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Pubbl. Mer, 19 Feb 2025
Sottoposto a PEER REVIEW

La tutela europea e internazionale in ambito di circolazione di beni culturali: strumenti normativi a confronto

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Lia Montereale
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Roma La Sapienza



Il presente articolo ripercorre la normativa europea e internazionale vigente in materia di protezione dei beni culturali degli Stati, spesso oggetto di traffico illecito, analizzandone i principali aspetti e le principali criticità.


ENG

The european and international protection with reference to the circulation of cultural goods: a comparison of regulations

This article reviews the current european and international legislation on the protection of the cultural goods of the States, often affected by illicit trafficking, analyzing main aspects and critical issues.

Sommario: 1. Premessa; 2. L’esportazione dei beni culturali dal territorio dell’Unione europea: il regolamento (CE) 116/2009; 3. La restituzione dei beni culturali illecitamente sottratti: la direttiva 2014/60/UE; 3.1. L'applicazione pratica della direttiva europea in Italia; 4. L’importazione dei beni culturali nel territorio dell’Unione europea; 5. Le convenzioni internazionali: uno sguardo di insieme; 5.1. La convenzione de L’ Aja del 1954; 5.2. La convenzione UNESCO del 1970; 5.3. La convenzione UNIDROIT del 1995; 5.4. La convenzione di Nicosia del 2017 e la legge 9 marzo 2022 n. 22, recante «Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale»; 6. Conclusioni.

1. Premessa

Il controllo sulla circolazione internazionale dei beni culturali costituisce un’attività complessa, finalizzata a preservare l’integrità del patrimonio culturale di ciascun paese.

Anche a livello europeo il legislatore ha inteso disciplinare la materia della circolazione dei beni culturali, introducendo una legislazione comune per gli Stati membri, la quale ha integrato le disposizioni normative nazionali.

Come noto, la nascita del mercato interno, all’indomani del trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 (entrato in vigore il 1 novembre 1993), ha sancito le quattro libertà inerenti la circolazione di merci, servizi, persone e capitali.

In ambito culturale, vige, però, la cosiddetta “eccezione di culturalità”. Infatti, ai sensi dell'articolo 36 del TFUE[1] (l’ex articolo 30 del TCE), le pertinenti disposizioni sulla libera circolazione delle merci lasciano impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito, giustificati, tra l’altro, da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale. Ai sensi e nei limiti del predetto articolo 36 cit., gli Stati membri mantengono, pertanto, il diritto di definire quali beni costituiscono il proprio patrimonio culturale nazionale e di adottare le misure necessarie per garantirne la protezione.

Stante la diversità dei sistemi nazionali di protezione dei patrimoni culturali nazionali, la normativa europea in materia di circolazione dei beni culturali ha consentito, quindi, agli Stati membri di identificare il proprio patrimonio culturale nazionale nel quadro dell'articolo 36 del TFUE, assicurandone la tutela e l’interesse pubblico alla sua integrità.

Pur riconoscendo agli Stati membri l’importante compito di definire cosa costituisca il patrimonio culturale per ciascuno di essi, l'Unione incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri al fine di proteggere il comune patrimonio culturale europeo, formato, appunto, da tutti i patrimoni nazionali.

In particolare, sono stati emanati due provvedimenti che hanno disciplinato le politiche europee dell’Unione in materia di beni culturali. Si fa riferimento al regolamento 3911/92/CEE (successivamente sostituito dal regolamento (CE) 116/2009) in materia di esportazione di beni culturali dal territorio dell’Unione verso paesi terzi, e alla direttiva 93/7/CEE (successivamente sostituta dalla direttiva 2014/60/UE) in materia di restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro e successivamente rinvenuti nel territorio di un altro Stato membro. Il regolamento è finalizzato a garantire che le esportazioni dei beni culturali dal territorio dell’Unione verso paesi terzi siano sottoposte a controlli uniformi alle frontiere; la direttiva «è finalizzata alla realizzazione di una concreta cooperazione fra gli Stati membri dell’Unione attraverso il riconoscimento dell'azione di restituzione che ogni Stato membro è legittimato a intraprendere sul piano sostanziale e processuale al fine della restituzione dei beni culturali usciti dal proprio territorio nazionale senza autorizzazione a decorrere dal 1 gennaio 1993[2]».

Atti normativi europei di emanazione più recente sono il regolamento (UE) 2018/1805 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca (che riguarda anche i beni culturali) e il regolamento (UE) 2019/880 relativo all’introduzione e all’importazione di beni culturali da paesi terzi, che verrà illustrato più avanti.

Con riferimento alla disciplina internazionale, al fine di rafforzare la protezione dei beni culturali e contrastarne il traffico illecito, nel corso degli anni sono state stipulate diverse convenzioni internazionali. Lo scopo è quello di tutelare il patrimonio culturale di ciascuno Stato contraente mediante lo strumento della cooperazione internazionale ed evitare che il fenomeno della illecita circolazione dei beni culturali possa causare l’impoverimento e la dispersione del patrimonio culturale dei paesi di origine. 

Tra le più note convenzioni internazionali vi sono la convezione de L’ Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, la convenzione UNESCO del 1970 concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali e la convenzione UNIDROIT del 1995 sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, e, più recentemente, la convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, adottata a Nicosia nel 2017, finalizzata a prevenire e combattere la distruzione, il danneggiamento e la tratta dei beni culturali, nonché a rafforzare l'attività di prevenzione e la risposta del sistema di giustizia penale a tutti i reati di natura culturale, promuovendo  la cooperazione nazionale e internazionale nella lotta contro i reati riguardanti i beni culturali (Camera dei Deputati, servizio studi, XVIII legislatura).

Il presente articolo, pertanto, intende ripercorrere e mettere a confronto le principali disposizioni normative europee ed internazionali vigenti nel settore della circolazione dei beni culturali, al fine di proteggerli e preservarli da possibili importazioni ed esportazioni illecite, nonché di disciplinarne il ritorno nello Stato di origine laddove siano stati da esso illecitamente rimossi.

2. L’esportazione dei beni culturali dal territorio dell’Unione europea: il regolamento (CE) 116/2009

Negli anni novanta del secolo scorso, in vista dell’istituzione dello spazio europeo di libera circolazione delle persone e delle merci, che avrebbe eliminato i controlli doganali alle frontiere degli Stati membri (il sopra citato trattato di Maastricht), l’Unione europea ha emanato due provvedimenti in materia di beni culturali, relativi alla licenza di esportazione e all’azione di restituzione dei beni culturali illecitamente sottratti all’interno dell’Unione europea: il regolamento 3911/92/CEE e la direttiva 93/7/CEE, sostituiti, rispettivamente, dal regolamento (CE) 116/2009 e dalla direttiva 2014/60/UE.

Il regolamento (CE) 116/2009 ha disposto che l’esportazione di beni culturali al di fuori del territorio della Comunità (ora Unione europea) sia subordinata alla presentazione di una licenza di esportazione uguale per ogni paese membro. L’identità della licenza consente e garantisce controlli uniformi alle frontiere esterne dell'Unione europea ed assicura così la mutua protezione dei beni culturali europei.

Le licenze di esportazione rilasciate da ciascuno Stato membro sono, infatti, valide in tutta l’Unione e sono, quindi, utili per accompagnare un bene culturale presso tutte le frontiere europee.

Detto rilascio avviene secondo le previsioni del regolamento e riguarda i beni individuati nell’allegato I al medesimo regolamento. L'allegato I del regolamento, infatti, ha lo scopo di definire le categorie di beni culturali che formano oggetto di particolare protezione negli scambi con i paesi terzi, ferma restando la libertà degli Stati membri di definire i beni da considerare patrimonio culturale nazionale ai sensi dell’art. 36 del TFUE[3].

Il regolamento di esecuzione (UE) 1081/2012, recante disposizioni d’applicazione del regolamento (CE) 116/2009, prevede tre tipi di licenze: la licenza normale; la licenza aperta specifica; la licenza aperta generale.

La licenza normale è utilizzata in circostanze normali per tutte le esportazioni soggette al regolamento (CE) n. 116/2009 ed è valida un anno.

La licenza aperta specifica copre la ripetuta esportazione temporanea di uno specifico bene culturale da parte di una determinata persona o ente (si pensi ad uno strumento musicale per un musicista) ed è valida per cinque anni.

La licenza aperta generale copre le esportazioni temporanee di beni culturali appartenenti alla collezione permanente di un museo o di un’altra istituzione. In particolare, per quanto attiene alle “licenze aperte generali”, l’art. 13 del sopracitato regolamento di esecuzione dispone che «possono essere rilasciate licenze aperte generali a musei o ad altre istituzioni per l’esportazione temporanea di qualunque bene, facente parte delle loro collezioni permanenti, suscettibile di periodiche esportazioni temporanee dall’Unione per essere esposto in un paese terzo». La licenza è valida per cinque anni.

La licenza di esportazione (europea) si pone «l’obiettivo di evitare che vengano applicate le legislazioni meno severe  di alcuni Stati Membri come luogo di transito per esportare all’estero beni fuoriusciti in maniera illecita da uno Stato dell’Unione[4]».

Con riferimento allo Stato che deve rilasciare la licenza di esportazione, in base all’articolo 2 del regolamento 116/2009, la licenza di esportazione è rilasciata, su richiesta dell'interessato: a) da un'autorità competente dello Stato membro sul cui territorio si trovava lecitamente e definitivamente il bene culturale alla data del 1 gennaio 1993; b) oppure, dopo la suddetta data, da un'autorità competente dello Stato membro sul cui territorio il bene culturale si trova dopo essere stato lecitamente e definitivamente spedito da un altro Stato membro o dopo essere stato importato da un paese terzo o reimportato da un paese terzo in seguito a una spedizione lecita da uno Stato membro verso detto paese terzo.

La norma europea è stata recepita nella normativa nazionale in materia di beni culturali. In particolare, l’articolo 74 del d.lgs. n. 42 del 2004[5] dispone che la licenza (normale) di esportazione è rilasciata dagli uffici esportazione del Ministero (della cultura) contestualmente all’attestato di libera circolazione (quest’ultimo, rilasciato in attuazione dell’articolo 36 del TFUE, costituisce l’autorizzazione nazionale all’uscita di un bene culturale dall’Italia, ai sensi dell’articolo 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 sopra richiamato) ed è valida per un anno. La predetta licenza può essere rilasciata dallo stesso ufficio esportazione che ha emesso l’attestato, anche non contestualmente all’attestato medesimo, ma non oltre quarantotto mesi dal rilascio di quest’ultimo (la cui efficacia è pari a cinque anni)[6].

