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Pubbl. Gio, 11 Ago 2022

Il rapporto tra recidiva ad effetti temperati e prescrizione: la parola alle Sezioni Unite

Mattia Cutolo



Questo articolo commenta la sentenza Cass. Sez. II, Ord., 8.2.2022, n. 4439 che rimette alle Sezioni Unite della Suprema Corte una questione dirimente circa il rapporto tra recidiva e computo della prescrizione. Il punto fondamentale, oggetto dell´ordinanza di rimessione, è capire se il limite all´aumento pena di cui all´art. 99 co. 6 modifica la qualificazione dogmatica della recidiva; e se tale limite all’aumento di pena possa avere conseguenze sul calcolo della prescrizione. Il contributo si prefigge, dunque, di individuare l’interpretazione più conforme a Costituzione, analizzando le conseguenze dogmatiche e funzionali.


Sommario: 1. La vicenda processuale; 2. La questione di diritto; 3. Le prospettive della Suprema Corte; 4. La struttura e natura giuridica della recidiva; 5. Il rapporto tra recidiva ad effetti temperati e prescrizione. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. La vicenda processuale; 2. La questione di diritto; 3. Le prospettive della Suprema Corte; 4. La struttura e natura giuridica della recidiva; 5. Il rapporto tra recidiva ad effetti temperati e prescrizione. Considerazioni conclusive.

1. La vicenda processuale

I fatti oggetto della pronuncia in commento[1] sono di seguito riportati brevemente.

La Corte di appello di Roma confermava la condanna del ricorrente per due reati di ricettazione, relativi ad assegni provento di furto.

Contro tale condanna, ricorreva il difensore dell’imputato lamentando, in primo luogo, un erroneo calcolo della prescrizione.

Più precisamente, la difesa assumeva che l’estinzione del reato si fosse verificata prima della sentenza di appello perché, in un caso, la recidiva non era stata contestata; nell’altro, perché non era stata applicata in concreto, considerato che non emergeva dal calcolo della pena.

Secondariamente, veniva argomentato che, con riferimento a una delle ipotesi di ricettazione, anche ammettendo che il reato fosse aggravato dalla recidiva, la prescrizione sarebbe in ogni caso già maturata prima della conferma della condanna in appello, stante il limite all’aumento di pena della recidiva ai sensi dell’art. 99 co. 6 c.p., che dispone: «In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo».

Di conseguenza, considerata la disposizione di cui al co. 6 e il cumulo delle pene riportate dalle condanne precedenti, il temperamento di aumento pena avrebbe influito anche sul computo della prescrizione, che sarebbe quindi già maturata.

Veniva, infatti, dedotto che l’art. 99 c.p. co. 6 avrebbe efficacia sia sull’art. 157 co. 2 c.p., che regola il calcolo della prescrizione quando vi siano circostanze aggravanti ad effetto speciale, sia sull’art. 161 co. 2 c.p., che disciplina l’interruzione della prescrizione nei casi in cui sussista la recidiva aggravata, art. 99 co. 2 c.p., o la recidiva reiterata, art. 99 co. 4 c.p.

Essendoci evidente contrasto tra i diversi orientamenti giurisprudenziali sul punto (in particolare tra le Sezioni II, IV, V e VI), la Seconda Sezione decideva di rimettere la questione alle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione.

2. La questione di diritto

La questione ha ad oggetto un contrasto tra più Sezioni penali della Suprema Corte in materia di aggravamento di pena determinato dalla recidiva e calcolo della prescrizione, ex artt. 99 co. 6 e 157 co. 2 c.p.

In particolare viene posto alle Sezioni Unite il quesito se, in primo luogo, il temperamento di aumento pena di cui all’art. 99 co. 6 c.p. possa incidere sulla qualificazione dogmatica della recidiva aggravata (co. 2) e reiterata (co. 4), che sono tecnicamente individuate come circostanze aggravanti ad efficacia speciale; secondariamente, se, in ogni caso, il tetto all’aumento di pena prescritto dal menzionato art. 99 co. 6 c.p. (che, quindi, agisce moderando l’incremento della sanzione dovuto dalla recidiva) dispieghi la propria efficacia anche nel computo dei termini prescrizionali, in forza dell’art. 157 co. 2 c.p.

