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Pubbl. Gio, 5 Mag 2022

Considerazioni sul comunicato della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome paterno

Anna Maria Princiotta



L´Autore affida alcune riflessioni sul comunicato del 27 aprile 2022 col quale l´Ufficio stampa della Corte costituzionale ha preannunciato che il Supremo Consesso ha dichiarato illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre


Sommario: 1. Premessa generale; 2. I recenti interventi della Corte costituzionale; 3. Conclusioni.

Sommario: 1. Premessa generale; 2. I recenti interventi della Corte costituzionale; 3. Conclusioni.

1. Premessa generale

L’Ufficio stampa della Corte costituzionale, con il Comunicato del 27 aprile 2022, ha fatto sapere che la stessa è tornata ad occuparsi delle norme che regolano l’attribuzione del cognome ai figli, dichiarandone l’illegittimità per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non consentono ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre, e nella parte in cui prevedono l’automatica attribuzione del solo cognome paterno in caso di mancato accordo, anziché il cognome di entrambi i genitori.

La questione è un’ulteriore conferma di come negli ultimi decenni il diritto di famiglia stia attraversando «un intenso processo di trasformazione che ne ha profondamente mutato la fisionomia tradizionale»[1].

E proprio sulla forza persuasiva del patronimico, si sono appuntate recentemente una schiera di decisioni del giudice delle leggi che fotografano una realtà che, da ormai diverso tempo, è paradigmatica dell’esigenza di una «rielaborazione del secolare patrimonio teorico e normativo»[2].

Dietro gli argomenti della Consulta ha evidentemente giocato un ruolo determinante l’idea che le regole di attribuzione del patronimico conservano il retaggio di disparità di trattamento tra i genitori in tema di trasmissione del cognome. D’altro canto l’armamentario normativo riflette ancora un ruolo predominante del genitore maschio all’interno della famiglia e una preminenza del marito rispetto alla moglie.

Una situazione che, evidentemente, è incompatibile già ictu oculi con i valori fondamentali accolti dal nostro ordinamento (uno per tutti il principio di uguaglianza) e con la cornice legislativa del diritto di famiglia (L. 19 maggio 1975, n. 151) che intendeva far fronte proprio alla mutata dinamica sociogiuridica[3]. Debole sarebbe apparso, pertanto, il contributo di chi avesse tentato di rintracciare una plausibile ragione per «giustificare la conservazione di un simile privilegio»[4].

Chiunque si accinga ad esaminare la decisione è, pertanto, chiamato a riflettere sul perché una regola di tal guisa sia stata vigente per così lungo tempo, quantunque si discostasse dai valori ordinamentali.

Questa sede non consente certo di esplorare con la dovuta profondità tale tematica, alla quale si farà solo qualche accenno.

Il patronimico si è verosimilmente tramandato ai figli matrimoniali in forza di una norma implicita[5] della cui valenza imperativa - osservavano senza riserve i giudici di legittimità - «non è lecito dubitare»[6].

Una regola che, desunta dalla lettura congiunta di un ventaglio di prescrizioni, si è poi ben radicata nel costume sociale[7], quantunque non abbia mai assunto le sembianze di una consuetudine[8] essendo orfana dell’elemento della opinio iuris ac necessitatis.

2.  Recenti interventi della Corte costituzionale

A dirla tutta, non era ben chiaro come si potesse ipotizzare che l’automatismo del patronimico assumeva la valenza di una norma giuridica vincolante se, a tutto concedere, una simile norma sarebbe apparsa in conflitto con tutto il sistema[9].

Probabilmente l’unica plausibile giustificazione poteva trarsi dal fatto che si trattava di una valenza normativa più apparente che reale[10], ma questa è un’altra storia.

Di certo vi è che il patronimico si è trasmesso per via della tradizione, nell’ottica di soddisfare un duplice interesse: individuale al proprio appellativo e pubblico alla certezza delle denominazioni ed all’identificazione delle persone.

Fino a qualche anno fa, peraltro, il criterio della prevalenza del cognome paterno resisteva finanche alla volontà contraria dei genitori. Fu decisiva, in tal senso, la Corte costituzionale[11] nel momento in cui ebbe l’opportunità di accogliere la questione di legittimità sollevata dalla Corte d’Appello di Genova, nell’ambito di un procedimento di opposizione al provvedimento dell’ufficiale di stato di civile che si era rifiutato di assegnare ad un neonato, su richiesta di entrambi i coniugi, il cognome materno[12].

A differenza del passato[13], la Consulta non si era limitata a invocare l’intervento del legislatore, riuscendo ad incidere profondamente sul tessuto normativo «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i princípi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna»[14].