L’articolo 74 del codice «disciplina sia l’esportazione dal territorio nazionale di beni appartenenti al patrimonio italiano, sia l’esportazione di beni presenti sul territorio nazionale, ma che provengono da un altro Stato membro[7]». In quest’ultima ipotesi, vale a dire «rispetto alle fattispecie ove i beni sono collocati nel territorio nazionale, ma appartengono ad un altro Stato membro, in dottrina sono state prospettate due possibilità: la prima prevede che il bene sia collocato in Italia a fronte di una spedizione all’interno dell'Unione Europea, in assenza di licenza di esportazione o con licenza di esportazione non più valida, ove si darà esecuzione all'art. 2, comma 2, del Regolamento 2009/116/CE, secondo cui l'Italia è competente al rilascio del documento (l'interessato dovrà comunque ottenere l'attestato di libera circolazione di cui all'articolo 68 del Codice del 2004). La seconda contempla il caso in cui il bene culturale sia entrato in Italia con licenza di esportazione rilasciata da un altro Stato membro, per cui l'art. 74 specifica, al comma quinto, che non si applicheranno gli articoli 65-72, per tutto il tempo in cui la licenza avrà validità. Spetterà agli uffici italiani verificare che il bene rientri tra quelli per cui è richiesta la licenza di esportazione e che essa sia regolare. Da una lettura a contrario della norma emerge perciò che in assenza di licenza di esportazione si applicheranno le norme del Codice in tema di uscita del bene dal territorio nazionale[8]». 

In ambito nazionale, l’uscita e le esportazioni illecite, cioè senza attestato di libera circolazione (nazionale) o licenza di esportazione (europea) di beni culturali, sono sanzionate dall’art. 518-undecies del codice penale con la reclusione da due a otto anni e con la multa fino a euro 80.000.

3. La restituzione dei beni culturali illecitamente sottratti: la direttiva 2014/60/UE

Le disposizioni della direttiva 2014/60/UE, in materia di restituzione dei beni culturali illecitamente sottratti, sono state recepite a livello nazionale negli articoli 75-86 del d.lgs. n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), che, pertanto, è stato modificato.

La direttiva 2014/60/UE sostituisce la n. 93/7/CEE, il cui obiettivo era quello di assicurare il rientro materiale dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio dello Stato membro, a prescindere dai diritti di proprietà applicabili a tali beni.

La procedura prevista dalla direttiva n. 93/7/CEE già rappresentava un passo importante verso la cooperazione tra Stati membri in questo settore nell'ambito del mercato interno. Tuttavia, la sua applicazione ha ben presto messo in luce i limiti del sistema congegnato di restituzione dei beni culturali, "a motivo, in particolare, della ristrettezza del suo ambito di applicazione risultante dalle condizioni stabilite nel suo allegato, dei termini brevi per l'avvio di un'azione di restituzione e dei costi legati alle azioni di restituzione".

Ciò ha giustificato la necessità di una implementazione della normativa europea in materia di restituzione dei beni culturali illecitamente sottratti.

In base alla nuova direttiva 2014/60/UE, si considera uscito illecitamente dal territorio di uno Stato membro, ai sensi dell'art. 2, un bene  "a) uscito dal territorio di uno Stato membro in violazione delle norme di detto Stato membro sulla protezione del patrimonio nazionale oppure in violazione del regolamento (CE) n. 116/2009, o b) non rientrato dopo la scadenza del termine fissato per una spedizione temporanea lecita o un bene che si trova in situazione di violazione di una delle altre condizioni di tale spedizione temporanea".

Lo Stato membro richiedente è "lo Stato membro dal cui territorio è uscito illecitamente il bene culturale", mentre lo Stato membro richiesto è quello "nel cui territorio si trova il bene culturale che è uscito illecitamente dal territorio di un altro Stato membro".

La citata direttiva prevede due procedure volte al recupero dei beni culturali illecitamente sottratti: a) art. 5[9]Le autorità centrali degli Stati membri cooperano e promuovono la consultazione tra le autorità competenti degli Stati membri[10]»), che disciplina la cosiddetta «collaborazione amministrativa»;

b) art. 6[11] («Lo Stato membro richiedente può proporre contro il possessore e, in mancanza di questo, contro il detentore, davanti al giudice competente dello Stato membro richiesto, l'azione di restituzione del bene culturale uscito illecitamente dal suo territorio[12]») che disciplina il ricorso dello Stato richiedente presso un’autorità giudiziaria dello Stato richiesto, che può variare a seconda della normativa vigente nello Stato richiesto.

Con riferimento all’ordinamento nazionale, ai sensi dell’articolo 77 del codice dei beni culturali, l’azione di restituzione in Italia va esercitata innanzi al giudice ordinario e precisamente innanzi al tribunale del luogo dove il bene si trova, nei confronti del possessore o detentore del bene, a prescindere dalla buona fede del convenuto, che rileva ai fini dell’eventuale riconoscimento di un indennizzo. L’azione di restituzione spetta agli Stati, in quanto titolari del diritto alla tutela e conservazione del proprio patrimonio culturale[13]. L’atto di citazione va annotato nello speciale registro delle azioni di restituzione e di esso ne viene data notizia nel sistema IMI[14].

L’azione di restituzione è azionabile da uno Stato membro per recuperare i beni culturali usciti illecitamente dal proprio territorio e che si trovano nel territorio di un altro Stato membro. Per ottenerne la restituzione i beni devono essere considerati beni culturali dalla legislazione nazionale dello Stato membro richiedente ed essere usciti in violazione di essa a partire dal 1 gennaio 1993. Se, pertanto, l’Italia è il paese richiedente potrà far valere la definizione di beni culturali contenuta nel d.lgs. 42 del 2004; laddove l’Italia sia, invece, il paese richiesto, la culturalità del bene sarà stabilita dalla legislazione del paese richiedente. Si verifica, sostanzialmente, un mutuo riconoscimento dell’efficacia extraterritoriale delle legislazioni nazionali in materia di beni culturali.

Il paese dal cui territorio il bene culturale è uscito illecitamente può iniziare un’azione di restituzione entro tre anni a decorrere dalla data in cui viene a conoscenza del luogo in cui si trova il bene culturale e dell’identità del suo possessore o detentore. In ogni caso, l’azione di restituzione si prescrive entro il termine di trent’anni a decorrere dalla data in cui il bene culturale è uscito illecitamente dal territorio dello Stato membro richiedente. Nel caso di beni che fanno parte di collezioni pubbliche o di istituzioni ecclesiastiche o altre istituzioni religiose negli Stati membri in cui sono oggetto di misure speciali di tutela in virtù del diritto nazionale, l'azione di restituzione si prescrive entro il termine di settantacinque anni, tranne negli Stati membri in cui l'azione è imprescrittibile e nel caso di accordi bilaterali tra Stati membri che prevedano un termine superiore a settantacinque anni (articolo 8 della direttiva).

Come sopra riferito, il codice (nazionale) dei beni culturali ha recepito le disposizioni della predetta direttiva (negli articoli 75 e seguenti). In particolare, l’articolo 78 ha recepito i termini di prescrizione e decadenza dell’azione di restituzione. Il possesso delle informazioni relative al luogo in cui il bene si trova e all’identità del possessore/detentore al fine del computo del termine prescrizionale di tre anni per l’esercizio dell’azione di restituzione sono da considerarsi «due condizioni cumulative e non alternative[15]» tra loro. «Per contro, si ritiene che la mancanza anche di uno solo dei predetti elementi non consenta di iniziare la procedura, ma neppure determini la decorrenza del relativo termine di decadenza[16]».

L’articolo 78 dispone, al terzo comma, l’imprescrittibilità dell’azione di restituzione per i beni appartenenti a collezioni pubbliche museali, archivi, fondi di conservazione di biblioteche e istituzioni ecclesiastiche o altre istituzioni religiose. Quindi «in presenza dei relativi presupposti, l'azione di restituzione dei beni rientranti nelle sopra richiamate categorie potrà essere sempre promossa all'interno del nostro ordinamento giuridico[17]». In proposito, alcuni autori ritengono che «“l’imprescrittibilità prevista dal 3° comma dell'art. 78 del Codice dei beni culturali opera […] solo per le azioni esperite dallo stato richiedente innanzi al giudice italiano e non  anche quando l'Italia a sua volta agisce per la restituzione, visto che in tal caso il termine di prescrizione sarà quello eventualmente diverso (ma comunque non inferiore a settantacinque anni) previsto dalla legge dello stato richiesto[18]”. Questa ricostruzione è avallata dalla stessa collocazione della declaratoria di imprescrittibilità all'interno di una norma i cui i primi due commi sono evidentemente volti a disciplinare l'azione di restituzione instaurata in Italia […]. Pertanto, il nostro legislatore ha compiuto una scelta di apertura del nostro ordinamento, agevolando gli altri Stati membri nel recupero materiale di alcune categorie dei propri beni culturali, dotati di peculiare rilievo ed importanza[19]».

In base all’articolo 10 della direttiva, qualora sia ordinata la restituzione del bene, il giudice competente dello Stato membro richiesto accorda al possessore un equo indennizzo in base alle circostanze del caso concreto, a condizione che il possessore dimostri di aver usato, all'atto dell'acquisizione, la diligenza richiesta. Per determinare l'esercizio della diligenza richiesta da parte del possessore, si tiene conto di tutte le circostanze dell'acquisizione, in particolare della documentazione sulla provenienza del bene, delle autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato membro richiedente, della qualità delle parti, del prezzo pagato, del fatto che il possessore abbia consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati e ogni informazione pertinente che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere o di qualsiasi altra pratica cui una persona ragionevole avrebbe fatto ricorso in circostanze analoghe. Lo Stato membro richiedente è tenuto a pagare tale indennizzo al momento della restituzione. L’articolo 79 del codice dei beni culturali, che ha recepito il predetto articolo 10 della direttiva, stabilisce che il tribunale, nel disporre la restituzione del bene, può, su domanda della parte interessata, liquidare a favore del possessore un indennizzo determinato in base a criteri equitativi. L’onere della prova ricade sul possessore, che deve dimostrare di aver usato al momento dell’acquisizione del bene la diligenza necessaria, valutata sulla base delle circostanze concrete. La finalità della norma è evitare di riconoscere l’indennizzo ad acquirenti incauti o addirittura in malafede.