Il tema centrale è quello degli effetti giuridici della recidiva che siano diversi dall’aumento di pena, nella prospettiva di una lettura omogenea e sistemica della disciplina ex art. 99 c.p. in relazione agli altri istituti del codice[2].

Come si avrà modo di vedere, in argomento di recidiva, la giurisprudenza costituzionale[3] e la giurisprudenza di legittimità[4] stanno tentando di far emergere un volto nuovo dell’istituto, che vorrebbe prendere le distanze dal paradigma applicativo di stampo meramente repressivo-preventivo, per avvicinarsi sempre di più ad un modello di disciplina costituzionalmente orientato[5], in attesa di una rinnovata riflessione legislativa sulle ragioni politico-criminali dell’istituto.

3. Le prospettive della Suprema Corte

Il Collegio rimettente è molto chiaro, al par. 3 (in riferimento alle due questioni: se la recidiva c.d. «ad effetti temperati» incida sulla qualificazione giuridica di circostanza ad effetto speciale dei commi 2 e 4, e se, in ogni caso, tale temperamento abbia effetto sul calcolo della prescrizione), sul fatto di non volere dar seguito a quell’orientamento secondo il quale la recidiva conserverebbe la qualificazione di circostanza ad effetto speciale anche quando mitigata dal tetto di cui al co. 6, andando così ad incidere sul calcolo della prescrizione, ai sensi dell’art. 157 co. 2 c.p.

D’altro canto, la Corte non vorrebbe aderire neanche a quell’indirizzo secondo il quale sarebbe escluso che la recidiva, ove temperata ex co. 6, conservi la qualificazione di circostanza ad effetti speciali con la conseguenza che l’attenuazione di pena non dispiegherebbe i propri effetti sul computo dei termini prescrizionali.

Infatti, la Sezione II non fa mistero, al par. 6, di privilegiare un orientamento intermedio.

Quindi, l’ordinanza di rimessione si rifà alla sentenza Graniello (Cass. Sez. V, 24.9.2019, n. 44099) per quanto riguarda la qualificazione giuridica della recidiva ad effetti temperati, rilevando come «la qualifica della recidiva come circostanza ad effetto speciale dipenda solo dall’aumento “tipico” previsto per la circostanza, nulla rilevando su tale (decisiva) categorizzazione il limite previsto per l’aumento concreto della pena dall’art. 99 c.p., comma 6». Salvo poi discostarsi da detta pronuncia laddove perviene alla conclusione che la disposizione in oggetto possa avere efficacia non solo sulla pena ma anche sulla prescrizione. Ciò in quanto — sempre secondo l’impostazione del Collegio rimettente — l’art. 157 co. 2 richiama l’«aumento massimo di pena» riferendosi esclusivamente ai co. 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p. e non già all’istituto della recidiva tout court, comprensivo, quindi, anche della recidiva ad effetti temperati di cui al co. 6.

Gli argomenti che vengono avanzati a favore di questa lettura (in sinossi al par. 7) hanno il loro centro, primariamente, nel principio di legalità (sotto il profilo della tassatività e determinatezza): nel senso che il menzionato aumento massimo non dovrebbe essere misurato su quello che effettivamente verrebbe applicato al condannato, ma su quello «astratto» e «tipico» previsto dalla norma.

Secondariamente, ampi sono i riferimenti alla giurisprudenza di legittimità che nel calcolare la prescrizione — sia in caso di concorso di circostanze ad efficacia speciale, sia in caso di bilanciamento tra circostanze eterogenee — ritiene rilevante l’aumento massimo di pena, senza considerare la pena inflitta in concreto.

4. La struttura e natura giuridica della recidiva

Per dare contezza delle osservazioni, molteplici e fertili, emergenti da questa ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, occorre definire il perimetro dogmatico della recidiva, in termini di struttura e natura giuridica. Dopodiché si potrà procedere all’analisi del rapporto tra la stessa e la prescrizione.

