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Pubbl. Mer, 11 Mag 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Cessione di ramo d´azienda a prezzo vile e responsabilità dell´amministratore per bancarotta fraudolenta patrimoniale

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Mattia Cutolo



Con la sentenza Cass. Sez. V, 18 novembre 2021 (ud.19.10.2021), n. 42218, la Sezione V della Suprema Corte si è espressa nel senso di valutare la cessione di ramo d’azienda a prezzo ritenuto c.d. «vile» e senza accollo dei debiti da parte della cessionaria come condotta distrattiva ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale. Secondo la lettura che viene data dal Collegio, a nulla rileva il fatto che la cedente fosse proprietaria del 99% delle quote della cessionaria: ciò che assume rilievo è la sottrazione del complesso aziendale alla garanzia creditoria. Il commento, partendo dalla vicenda processuale, ricostruisce lo sviluppo logico-giuridico e ne descrive le implicazioni dogmatiche.


ENG With the decision Cass. Sez. V, 18 novembre 2021 (ud.19.10.2021), n. 42218, the Fifth Section of the Supreme Court ruled that the sale of a corporate branch at a price considered unfairly low and without assumption of debts by the transferee configures distracting conduct, for the purposes of the offense of fraudulent improper patrimonial bankruptcy. According to the reading given by the Court, the fact that the transferor owned 99% of the shares in the transferee is of no relevance: what is relevant is the subtraction of the business complex from the credit guarantee. The case note, starting from the procedural facts, reconstructs the logical-juridical reasoning and describes its dogmatic implications.

Sommario: 1. Vicenda processuale; 2. Questioni giuridiche; 2.1 La condotta distrattiva nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale; 2.2. Pericolo concreto e indici di fraudolenza; 3. Osservazioni conclusive.

1. Vicenda processuale 

La vicenda processuale, conclusasi a seguito della sentenza Cass. Sez. V, 18 novembre 2021 (ud.19.10.2021), n. 42218[1], ha ad oggetto fatti di bancarotta fraudolenta addebitati a due imputati, il primo amministratore unico e liquidatore, il secondo amministratore di fatto ex art. 2639 c.c., con riferimento al fallimento di altrettante società.

In particolare, la Corte di appello ambrosiana, in una sentenza in cui parzialmente riformava la pronuncia di prime cure[2], confermava altresì la condanna dei due imputati per condotte di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale e documentale in relazione al fallimento di una società, mentre la sola bancarotta fraudolenta documentale veniva imputata in relazione al fallimento di altra società.

Rispetto al primo capo di imputazione, la procura contestava la cessione, avvenuta in data 5 dicembre 2013, in favore di una società neocostituita, di un ramo d’azienda concernente l’attività di commercio al minuto di abbigliamento, a fronte di un prezzo ritenuto c.d. «vile» di Euro € 6.000. Tale cessione era peraltro avvenuta senza accollo dei debiti da parte della cessionaria. La cedente, infine, falliva il 29 settembre 2015.

Con riferimento alla stessa società, veniva contestato anche l’occultamento o omessa tenuta delle scritture contabili. Rispetto, invece, al secondo capo di imputazione era presa in considerazione la sola condotta di occultamento o omessa tenuta delle scritture contabili in relazione al fallimento della seconda società.

Per converso, la difesa, proponendo sette motivi di ricorso, si opponeva censurando i difetti motivazionali, per illogicità e contraddittorietà, con il fine di far emergere i vuoti probatori decisivi.

Il motivo centrale di doglianza era inerente alla cessione del ramo d’azienda e quindi riferito alla bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione di cui agli artt. 223 co. 1 e 216 co. 1 n. 1 l.f.

Da una parte, gli argomenti difensivi erano tesi a dimostrare la congruità del prezzo «vile»; dall’altra, facendo perno sul fatto che la cessionaria era partecipata al 99% dalla cedente, contestava l’impostazione accusatoria che leggeva in questa condotta un’ipotesi di distrazione.

