiche comuni a diverse nazioni[59]. Leggendo l’opera di Grozio in questo modo, più che padre di un giusnaturalismo razionalista e astratto, come sarà quello degli autori posteriori, appartenenti a quella corrente, egli deve essere considerato un autore originale, soprattutto in base a quel rapporto strettissimo da lui individuato fra ragione e storia[60].

Esaminando l’impianto argomentativo del trattato di Grozio, emerge con chiarezza come esso non presenti particolari novità contenutistiche rispetto alle posizioni dei precedenti autori, come quelle della scuola di Salamanca e di Alberico Gentili. Senza alcun dubbio, Grozio non è stato un pedissequo ripetitore degli Scolastici medievali e moderni, ma vi ha certamente attinto molto per quanto riguarda le tematiche del diritto internazionale in generale[61] e del diritto bellico in particolare. Egli, in altre parole, non si è discostato dall’impostazione classica sulla guerra giusta, ben fondata sugli impianti teoretici medievali, ma ha saputo sistematizzare anche le due anime del diritto bellico elaborate dagli autori moderni, ossia lo ius ad bellum e lo ius in bello.

Il titolo dell’opera di Grozio, facendo riferimento al diritto di guerra e di pace, suggerirebbe un’ampiezza maggiore dei tentativi precedenti, tuttavia esso, al dire di Haggenmacher, «non contiene nessun diritto internazionale di pace nel senso comune del termine: esso tratta essenzialmente del diritto di guerra, come il lavoro di Gentili»[62].

Nel pensiero di Grozio, sulla scia della tradizione giuridica precedente, la prepogativa di muovere la guerra, sempre intesa come extrema ratio, spetta alle autorità statali, che possono servirsene per la soluzione di conflitti insorti tra le medesime, tenendo fermi i principi del diritto naturale e del diritto pattizio, che non vengono mai meno, neppure durante lo scoppio delle ostilità[63]. Le argomentazioni groziane toccano poi le cause legittime di guerra, le modalità concrete di conduzione del conflitto, le sue conclusioni, con la stipulazione della pace. 

Nell’impianto argomentativo di Grozio, tuttavia, si possono certamente riscontrare differenti contraddizioni e falle. Come sottolineato analizzando i contenuti del libro III del De iure belli ac pacis, un passaggio certamente problematico è dato da quanto affermato circa la possibilità di uccidere gli innocenti che stanno tra i confini nemici, contraddetta alcune pagine più avanti dalla disanima delle differenti categorie di coloro che per presunzione di diritto sono da ritenere innocenti e che devono essere tenute a debita distanza dagli scontri bellici. Risulta poi fortemente problematica per il lettore contemporaneo anche la possibilità di togliere la vita ad una persona in vista della sicurezza dello Stato. Si tratta certamente di posizioni ancora immature, che saranno ben superate dal diritto internazionale dei conflitti armati, sviluppatosi nel corso dei secoli successivi.

Il contributo originale di Grozio allo sviluppo dello ius belli, secondo Haggenmacher, insigne studioso del pensiero dell’olandese, sarebbe stato quello di ricostruire metodicamente, in accordo con i principi della logica, l’ambito del diritto bellico, che si collocava oltre i confini del semplice diritto civile. Con la sua opera, Grozio metteva mano in quella parte delle relazioni sociali e giuridiche in cui nessun magistrato era in grado di risolvere le controversie e dove la guerra era considerata una legittima istituzione[64]. Un esempio concreto di questa operazione intellettuale può ritrovarsi nella trattazione del problema sempre centrale del diritto bellico, ossia quello delle iustae causae belli. Rifacendosi alla tradizione precedente della scuola di Salamanca e di Alberico Gentili, anche Grozio le individua fondamentalmente nell’iniuria, riprendendo un’idea che può farsi risalire a Sant’Agostino. Egli, tuttavia, approfondisce il concetto di iniuria, offrendo una soluzione nuova: essa non sarebbe altro che la violazione di uno ius, inteso come diritto soggettivo, che prevede quattro tipologie di azioni legittime: l’autotutela della propria persona e delle proprietà, la rivendicazione in rem, il perseguimento di diritti in personam, l’applicazione di punizioni. 

Sintetizzando il contributo di Grozio allo sviluppo del diritto internazionale moderno, Gozzi a sua volta, dichiara lucidamente che  «l’opera di Grozio riflette, da un lato, la fase della grande espansione commerciale e coloniale del XVII secolo e, dall’altro, delinea con chiarezza i tratti di quella società internazionale degli Stati che sarebbe nata con la pace di Westfalia e si sarebbe sviluppata fino alla prima guerra mondiale. Nell’epoca successiva all’età di Grozio maturarono pienamente altri orientamenti internazionalistici corrispondenti alla configurazione delle relazioni tra gli Stati create dalla pace di Westfalia»[65].