Come noto, l’istituto in parola è previsto dalla disciplina codicistica all’art. 99 c.p. che la inserisce tra le circostanze del reato inerenti alla persona del colpevole, insieme all’imputabilità (art. 70 c.p.). È stato oggetto di importanti riforme, in particolare del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con modificazioni nella l. 7 giugno 1974, n. 220[6] e dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251[7]. Non solo, ma anche la giurisprudenza costituzionale ha impresso importanti cambiamenti sui profili strutturali e funzionali della recidiva: da ultimo nel 2015 con la sentenza n. 185 del 23 luglio, la quale, oltre ad intervenire sul presupposto soggettivo della recidiva, ha demolito l’ultimo automatismo sancendone il regime di applicazione facoltativo[8]. Un simile regime, a detta di parte della dottrina, è spiegato con una concezione della sanzione penale individualizzata[9], il cui fondamento costituzionale è da rinvenire nell’art. 27 co. 3 Cost.[10]

Il primo requisito necessario per la sussistenza della recidiva è di tipo oggettivo e consiste nella commissione, da parte del soggetto, di un delitto non colposo dopo che questi sia stato condannato con sentenza già passata in giudicato per un delitto parimenti non colposo realizzato in precedenza (art. 99 co. 1 c.p.). Di conseguenza, tale presupposto non è fondato sulla semplice sussistenza della sentenza di condanna, quanto, invece, sul fatto che il soggetto abbia già delinquito e che egli sia stato ammonito da una sentenza di condanna[11].

Ai fini della rilevanza o meno della sentenza definitiva, avrà rilievo la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex 444 c.p.p.[12], o anche la condanna cui segua una causa di estinzione della pena (come indulto o grazia); mentre, a titolo esemplificativo, non lo avrà la sentenza di condanna rispetto alla quale sia intervenuto l’effetto estintivo di cui all’art. 47 co. 12 ord. penit., ossia quando il periodo di affidamento in prova ai servizi sociali abbia avuto esito positivo.

Il secondo requisito necessario è, invece, di natura soggettiva ed è stato esplicitato dalla Corte costituzionale con la già citata sentenza 8.7.2015, n. 185[13].

Nello specifico, la pronuncia in parola ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 99, co. 5 c.p. limitatamente alla parte in cui veniva previsto un regime di obbligatorietà della recidiva rispetto ai delitti indicati all’art. 407 co. 2 (a) c.p.p. L’incostituzionalità della nuova previsione, introdotta dall’art. 3 della l. n. 251 del 2005 (legge «ex Cirielli»), era dovuta al contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., perché tale automatismo era privo di ragionevolezza.

Nel far ciò, la Consulta ha anche voluto specificare un aspetto importante circa la struttura della recidiva: il giudice deve «accertare in concreto se, in rapporto ai precedenti, il nuovo episodio delittuoso sia indicativo di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo». Proprio quest’espressione della corte rispecchia il dibattito, a seguito della Novella del 1974, iniziato grazie alla tempestiva intuizione di un illustre Autore che da subito si era domandato su cosa il giudice avrebbe fondato l’applicazione della recidiva, se su un maggiore coefficiente di colpevolezza, oppure di pericolosità sociale[14].

Tale ulteriore requisito, scolpito dalla pronuncia della Consulta, valorizza il legame psicologico su basi normative[15] che intercorre tra il soggetto e la precedente condanna, ed è finalizzato a valutare la fondatezza dell’aumento di pena che la recidiva comporta.

Circa la natura giuridica, occorre precisare che difficilmente la recidiva potrebbe essere inserita in un panorama differente da quello delle circostanze del reato in senso tecnico, come pure giurisprudenza recente ha avuto modo di ribadire[16]; anche perché l’art. 70 co. 2 c.p. lascia pochi margini di interpretazione al riguardo.

Più in particolare, si tratta di una circostanza aggravante ad efficacia comune con riferimento all’art. 99 co. 1 c.p., per i casi di recidiva semplice; mentre è ad efficacia speciale nelle ipotesi di recidiva aggravata oppure reiterata di cui ai commi 2, 3 e 4, considerato che prevedono un aumento di pena superiore ad un terzo.

La Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sul ruolo della recidiva (in particolare, reiterata), con la sentenza 26.5.2021, n. 143. È stato, infatti, dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto imposto al giudice, in forza dell’art. 69 co. 4 c.p., di poter valutare prevalente l’attenuante del fatto di lieve entità, di cui all’art. 630 c.p. in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione[17] quando sia stata affermata la recidiva reiterata ai sensi dell’art. 99 co. 4 c.p.