Le spese inerenti all'esecuzione della decisione che ordina la restituzione del bene culturale spettano allo Stato membro richiedente (articolo 11 della direttiva). Il pagamento dell'equo indennizzo di cui all'articolo 10 e delle spese di cui all'articolo 11 lascia impregiudicato il diritto dello Stato membro richiedente di esigere il rimborso di detti importi da parte delle persone responsabili dell'uscita illecita del bene culturale dal suo territorio (articolo 12 della direttiva). La direttiva inoltre lascia impregiudicate le azioni civili o penali spettanti, in base al diritto nazionale degli Stati membri, allo Stato membro richiedente e/o al proprietario cui è stato sottratto il bene (quest’ultimo potrebbe ad esempio sollecitare lo Stato membro all’esercizio dell’azione di restituzione o esercitare egli stesso l’azione di rivendicazione della proprietà).

In base al successivo articolo 82 del predetto codice, nel caso di beni illecitamente esportati dall’Italia, l’azione di restituzione è esercitata dal Ministero (della cultura), d’intesa con il Ministero degli affari esteri, davanti al giudice dello Stato membro dell'Unione europea in cui si trova il bene culturale (il Ministero si avvale dell’assistenza dell’Avvocatura generale dello Stato). I successivi articoli dispongono che, qualora il bene restituito non sia di proprietà statale, lo stesso viene custodito dal Ministero fino alla consegna all’avente diritto, che dovrà rimborsare le spese affrontate per il procedimento di restituzione e per la custodia del bene. Trascorsi cinque anni dalla consegna senza che il bene sia reclamato dall’avente diritto, esso viene acquisito al demanio dello Stato. Sono inoltre previsti degli oneri informativi periodici da parte del Ministero (della cultura) alla Commissione europea e al Parlamento nazionale circa l’attuazione della normativa europea.

Ratione temporis, la direttiva 2014/60/UE riguarda unicamente i beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro a decorrere dal 1 gennaio 1993 (articolo 14 della direttiva). Il successivo articolo 15 prevede che ciascuno Stato membro possa applicare la disciplina prevista dalla direttiva de qua alle richieste di restituzione di beni culturali diversi da quelli definiti dall’articolo 2, punto 1, della medesima direttiva, e per beni usciti illecitamente dal territorio di altri Stati membri anteriormente al 1 gennaio 1993.

3.1. L'applicazione pratica della direttiva europea in Italia

Presso il Ministero della cultura è attivo un apposito comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali, istituito con decreto ministeriale del 18 giugno 2008 e rinnovato con d.m. n. 456 del 27.12.2022, con compiti di coordinamento delle diverse attività del Ministero in ordine all’esercizio dell’azione di restituzione dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio nazionale e ad ogni altra iniziativa diretta al recupero dei medesimi beni. Come specificato nel predetto d.m., il comitato, in particolare, ha il compito di: «a) esaminare le questioni relative alle domande di restituzione di beni culturali illecitamente usciti dal territorio nazionale, sulla base di documentazioni e relazioni fornite dagli uffici interessati, dal Comando carabinieri tutela del patrimonio culturale, nonché da altri corpi investigativi, che vedano coinvolto lo Stato italiano sia in qualità di organismo richiedente, sia in qualità di organismo richiesto, ai sensi degli articoli 75 e ss. del Codice dei beni culturali e del paesaggio; b) procedere all’esame di tutte le questioni relative alle domande di restituzione di beni culturali anche mediante la procedura o l’azione di restituzione, di cui agli articoli 5 e 6 della Direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, o in forza di convenzioni  internazionali, per l’individuazione delle procedure più efficaci ai fini della restituzione; c) svolgere approfondimenti sulle problematiche del settore e della normativa statale, comunitaria e internazionale che disciplina la materia; d) fornire direttive, indirizzi interpretativi e consulenza tecnico-giuridica alle Direzioni generali competenti per l’istruttoria delle singole fattispecie; e) favorire i negoziati per la restituzione dei beni culturali illecitamente sottratti al patrimonio culturale nazionale e svolgere tutte le necessarie attività operative connesse; f) favorire la cooperazione con gli altri Paesi europei per la restituzione di beni usciti illecitamente dal territorio di altri Stati membri dell’Unione Europea».

Per completezza di analisi, occorre richiamare l’attenzione sulle attività di diplomazia culturale. Questa costituisce un importante strumento di natura “consuetudinaria” per il recupero dei beni culturali, comprensivo della mediazione diplomatica e della composizione amichevole. Nello specifico, si tratta di un insieme di attività svolte dal Ministero della cultura d’intesa con altri ministeri - in particolare il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministero della giustizia -  e rivolte principalmente alle istituzioni straniere in cui, attraverso l’esercizio della “moral suasion”, esercitata ai massimi livelli istituzionali, si ottengono restituzioni diplomatiche anche quando non vi siano le condizioni previste dalla direttiva 2014/60/UE. La previsione europea di una specifica azione di restituzione (azione di tipo giudiziario ai sensi dell’articolo 6 della predetta direttiva) tra Stati non impedisce infatti l’avvio e la conclusione di attività di diplomazia culturale in via amichevole, ma anzi rafforza la cooperazione in questo settore particolarmente vulnerabile e afflitto dal traffico internazionale illecito di opere d’arte.

4. L’importazione dei beni culturali nel territorio dell’Unione europea

Così come il legislatore europeo ha inteso proteggere l’uscita dei beni culturali appartenenti al patrimonio culturale europeo attraverso l’adozione del regolamento 116/2009 e della direttiva 2014/60, allo stesso modo ha disciplinato l’ingresso sul territorio dell’Unione europea di beni culturali creati o scoperti nei paesi terzi, mediante l’adozione del regolamento 2019/880, a cui ha fatto seguito il regolamento di esecuzione 2021/1079.

In base all’articolo 3 del regolamento (UE) 2019/880 «è vietata l’introduzione dei beni culturali di cui alla parte A dell’allegato, rimossi dal territorio del paese in cui sono stati creati o scoperti in violazione delle disposizioni legislative e regolamentari di tale paese […]. L’importazione dei beni culturali elencati nelle parti B e C dell’allegato è consentita solo previa presentazione di: a) una licenza di importazione […]; o b) di una dichiarazione dell’importatore […]».  

Il regolamento (UE) 2019/880 relativo all’introduzione e all’importazione di beni culturali  dai paesi terzi nasce dall’esigenza, avvertita a livello unionale, di impedire l’introduzione nel territorio doganale dell’Unione europea di beni culturali esportati illecitamente da paesi terzi, con particolare riferimento a beni culturali provenienti da paesi terzi interessati da conflitti armati, in particolare se tali beni culturali sono stati commerciati in modo illecito da organizzazioni terroristiche o criminali di altro tipo. Il regolamento (UE) 2019/880 non si applica, pertanto, ai beni culturali creati o scoperti nel territorio doganale dell’Unione.

Le norme comuni, introdotte dal predetto regolamento, disciplinano il trattamento doganale dei beni culturali non unionali che entrano nel territorio doganale dell’Unione. Il pertinente territorio doganale coincide con il territorio doganale dell’Unione al momento dell’importazione. A tal riguardo, secondo il regolamento, è necessario che la legalità dell’esportazione dei beni culturali provenienti da paesi terzi sia esaminata in primo luogo sulla base delle disposizioni legislative e regolamentari del paese terzo in cui tali beni culturali sono stati creati o scoperti.

Tuttavia, per non ostacolare in maniera irragionevole il commercio legittimo, in taluni casi è apparso opportuno prevedere che la persona che intende importare beni culturali nel territorio doganale dell’Unione sia “eccezionalmente” autorizzata a dimostrare la lecita esportazione da un diverso paese terzo in cui i beni culturali erano localizzati prima di essere spediti nell’Unione, vale a dire l’ultimo paese in cui si sono trovati per un periodo superiore a cinque anni e per scopi diversi dall’utilizzo temporaneo, dal transito, dalla riesportazione o dal trasbordo. I casi in cui questa disposizione può trovare attuazione sono i seguenti: a) qualora il paese in cui i beni culturali sono stati creati o scoperti non possa essere determinato in modo attendibile oppure, b) quando l’esportazione dei beni culturali in questione abbia avuto luogo prima che la convenzione UNESCO del 1970 entrasse in vigore, ossia il 24 aprile 1972.

Il regolamento 2019/880 si applica a determinate categorie di beni culturali (di cui all’allegato A del regolamento), tra cui i reperti archeologici e gli elementi provenienti dallo smembramento di monumenti con età superiore a 250 anni e a prescindere dalla soglia finanziaria (parte B dell’allegato A). Trattasi di categorie di beni particolarmente esposte al rischio di saccheggio e distruzione e per i quali è necessario prevedere un sistema di controllo prima che a tali beni sia permesso di entrare nel territorio doganale dell’Unione. Al riguardo, è necessario ottenere una licenza d’importazione (art. 4 del predetto regolamento) rilasciata dall’autorità competente di uno Stato membro prima dell’immissione in libera pratica di tali beni culturali nell’Unione o del vincolo degli stessi a un regime doganale speciale diverso dal transito. La richiesta per ottenere la licenza di importazione viene presentata dal titolare dei beni (holder of the goods)[20], tramite il sistema elettronico ICG (Import cultural goods)[21], all’autorità competente dello Stato membro, quindi nel caso dell’Italia agli uffici di esportazione del Ministero della cultura.

La domanda per il rilascio di una licenza di importazione deve essere accompagnata da qualsiasi documento giustificativo e informazione atti a comprovare che i beni culturali in questione sono stati esportati dal paese terzo in cui sono stati creati o scoperti in conformità alle disposizioni legislative e regolamentari di tale paese o è necessario presentare prove comprovanti l’assenza di tali disposizioni legislative e regolamentari al momento in cui detti beni sono stati portati fuori dal suo territorio. Le autorità competenti degli Stati membri decidono se rilasciare o meno una licenza, sulla base della completezza e dell’accuratezza delle domande.

Per i restanti beni cui alla parte C dell’allegato A del regolamento 2019/880[22], è necessario che il titolare dei beni presenti una dichiarazione (import statement) tramite il sistema elettronico ICG sopra richiamato, che certifichi la legalità dell’esportazione dei beni dal paese terzo e fornisca le informazioni sufficienti affinché tali beni possano essere identificati dalle autorità doganali. Se le disposizioni legislative e regolamentari del paese interessato impongono l'obbligo di ottenere un'autorizzazione preventiva per l'esportazione del bene culturale dal proprio territorio, l'importatore è tenuto ad essere in possesso degli opportuni permessi rilasciati dall'autorità pubblica competente del paese interessato, attestanti che l'esportazione del bene in questione è stata da essa debitamente autorizzata. Su richiesta, tale documentazione deve essere presentata alle autorità doganali.