Infatti, ribatteva la difesa, il prezzo di Euro € 6.000 non era affatto «vile» anche perché corrispondeva alla consulenza svolta dalla società Best Control S.r.l. (Euro € 3.000 per l’avviamento e altrettanti per le attrezzature). Oltretutto, in ogni caso, la circostanza che il trasferimento fosse avvenuto in favore di una società nella quale la cedente partecipava con il 99% delle quote implicava che il patrimonio della cedente era rimasto sostanzialmente invariato.

La Sezione V (par. 3.2.1.) segnala come effettivamente emerga, da una lettura congiunta delle sentenze di merito, che il ramo d’azienda sia stato ceduto a prezzo «vile» quando la cedente si trovava in stato di decozione da almeno tre anni (segnatamente dal 2010, essendo avvenuto il trasferimento il giorno 5 dicembre 2013), sfociando nel fallimento il successivo 29 settembre 2015. A tali conclusioni, la Corte giunge non solo perché il valore del ramo d’azienda, calcolato dal perito incaricato dalla curatela, era indicato in Euro € 132.500 ma anche perché, come ricordato, il trasferimento era avvenuto senza accollo dei debiti da parte della cessionaria.

Di conseguenza, sulla scorta di un consistente orientamento giurisprudenziale della stessa sezione[3],  il Collegio conferma sul punto quanto sostenuto nelle sentenze di merito perché la società ha sottratto, con quella cessione, un bene di valore alla garanzia patrimoniale dei creditori: per questo motivo tale condotta risulta distrattiva, ai fini del delitto di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale di cui agli artt. 223 co. 1 e 216 co. 1 n. 1 l.f.

2. Questioni giuridiche

Per dare contezza della decisione oggetto del commento, è importante fare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale, così come indicato agli artt. 223 co. 1 e 216 co. 1 n. 1 l.f., con il fine di capirne la struttura tipica nell’ottica del rapporto tra la tutela dell’interesse protetto dalla norma, ossia il patrimonio del ceto creditorio[4], e la responsabilità dell’amministratore per la cessione del ramo d’azienda nummo uno, essendo minoritaria quella dottrina, seppur autorevolissima, che scorgeva nel bene giuridico della bancarotta l’amministrazione della giustizia[5] oppure l’economia pubblica[6].

2.1. La condotta distrattiva nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale

Il reato in questione sanziona, a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento[7],  la condotta dell’amministratore[8] che abbia fatto uscire determinati beni (qualsiasi res su cui la società vanta un diritto reale) dal patrimonio della società, cambiandone la destinazione economica.

Il concetto di distrazione, quindi, «implica la destinazione di un bene ad uno scopo diverso da quello dovuto, da identificarsi nella destinazione giuridicamente vincolante del bene e cioè […] nella funzione di garanzia per i creditori»[9].

Il contegno distrattivo è, sia a parere della dottrina[10] che della giurisprudenza[11], a forma libera, potendo quindi consistere in qualsiasi depauperamento in danno dei creditori non rilevando in nessun modo né l’atto negoziale, né i possibili rimedi della curatela per recuperare il bene (es. azione revocatoria, ex art. 67 l.f.).

Secondo un consistente orientamento, la giurisprudenza di legittimità afferma che la prova di tale condotta si possa rinvenire nell’assenza di dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione (opportuna, si sottintende nella massima) dei beni oggetto di operazione[12].

Come è evidente, il concetto di distrazione è di per sé molto generico[13],  e di conseguenza ricomprende al suo interno anche condotte che, prese in considerazione individualmente, sono lecite e, anzi, espressione dell’esercizio del proprio diritto di libero esercizio di iniziativa economica, ex art. 41 Cost.[14].

In particolare, tra le operazioni societarie, assumono ruolo preminente le operazioni straordinarie: «non vi sono dubbi circa la possibilità di qualificare la fusione come condotta distrattiva (o comunque dissipativa), qualora abbia determinato una situazione di pericolo per le ragioni dei creditori della società risultante dall’operazione straordinaria»[15]. Tuttavia, più in generale, tale principio è applicabile a tutti i negozi traslativi come, ad esempio, il contratto di affitto di ramo d’azienda[16] o le operazioni definite sale and lease back[17] o, ancora, la cessione di partecipazioni sociali[18].