Pur tuttavia, il fatto di aver circoscritto la declaratoria di illegittimità a tale porzione di norma, aveva quale conseguenza una molteplicità di profili applicativi incerti, ai quali soltanto il legislatore, proseguendo sul medesimo binario assiologico, avrebbe potuto rispondere.

Apprezzabile era certamente il fatto che i coniugi fossero ormai liberi di accordarsi sul cognome da tramandare alla figliolanza, condividendo una scelta per certi versi «pienamente rispettosa dei princípi e valori primari dell’ordinamento»[15].

La questione era peraltro legata a doppio filo con la circostanza che la Corte di Strasburgo aveva già condannato l’Italia «ad adottare riforme legislative o di altra natura», finalizzate a tramandare alla figliolanza anche il cognome materno, a fronte di quella che ammoniva come la «défaillance du système juridique italien»[16].

3. Conclusioni

Può essere indicativo, anche al fine di cogliere l’importanza dell’emanando provvedimento da parte della Consulta, che il governo aveva prontamente presentato un disegno di legge[17] - poi confluito nel ddl unificato n. 1628 - il cui destino fu segnato dal sopravvenuto scioglimento delle Camere.

Nel salutare con favore il comunicato da parte dell’Ufficio stampa della Corte delle leggi è già evidente, prima di leggere le pagine della pronuncianda sentenza che nelle prossime settimane sarà pubblicata, come la regola attuale è che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, spetterà al giudice decidere in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico (si veda, ad esempio, quanto prevede l’art. 145 c.c. in caso di disaccordo tra genitori).

In considerazione degli interessi coinvolti, il comunicato ha ovviamente avuto molto clamore nell’opinione pubblica ed è stato già oggetto di attenzione da parte di vari commentatori, che non hanno esitato ad esprimere riserve sulle problematiche che persisteranno, ancorché lo scrivente crede che ogni valutazione in merito sia necessariamente legata agli argomenti che la Corte Costituzionale addurrà nell’emananda decisione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Lo rimarca, fra gli altri, L. Bardaro, La filiazione non riconoscibile tra istanze di tutela e valori giuridici, Napoli, 2015, 13.

[2] Cfr. L. Bardaro, La filiazione non riconoscibile tra istanze di tutela e valori giuridici, o.u.c., 13.

[3] Tali dinamiche sono ben rappresentate in F. Prosperi, L’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e la trasmissione del cognome ai figli, cit., 841; M. C. De Cicco, La normativa sul cognome e l’uguaglianza tra genitori, in Rass. dir. civ., 1985, 960, la quale fa presente che la legge del 19 maggio 1975, n. 151 non si occupava della questione della trasmissione automatica del cognome paterno per i figli matrimoniali, che secondo quanto sostenuto dall’autrice risulterebbe norma implicita nell’ordinamento italiano.

[4] Come giustamente fa notare L. Bardaro, Persona umana e diritto al nome, Napoli, 2020, 28.

[5] In proposito v. F. Pacini, Una consuetudine secolare da rivedere, in Giur. merito, 1985, 1243 che discorre di una vera e propria consuetudine divenuta contra legem. Analoghe considerazioni in F. Prosperi, L’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e la trasmissione del cognome ai figli, in Rass. dir. civ., 1996, 841.

[6] Cass., 17 luglio 2004, n. 13298, in Fam. dir., 2004, 457, con nota di V. Carbone, Quale futuro per il cognome?

[7] Lo conferma la Corte cost., ord. 11 maggio 1988, n. 586 stesa da L. Mengoni: «il limite derivante all’eguaglianza dei coniugi non contrasta con l’art. 29 cost., in quanto utilizza una regola radicata nel costume sociale come criterio di tutela dell’unità della famiglia fondata sul matrimonio».

[8] Ritiene, invece, C. Cascione, Nel (cog)nome della madre e contro il fantasma romanistico, il Giudice ‘delle leggi’ abroga … una consuetudine, in www.jurisprudentia.it/nel-cognome-della-madre-e-contro-il-fantasma-romanistico-il-giudice-delle-leggi-abroga-una-consuetudine, che l’intervento della Corte delle leggi, per quanto auspicato, svela tutta la sua problematicità anche in punto di oggetto del giudizio. L’Autore si chiede se tale Consesso sia dotato del potere di abrogare una consuetudine, dal momento che quella sul cognome del figlio legittimo è una norma (certamente ne ha tutte le caratteristiche) non prevista testualmente in nessuna previsione di legge o atto avente forza di legge. Per l’A. la Consulta ha probabilmente esorbitato i poteri di giudizio che le sono conferiti dalla Carta cost., posto che al giudice è demandato solo il potere di disapplicare una consuetudine contra legem ma non potrà abrogarla, non venendo in rilievo una fonte-atto (art. 136 cost.). Probabilmente per queste ragioni la Corte costituzionale ha coniato l’espressione di “norma presupposta”, ovvero desunta da altre disposizioni di legge. Tal elegante escamotage svela - secondo lo studioso - un significativo intoppo dogmatico, che reca con sé conseguenze di non poco rilievo in punto di certezza di diritto.