La Consulta ha di nuovo insistito sul fatto che, anche laddove il condannato sia recidivo, ciò non giustifichi un automatico giudizio di subvalenza dell’attenuante, denunciando una «abnorme enfatizzazione della recidiva», in diretta collisione con la proporzionalità del fatto e relativa pena.

La giurisprudenza costituzionale, dunque, ha cominciato da tempo ad affinare i propri paradigmi valutativi in materia, spostando il focus: dalla recidiva come istituto sui generis che aveva un proprio mandato all’interno della disciplina codicistica, peraltro di natura eminentemente retribuzionista[18], ad una recidiva che deve necessariamente entrare in contatto e fare sistema con gli altri istituti della parte generale, senza per questo frustrarne la funzione.

Ed è proprio in questa cornice che si staglia il rapporto intercorrente tra recidiva e prescrizione perché, in forza dell’art. 157 co. 2 c.p., ai fini del calcolo dei termini rilevano le sole circostanze ad effetto speciale.

Tale disposizione stabilisce, infatti, la regola dell’irrilevanza delle circostanze del reato ai fini del computo della prescrizione, con l’eccezione delle sole aggravanti ad efficacia speciale e, in tal caso, indica per il calcolo del termine l’aumento massimo di pena previsto dall’aggravante. Dopodiché, ove ci sia un concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, il riferimento per la giurisprudenza è l’art. 63 co. 4 c.p.[19]: la norma dispone che l’aumento massimo, rilevante ai fini dell’art. 157 co. 2 c.p., deve rinvenirsi nella pena stabilita per la circostanza più grave.

Considerato che sia le ipotesi di recidiva aggravata (co. 2) sia quelle di recidiva reiterata (co. 4) comportano un aumento di pena superiore ad un terzo, le Sezioni Unite, per vero già da tempo, le hanno inserite tra le circostanze ad effetto speciale[20]. Di conseguenza, si può agevolmente sostenere, né è qui in discussione, che la recidiva di cui ai commi 2 e 4 abbia rilevanza rispetto all’art. 157 co. 2 c.p.

5. Il rapporto tra recidiva ad effetti temperati e prescrizione. Considerazioni conclusive

Si viene, dunque, al rapporto tra recidiva ad effetti temperati e prescrizione[21], tentando di trarre le considerazioni finali che hanno mosso questo contributo. Il rapporto tra recidiva e prescrizione ha radici lontane nel tempo ed è alimentato da argomenti squisitamente dogmatici con rilevanti ricadute pratiche, soprattutto in tema di imputazione della disciplina della recidiva al soggetto e in tema di compatibilità con la prescrizione. Infatti, per i motivi che si sono supra accennati in tema di collocazione della recidiva rispetto alla teoria del reato (ossia, tale istituto è sussumibile all’interno delle circostanze di reato anche se la sua struttura fa riferimento esclusivamente al reo?[22]), una parte della dottrina riteneva che tale istituto non facesse parte delle circostanze del reato e, conseguentemente, non avrebbe potuto dispiegare i propri effetti sul computo dei termini prescrizionali, proprio perché inerente direttamente al reo e non già al fatto da questi realizzato.

Per indagarne la relazione, rileva fare riferimento ad una recente pronuncia[23] la quale, nel solco delle sentenze Volpe (Cass. Sez. VI, 7.7.2015, n. 51049) e Graniello (Cass. Sez. V, 24.9.2019, n. 44099), afferma nuovamente la necessità di fare riferimento al co. 6 dell’art. 99 c.p. in sede di determinazione dei termini prescrizionali, censurando come «del tutto irragionevole calcolare, ai fini del computo della prescrizione, l’aumento massimo di pena astrattamente previsto, ove in concreto esso non potrà mai essere inflitto, se superiore al cumulo delle pene inflitte con le precedenti condanne».

Questa pronuncia, quindi, da un lato, si occupa di ribadire che esiste un effettivo legame codicistico tra l’istituto della prescrizione e della recidiva, tipizzato all’art. 161 co. 2 c.p. il quale richiama quest’ultima «nella sua integralità e, quindi anche il comma 6», contrariamente a quanto argomentato nell’ordinanza di rimessione al par. 3. Dall’altro, viene chiarito come sia «irragionevole» calcolare i termini della prescrizione su un aumento di pena che il codice tassativamente impone di non applicare.