Così, gli sforzi degli interpreti si sono catalizzati sulla necessità di scongiurare che «atti in realtà inidonei a diminuire la funzione di garanzia dei creditori»[19] vengano ricompresi nel concetto di distrazione.

Anzi, l’iperestensione di questo tipo di bancarotta non involge esclusivamente la problematica del sindacato sul singolo atto riconducibile all’imprenditore o amministratore, ma anche il momento in cui tale atto ha avuto luogo: la Cassazione a Sezioni Unite[20] ha ribadito la totale ininfluenza della causazione tra la condotta distrattiva e il successivo fallimento della società, tale condotta avrà rilievo a prescindere dal momento in cui è stata posta in essere.

Il disvalore dell’azione è dunque da rinvenire nel depauperamento del patrimonio sociale che viene di fatto destinato a fini ultronei rispetto all’attività economica[21], la cui rilevanza penale, come noto, sarà determinata dalla sentenza dichiarativa di fallimento che costituisce condizione obiettiva di punibilità di tipo estrinseco.

2.2. Pericolo concreto e indici di fraudolenza

Per i motivi di cui fino ad ora si è detto, la lettura che con il tempo si è fatta della fattispecie, come reato a pericolo concreto[22], non necessariamente ha condotto ad un maggiore coefficiente selettivo tra le condotte dell’amministratore penalmente rilevanti. Tanto che diversi sono i lavori che avanzano criticità, in prospettiva costituzionale, sull’attuale archetipo del delitto di bancarotta[23].

Va, tuttavia, riconosciuto il contributo della giurisprudenza di legittimità che si è adoperata nel senso di definire gli elementi di pericolo concreto rilevanti, con lo scopo di circoscrivere la rilevanza penale al solo atto idoneo a mettere concretamente in pericolo il patrimonio della società in quanto garanzia del ceto creditorio[24].

Infatti, a partire dal 2017[25], la Cassazione ha inteso specificare che — sia sul piano dell’elemento oggettivo, sia sul piano dell’elemento soggettivo (nella forma del dolo generico) — il giudice deve valutare i cc.dd. indici di fraudolenza finalizzati a corroborare, da un lato, la prognosi postuma del pericolo concretamente realizzatosi, rispetto all’integrità del patrimonio sociale e, dall’altro, la consapevolezza di tale pericolo da parte del soggetto attivo.

Tali indici di fraudolenza sarebbero rinvenibili, afferma in motivazione la Corte, «nella disamina del fatto distrattivo […] alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; nel contesto in cui l’impresa ha operato […]; nella “distanza” […] del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale».

Questa impostazione è stata ripresa dalla successiva giurisprudenza[26]; permangono, tuttavia, le condivisibili e fondate preoccupazioni della dottrina circa le difficoltà riscontrate, nonostante gli indici di fraudolenza, nella distinzione, in generale, delle condotte rilevanti ai fini del diritto penale dell’insolvenza[27].

Venendo alla cessione del ramo d’azienda, di cui all’art. 1221 c.c.: essa consiste nel trasferimento, mediante contratto od operazione straordinaria, di un complesso di beni aziendali che siano dotati di autonomia funzionale e permettano, quindi, l’esercizio di un’attività imprenditoriale (di qui, la differenza con la cessione di un singolo bene aziendale, come un macchinario).

È ormai assodato in giurisprudenza che tale operazione, posta in essere al di sotto del fair market value, viene ricompresa nella fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale rispetto alla quale la fuoriuscita dei beni dal patrimonio sociale, senza contropartita, reca pregiudizio alle pretese creditorie.

3. Osservazioni conclusive

Per concludere, si vuole ora fare luce sulle questioni più critiche contenute nella sentenza oggetto del commento.