Sembra interessante, infine, a margine della trattazione del pensiero di Grozio sullo ius belli, riportare quanto affermato da Stumpf, che sottolinea due elementi di novità presenti nell’opera del giurista olandese:

1. se il diritto internazionale classico dell’epoca moderna si era soffermato esclusivamente sugli Stati come i soli agenti responsabili e qualificati a livello internazionale, «Grozio qui aiuta ad identificare il ruolo morale e legale dell’individuo come punto di riferimento per diritti e responsabilità anche in un contesto transnazionale»[66].

2. la vera rilevanza di Grozio nel moderno diritto pubblico non nasce dal suo presunto secolarismo, ma piuttosto dal riconoscimento che ci sono dei valori morali alla base della condotta di ciascuno nell’arena internazionale. Egli ha dimostrato che «anche nel variare dei concetti morali a livello internazionale, si potrebbe provare più utilmente ad identificare potenziali sfondi morali comuni per costruire su di essi una trama legale internazionale, piuttosto che ignorare del tutto la moralità in favore di un positivismo legale, come si è tentato di fare nei decenni passati»[67].  

5. Osservazioni conclusive

In conclusione possiamo affermare che Grozio, con il suo trattato sulla guerra, ha raggiunto un livello di grande maturità sistematica nell’elaborazione dei principi del diritto naturale, come base delle relazioni interstatali in tempo di pace e di guerra. La fortuna di Grozio, dovuta per lo più alla sua emancipazione razionalistica del diritto dai dettami della Rivelazione e della Teologia, non sempre ha reso ragione del suo reale contributo. In realtà, analizzando le pagine del suo trattato, si è visto come egli non abbia offerto nuovi contenuti al diritto bellico classico, il cui materiale era già stato ben elaborato dalla tradizione che lo aveva preceduto, e le cui falle, inoltre, sono ancora evidenti nel suo pensiero. Più che elaborare un nuovo diritto, infatti, Grozio voleva rammentare le validità dei risultati raggiunti sin dall’antichità, guardando più al passato, che al futuro. 

Sarà, dunque, lo sviluppo graduale e continuo della riflessione dottrinale, aperta alla lezione della storia, a condurre la coscienza dell’umanità a limare e perfezionare questa branca del diritto internazionale, cosi tristemente attuale e disattesa.

A mo’ di conclusione, rispetto al ruolo di Grozio nello sviluppo del diritto internazionale in generale e del diritto dei conflitti armati in particolare, sembra opportuno riaffermare che, al di là dell’indubbio valore della sua opera, il processo di costruzione dell’edificio intellettuale del cosiddetto diritto internazionale moderno, non può ridursi al lavoro dell’unica mente del giurista olandese, ma come afferma ancora Haggenmacher, «oggi, è generalmente riconosciuto che si tratti di una creazione collettiva che si protrae per oltre un secolo. I Tre Libri di Grozio ebbero, ovviamente, un posto cruciale nelle complesse interazioni che circondavano questo processo. Tuttavia, essi sono debitori di ciò che sono diventati, e del loro ruolo storico, ai predecessori del loro autore»[68].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per una dettagliata biografia di Huig van Groot, cfr. G. SOLARI, “Groot, Huig van (Grotius)”, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, vol. XVII, Milano, 1933, 989-990.

[2] Cfr. F. TODESCAN, Compendio di storia della filosofia del diritto, Padova, 2009, 159; C. FOCARELLI, Introduzione storica al diritto internazionale, Milano, 2012, 214.

[3] Questa corrente giuridico-filosofica presenta due elementi fondamentali: la fiducia nella possibile costruzione di un sistema coerente di norme, fondato su un procedimento deduttivo, partendo dall’analisi di principi generali di giustizia e ragione, accanto all’elemento contrattualistico, che postula uno stato originario di natura e libertà individuale, preesistente alle istituzioni politiche e civili, alle quali l’uomo giunge mediante un contratto sociale. Cfr. A. CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, I, Milano, 1982, 326-327; P. GROSSI, L’Europa del diritto, Bari, 2007, 96-99; F. CAPONNETTO, Introduzione allo studio delle esperienze giuridiche. 1. Sistemi giuridici comparati, Roma, 2014, 58-60.

[4] Cfr. G. GOZZI, Diritti e civiltà. Storia e filosofia del diritto internazionale, Bologna, 2010, 47.