Il collegio rimettente fa poi perno sull’interpretazione che una parte della giurisprudenza di legittimità ha dato circa la relazione tra concorso di circostanze ad efficacia speciale e individuazione del termine di prescrizione, sostenendo che quest’ultimo sia sempre da determinare in astratto e mai in concreto, con riferimento al tetto normativo imposto dall’art. 63 co. 4 c.p.

Su tale argomento si deve, in primo luogo, osservare che non è certo isolato quell’indirizzo giurisprudenziale che tende a commisurare il computo dei termini prescrizionali tenendo conto del limite di pena previsto dall’art. 99 co. 6 c.p.[24].

Vi è poi un ulteriore profilo da prendere in considerazione, di ordine logico (e cronologico), con riferimento al riscontro in giudizio della recidiva e il relativo computo della prescrizione.

Infatti, il calcolo di aumento pena determinato dalla recidiva (quindi anche alla luce del temperamento di cui al co. 6) avviene al momento della verifica circa la sussistenza della recidiva stessa e non già, successivamente, in sede di concorso di circostanze, ai sensi dell’art. 63 co. 4 c.p.

Quindi, solo cronologicamente dopo aver accertato la sussistenza della recidiva e il suo relativo impatto sulla dosimetria sanzionatoria, si potrà allora logicamente procedere al giudizio sul concorso tra circostanze ad efficacia speciale per la valutazione dei termini di prescrizione: ai fini di questa seconda valutazione, quindi, si terrà in considerazione la recidiva come circostanza aggravante ad efficacia speciale eventualmente temperata dal tetto disposto dall’art. 99 co. 6 c.p.

Qualora poi la recidiva ad effetti temperati, così come individuata, non desse luogo, nel concorso con le altre circostanze ex art. 63 co. 4, alla «pena stabilita per la circostanza più grave», allora non rileverebbe per il computo della prescrizione di cui all’art. 157 co. 2 c.p.

In altre parole, ai fini del calcolo dei termini prescrizionali, si dovrebbe tenere come riferimento il valore già calcolato in sede di analisi della recidiva, anche se questo sia il frutto dell’attenuazione di cui all’art. 99 co. 6 c.p. Di contro, nell’ordinanza rimettente, si legge che a tale valore (concreto) se ne aggiungerebbe uno diverso (astratto), esclusivamente impiegato per il calcolo della prescrizione. Per questo motivo, come evidenzia anche lo stesso Collegio, le pronunce supra menzionate affermano che nell’«aumento massimo di pena previsto per l’aggravante», ai sensi dell’art. 157 co. 2 c.p., rientri anche la valutazione di cui all’art. 99 co. 6.

Sarebbe, quindi, illogico calcolare in un determinato momento un quantum di aumento pena attribuito alla recidiva, per poi prenderne in considerazione uno differente (e più sfavorevole per l’agente) nel computo dei termini prescrizionali.

Si deve peraltro rilevare che tale «pena stabilita per la circostanza più grave» (art. 64 co. 4 c.p.) non può rinvenirsi nella recidiva di cui all’art. 99 co. 2 e 4 c.p. senza comprendere nella valutazione del giudice anche il co. 6, perché la recidiva come circostanza aggravante non può in nessun caso «superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo» — a meno di interpretazioni contra legem.

Infatti, adducendo un argomento di natura letterale, quando il codice fa riferimento all’aumento di pena per effetto della recidiva, utilizza al co. 6 il termine «superare» e non, invece, «applicare».

Questa sottile differenza semantica, per la verità significativa, porta a condividere l’opinione secondo la quale la recidiva, come istituto di diritto sostanziale, non possa essere concepita, neanche in astratto (men che meno applicata), quando sia calcolata in violazione del tetto massimo di cui al co. 6 dell’art. 99 c.p.; non potendo, parimenti, essere suscettibile di valutazione in sede di concorso di circostanze ad efficacia speciale, ai fini della definizione della prescrizione ex art. 63 co. 4 c.p., stante il rispetto del principio di tassatività e determinatezza della norma penale.