[9] Cfr. L. Bardaro, Persona umana e diritto al nome, cit.,   

[10] G. Grisi, L’aporia della norma che impone il patronimico, in Europa dir. priv., 2010, 678.

[11] Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, in Fam. dir., 3, 2017, 213, con nota di E. Al Mureden, L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori - e identità personale del figlio; in Nuova giur. civ. comm., 6, 2017, 823, con nota di C. Favilli, Il cognome tra parità dei genitori e identità dei figli; in Foro it., 2017, I, c. 6, con nota di G. Casaburi, Nota a Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286; in Corr. giur., 2017, 2, 165, con nota di V. Carbone, Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d’accordo.

 La decisione richiama il precedente Corte cost., 6 febbraio 2006, n. 61, in Pers. fam. succ., 2006, 898 e segg., con nota di L. Gavazzi, Sull’attribuzione del cognome materno ai figli legittimi; e in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 30 e segg., con nota di V. Carfì, Il cognome del figlio legittimo al vaglio della Consulta.

[12] Si tratta dell’ordinanza del 26 novembre 2013, n. 31, in G.U, 1° Serie Speciale - Corte Costituzionale, n. 13 del 19 marzo 2014 resa nell’ambito di un giudizio di reclamo avverso il provvedimento del Tribunale di Genova. Il Tribunale ligure aveva rigettato il gravame proposto dai genitori brasiliani a seguito del rifiuto dell’Ufficiale di stato civile di registrare il figlio, titolare della doppia cittadinanza, con il doppio cognome, sul presupposto che nell’ordinamento italiano l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio “legittimo”, seppur non prevista da alcuna specifica disposizione di legge, è desunta da una serie di disposizioni regolatrici diverse, quali gli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., l’art. 72 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 e gli artt. 33 e 34 del d.P.R., 3 novembre 2000, n. 396.

[13] Basti pensare a Corte cost. 16 febbraio 2006, n. 611, in Foro it., 2006, I, 1673 ss.; in Giur. cost., 2006, 552, con nota di E. Palici di Suni, Il nome di famiglia: la Corte Costituzionale si tira ancora una volta indietro, ma non convince. In proposito, anche S. Niccolai, Il cognome familiare tra marito e moglie. Come è difficile pensare le relazioni tra i sessi fuori dallo schema dell’uguaglianza, in Giur. cost., 2006, 558 ss., ritenne che la persistenza della regola fondata sull’automaticità del patronimico fosse soggetta alla discrezionalità del legislatore che avrebbe potuto eliminarne l’obbligatorietà, conferendo la facoltà di scelta ai genitori o introducendo il doppio cognome cosiddetto patriarcale; Corte cost., 1° febbraio 1988, n. 176, in Rass. dir. civ., 1991, 190 nella quale i giudici dichiararono inammissibile la questione sottopostale, precisando che si trattava di valutazioni riservate alla discrezionalità del legislatore. In senso analogo si era espressa Corte cost., 27 aprile 2007, n. 145, in Giust. it., 2008, 585.

[14] Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, cit..

[15] M. Trimarchi, Diritto all’identità personale e cognome della famiglia, in Genitori e figli: quali riforme per le nuove famiglie, cit., 127.

[16] Corte Edu, Affair Cusan et Cazzo c Italie, 7 gennaio 2014, in Fam. dir., 2014, 3, 222, con nota di S. Stefanell, Illegittimità dell’obbligo del cognome paterno e prospettive di riformai; in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 520, con nota di M. Winkler, Sull’attribuzione del cognome paterno nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo; in Giur. cost., 2014, 1, 738 ss., con nota di G. P. Dolso, La questione del cognome familiare tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo. La vicenda trae origine dal ricorso alla Corte di Strasburgo di due coniugi milanesi ai quali era stato negato dall’Ufficiale di Stato civile di registrare all’anagrafe la figlia con il cognome materno. Per la Corte, la normativa italiana sul cognome accoglie una visione patriarcale della famiglia che entra in collisione con gli artt. 8 e 14 della CEDU, l’uno, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare; l’altro, relativo al divieto di ogni forma di discriminazione. La Corte ravvisa dette violazioni nell’impossibilità dei genitori di attribuire, di comune accordo, al figlio il cognome della madre.

[17] Si tratta del d.d.l. n. 2123 del 21 febbraio 2014, denominato Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli, in esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritto dell’uomo del 7 gennaio 2014.