Come già detto, la lecita circolazione dei beni in questione può essere comprovata, eccezionalmente, da qualsiasi documento giustificativo e informazione atti a dimostrare che i beni culturali in questione sono stati esportati in conformità delle disposizioni legislative e regolamentari dell’ultimo paese in cui si sono trovati per un periodo superiore a cinque anni e per scopi diversi dall’utilizzo temporaneo, dal transito, dalla riesportazione o dal trasbordo, nei seguenti casi: a) il paese in cui i beni culturali sono stati creati o scoperti non può essere determinato in modo attendibile; oppure, b) i beni culturali sono stati rimossi dal paese in cui sono stati creati o scoperti prima del 24 aprile 1972.

È pertanto evidente che le finalità del regolamento 2019/880 sono riconducibili al divieto di introdurre nel territorio doganale dell’Unione beni culturali esportati illecitamente da paesi terzi, all’adozione di misure volte a garantire che le importazioni di beni culturali siano soggette a controlli uniformi al momento della loro entrata nel territorio doganale dell’Unione, nonché al contrasto al commercio illecito di beni culturali, in particolare qualora tale commercio illecito possa contribuire al finanziamento del terrorismo[23].

In ambito nazionale, l’art. 518-decies del codice penale punisce il reato di importazione illecita di beni culturali prevedendo la pena della reclusione da due a sei anni e la multa da euro 258 a euro 5.165 per chiunque importa beni culturali provenienti da delitto ovvero rinvenuti a seguito di ricerche svolte senza autorizzazione, ove prevista dall'ordinamento dello Stato in cui il rinvenimento ha avuto luogo, ovvero esportati da un altro Stato in violazione della legge in materia di protezione del patrimonio culturale di quello Stato.

5. Le convenzioni internazionali: uno sguardo di insieme

Le convenzioni internazionali costituiscono uno strumento fondamentale per la protezione dei beni culturali e per il recupero dei beni culturali rubati e/o illecitamente esportati.

La convenzione de L’Aja del 1954, all’indomani della seconda guerra mondiale, ha introdotto le misure necessarie ad assicurare un’adeguata tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Detta convenzione era ispirata ai principi stabiliti nelle convenzioni del 1899 e del 1907 e nel patto di Washington del 15 Aprile 1935. Ad essa sono annessi un regolamento di esecuzione e un protocollo addizionale per le restituzioni. Quest’ultimo impone l’obbligo di restituzione ed esclude che i beni culturali esportati dal territorio occupato possano essere trattenuti a titolo di riparazione alla fine delle ostilità (articolo 1, paragrafo 3).

La convenzione UNESCO, adottata a Parigi il 14 novembre 1970 e riguardante le misure da adottare per vietare e per impedire l'importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà illeciti di beni culturali, costituisce il trattato per eccellenza in materia di protezione internazionale dei beni culturali mobili, non limitata alle situazioni nascenti dai conflitti armati. La disciplina in essa contenuta regola le relazioni internazionali in materia di circolazione, affermando il dovere di ogni Stato alla cooperazione per la protezione dei singoli patrimoni nazionali. È entrata in vigore il 24 Aprile 1972 ed è stata ratificata da oltre cento Stati. Con riferimento all’Italia, il 2 ottobre 1978 è avvenuto il  deposito  dello  strumento  di  ratifica   della  convenzione  de quo [24].  La convenzione, ai sensi dell'art.  21 in essa contenuto, è entrata in vigore per l'Italia il 2 gennaio 1979.

Lo scopo della convenzione è quello di tutelare il patrimonio culturale nazionale di ciascuno Stato contraente attraverso una serie di iniziative volte a rafforzare la tutela del patrimonio culturale di ciascuno Stato contraente. La convenzione UNESCO ha costituito, pertanto, un importante punto di svolta in tema di lotta al traffico illecito di beni culturali.

La successiva convenzione UNIDROIT è stata adottata a Roma nel 1995 con lo scopo di creare un apparato minimo di regole giuridiche che fossero comuni agli Stati contraenti, al fine di conseguire l'obiettivo principale della restituzione dei beni culturali[25]. La convenzione UNIDROIT ha definito due regimi restitutori, vale a dire la “restituzione” di beni culturali rubati e il “ritorno” di beni esportati illecitamente dal territorio di uno Stato contraente.

Di recente, occorre inoltre richiamare la convenzione internazionale del Consiglio d’Europa, stipulata a Nicosia nel 2017, che ha avuto il merito di rafforzare la cooperazione internazionale nella lotta contro i reati riguardanti i beni culturali[26].

5.1. La convenzione de L’Aja del 1954

Dopo la seconda guerra mondiale venne stipulato un atto internazionale specificamente destinato alla predisposizione di misure necessarie ad assicurare una adeguata tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Si trattava della convenzione de L’Aja del 14 maggio 1954, ispirata ai principi stabiliti nelle convenzioni del 1899 e del 1907 e nel patto di Washington del 15 Aprile 1935, alla quale sono annessi un regolamento di esecuzione e un protocollo addizionale per le restituzioni. Quest’ultimo stabilisce l'obbligo di restituzione ed esclude che i beni culturali esportati dal territorio occupato possano essere trattenuti a titolo di riparazione alla fine delle ostilità (articolo 1, paragrafo 3).

L’autorizzazione alla ratifica della convenzione dell’Aja è avvenuta, per l’Italia, con legge n. 279 del 1958, recante «Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata all'Aja il 14 maggio 1954, con annesso regolamento di esecuzione e del relativo protocollo di pari data».

La convenzione stabilisce che le parti contraenti si impegnano a rispettare i beni culturali situati nel proprio territorio nonché nel territorio delle altre parti contraenti, astenendosi da qualsiasi uso dei beni che possa esporli a distruzione o a deterioramento in caso di conflitto armato e astenendosi da qualsiasi atto di ostilità diretto contro tali beni (articolo 4, par. 1)[27]. Le parti contraenti si impegnano inoltre a proibire, prevenire e porre fine a qualsiasi forma di furto, saccheggio o sottrazione di beni culturali, nonché a qualsiasi atto di vandalismo diretto contro di essi. Le parti  contraenti si astengono dal requisire i beni culturali mobili situati nel territorio di un’altra parte contraente (articolo 4, par. 3)[28] e dal porre in essere ogni misura di rappresaglia diretta contro beni culturali (articolo 4, par. 4)[29].   

L’articolo 5  a sua volta dispone che ogni parte contraente che occupi tutto o parte del territorio di un'altra parte contraente deve, per quanto possibile, sostenere le autorità nazionali competenti del paese occupato nella salvaguardia e nella conservazione dei propri beni culturali, adottando le misure di conservazione più necessarie[30].

Il  protocollo annesso alla convenzione dell’Aja stabilisce che ogni parte contraente si obbliga a impedire che siano esportati beni culturali (così come definiti nell’articolo 1 della convenzione stessa) da un territorio da essa occupato durante un conflitto armato (articolo 1, par. 1)[31]. Prevede, inoltre, che ciascuna parte contraente consegni, alla fine delle ostilità, alle autorità competenti del territorio precedentemente occupato, i beni culturali che si trovano presso di essa. In nessun caso comunque tali beni possono essere trattenuti a titolo di riparazioni di guerra (articolo 1, par. 3)[32]

La convenzione dell’Aja del 1954 è, dunque, finalizzata non solo ad impedire l'esportazione di beni culturali dal territorio di un paese occupato ma anche ad assicurare alla fine delle ostilità la restituzione dei beni stessi alle autorità del paese occupato.

Le caratteristiche fondamentali della convenzione possono essere descritte come di seguito: (i) per la prima volta un accordo internazionale disciplina il concetto di bene culturale con una elencazione, all'articolo 1, di quelli che sono i beni da considerarsi culturali;  (ii) la convenzione crea una protezione di livello internazionale anche se focalizzata e limitata alle esportazioni illecite effettuate durante i conflitti armati tra gli Stati; (iii) la convenzione, inoltre, si occupa per la prima volta della problematica legata all'acquisto in buona fede dei beni culturali. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, il protocollo dispone come la parte contraente, cui spettava l'obbligo di impedire l'esportazione di beni culturali dal territorio da essa occupato, paghi un indennizzo ai detentori in buona fede di ogni bene culturale che debba essere restituito[33].

I beni culturali provenienti dal territorio di una parte contraente e da questa depositati nel territorio di un'altra parte contraente, al fine di proteggerli dai pericoli di un conflitto armato, devono essere da quest'ultima restituiti, alla fine delle ostilità, alle autorità competenti del territorio di provenienza[34].

Se il primo protocollo, redatto contestualmente alla convenzione, vieta l'illecito trasferimento dei beni culturali, ne sancisce l'obbligo di custodia fino al termine delle ostilità nonché di restituzione e indennizzo, il successivo protocollo del 1999 integra la convenzione del 1954 con ulteriori precisazioni e indicazioni pratiche.

5.2. La convenzione UNESCO del 1970

La  Convenzione UNESCO, adottata a Parigi il 14 novembre 1970, concerne le misure da adottare per interdire ed impedire la illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali. Nasce sul presupposto, come chiarito nel suo preambolo, che i beni culturali sono elementi fondamentali della civilizzazione e che ciascuno Stato ha il dovere di proteggere il patrimonio costituito dai beni culturali esistenti sul proprio territorio contro i pericoli di furto, di scavi  clandestini e di esportazione illecita. Al tal riguardo, la collaborazione internazionale diventa uno strumento fondamentale per proteggere i beni culturali dal traffico illecito.

In base all’articolo 1 della convenzione sono considerati beni culturali i beni che, a titolo religioso o profano, sono designati da ciascuno Stato come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza e che appartengono alle categorie di beni indicate nello stesso articolo 1.

L’articolo 4 stabilisce che i beni culturali (astrattamente individuati dall’art. 1) debbano avere un collegamento che giustifichi la decisione di considerare un determinato bene come appartenente al patrimonio culturale di un determinato Stato, in quanto fanno parte del suo patrimonio nei seguenti casi: a) beni culturali creati dal genio individuale o collettivo di cittadini dello Stato considerato e beni culturali importanti per lo Stato considerato, creato sul territorio di tale Stato da cittadini stranieri o da apolidi residenti su tale territorio; b) beni culturali trovati sul territorio nazionale; c) beni culturali acquisiti da missioni archeologiche, etnologiche o di scienze naturali, con il consenso delle autorità competenti del paese di origine di tali beni; d) beni culturali formanti oggetto di scambi liberamente consentiti; e) beni culturali ricevuti a titolo gratuito o acquistati legalmente con l’assenso delle autorità competenti del paese di origine di tali beni.

Il successivo articolo 3 della convenzione, con riferimento alla illiceità della circolazione di un bene culturale, precisa che sono considerati illeciti l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà di beni culturali effettuati in contrasto con le disposizioni adottate dagli Stati partecipanti in virtù della convenzione. La protezione è concessa in via di principio a tutti i beni (pubblici e privati).