Preliminarmente è necessario chiarire che non coglie nel segno l’argomento difensivo sulla proprietà del 99% delle quote della cessionaria di cui la cedente godeva.

Questo poiché, in primo luogo, grava sull’amministratore l’onere di provare che la cedente non abbia subito una diminuzione patrimoniale a fronte del trasferimento; e, secondariamente, giova ricordare che la disciplina societaria in materia di responsabilità limitata è fondata sulla distinzione dei relativi patrimoni anche quando un soggetto economico sia di proprietà di un altro soggetto economico: sono entità differenti in cui non vi è confusione di beni — elemento che, invece, caratterizza l’impresa individuale in cui il creditore può aggredire tanto i beni dell’imprenditore quanto quelli dell’impresa che, infatti, si dicono confusi.

Ne discende che la cedente non può addurre ipso facto di aver accresciuto il proprio patrimonio dopo l’operazione societaria, solo in ragione della propria quota di proprietà vantata sulla cessionaria.

In merito, si deve registrare che la Cassazione, a più riprese, non riesce a focalizzare nitidamente la cessione del ramo d’azienda su un determinato tipo di condotta di bancarotta. Tale conclusione trova riscontro in quelle sentenze[28] che indicano la rilevanza di tale operazione societaria con riferimento al contegno dissipativo, e non già a quello distrattivo.

Questo dato ha rilievo per il motivo che se, da un lato, dissipare significa sprecare o sperperare il patrimonio sociale mediante operazioni radicalmente incoerenti rispetto all’attività economica, danneggiando così le pretese creditorie[29], la distrazione consiste, dall’altro lato, in un cambio di destinazione di parte del patrimonio sociale che vada a recare pregiudizio alla garanzia dei creditori, anche quando — in entrambi i casi — l’operazione negoziale sia consistita in un’iniziativa economica in sé legittima.

Si può, quindi, agevolmente intendere che la condotta dissipativa, così come interpretata dalla giurisprudenza, si presenta sostanzialmente meno generica rispetto a quella di distrazione che, come evidenziato, ricomprende un numero molto esteso di operazioni imprenditoriali e societarie.

Anzi, nella menzionata pronuncia del 2015, la Cassazione ribadisce che ai fini della configurabilità della condotta distrattiva è necessario, rispetto alla dissipazione, «l’ulteriore elemento della sistematica e preordinata vendita sotto costo, o comunque in perdita, di beni aziendali».

È, quindi, d’uopo rilevare che tale elemento della sistematica e preordinata vendita sotto costo il quale dovrebbe essere ascrivibile alla condotta di cessione del ramo d’azienda a prezzo «vile» da parte dell’imputato — non emerge in alcun modo dalla sentenza di legittimità in commento.

Secondariamente, in motivazione al par. 3.2.1, viene specificato come nel concetto di prezzo «vile» sia ricompresa anche la circostanza che la cessione fosse «avvenuta senza accollo dei debiti da parte della cessionaria».

Tale riferimento è espressione della preoccupazione che investe il Collegio relativamente al fatto che l’assenza di accollo dei debiti da parte della cessionaria potesse cagionare pregiudizio alle ragioni creditorie.

Occorre, tuttavia, ricordare l’art. 2560 c.c. — di cui non si fa menzione nella sentenza — che al co. 2 dispone: «Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori».

Di conseguenza, è agevole comprendere come tale affermazione della Cassazione sia apodittica, scontrandosi frontalmente con una disposizione di legge che prevede, necessariamente, una responsabilità solidale, tra cedente e cessionario, verso i terzi per i debiti aziendali nel caso di cessione di ramo d’azienda.

Quindi, anche in assenza della clausola di accollo dei debiti a carico della cessionaria, sarebbe stato possibile per i creditori far valere il proprio diritto presso quest’ultima, la quale rimarrebbe in ogni caso responsabile per i debiti inerenti all’azienda ceduta, risultanti dalle scritture contabili obbligatorie e sorti antecedentemente all’atto di cessione.