[5] Cfr. HUGO GROTIUS, De iure belli ac pacis libri tres, in quibus ius naturae et gentium item iuris publici praecipua explicantur, Lugduni Batavorum, 1939, rist. anast., Aalen, 1993.

[6] Cfr. F. TODESCAN, Compendio di storia della filosofia del diritto, op. cit., 161; G. BARBERINI, Il contributo della dottrina cattolica per l’elaborazione dei principi di diritto internazionale, Cosenza, 2012, 46-47.

[7] Cfr. HUGO GROTIUS, De iure belli ac pacis, Prol. I: Aalen, 1993, 5.

[8] Cfr. Ivi, Prol. III: Aalen, 1993, 6.

[9] Nostra traduzione di Ivi, Prol. VIII: Aalen, 1993, 9: «Haec vero quam rudi modo iam expressimus societatis custodia humano intellectui conveniens, fons est eius iuris, quod proprie tali nomine appellatur: quo pertinet alieni abstinentia, et si quid alieni habeamus aut lucri inde fecerimus restitutio, promissorum implendorum obligatio, damni culpa dati reparatio, et poenae inter homines meritum».

[10] Nostra traduzione di Ivi, Prol. XI: Aalen, 1993, 10: «Et haec quidem quae iam diximus, locum aliquem haberent, etiamsi daremus, quod sine summo scelere dari nequit, non esse Deum, aut non curari ab eo negotia umana».

[11] F. TODESCAN, Compendio di storia della filosofia del diritto, 160.

[12] Cfr. HUGO GROTIUS, De iure belli ac pacis.

[13] Cfr. Ivi, Prol. XVII: Aalen, 1993, 12.

[14] Cfr. Ivi, Prol. XXV: Aalen, 1993, 15-16.

[15] Nostra traduzione di Ivi, Prol. XXVIII: Aalen, 1993, 17: «Videbam per Cristianum orbem vel barbaris gentibus pudendam bellandi licentiam: levibus aut nullis de causis ad arma procurri, quibus semel sumtis nullam iam divini, nullam humani iuris reverentiam, plane quasi uno edicto ad omnia scelera emisso furore».

[16] Cfr. L. LABANCA, Lo ius belli: dal Decretum di Graziano al diritto internazionale vigente. Ricognizione e analisi delle fonti canoniche e internazionali, Milano, 2019, 245.

[17] Cfr. P. HAGGENMACHER, Grozio e Gentili: una nuova valutazione della prolusione di Thomas E. Holland, in M. FERRONATO – L. BIANCHIN (CURR.), Silete thologi in munere alieno. Alberico Gentili e la seconda scolastica, Atti del Convegno Internazionale, Padova, 20-22 novembre 2008, Peschiera Borromeo (MI), 2011, 365.

[18] HUGO GROTIUS, De iure belli ac pacis, I, 1, 2: Aalen, 1993, 30.

[19] Cfr. Ivi, I, 1, 2: Aalen, 1993, 48.

[20] Cfr. Ivi, I, 3, 1: Aalen, 1993, 89-90.

[21] Cfr. Ivi, I, 3, 7: Aalen, 1993, 100-101.

[22] Nostra traduzione di Ivi, I, 4, 1: Aalen, 1993, 138: «si quid imperent naturali iuri aut divinis praeceptis contrarium, non esse faciundum quod iubent. Nam Apostoli cum dixerunt Deo magis quam hominibus obediendum, ad certissimam provocarunt regulam, omnium inscriptam mentibus […] at siqua ex tali causa, aut alioqui quia summum imperium habenti ita libet, iniuria nobis inferatur, ea toleranda est potius quam vi resistendum».

[23] Ivi, I, 4, 2: Aalen, 1993, 138.

[24] Cfr. Ivi, II, 1, 1-2: Aalen, 1993, 167-168.

[25] Cfr. Ivi, II, 2, 1-2: Aalen, 1993, 170: «Ac plane quot actionum forensium sunt fontes, totidem sunt belli nam ubi iudicia deficiunt incipit bellum. Dantur autem actiones aut ob iniuriam non factam, aut ob factam. Ob non factam, ut qua petitur cautio de non offendendo, item damni infecti, et interdicta alia ne vis fiat. Factam, aut ut reparetur, aut ut puniatur […] 2. Plerique bellorum tres statuunt causas iustas, defensionem, recuperationem rerum et punitionem».

[26] Cfr. Ivi, II, 3-7: Aalen, 1993, 171-178.