Secondo la lettura fornita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, «la clausola in esame pare introdurre una sorta di principio di reciprocità tra gli Stati aderenti alla Convenzione, nella misura in cui ognuno di essi è obbligato a considerare come illecita importazione ciò che è considerato come illecita esportazione in base alla legislazione di un altro Stato partecipante […]. Evidenti sono le resistenze, in particolare negli anni immediatamente successivi all'adozione della Convenzione, a riconoscere piena portata vincolante al disposto dell'art. 3, soprattutto nella parte in cui verrebbe a costituire per gli Stati aderenti l'obbligo di riconoscere ed attuare la legislazione interna di un altro Stato, per ciò che costituisce il regime dei vincoli pubblicistici alle esportazioni ed ai trasferimenti di proprietà. Ma non sono mancate letture che hanno interpretato l'art. 3 della Convenzione nel senso, fortemente innovativo, di imporre agli Stati membri di considerare illeciti, nei propri ordinamenti nazionali, i negozi giuridici in violazione del diritto nazionale di un altro Stato membro, che sia conforme alla Convenzione stessa. L’art. 3 rappresenterebbe pertanto un manifesto superamento del principio secondo cui gli organi giudiziari di uno Stato debbono rifiutarsi di dare applicazione alla normativa di natura pubblicistica, tributaria o penale di un altro Stato, in quanto diretta espressione della sua sovranità e quindi condizionata dal limite territoriale di efficacia: principio più volte affermato, in passato, proprio relativamente alle discipline nazionali recanti limiti, di varia natura e operatività, alla circolazione internazionale dei beni culturali (cfr. ad es. l’opinione […], secondo cui una legislazione nazionale che proibisca l'esportazione di oggetti d'arte rientrerebbe nella categoria delle leggi di natura pubblicistica, che non devono essere applicate dai giudici del paese in cui l'oggetto è stato esportato, o in qualunque altro paese, perché si tratta di un atto adottato nell'esercizio di potere sovrano che non deve essere eseguito al di fuori del proprio territorio). […] Volgendo lo sguardo alla prassi applicativa, deve darsi atto che più recenti decisioni giurisprudenziali, in diversi Stati aderenti alla convenzione UNESCO, appaiono orientate a tenere direttamente in conto clausole come quella di cui all’art. 3 in esame, fino al punto di poterla utilizzare direttamente, come regola che impone la restituzione di quanto uscito illegalmente dal territorio di uno Stato, quando la Convenzione sia entrata in vigore per entrambi gli Stati, quello di origine e quello di destinazione […][35]». 

Ai sensi del successivo art. 6 della convenzione, gli Stati si impegnano a: (i) istituire un certificato appropriato mediante il quale lo Stato esportatore specifica che l’esportazione del bene culturale è autorizzata. Il certificato deve accompagnare il bene culturale esportato; (ii) proibire l’esportazione dal proprio territorio dei beni culturali non accompagnati dal certificato di esportazione; (iii) portare a conoscenza del pubblico questa proibizione, soprattutto a conoscenza di coloro che potrebbero esportare o importare beni culturali.

Ai sensi dell’art. 7, gli Stati si obbligano: a) ad adottare tutte le misure necessarie, in conformità con la legislazione nazionale, per impedire l’acquisizione, da parte di musei e altre istituzioni similari dislocate sul proprio territorio, di beni culturali provenienti da un altro Stato parte della convenzione, beni che sono stati esportati illecitamente dopo l’entrata in vigore della convenzione; b) i) a proibire l’importazione dei beni culturali rubati in un museo o in un monumento pubblico civile o religioso, o in una istituzione similare, situati sul territorio di un altro Stato parte della convenzione dopo l’entrata in vigore di quest’ultima nei confronti degli Stati in questione, a condizione che venga provato che tale o tali beni fanno parte dell’inventario di tale istituzione; ii) ad adottare misure appropriate per recuperare e restituire su richiesta dello Stato d’origine parte della convenzione qualsiasi bene culturale rubato e importato in tal modo dopo l’entrata in vigore della convenzione nei confronti degli Stati interessati, a condizione che lo Stato richiedente versi un equo indennizzo alla persona acquirente in buona fede o che detiene legalmente la proprietà di tale bene[36]. Le richieste di recupero e di restituzione vanno indirizzate allo Stato richiesto per via diplomatica. Lo Stato richiedente è tenuto a fornire a sue spese ogni mezzo di prova necessaria per giustificare la sua richiesta di recupero e di restituzione. Tutte le spese relative alla restituzione dei beni culturali in questione sono a carico dello Stato richiedente.

Ai sensi del successivo art.13, gli Stati contraenti, nel quadro della legislazione di ciascuno Stato, si impegnano a: a) impedire i trasferimenti di proprietà di beni culturali diretti a favorire l’importazione o l’esportazione illecite di tali beni; b) fare in modo che i propri servizi competenti collaborino al fine di facilitare la restituzione dei beni culturali esportati illecitamente; c) consentire un’azione di rivendicazione dei beni culturali perduti o rubati esercitata dal proprietario legittimo o in suo nome (la rivendicazione può essere avanzata anche da soggetti privati); d) riconoscere, inoltre, il diritto imprescrittibile di ciascuno Stato parte della presente convenzione di classificare e dichiarare inalienabili alcuni beni culturali, che per questo motivo non devono essere esportati, e facilitare il recupero di tali beni da parte dello Stato interessato nel caso in cui essi siano stati esportati.

La convenzione si applica se il fatto illecito è successivo al 1970, ma l’articolo 15 incoraggia gli Stati aderenti a concludere tra di essi accordi particolari o di proseguire l’esecuzione di accordi già conclusi, concernenti la restituzione di beni culturali esportati per qualche motivo dal loro territorio di origine, prima dell’entrata in vigore della convenzione per gli Stati interessati.

La convenzione UNESCO è entrata in vigore tre mesi dopo la data di deposito del terzo strumento di ratifica, d’accettazione o d’adesione, ma unicamente nei confronti degli Stati che hanno depositato i rispettivi strumenti di ratifica, d’accettazione o d’adesione in tale data o anteriormente. Per ciascuno degli altri Stati, entra in vigore tre mesi dopo il deposito del rispettivo strumento di ratifica, accettazione o adesione.

5.3.  La convenzione UNIDROIT del 1995

La convenzione UNIDROIT del 1995 si applica alle richieste internazionali di restituzione di beni culturali rubati e/o illecitamente esportati. In base alla convenzione, in particolare con riferimento agli articoli 3 e 4, del capitolo II, dedicati alla restituzione dei beni culturali rubati, è stabilito che «il possessore di un bene culturale rubato dovesse restituirlo, introducendo una vera e propria novità in grado di superare ogni perplessità collegata all'applicazione del criterio della legge del luogo ove si trovava la cosa (lex rei sitae)[37]».  

Pertanto, «viene così introdotto un meccanismo necessario di restituzione, considerato indispensabile ai fini di un efficace contrasto al crescente fenomeno dei furti ai danni dei beni culturali mobili, superando tutte le incertezze legate all'applicazione del criterio della lex rei sitae: in tema di beni mobili, infatti, il criterio prevalentemente applicato per giudicare la validità di una transazione identifica il diritto applicabile in quello del luogo dove è avvenuto il trasferimento dell'oggetto, e ciò  consente ai trafficanti di opere di illecita provenienza di utilizzare come basi per i propri commerci proprio gli ordinamenti che tutelano a vario titolo gli acquirenti di buona fede […]. L'art. 3 in esame impone invece di prendere in considerazione esclusivamente la condizione di colui che agisce per la restituzione: una volta che costui riesca a dimostrare di aver subito il furto, nasce il suo diritto alla incondizionata restituzione del bene; in particolare, diventano irrilevanti tutti i successivi passaggi o trasferimenti del bene, originati a seguito dell'illecita perdita del possesso. Analogamente, tenuto alla restituzione sarà colui che, al momento dell'esercizio dell'azione di restituzione, si presenterà come “possessore” del bene […]; la sua eventuale condizione di buona fede, da dimostrare attraverso la prova di aver usato la “dovuta diligenza” non impedisce la restituzione del bene, ma conferisce titolo ad un equo e ragionevole indennizzo […]. Deve quindi darsi atto dell'emergere di una tendenza ad attribuire rilevanza alla lex rei sitae originis, vale a dire ad applicare la legge dello Stato in cui il bene culturale era situato al momento dell'evento critico (furto, ritrovamento archeologico, scavo clandestino) […]. Un esplicito richiamo alla lex originis si trova nel paragrafo 2 dell’art. 3, laddove la Convenzione afferma che ai fini della Convenzione stessa un bene culturale scavato illegalmente o scavato legalmente ma illegalmente trattenuto  deve essere considerato come rubato, se ciò è ammesso dalla legge dello Stato dove lo scavo è avvenuto […][38]».

È chiaro dunque che l’art. 3 pone in capo al possessore di un bene culturale rubato l’obbligo di restituzione. Ogni richiesta di restituzione deve essere presentata entro un termine di tre anni a decorrere dal momento in cui il richiedente ha conosciuto il luogo dove si trovava il bene culturale e l'identità del suo possessore e, in tutti i casi, entro un termine di cinquant'anni dalla data del furto.

Tuttavia, un'azione per la restituzione di un bene culturale che faccia parte integrante di un monumento o di un sito archeologico identificati, o che faccia parte di una collezione pubblica, non è sottoposta ad alcun termine di prescrizione salvo che ad un termine di tre anni dal momento in cui il richiedente sia venuto a conoscenza del luogo dove si trovava il bene culturale e dell’identità del possessore. Tuttavia, ogni Stato contraente può dichiarare che un'azione si prescrive entro un termine di settantacinque anni o in un termine più lungo previsto dalla sua legge. Un'azione intentata in un altro Stato contraente per la restituzione di un bene culturale prelevato da un monumento, da un sito archeologico o da una collezione pubblica, situati in uno Stato contraente che effettua la predetta dichiarazione, si prescrive ugualmente (per reciprocità) nello stesso termine. Scopo della previsione pattizia, prevedendo una disciplina relativamente ai termini  di proponibilità dell’azione di restituzione, è quello di  «superare le notevoli discrepanze  esistenti in subjecta materia nei diversi ordinamenti nazionali[39]». Ancora, «per quanto concerne la legittimazione attiva, vista la genericità della norma, si riteneva che fossero legittimati ad agire sia lo Stato aderente, sia la persona materialmente spogliata del bene[40]».