Inoltre — a suffragio di quanto qui si afferma e nell’ottica di un’interpretazione sistematica della responsabilità tra cedente e cessionario — è funzionale anche il riferimento all’art. 14 del D.lgs. n. 472 del 1997 che rappresenta una deroga rispetto alla disciplina ex art. 2560 c.c.: la norma, infatti, dispone la responsabilità solidale della cessionaria per il pagamento delle imposte e delle sanzioni relative all’anno della cessione ma anche ai due anni precedenti. Questa specificazione conduce a ritenere che la generale disciplina, tolte eccezioni tassativamente previste, indica una responsabilità solidale tra cedente e cessionaria per i debiti aziendali verso terzi.

Giacché ne deriva che associare il concetto di prezzo «vile» anche al mancato accollo dei debiti della cessionaria (oltre che all’alienazione a corrispettivo inferiore al valore reale) non trova conforto nella disciplina normativa vigente.

A rileva relativamente, in questo caso, il dettato della sentenza n. 34464 del 2018 la quale ha determinato come post factum irrilevante «la circostanza che la società cessionaria risponda, ai sensi dell’art. 2560 c.c., dei debiti contratti dal cedente»[30].

In primo luogo, si deve registrare un’asimmetria logica: infatti, tale affermazione sembrerebbe avere poco rilievo per la sentenza oggetto del commento, considerato che la Cassazione lamentava, in questa sede, proprio il mancato accollo dei debiti da parte della cessionaria; mentre, al contrario, nella pronuncia del 2018, si appurava l’irrilevanza del fatto che i creditori potessero ricorrere all’art. 2560 co. 2 c.c. per far valere le proprie ragioni tanto sulla cedente quanto sulla cessionaria.

Secondariamente, con il fine di non trascurare il monito del Collegio sull’assenza della clausola di accollo, occorre, tuttavia, rilevare come a tale lacuna negoziale avrebbe certamente compensato la disciplina codicistica ordinaria.

Inoltre, la definizione della norma citata come post factum lascia a desiderare per la ragione seguente: è certamente vero che il tentativo di escussione del credito da parte dell’avente diritto sia cronologicamente successivo rispetto alla cessione del ramo d’azienda; sta di fatto, tuttavia, che tale disposizione è da sempre interpretata nel senso di un rafforzamento della tutela dei creditori[31].

Ne consegue che per quanto, cronologicamente, il diritto in questione sia un post factum, non può allo stesso tempo costituire un elemento irrilevante, andando ad insistere tanto sulla valutazione della pericolosità concreta della condotta (elemento oggettivo), tanto sulla consapevolezza o meno della situazione di dissesto della società (elemento soggettivo).

In ultima battuta, a prescindere dal fatto che le pretese creditizie fossero state o meno messe in concreto pericolo, le condotte rilevanti ai fini del diritto penale fallimentare (nel quale, peraltro, il carico sanzionatorio è draconiano) dovrebbero essere vagliate nell’ottica di una tipicità più stringente; soprattutto quando tali condotte, come nel caso della distrazione, sono in grado di ricomprendere molteplici decisioni gestorie dell’amministratore o imprenditore.

Il diritto di difesa risulta, infatti, fortemente compromesso quando la condotta in esame può tanto consistere in quella dissipativa, quanto in quella distrattiva; oppure quando viene censurata la mancanza di un elemento (come l’accollo dei debiti da parte della cessionaria) laddove altro indirizzo[32], recente e centrale, ne certifica la totale irrilevanza; oppure ancora quando, più semplicemente, l’orientamento giurisprudenziale sul punto sia tutt’altro che univoco, configurandosi, così, un manifesto contrasto non solo con i parametri interni inerenti alla legalità penale, ma anche, e soprattutto, con il principio di prevedibilità delle condotte costituenti reato di cui all’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, vincolante per il nostro ordinamento.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Sez. V, 18 novembre 2021 (ud.19.10.2021), n. 42218, in CED Cass. n. 282040-01, 2021.

