Pubbl. Sab, 19 Feb 2022
Il diritto all´oblio: bilanciamento tra diritto all´informazione e diritto alla riservatezza
Modifica paginaIl presente contributo mira a ripercorrere i principali aspetti del diritto all´oblio ponendo l´attenzione sul necessario bilanciamento tra diritto di cronaca ed informazione, da un lato, e diritti della personalità dall´altro, con riguardo, in particolare, alla diffusione e permanenza di notizie e dati online ed alle relative difficoltà applicative.
Sommario: 1. Introduzione; 2. Il diritto all’oblio nel bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di cronaca; 3. Archivi on-line e indicizzazione; 4. Conclusioni.
1. Introduzione
In questo particolare contesto storico, ove internet ed i media digitali la fanno da padroni, il diritto all’identità ed alla riservatezza assumono una rilevanza quasi estrema di fronte alla capacità del web di diffondere, ma soprattutto conservare, informazioni di ogni genere su fatti e persone, il tutto con estrema facilità.
È proprio in virtù di tale capacità della rete di riproporre nel tempo una quantità smisurata di dati che si evoca sempre più di frequente il “diritto all’oblio”, ovvero quello che è stato definito il diritto di essere dimenticati, da intendersi altresì come «pretesa a riappropriarsi della propria storia personale»[1].
La giurisprudenza ha affrontato in più circostanze il tema giungendo ad una enunciazione ormai unanime: il diritto all’oblio non è altro che il diritto «a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati»[2].
2. Il diritto all’oblio nel bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di cronaca
Il diritto all’oblio nasce dalla giurisprudenza per venire infine consolidato dalla legislazione solo con il Regolamento UE 679/2016 (GDPR) il quale, all’articolo 17[3], sancisce il diritto dell’interessato ad ottenere la cancellazione dei dati che lo riguardano a patto che gli stessi non siano più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o comunque trattati, oppure se trattati illecitamente o, ancora, quando l'interessato abbia revocato il consenso o si sia opposto al loro trattamento.
Nella prassi, nonostante l’introduzione dell'art. 17 GDPR, la Giurisprudenza ha trovato difficoltà nell’applicare ai casi concreti i principi cardine di tale articolo soprattutto per quanto riguarda il bilanciamento tra il diritto all’oblio e altri diritti della personalità.
La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 5 novembre 2018, n. 28084 (relativa alla pronuncia Cass. Civile 20 marzo 2018, n. 6919) ha rilevato che, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale nazionale ed europeo, si configurerebbe come questione di massima importanza una pronuncia delle Sezioni Unite relativa all’individuazione di criteri univoci al fine di effettuare nel concreto un bilanciamento tra il diritto all’oblio e gli altri diritti altrettanto tutelati dall’ordinamento.
È evidente che diritto all’oblio e diritto di cronaca rappresentano due lati della stessa moneta: al diritto di informare, infatti, si contrappone il diritto a che detta informazione cessi qualora, con il passare del tempo, venga meno l’interesse pubblico a conoscerla consentendo in tal modo che questa persona si “liberi” da una rappresentazione della propria persona non più attuale.
La Corte di Cassazione nell’affrontare il tema fa, poi, un ulteriore passo avanti riconoscendo altresì il diritto alla «rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato» sostenendo che quando il giornalista diffonde nuovamente una notizia datata nel tempo, la sua attività resta fuori dal campo dell’esercizio del diritto di cronaca ma assume valore storiografico (o documentaristico), pertanto il diritto all’anonimato prevarrebbe solo nel caso in cui non vi sia un ritrovato interesse pubblico alla notizia (nella fattispecie si trattava di un articolo che riportava fatti di cronaca nera risalenti a ben ventisette anni prima riferendo ai lettori il nome dell’omicida)[4]. In tal senso, il bilanciamento tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza deve essere effettuato valutando se vi sia un perdurante interesse all'informazione in questione, ovvero la notorietà dei soggetti coinvolti. Solo in questi casi, si può parlare di “cronaca” tutelata costituzionalmente, diversamente il fatto rientrerebbe nel concetto di “storiografia” con conseguente necessità dell'anonimato.
Il diritto all’oblio richiede pertanto un necessario bilanciamento tra diritti della personalità e diritto di cronaca: quest'ultimo prevale, quindi, quando, ricorrendo le tre ben note condizioni di verità, interesse pubblico e continenza, la notizia pubblicata risulta attuale, frutto di un serio lavoro di ricerca e descritta mediante un'esposizione civile non eccedente lo scopo informativo[5].
Logico presupposto del detto bilanciamento di diritti è, quindi, ab origine, la liceità della divulgazione dei dati: ecco quindi che, come non andrebbe diffuso sin dall’inizio il fatto la cui divulgazione, lesiva, non risponde ad un reale interesse pubblico, allo stesso modo non deve essere riproposta o mantenuta, a distanza di tempo, una vecchia notizia che, sia pure in origine lecitamente divulgata, non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.