Alla luce delle considerazioni ora poste, ne consegue che la recidiva come istituto di parte generale, secondo l’impostazione del Collegio rimettente, verrebbe ad essere interpretata in maniera parcellizzata e disomogenea adducendo che, per quanto riguarda il computo della prescrizione, hanno efficacia solo i co. 2, 3 e 4; mentre, invece, per l’effettiva commisurazione della pena rileva anche il co. 6.

Non vi è dunque ragione per estromettere dalla valutazione giudiziale il temperamento di cui all’art. 99 co. 6 c.p. in forza dello schema dicotomico astratto-concreto che caratterizzerebbe, a favore del primo, la determinazione della prescrizione nel caso di concorso di circostanze ad efficacia speciale.

Sarebbe, infine, difficilmente spiegabile, in particolar modo sotto il profilo della ragionevolezza ai sensi dell’art. 3 Cost., un computo dei termini prescrizionali fondato sulla valutazione della pena stabilita per la circostanza più grave quando tale pena, ove vengano superati i limiti di cui all’art. 99 co. 6 c.p. — contrariamente all’aumento facoltativo ex art. 63 co. 4 — non potrebbe essere applicata in nessun caso, né in astratto né in concreto.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Sez. II, Ord., 14.12.2021, n. 4439 (non mass.).

[2] Autorevole dottrina ha già da tempo aperto il dibattito in merito agli effetti che la recidiva imprime sugli istituti del codice al di là dell’aumento pena; recentemente sul rapporto tra recidiva e concorso di circostanze di cui all’art. 69 c.p.: E.M. Ambrosetti, Le Sezioni Unite chiariscono il rapporto fra l’accertamento della recidiva ed i suoi effetti, in Dir. pen. proc., 2020, p. 84 ss.; sui medesimi profili, E. Mattevi, Il riconoscimento della recidiva e i suoi effetti: opportune precisazioni delle Sezioni Unite e nuove aperture, in Giur. it., 2020, p. 671 ss.

[3] Corte cost., 8.7.2015, n. 185, in Dir. pen. Proc., 2015; Corte cost., 21.6.2017, n. 205, in Foro it., 2017; Corte cost., 26.5.2021, n. 143, in Dir. pen. proc., 2021.

[4] Cass. Sez. V, 24.9.2019, n. 44099, in CED Cass., n. 277607-01, 2019; Cass. Sez. III, 17.12.2020, n. 7138, mass. red., 2021; Cass. Sez. V, 27.10.2021, n. 45252 (non mass.).

[5] In questa prospettiva si veda il recente contributo di A. Melchionda, Recidiva reiterata e pregresso status del recidivo: la Cassazione si avvicina alla “chiusura del cerchio”, in Sist. pen., 2021, p. 151 ss.

[6] Per una panoramica della Novella del 1974 in tema di recidiva, su tutti, E.M. Ambrosetti, Recidiva e recidivismo, Padova, 1997, p. 2 ss.

[7] Sul punto, E. DOLCINI, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 515 ss.

[8] Commentata da R. Bartoli, Recidiva obbligatoria ex art. 99.5 c.p.: la Corte costituzionale demolisce l’ultimo automatismo, in Giur. it., 2015, p. 2484 ss.

[9] «L’eliminazione della automaticità significa, a nostro avviso, che la ragion d’essere della recidiva si sposta dall’ambito di mere esigenze di prevenzione generale alla sfera di personalizzazione della pena», così A.M. Stile, Discrezionalità e politica penale giudiziaria, in Stud. urb., 1976-1977, p. 289; sul punto, anche G. De Vero, Circostanze del reato e commisurazione della pena, Milano, 1983, p. 110.

[10] In questo senso, F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale. Nozione e aspetti costituzionali, Milano, 1965, p. 356 ss.

[11] Infatti, da parte della dottrina più attenta, viene specificato che «il fattore aggravante non può essere costituito dalla mera presenza di una precedente sentenza di condanna. Il giudizio di maggiore colpevolezza del recidivo si regge, invero, sulla circostanza che il reo ha commesso il nuovo delitto “possedendo o potendo conservare memoria della prima condanna”», così: E.M. Ambrosetti, Recidiva, cit., p. 92.