[2] Tra cui anche la rideterminazione della durata della pena accessoria in ossequio alla sentenza Corte cost., 25.9.2018, n. 222, in Foro it., 2019, riguardante il divieto posto al giudice di valutare l’applicazione più opportuna della misura di cui all’art. 216 co. 4 l.f. La pronuncia ha, infatti, sancito «l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 […] nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziché: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”».

[3] Cass. Sez. V, 10.1.2012, n. 10778, in CED Cass. n. 252008, 2012; Cass. Sez. V, 1.4.2015, n. 24024, in CED Cass. n. 263943, 2015; Cass. Sez. V, 23.6.2016, n. 42572, in Guida al dir., 2016; Cass. Sez. V, 14.5.2018, n. 34464, in CED Cass. n. 273644, 2018; Cass. Sez. V, 27.11.2019, n. 15803, in CED Cass. n. 279089-01, 2020; Cass. Sez. V, 1.7.2020, n. 27930, in CED Cass. n. 279636-01, 2020.

[4] In questo senso già G. Delitala, Contributo alla determinazione giuridica del reato di bancarotta, in G. Delitala, Diritto Penale, raccolta degli scritti, II, Milano, 1976, 723; più recentemente si veda: C. Pedrazzi, Reati fallimentari, in C. Pedrazzi-A. Alessandri-L. Foffani-S. Seminara-G. Spagnuolo, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna, 1998, 101 ss.

[5] P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 18.

[6] A. Pagliaro, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 32 ss.; più risalente la posizione di A. Candian, Della bancarotta, in Riv. dir. comm., I, 1935, 218 ss.

[7] La cui qualificazione giuridica è condizione obiettiva di punibilità estrinseca: Cass. Sez. V, 8.2.2017, n. 13910, in CED Cass. n. 269388, 2017; più recentemente, in fase di assestamento sul punto: Cass. Sez. V, 25.2.2020, n. 12499 (non mass.); Cass. Sez. V, 12.2.2021, n. 13062, in Cass. pen., 2021. In dottrina, su tutti: C. Pedrazzi, cit., 1998, 77. Per i profili processualcivilistici sulla sentenza di fallimento, F. Carnelutti, Ancora sulla natura della sentenza di fallimento, in Riv. dir. proc. civ., 1936, 260 ss.

[8] Oppure l’imprenditore fallito, di cui all’art. 216 co. 1 l.f.; oppure ancora gli altri soggetti di cui all’art. 223 co. 1 l.f.

[9] M. Celva, Reati in materia di crisi d’impresa, in R. Bricchetti-F. Giunta-P. Veneziani, Leggi penali fondamentali d’udienza, Milano, 2021, 930. Questa interpretazione del concetto di distrazione è stata propugnata in particolare da P. Nuvolone, op. cit., 52 e A. Pagliaro, op. cit., 105.

[10] C. Pedrazzi, cit., 1998, 90 ss.

[11] Cass. Sez. V, 5.6.2014, n. 30830, in CED Cass. n. 260486, 2014; Cass. Sez. V, 14.3.2016, n. 29219, in Ilfallimentarista.it, 2016; Cass. Sez. V, 27.11.2019, n. 15803, in CED Cass. n. 279089-01, 2020.

[12] Ex multis, Cass. Sez. V, 11.3.2019, n. 15280, in Ilpenalista.it, 2019; Cass. Sez. V, 3.2.2020, n. 25108, in Guida al dir., 2020.

[13] Connotazione diffusa nel lavoro di G. Marinucci, voce Distrazione, in Enc. dir., Vol. XIII, Milano, 1964, 310.

[14] Precipuamente sulla connotazione di esercizio di un diritto e art. 41 Cost., si veda: Cass. Sez. V, 27.11.2019, n. 15803, in CED Cass. n. 279089-01, 2020.

[15] A. Ranghino, M. Menis, Riflessioni sulle operazioni di fusione e scissione nel reato di bancarotta, in Bil. e rev., n. 10, 2020, 51.