[27] Cfr. Ivi, II, 20, 40: Aalen, 1993, 509-511: «De talibus enim barbaris, et feris magis quam hominibus, […] iustissimum esse bellum in belluas, proximum in homines belluis similes».

[28] Cfr. Ivi, II, 20, 48: Aalen, 1993, 522-523.

[29] Cfr. J. EPPSTEIN, The catholic tradition of the law of Nations, London, 1935, 291.

[30] Cfr. C. STUMPF, Hugo Grotius: Just war thinking between theology and international law, in H-G. JUSTENHOVEN-W. A. BARBIERI JR (CURR.), From Just War to Modern Peace Ethics, Berlino, 2021, 212; G. MINOIS, La Chiesa e la guerraDalla Bibbia all’era atomica, Bari, 2003, 351. 

[31] Cfr. HUGO GROTIUS, De iure belli ac pacis, II, 23, 13: Aalen, 575-577.

[32] Cfr. Ivi, II, 25, 3: Aalen, 1993, 592-593.

[33] Cfr. L. LABANCA, Lo ius belli: dal Decretum di Graziano al diritto internazionale vigente, op. cit., 250. 

[34] Cfr. PACTE INTERNATIONAL RELATIF AUX DROITS CIVILS ET POLITIQUES, art. 6 §1, New York 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, reperibile alla URL: : «Le droit à la vie est inhérent à la personne humaine. Ce droit doit être protégé par la loi. Nul ne peut être arbitrairement privé de la vie». L’articolo precedente è da leggere in combinato disposto con l’art. 4§1-2: «Dans le cas où un danger public exceptionnel menace l'existence de la nation et est proclamé par un acte officiel, les Etats parties au présent Pacte peuvent prendre, dans la stricte mesure où la situation l'exige, des mesures dérogeant aux obligations prévues dans le présent Pacte, sous réserve que ces mesures ne soient pas incompatibles avec les autres obligations que leur impose le droit international et qu'elles n'entraînent pas une discrimination fondée uniquement sur la race, la couleur, le sexe, la langue, la religion ou l'origine sociale. 2. La disposition précédente n'autorise aucune dérogation aux articles 6, 7, 8 (par. 1 et 2), 11, 15, 16 et 18». Cfr. P. DE STEFANI, Il diritto internazionale dei diritti umani. Il diritto internazionale nella comunità mondiale, Padova, 1994, 83-84.

[35] Cfr. HUGO GROTIUS, De iure belli ac pacis, II, 25, 8: Aalen, 1993, 596-597.

[36] Cfr. Ivi, II, 26, 3: Aalen, 1993, 600.

[37] Cfr. Ivi, III, 1, 1: Aalen, 1993, 612.

[38] Cfr. Ivi, III, 1, 2-4: Aalen, 1993, 612-613. 

[39] Cfr. Ivi, III, 3, 5: Aalen, 1993, 649-650. 

[40] Nostra traduzione di I. DETTER, The law of war, Cambridge, 20002, 10: «Grotius’rule was intended to preclude treacherous attacks by one State on another in cases where there had been no preceding conflict of any proportion and where the attacked State had no means of preparing itself; it was above all necessary to ensure that war was waged by the clear decisionof both parties». 

[41] Cfr. Ivi, III, 4, 6: Aalen, 1993, 661.

[42] Cfr. Ivi, III, 4, 9: Aalen, 1993, 663.

[43] Cfr. V. BUONOMO, Il diritto della Comunità internazionalePrincipi e regole per la governance globale, Città del Vaticano, 2010, 147-148.

[44] Cfr. HUGO GROTIUS, De iure belli ac pacis, III, 4, 13: Aalen, 1993, 665.

[45] Cfr. Ivi, III, 6-9: Aalen, 1993, 678-730.

[46] Cfr. Ivi, III, 10, 3: Aalen, 1993, 734.

[47] Cfr. Ivi, III, 11, 9, 3: Aalen, 1993, 753.

[48] Cfr. L. LABANCA, Lo ius belli: dal Decretum di Graziano al diritto internazionale vigente, op. cit., 113.

[49] Cfr. Ivi, III, 11, 10-12: Aalen, 1993, 754-755. 

[50] Cfr. Ivi, III, 12-16: Aalen, 1993, 763-802.

[51] Cfr. Ivi, III, 19, 1: Aalen, 1993, 814.

[52] Cfr. Ivi, III, 19, 13-15: Aalen, 1993, 820-822. 

[53] Cfr. Ivi, III, 20, 2: Aalen, 1993, 826-827.

[54] Cfr. Ivi, III, 20, 3-60: Aalen, 1993, 837-850.