In base all'articolo 4, il possessore di un bene culturale rubato, che deve restituirlo, ha diritto, al momento della restituzione, al pagamento di un equo indennizzo a condizione che non abbia saputo né avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che il bene era stato rubato e che possa provare di aver agito con la “dovuta diligenza” in occasione dell'acquisto. Il pagamento dell'indennizzo al possessore da parte del richiedente, quando richiesto, non pregiudica il diritto del richiedente di rivalersi su ogni altra persona per il rimborso. Al fine di determinare se il possessore, durante l’acquisto, abbia agito con la dovuta diligenza, bisogna tener conto di una serie di circostanze ed in particolare: la qualità delle parti, il prezzo pagato, la consultazione da parte del possessore di ogni registro ragionevolmente accessibile di beni culturali rubati ed ogni altra informazione e documentazione pertinenti che esso avrebbe ragionevolmente potuto ottenere, nonché la consultazione di organismi ai quali poteva avere accesso o ogni altro passo che una persona ragionevole avrebbe effettuato nelle stesse circostanze.

Il capitolo terzo, articoli 5, 6 e 7, della Convenzione UNIDROIT disciplina invece il ritorno dei beni culturali illecitamente esportati, vale a dire i beni usciti dallo Stato di origine in violazione delle norme sull’esportazione, oppure nel caso di beni usciti lecitamente ma che non sono rientrati ai sensi di una autorizzazione da esso rilasciata in conformità della legge che regolamenta l'esportazione di beni culturali.

La legittimazione processuale per le richieste di ritorno spetta unicamente allo Stato, come chiarito dallo stesso articolo 5[41]. Ancora, «se l'azione di restituzione è strumento per la tutela della proprietà dei beni culturali, e come tale può ad essa far ricorso non solo lo Stato ma anche il privato proprietario, l'azione di ritorno è volta a garantire il rispetto dei vincoli, di natura pubblicistica, posti dalla legislazione di uno Stato a tutela del proprio patrimonio culturale: sarà pertanto lo Stato interessato ad avanzare la richiesta di ritorno di un bene illegalmente esportato dal proprio territorio. Peraltro, non è escluso che vi possa essere un concorso con l'azione di restituzione, tutte le volte che un bene, prima di essere esportato illegalmente, sia stato oggetto di furto: in tal caso, il proprietario potrà avanzare la richiesta di restituzione, e lo Stato quella di ritorno; qualora lo Stato sia anche proprietario, avrà l'opzione tra i due meccanismi di tutela. Risulta evidente il carattere innovativo dell'azione di ritorno, giacché essa consente di superare le tesi, ancora oggi assai diffuse, secondo cui i tribunali non possono dare applicazione al diritto pubblico straniero, giacché ciò equivarrebbe ad una indebita estensione della sfera di sovranità dello Stato cui appartiene la disciplina pubblicistica in questione, ben al di là dei propri confini[42]».

L'art. 5 dispone che il giudice o ogni altra autorità competente dello Stato convenuto ordini il ritorno del bene culturale quando lo Stato richiedente dimostri che l’esportazione del bene ha pregiudicato uno o più dei seguenti interessi: la conservazione fisica del bene o del suo contesto; l’integrità di un bene complesso; la conservazione dell’informazione, in particolare di natura scientifica o storica, relativa al bene; l’uso tradizionale o rituale del bene da parte di una comunità autoctona o tribale; oppure dimostri che il bene ha per detto Stato un’importanza culturale significativa. Ogni richiesta di ritorno di beni culturali illecitamente esportati deve essere corredata da ogni informazione di fatto o di diritto che consenta al giudice o all'autorità competente dello Stato convenuto di determinare se le condizioni sopra descritte sono soddisfatte. Anche per l'azione di ritorno, la convenzione UNIDORIT prevede che ogni richiesta di ritorno deve essere promossa entro un termine di tre anni dal momento in cui lo Stato richiedente abbia conoscenza del luogo dove si trova il bene culturale e dell'identità del suo possessore e, in tutti i casi, entro un termine di cinquant'anni dalla data di esportazione. Nel caso delle uscite temporanee, è considerata esportazione illecita il mancato rientro dei beni nei termini previsti nell’autorizzazione all’uscita temporanea. Pertanto, l’azione di ritorno è esperibile a decorrere dalla data del mancato rientro.

In base al successivo art. 6, l’acquirente di un bene culturale uscito illecitamente ha diritto, al momento del ritorno, al pagamento da parte dello Stato richiedente di un equo indennizzo, a condizione che il possessore non sapeva né avrebbe dovuto ragionevolmente sapere, al momento dell'acquisizione, che il bene era stato illecitamente esportato. Anche in questo caso, come nell’ipotesi di un bene rubato, è previsto che, al possessore che abbia agito con la dovuta diligenza, venga corrisposto un equo indennizzo. Ai fini di valutare l’uso della dovuta diligenza, e quindi il diritto all’indennizzo a favore del possessore/acquirente, bisogna considerare la presenza, ove prevista, del permesso di esportazione in base alla legge dello Stato richiedente.

In base al successivo articolo 8, una richiesta presentata ai sensi dei capitoli II e III della convenzione UNIDROIT (di restituzione di un bene culturale rubato e di ritorno di un bene illecitamente esportato) può essere presentata innanzi al giudice o ad ogni altra autorità competente dello Stato contraente dove il bene culturale si trova, nonché dinanzi al giudice o ogni altra autorità competente che abbiano il potere di decidere la controversia secondo le regole in vigore negli Stati contraenti. Le parti possono concordare di sottoporre la controversia ad un giudice o altra autorità competente o ad arbitrato.

L’articolo10 prevede che, con riferimento ai beni culturali rubati (capitolo II), l’azione di restituzione si applichi dopo l'entrata in vigore della convenzione nei confronti dello Stato dove la richiesta è presentata e a condizione che a) il bene sia stato rubato sul territorio di uno Stato contraente dopo l'entrata in vigore della convenzione nei confronti di detto Stato; oppure che b) il bene si trovi in uno Stato contraente dopo l'entrata in vigore della convenzione nei confronti di questo Stato. Con riferimento all’azione di ritorno (capitolo III), questa si applica solo ad un bene culturale illecitamente esportato dopo l'entrata in vigore della convenzione nei confronti dello Stato richiedente così come dello Stato dove la richiesta è presentata[43]. L’articolo 10 prosegue specificando come la convenzione non legittimi in alcun modo un'operazione illecita di qualunque natura che abbia avuto luogo prima della sua entrata in vigore, né limiti il diritto di uno Stato o di ogni altra persona di intentare un'azione per la restituzione o il ritorno di un bene culturale rubato o illecitamente esportato prima dell'entrata in vigore della convenzione stessa.

La convenzione UNIDROIT è entrata in vigore il 1º luglio 1998. Per l’Italia, l’autorizzazione alla ratifica è avvenuta con la legge n. 213 del 1999.

5.4. La convenzione di Nicosia del 2017 e la legge 9 marzo 2022 n. 22, recante «Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale»

Il 19 maggio 2017 veniva adottata a Nicosia la convenzione finalizzata a promuovere e rafforzare la cooperazione nazionale e internazionale nella lotta contro i reati riguardanti i beni culturali.

La convenzione, la cui autorizzazione alla ratifica è avvenuta con legge n. 6 del 21 gennaio 2022 recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali», è “figlia” dell'omonima convenzione di Delfi del 1985 - mai attuata perché non sottoscritta da un numero sufficiente di Stati - e dell'”hype” creato dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (tra le quali, la n. 2199 del 2015 e la n. 2347 del 2017) che hanno condannato il traffico illecito di opere d'arte specialmente quando collegato al finanziamento del terrorismo. La convenzione obbliga chi la ratifica a dotarsi di una legislazione in grado di proteggere in modo efficace il proprio patrimonio culturale e punire il compimento di reati.

Nella Gazzetta ufficiale n. 68 del 22 marzo 2022, è stata, quindi, pubblicata la legge 9 marzo 2022 n. 22, recante «Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale», in vigore dal 23 marzo 2022 in forza della clausola di immediata operatività contenuta nell’articolo 7 della predetta legge. La riforma del codice penale - attraverso l’introduzione di un apposito titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale - ha rafforzato i principi fissati nell’articolo 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, contemplando una serie di norme tese a sanzionare e reprimere le violazioni delle disposizioni a tutela dei beni culturali.

La normativa ha dato autonoma rilevanza penale ai reati contro il patrimonio culturale, introducendo nel codice penale il titolo VIII-bis «Dei delitti contro il patrimonio culturale», parte dei quali di nuova previsione (si pensi al reato di importazione illecita) ed altri corrispondenti alle figure delittuose prima collocate nel d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, che pertanto sono state abrogate.  

Nel prevedere specifici reati contro il patrimonio culturale nell’ambito del codice penale, il legislatore, in alcuni casi, ha inasprito le pene edittali rispetto a quelle corrispondenti per le ordinarie fattispecie codicistiche, in altri casi ha introdotto circostanze aggravanti e attenuanti speciali e ha previsto la punibilità dei fatti commessi all’estero in danno del patrimonio culturale nazionale. Ha dato specifiche indicazioni in tema di confisca (anche per equivalente) e ha determinato l’ampliamento della categoria dei reati che costituiscono il presupposto di responsabilità degli enti, inserendo nel d.lgs. 231/2001 gli artt. 25-septiesdecies («Delitti contro il patrimonio culturale») e 25-duodevicies («Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici»). Inoltre, all’interno del codice penale, dopo l’articolo 707, è stato aggiunto l’articolo 707- bis sul «Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli».

La legge n. 22 del 2022 ha dato attuazione alle disposizioni contenute nella convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali (Convention on Offences relating to Cultural Property, conosciuta, come detto, anche come “Convenzione di Nicosia”) e ha fornito una sistemazione organica, coerente e ordinata alle disposizioni penali in materia di beni culturali.

Esse, infatti, erano contenute nella parte quarta del codice dei beni culturali, il quale costituisce il corpus normativo di settore in materia di beni culturali. Come detto poc’anzi, il legislatore del 2022 ha tuttavia privilegiato la “riserva di codice in materia penale” e pertanto ha inserito le norme penali in materia di beni culturali all’interno di un apposito titolo del codice penale.