[16] Ex multis, Cass. Sez. V, 13.2.2018, n. 16748, in CED Cass. n. 272841, 2018 o anche Cass. Sez. V, 28.11.2019, n. 12456, in CED Cass. n. 279044.01, 2020.

[17] Cass. Sez. V, 3.3.2020, n. 12748, in CED Cass. n. 279198-01, 2020.

[18] Cass. Sez. V, 26.10.2021, n. 44663, Mass. red., 2021.

[19] M. Celva, op. cit., 937.

[20] Cass. Sez. Un., 31.3.2016, n. 22474, in CED Cass. n. 266804, 2016.

[21] Cass. Sez. Un., 26.5.2011, n. 21039, in CED Cass. n. 249665, 2011.

[22] Ex plurimis, Cass. Sez. V, 3.3.2020, n. 12748, in CED Cass. n. 279198-01, 2020; Cass. Sez. V, 3.11.2020, n. 13382, in CED Cass., n. 281031-02, 2021; Cass. Sez. V, 7.7.2021, n. 37425, in Ilsocietario.it, 2021; Cass. Sez. V, 13.1.2022, n. 8236, Mass. red., 2022. Sul versante dottrinale, su tutti: C. Pedrazzi, Sub art. 216, in C. Pedrazzi-F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Legge fallimentare, a cura di F. Galgano, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1995.

[23] Tra tutti, si veda: M. Donini, Per uno statuto costituzionale dei reati fallimentari. Le vie d’uscita da una condizione di perenne “specialità”, in JUS, 2011, 35 ss.; o anche A. Melchionda, La labile “certezza interpretativa” della legittimità costituzionale del reato di bancarotta, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., vol. 4, 2016, 61 ss.

[24] Con riferimento alla bancarotta prefallimentare patrimoniale, Cass. Sez. V, 24.3.2017, n. 17819, in CED Cass. n. 269562, 2017.

[25] Dalla pronuncia, Cass. Sez. V, 23.6.2017, n. 38396, in CED Cass. n. 270763, 2017 con nota di S. Cavallini, La bancarotta fraudolenta “in trasformazione”: verso il recupero della dimensione lesiva dell’archetipo prefallimentare?, in Giur. it., 187 ss.; e anche di E. Fassi, La valutazione della natura e degli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta patrimoniale e la ricerca degli “indici di fraudolenza” della condotta nel caso concreto, in Cass. pen., 2017, 4339 ss.

[26] Recentemente, ex multis, Cass. Sez. V, 21.2.2020, n. 20298 (non mass.); Cass. Sez. I, 14.9.2021, n. 538, in Ilfallimentarista.it, 2022; Cass. Sez. V, 27.10.2021, n. 4831 (non mass.).

[27] «Vero è che, su questi indici di fraudolenza, la sentenza non consegna all’interprete un quadro né univoco né, tantomeno, esauriente». Da F. Brembati, La bancarotta fraudolenta patrimoniale tra principi costituzionali e “indici di fraudolenza”, in Le Soc., n. 5, 2018, 653.

[28] Cass. Sez. V, 6.12.2019, n. 1556, Mass. red., 2020; Cass. Sez. V, 15.10.2020, n. 7437, in CED Cass. n. 280550-03, 2021.

[29] Cass. Sez. V, 4.2.2015, n. 5317, in CED Cass. n. 262226, 2015; più di recente sulla dissipazione, Cass. Sez. V, 3.2.2022, n. 12841 (non mass.).

[30] Cass. Sez. V, 14.5.2018, n. 34464, in CED Cass. n. 273644, 2018.

[31] Ex multis, Cass. Sez. I, 3.10.2011, n. 20153, in CED Cass. n. 619851, 2011; Cass. Sez. II, 21.12.2012, n. 23828, in CED Cass. n. 624662, 2012.

[32] Incarnato dalla già citata sentenza Cass. Sez. V, 14.5.2018, n. 34464, in CED Cass. n. 273644, 2018.