[55] Cfr. Ivi, III, 21: Aalen, 1993, 850-862.

[56] Cfr. nostra traduzione di Ivi, III, 24, 5: Aalen, 1993, 875-876: «Sunt et signa quaedam muta ex consuetudine significantia, ut olim vittae et rami olivarum, apud Macedones hastarum erectio, apud Romanos scuta capiti imposita, signa supplicis deditionis, quae proinde obligant ad arma ponenda. Qui vero deditionem accipere se significat a obligetur et quatenus, ex his quae supra dicta sunt, petendum est. Hodie vela candida tacitum habent signum petiti colloquii, obligabunt ergo non minus quam si voce petitum esset».

[57] A tal riguardo, circa gli emblemi utilizzati per indicare i mezzi per il soccorso e le operazioni mediche durante i conflitti, cfr. (I) CONVENTION DE GENÈVE POUR L’AMÉLIORATION DU SORT DES BLESSÉS ET DES MALADES DANS LES FORCES ARMÉES EN CAMPAGNE DU 12 AOÛT 1949, art. 44, Ginevra 12 agosto 1949, entrata in vigore il 21 ottobre 1950, reperibile alla URL: ; cfr. anche, (II) CONVENTION DE GENÈVE POUR L’AMÉLIORATION DU SORT DES BLESSÉS, DES MALADES ET DES NAUFRAGÉS DES FORCES ARMÉES SUR MER DU 12 AOÛT 1949, art. 41, Ginevra 12 agosto 1949, entrata in vigore il 21 ottobre 1950, reperibile alla URL: ; (IV) CONVENTION DE GENÈVE RELATIVE À LA PROTECTION DES PERSONNES CIVILES EN TEMPS DE GUERRE DU 12 AOÛT 1949, artt. 18.20-22, Ginevra 12 agosto 1949, entrata in vigore il 21 ottobre 1950, reperibile alla URL: ; PROTOCOL ADDITIONAL TO THE GENEVA CONVENTIONS OF 12 AUGUST 1949, AND RELATING TO THE ADOPTION OF AN ADDITIONAL DISTINCTIVE EMBLEM (PROTOCOL III), OF 8 DECEMBER 2005, artt. 2-3, Ginevra 8 dicembre 2005, entrato in vigore il 14 gennaio 2007, reperibile alla URL: .

[58] Cfr. F. TODESCAN, Compendio di storia della filosofia del diritto, op.cit., 163.

[59] Cfr. P. GROSSI, L’Europa del diritto, op. cit., 99-100; F. VIOLA, La teoria della guerra giusta e i diritti umani, in S. Semplici (Cur.), Pace, sicurezza diritti umani, Padova, 2005, 57-58; R. J. DELAHUNTY – J. YOO, From Just War to False Peace, in Chicago Journal of International Law, 13 (2012) 1, 17-20. 

[60] Cfr. G. Fassò, Introduzione, in F. Arici – F. Todescan (Curr.), Ugo Grozio, Il diritto della guerra e della pace, Prolegomeni e Libro primo, Peschiera Borromeo (MI), 2010, XXVI.

[61] Cfr. A. CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, I, op.cit., 329-330; G. FASSÒ, Introduzione, in F. ARICI – F. TODESCAN (CURR.), Ugo Grozio, op.cit., XXXVII-XL.

[62] P. HAGGENMACHER, Grozio e Gentili: una nuova valutazione della prolusione di Thomas E. Holland, in M. FERRONATO – L. BIANCHIN (CURR.), Silete thologi in munere alieno, op.cit., 376.

[63] Cfr. M. FUMAGALLI - B. BROCCHIERI, Cristiani in armi. Da Sant'Agostino a Wojyila, Bari, 2006, 82.

[64] Cfr. P. HAGGENMACHER, Grozio e Gentili: una nuova valutazione della prousione di Thomas E. Holland, in M. FERRONATO – L. BIANCHIN (CURR.), Silete thologi in munere alieno, op.cit., 381.

[65] G. Gozzi, Diritti e civiltà, op.cit., 74.

[66] Nostra traduzione di C. STUMPF, Hugo Grotius: Just war thinking between theology and international law, in H-G. JUSTENHOVEN-W. A. BARBIERI JR (CURR.), From Just War to Modern Peace Ethics, op. cit., 216.

[67] Ibidem.

[68] P. HAGGENMACHER, Grozio e Gentili: una nuova valutazione della prousione di Thomas E. Holland, in M. FERRONATO – L. BIANCHIN (CURR.), Silete thologi in munere alieno, op.cit., 396.