Il predetto titolo VIII-bis del codice penale intitolato «Dei delitti contro il patrimonio culturale» disciplina le seguenti figure delittuose: art. 518-bis (furto di beni culturali); art. 518-ter (appropriazione indebita di beni culturali); art. 518-quater (ricettazione di beni culturali); art. 518-quinquies (impiego di beni culturali provenienti da delitto); art. 518-sexies (riciclaggio di beni culturali); art. 518-septies (autoriciclaggio di beni culturali); art. 518-octies (falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali); art. 518-novies (violazioni in materia di alienazione di beni culturali); art. 518-decies (importazione illecita di beni culturali); art. 518-undecies (uscita o esportazione illecite di beni culturali); art. 518-duodecies (distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici); art. 518-terdecies (devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici); art. 518-quaterdecies (contraffazione di opere d’arte); art. 518-quinquiesdecies (casi di non punibilità); art. 518-sexiesdecies (circostanze aggravanti); art. 518-septiesdecies (circostanze attenuanti); art. 518-duodevicies (confisca); art. 518-undevicies (fatto commesso all’estero)[44].

6. Conclusioni

La circolazione internazionale delle opere d’arte e in generale dei beni culturali costituisce da sempre oggetto di dinamiche complesse, tanto da condurre la comunità internazionale ad adoperarsi per sensibilizzare gli Stati sui risvolti negativi, anche connessi al finanziamento del terrorismo, che il traffico illecito dei beni culturali causa ai popoli depauperati del loro patrimonio e della loro identità. In tal senso, le convenzioni internazionali si sono rivelate uno strumento fondamentale per rafforzare il controllo e la protezione dei beni culturali delle Nazioni aderenti, ma anche per divulgare e sensibilizzare quegli Stati che ancora non hanno adeguate leggi e strumenti di tutela.

Inoltre, sia in ambito internazionale che europeo, si è andato affermando sempre più il concetto di dovuta diligenza “due diligence”, che ha gradualmente sostituito quello della (“semplice”) buona fede. In questo senso, di indiscusso rilievo è stata la recente sentenza del 2 maggio 2024 della Corte europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.) concernente il caso di esportazione illecita della statua raffigurante “l’Atleta Vittorioso”, esposta presso un noto museo americano in California.

Il rinvenimento di questa statua avvenne nel 1964 quando venne scoperta da alcuni pescatori al largo delle coste italiane nel mare Adriatico, per essere poi venduta a soggetti sconosciuti. Successivamente se ne persero le tracce. La statua è poi riapparsa a Monaco dove, nel 1977, fu acquistata dal predetto museo americano. Le autorità italiane hanno tentato più volte, invano, di recuperare la statua e, nel 2007, hanno avviato un procedimento di esecuzione che ha portato all’emanazione di un ordine di confisca. Il museo americano, di conseguenza, ha proposto ricorso in Italia innanzi alla Corte di cassazione.

La Corte di cassazione ha ritenuto che la statua, tutelata in base alla normativa nazionale in materia di beni culturali, fosse stata illecitamente esportata dall'Italia e poi acquistata dal predetto museo in assenza della dovuta diligenza. Anche se oggetto di un acquisto, ne veniva contestata la validità, in quanto era stata violata la legge di tutela nazionale, trattandosi di bene appartenente allo Stato (in quanto la statua ara stata rinvenuta sui fondali marini) e come tale inalienabile.

Il contenzioso è arrivato fino innanzi alla C.E.D.U.. Quest’ultima, con sentenza del 2 maggio 2024, ha stabilito che le autorità nazionali italiane avessero agito correttamente disponendo la confisca e la restituzione del bene de quo, di proprietà dello Stato italiano ed esportato senza la necessaria licenza di esportazione e in assenza del pagamento dei dazi doganali pertinenti. Veniva quindi ribadita la necessità di proteggere i beni culturali dall'esportazione illecita e di restituirli al loro paese di origine.

Sulla natura della transazione – l'acquisto di un bene culturale –la Corte ha ritenuto come fosse uno specifico dovere dell’acquirente svolgere le opportune verifiche sulla provenienza di un bene ed evitare così possibili richieste di confisca e restituzione. È stato, infatti, ritenuto dai giudici della C.E.D.U. che, acquistando la predetta statua in assenza di prove sulla sua legittima provenienza e avendo avuto contezza delle pretese di recupero e restituzione avanzate negli anni dalle autorità italiane sul bene in questione, il museo americano avesse agito con negligenza, se non addirittura in malafede[45]. La  mancata diligenza del museo americano si è, infatti, posta in contrasto con «the strong consensus in international and European law with regard to the need to protect cultural objects from unlawful exportation and to return them to their country of origin[46]». Un museo è, pertanto, tenuto a condurre i necessari controlli concernenti la legittimità della provenienza di un bene culturale e a verificare, con la dovuta diligenza, la legalità dell’acquisto.

Infine, al termine di questa analisi, risulta doveroso richiamare alcuni passaggi del preambolo della convenzione UNESCO del 1970, per sottolineare l’importanza di preservare l’identità dei popoli e proteggere i beni culturali dei paesi dai pericoli del traffico illecito: «i beni culturali sono uno degli elementi fondamentali della civilizzazione e della cultura dei popoli e assumono il loro valore reale solo se sono conosciuti con la più grande precisione la loro origine, la loro storia e il loro ambiente […]; ciascuno Stato ha il dovere di proteggere il patrimonio costituito dai beni culturali esistenti sul proprio territorio contro i pericoli di furto, di scavi clandestini e esportazione illecita […]». Pertanto, «è indispensabile che ciascuno Stato prenda maggiormente coscienza degli obblighi morali inerenti al rispetto del proprio patrimonio culturale nonché di quello di tutte le nazioni […]».


Note e riferimenti bibliografici

[1] Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. 

 [2]R. LEONARDI, L’art. 73, il regolamento 2009/116/CE e la direttiva 2014/60/UE, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 760.

[3]Per i beni culturali che non rientrano nella definizione di beni culturali di cui al regolamento CE si applica la disciplina prevista dalla normativa nazionale dello Stato membro di esportazione (art. 2, comma 4, regolamento 116/2009).

[4] R. LEONARDI, L’art. 74 e il regolamento CE n. 116/2009, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 761.

[5] Codice dei beni culturali e del paesaggio e successive modifiche.

[6]Articolo 74: «1. L’esportazione al di fuori del territorio dell’Unione europea degli oggetti indicati nell’allegato A è disciplinata dal regolamento CEE e dal presente articolo. 2. Ai fini di cui all'articolo 3 del regolamento CEE, gli uffici di esportazione del Ministero sono autorità competenti per il rilascio delle licenze di esportazione. Il Ministero redige l'elenco di detti uffici e lo comunica alla Commissione delle Comunità europee; segnala, altresì, ogni eventuale modifica dello stesso entro due mesi dalla relativa effettuazione. 3. La licenza di esportazione prevista dall'articolo 2 del regolamento CEE è rilasciata dall'ufficio di esportazione contestualmente all'attestato di libera circolazione, ed è valida per un anno. La detta licenza può essere rilasciata, dallo stesso ufficio che ha emesso l'attestato, anche non contestualmente all'attestato medesimo, ma non oltre quarantotto mesi dal rilascio di quest'ultimo. 4. Per gli oggetti indicati nell'allegato A, l'ufficio di esportazione può rilasciare, a richiesta, anche licenza di esportazione temporanea, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dagli  articoli 66, 67 e 71.  5. Le disposizioni della sezione 1-bis del presente capo non si applicano agli oggetti entrati nel territorio dello Stato con licenza di esportazione rilasciata da altro Stato membro dell'Unione europea a norma dell'articolo 2 del regolamento CEE, per la durata di validità della licenza medesima».

[7] R. LEONARDI,  L’art. 74 e il regolamento CE n. 116/2009, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 762.

[8] R. LEONARDI, L’art. 74 e il regolamento CE n. 116/2009, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 762.

[9] Articolo 5: «Le autorità centrali degli Stati membri cooperano e promuovono la consultazione tra le autorità competenti degli Stati membri. Queste ultime assolvono in particolare i seguenti compiti: 1) individuare, su domanda dello Stato membro richiedente, un determinato bene culturale uscito illecitamente dal territorio di detto Stato, nonché localizzarlo e identificarne il possessore e/o detentore. La domanda deve comprendere qualsiasi informazione utile per agevolare la ricerca, in particolare riguardante la localizzazione vera o presunta del bene; 2) effettuare una notifica agli Stati membri interessati quando è ritrovato un bene culturale nel loro proprio territorio e sussistono validi motivi per ritenere che detto bene sia uscito illecitamente dal territorio di altro Stato membro; 3) facilitare la verifica, da parte delle autorità competenti dello Stato membro richiedente, che il bene in questione costituisce un bene culturale purché tale operazione sia effettuata entro sei mesi dalla notifica prevista al punto 2. Qualora la verifica non sia effettuata entro il termine stabilito, i punti 4 e 5 non sono più d'applicazione; 4) prendere, ove occorra, in cooperazione con lo Stato membro interessato, le misure necessarie per la conservazione materiale del bene culturale; 5) impedire, mediante i necessari provvedimenti provvisori, che il bene culturale sia sottratto alla procedura di restituzione; 6) svolgere il ruolo d'intermediario tra il possessore e/o detentore e lo Stato membro richiedente ai fini della restituzione. In tale senso, le autorità competenti dello Stato membro richiesto possono agevolare, fatto salvo l'articolo 6, l'esecuzione di una procedura di arbitrato, conformemente alla legislazione nazionale dello Stato membro richiesto e a condizione che lo Stato membro richiedente ed il possessore o detentore vi diano formalmente il proprio accordo. Al fine di cooperare e consultarsi tra di loro, le autorità centrali degli Stati membri utilizzano un modulo del sistema d'informazione del mercato interno («l'IMI») stabilito dal regolamento (UE) n. 1024/2012, specificamente adattato per i beni culturali. Possono inoltre avvalersi dell'IMI per diffondere tutte le pertinenti informazioni correlate a casi relative ai beni culturali rubati o usciti illecitamente dal loro territorio. Gli Stati membri decidono in merito all'uso dell'IMI da parte delle altre autorità competenti ai fini della presente direttiva».

[10] L'autorità centrale prevista dalla direttiva UE è, per l'Italia, il Ministero (della cultura). Esso si avvale, per i vari compiti indicati nella direttiva, dei suoi organi centrali e periferici, nonché della cooperazione degli altri Ministeri, degli altri organi dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali.

[11] Articolo 6: «Lo Stato membro richiedente può proporre contro il possessore e, in mancanza di questo, contro il detentore, davanti al giudice competente dello Stato membro richiesto, l'azione di restituzione del bene culturale uscito illecitamente dal suo territorio. Per essere ammissibile, l'atto introduttivo dell'azione di restituzione deve essere corredato di: a) un documento che descriva il bene oggetto della richiesta e dichiari che si tratta un bene culturale; b) una dichiarazione delle autorità competenti dello Stato membro richiedente secondo la quale il bene culturale è uscito illecitamente dal territorio del medesimo».