[12] Come già riconosciuto in tempi non sospetti da parte della dottrina, ivi, p. 93.

[13] Tale orientamento è stato prontamente recepito anche dalla giurisprudenza di legittimità: Cass. Sez. VI, 28.06.2016, n. 34670, in CED Cass., n. 267685, 2016; nonché Cass. Sez. V, 07.10.2015, n. 48341, in CED Cass., n. 265333, 2015.

[14] Si tratta di C. Pedrazzi, La nuova facoltatività della recidiva, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, p. 307; sul punto si veda anche E.M. Ambrosetti, Recidiva, cit., p. 7 ss. Occorre, invero, specificare che questa contrapposizione ha radice molto lontane nel tempo (l’abrogato art. 100 del codice Rocco profilava, infatti, un tipo facoltativo di recidiva): da un lato, vi era chi riteneva che fosse una «circostanza della colpevolezza» e, quindi, attribuiva alla recidiva una funzione retributiva all’interno della teoria della pena, così A.R. Latagliata, Contributo allo studio della recidiva, Napoli, 1958, p. 242 ss.; dall’altro chi, invece, propendeva per profili più special-preventivi e, dunque, l’istituto farebbe parte della pericolosità sociale, così F. Antolisei, Teorie e realtà della pena, in Scritti di diritto penale, Milano, 1955, p. 202 ss. Sull’ambivalenza della recidiva, già si era detto lucidissimamente: G. Delitala, Sul progetto preliminare del primo libro del codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1950, p. 162.

[15] Espressione in V.B. Muscatiello, La recidiva, Torino, 2008, p. 92. Sulla recidiva come coefficiente di colpevolezza più accentuata, si veda: R. Bartoli, voce Recidiva, in Enc. dir., Annali, Milano, 2014, p. 892 ss.

[16] Cass. Sez. II, 09.03.2021, n. 22966, in CED Cass., n. 281456-01, 2021, o anche Cass. Sez. II, 13.12.2017, n. 56688, in CED Cass., n. 272148, 2017. Sul punto occorre ricordare come anche la stessa giurisprudenza, la quale sul punto da molto tempo indica la recidiva come circostanza del reato, ha evidenziato come si atteggi diversamente dalle altre circostanze, tanto da definirla come «circostanza aggravante sui generis» in Cass. Sez. Un., 31.1.1987, n. 3152, in CED Cass., n. 175354, 1987. Tale particolarità consisterebbe nel fatto che la recidiva inciderebbe solo sulla misura della pena e non già su una maggiore lesività del fatto di reato. Una puntualizzazione problematica sulla collocazione dogmatica della recidiva viene sollevata dalla dottrina: E.M. Ambrosetti, Recidiva, cit., p. 54 ss.; esprime altresì le proprie remore sull’annosa questione, A. Melchionda, Le circostanze del reato. Origine, sviluppo e prospettive di una controversa categoria penalistica, Padova, 2000, p. 652-653.

[17] Circostanza introdotta ad opera della sentenza Corte cost., 6.3.2012, n. 68, in Dir. pen. proc., 2012.

[18] Rileva ribadire tale istituto è stato sottoposto a critica sia da chi circoscriveva la finalità della pena ad un ruolo meramente preventivo, sia da chi propendeva per un fine principalmente retributivo; sul punto: E.M. Ambrosetti, Recidiva, cit., p. 3.

[19] Su tutte, Cass. Sez. VI, 14.5.2019, n. 23831, in CED Cass., n. 275986-01, 2019.

[20] Sez. Un., 24.5.2011, n. 20798, in CED Cass., n. 249664, 2011.

[21] Così, G.D. Pisapia, Influenza della recidiva ai fini dell’applicabilità della prescrizione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1956, p. 138 ss.

[22] Riferimento a nt. 16.

[23] Cass. Sez. III, 17.12.2020, n. 7138, cit.

[24] Ex multis: Cass. Sez. 10.6.2021, n. 27106; Cass. Sez. III, 17.12.20, n. 7138, cit.; Cass. Sez. V, 24.9.2019, n. 44099, cit.; Cass. Sez. VI, 7.7.2015, n. 51049, in CED Cass., n. 265707, 2015.