[12] Si ricorda che lo Stato membro richiesto è lo Stato nel cui territorio si trova il bene culturale che è uscito illecitamente dal territorio di un altro Stato membro. Pertanto, la normativa unionale individua il criterio del forum rei sitae, lasciando poi agli Stati membri l’individuazione del giudice avente giurisdizione e competenza territoriale. Si veda in tal senso, F. CARLESI, Azione di restituzione, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 785.

[13] I soggetti titolari in via esclusiva della legittimazione attiva ad avanzare l’azione di restituzione avente ad oggetto beni culturali illecitamente usciti dal proprio territorio sono, in via esclusiva, gli Stati membri dell'Unione europea, anche in assenza del diritto di proprietà sui beni stessi e quindi a prescindere se i proprietari dei beni di cui viene richiesta la restituzione siano gli stessi Stati membri o altri soggetti pubblici, o soggetti privati, facendo venire in rilievo la differenza tra l’azione di restituzione e l'azione di rivendicazione del diritto di proprietà, come emerge nell'articolo 13 della direttiva. Per un approfondimento, si veda F. CARLESI, Azione di restituzione, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 782 ss.

[14] Il sistema di informazione del mercato interno (IMI) è uno strumento elettronico fornito dalla Commissione europea per favorire la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti degli Stati membri e tra le autorità competenti degli Stati membri e la Commissione (regolamento UE 1024/2012).

[15] M. MARLETTA, cit. da F. CARLESI, Termini di decadenza e di prescrizione dell’azione, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 791.

[16] F. CARLESI, Termini di decadenza e di prescrizione dell’azione, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 791.

[17] Ibid.

[18] P. OTRANTO, L. PASQUALI, citati da F. CARLESI, Termini di decadenza e di prescrizione dell’azione, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 792.

[19] F. CARLESI, Termini di decadenza e di prescrizione dell’azione, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 792.

[20]Trattasi del titolare delle merci definito all’articolo 5, n. 34, del regolamento (UE) n. 952/2013, vale a dire la persona che è proprietaria delle merci o che ha un diritto analogo di disporne o che ne ha il controllo fisico.

[21] Trattasi di un sistema elettronico centralizzato, istituito e gestito dalla Commissione europea, che entrerà in funzione entro il mese di giugno 2025 e che consente anche l’archiviazione e lo scambio di informazioni tra le autorità degli Stati membri.

[22]Tra cui, collezioni ed esemplari rari di fauna, flora, mineralogia e anatomia, oggetti aventi interesse paleontologico, beni riguardanti la storia, comprese la storia della scienza e della tecnica e la storia militare e sociale, nonché la vita dei leader, dei pensatori, degli scienziati e degli artisti nazionali e gli avvenimenti di importanza nazionale, oggetti di antichità, quali iscrizioni, monete e sigilli incisi, oggetti aventi interesse etnologico, oggetti aventi interesse artistico, quali quadri, pitture e disegni eseguiti interamente a mano su qualsiasi supporto e di qualsiasi materia, esclusi i disegni industriali e gli oggetti manufatti decorati a mano, opere originali dell’arte statuaria e dell’arte scultoria, di qualsiasi materia, incisioni, stampe e litografie originali, assemblaggi e montaggi artistici originali di qualsiasi materia, manoscritti rari e incunaboli, libri, documenti e pubblicazioni antichi d’interesse particolare storico, artistico, scientifico, letterario, isolati o in collezioni, etc., oltre i 200 anni di età e con una soglia finanziaria minima di 18000 euro o più al pezzo.

[23] Per un approfondimento sulla normativa europea di importazione e sulla piattaforma europea ICG, si veda L. MONTEREALE, Le piattaforme digitali e la circolazione internazionale dei beni culturali: analisi della normativa europea sull’importazione dei beni culturali, in Riv. Cammino Diritto, 2023.

[24] In base ad autorizzazione disposta con legge nazionale n. 873 del 30 ottobre 1975.

[25] «The International Institute for the Unification of Private Law (UNIDROIT) is an independent intergovernmental Organisation with its seat in the Villa Aldobrandini in Rome. Its purpose is to study needs and methods for modernising, harmonising and co-ordinating private and in particular commercial law as between States and groups of States and to formulate uniform law instruments, principles and rules to achieve those objectives». Si veda  www.unidroit.org

[26] Per un approfondimento sulle convenzioni internazionali, si vedano anche T. ALIBRANDI, P.G. FERRI, I beni culturali e ambientali in Commentario di legislazione amministrativa, Milano, 1985; S. ITALIA, Il traffico illecito delle opere d’arte, Roma, 2019; F.TIGANO, La disciplina internazionale fondamentale in materia di illecita esportazione di beni culturali: in particolare, la Convenzione Unesco del 1970 e la UNIDROIT del 1995, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, 2019, 795 ss.; R. TAMIOZZO, Per la tutela del patrimonio culturale, Roma, 2023.

[27] «The High Contracting Parties undertake to respect cultural property situated within their own territory as well as within the territory of other High Contracting Parties by refraining from any use of the property and its immediate surroundings or of the appliances in use for its protection for purposes which are likely to expose it to destruction or damage in the event of armed conflict; and by refraining from any act of hostility, directed against such property».

[28] «The High Contracting Parties further undertake to prohibit, prevent and, if necessary, put a stop to any form of theft, pillage or misappropriation of, and any acts of vandalism directed against, cultural property. They shall refrain from requisitioning movable cultural property situated in the territory of another High Contracting Party».

[29] «They shall refrain from any act directed by way of reprisals against cultural property».

[30] «1. Any High Contracting Party in occupation of the whole or part of the territory of another High Contracting Party shall as far as possible support the competent national authorities of the occupied country in safeguarding and preserving its cultural property. 2. Should it prove necessary to take measures to preserve cultural property situated in occupied territory and damaged by military operations, and should the competent national authorities be unable to take such measures, the Occupying Power shall, as far as possible, and in close co-operation with such authorities, take the most necessary measures of preservation […]».

[31] «Each High Contracting Party undertakes to prevent the exportation, from a territory occupied by it during an armed conflict, of cultural property as defined in Article 1 of the Convention for the Protection of Cultural Property , signed at The Hague on 14 May, 1954».

[32] «Each High Contracting Party undertakes to return, at the close of hostilityies, to the competent authorities of the territory previously occupied, cultural property which is in its territory, if such property has been exported in contravention of the principle laid down in the first paragraph. Such property shall never be retaineed as war reparation».

[33] «The High Contracting Party whose obligation it was to prevent the exportation of cultural property from the territory occupied by it, shall pay an indemnity to the holders in good faith of any cultural property which has to be returned in accordance with the preceding paragraph».

[34] «Cultural property coming from the territory of a High Contracting Party and deposited by it in the territory of another High Contracting Party for the purpose of protecting such property against the dangers of an armed conflict, shall be returned by the latter, at the end of hostilities, to the competent authorities of the territory from which it came».

[35] S. VANNINI, Le misure di protezione previste dalla Convenzione UNESCO, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 843 ss.

[36] Tale principio è stato rafforzato nella normativa europea e nella convenzione UNIDROIT del 1995.

[37] R. LEONARDI, La circolazione  dei beni culturali nelle convenzioni internazionali, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 754.

[38] S. VANNINI, Convenzione UNIDROIT, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 836 ss.

[39] S. VANNINI, Convenzione UNIDROIT, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 838.

[40] R. LEONARDI,  La circolazione  dei beni culturali nelle convenzioni internazionali, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 754.

[41] R. LEONARDI,  La circolazione  dei beni culturali nelle convenzioni internazionali, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 755.

Articolo 5 convenzione UNIDROIT: «Uno Stato contraente può richiedere al giudice o ad ogni altra autorità competente di un altro Stato contraente che sia ordinato il ritorno di un bene culturale illecitamente esportato dal territorio dello Stato richiedente».

[42] S. VANNINI, Convenzione UNIDROIT, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 838.

[43] R. LEONARDI, La circolazione  dei beni culturali nelle convenzioni internazionali, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 755.

[44] Per un approfondimento, si veda Corte suprema di cassazione, ufficio del massimario e del ruolo, servizio penale. Relazione su novità normativa. Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022 n. 22). Relazione n. 34/22. Roma, 21 giugno 2022.

[45] Per un approfondimento sulla sentenza della C.E.D.U., si veda, S. BISAGLIA, L. MONTEREALE, La diligenza richiesta nei rapporti internazionali concernenti i beni culturali: il caso dell’Atleta di Fano, 2 maggio 2024, in Riv. Archeologi&. Storia, Antropologia, Museologia, Arte, sezione Diritto e beni culturali, Roma, 2024.

[46] Sentenza C.E.D.U. 2 maggio 2024 (Application no. 35271/19).

 

Bibliografia

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BISAGLIA S., MONTEREALE L., La diligenza richiesta nei rapporti internazionali concernenti i beni culturali: il caso dell’Atleta di Fano, 2 maggio 2024, in Riv. Archeologi&. Storia, Antropologia, Museologia, Arte, sezione Diritto e beni culturali, Roma, 2024.

CARLESI F., Termini di decadenza e di prescrizione dell’azione, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, pp. 789 e ss.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Ufficio del Massimario e del Ruolo, Servizio Penale. Relazione su novità normativa. Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022 n. 22). Relazione n. 34/22. Roma, 21 giugno 2022.

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Riferimenti normativi e giurisprudenziali

Regolamento n. 3911 /92 del Consiglio del 9 dicembre 1992 relativo all'esportazione di beni culturali.

Regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo all'esportazione di beni culturali.

Regolamento di esecuzione (UE) n. 1081/2012 della Commissione, del 9 novembre 2012, recante disposizioni d’applicazione del regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio relativo all’esportazione di beni culturali.

Direttiva 93/7/CEE del Consiglio del 15 marzo 1993 relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro.

Direttiva 2014/60/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro.

Regolamento (UE) 2019/880 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 relativo all’introduzione e all’importazione di beni culturali.

Regolamento d’esecuzione (UE) 2021/1079 della Commissione del 24 giugno 2021 recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento (UE) 2019/880 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'introduzione e all'importazione di beni culturali.

Convenzione de L’Aia per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato del 1954.

Convenzione UNESCO del 14 novembre 1970 concernente le misure da adottare per interdire ed impedire la illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali.

Convenzione UNIDROIT del 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente esportati.

Convenzione di Nicosia del 2017 recante Convention on Offences relating to Cultural Property.

D.lgs. n. 42 del 2004 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Legge 9 marzo 2022 n. 22, recante Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale.

Codice penale, titolo VIII-bis recante Dei delitti contro il patrimonio culturale.

Sentenza C.E.D.U., 2 maggio 2024 (Application no. 35271/19).