In quest’ottica possiamo certamente affermare che non esiste unicamente un diritto ad essere informati ma anche un diritto ad informare: sicché, in una prospettiva di equilibrio, l'attenzione va rivolta non solo a chi fornisce l’informazione ma anche a chi la riceve[6].
3. Archivi on-line e indicizzazione
Abbiamo visto in precedenza che l’attività del giornalista può assumere l’accezione di «rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato»[7] quando questi, per libera scelta editoriale, decida di pubblicare nuovamente una notizia risalente.
Diverso invece è il caso della permanenza di un articolo di cronaca nell’archivio on-line di una testata giornalistica.
Resta inteso che il diritto all’oblio trova una diversa declinazione applicativa quando si tratta di dati ed informazioni diffusi via web: nel caso di notizie veicolate con il mezzo della stampa, infatti, è evidente che il ciclo di vita della notizia stessa termina con la sua pubblicazione; ciò, invece, non può dirsi nel caso di pubblicazioni on-line.
In questa ultima ipotesi, infatti, può sorgere una differente necessità: poiché online «le informazioni non sono in realtà organizzate e strutturate, ma risultano isolate, poste tutte al medesimo livello (“appiattite”), senza una valutazione del relativo peso, e prive di contestualizzazione», può accadere che notizie immesse in rete, inizialmente corrette, possano poi risultare incomplete e non aggiornate. Ecco, quindi, che viene a concretizzarsi il diritto alla «contestualizzazione ed aggiornamento» della notizia[8].
Quello degli archivi di cronaca rimane, infatti, un tema aperto in considerazione del rilievo costituzionale che essi hanno (l'art. 33 Cost. tutela il diritto di espressione e manifestazione del pensiero) in virtù della loro finalità di “documentazione del passato”.
Il D. Lgs. n. 196 del 2003, art. 99, prevede che il trattamento dei dati per finalità storica possa essere svolto «anche oltre il periodo di tempo necessario per conseguire i diversi scopi per i quali i dati sono stati in precedenza raccolti o trattati».
In quest’ottica, e fatta salva la verità della notizia, il protagonista dei fatti oggetto di cronaca potrà ottenere dunque un’integrazione del dato ma non una sua cancellazione (pensiamo, ad esempio, al caso di un soggetto condannato in primo grado la cui sentenza sia stata successivamente riformata in appello).
Quando, invece, la notizia continua a rimanere accessibile a causa dell’intervenuta indicizzazione dei motori di ricerca, colui che si ritenesse leso dalla riproposizione di determinati dati potrà chiederne la loro deindicizzazione, ovvero la loro rimozione dai risultati dei motori di ricerca esterni rispetto all’archivio in cui questi si trovano.
Deindicizzare costituisce un bilanciamento proporzionato tra la libertà di espressione, la valenza storica degli archivi digitali e la tutela della privacy. In questo modo, l’'articolo non verrà cancellato ma potrà restare nell'archivio on line del giornale sebbene non possa più essere “pescato” dai motori di ricerca.
In una delle sue molte pronunce sull’argomento, la Suprema Corte ha proprio affermato che
«In materia di diritto all'oblio là dove il suo titolare lamenti la presenza sul web di una informazione che lo riguardi - appartenente al passato e che egli voglia tenere per sé a tutela della sua identità e riservatezza - e la sua riemersione senza limiti di tempo all'esito della consultazione di un motore di ricerca avviata tramite la digitazione sulla relativa query del proprio nome e cognome, la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, e può trovare soddisfazione, fermo il carattere lecito della prima pubblicazione, nella deindicizzazione dell'articolo sui motori di ricerca generali, o in quelli predisposti dall'editore»[9].
Proprio in relazione a tale ultimo aspetto, la Corte di Cassazione è recentemente intervenuta sul tema con una decisione che vede coinvolto il primo motore di ricerca al mondo, Google Inc., chiamato in giudizio al fine di ottenere una condanna alla rimozione dei risultati di ricerca che riproponevano nome e cognome dell’interessato in relazione ad alcuni articoli di cronaca innanzi tempo pubblicati.
Google Inc. si costituiva in giudizio affermando da un lato la permanenza dell’interesse alla notizia e, dall’altro, la circostanza per cui l’attore non avesse indicato gli indirizzi specifici delle notizie delle quali si chiedeva la rimozione.
Il noto motore di ricerca veniva quindi condannato dal Tribunale di Spoleto ritenendo non più sussistente l’interesse pubblico alla notizia visto il notevole lasso di tempo trascorso ed ordinando di conseguenza la rimozione e la cancellazione dei risultati che il motore di ricerca proponeva inserendo il nome ed il cognome dell’attore.
Google Inc. proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza adducendo che l’inibitoria disposta dal Tribunale fosse generica ed imponeva in capo al motore di ricerca un onere di ricerca attiva - oltre che di monitoraggio preventivo - circa i contenuti ritenuti lesivi ma non identificati tramite URL specifici.
È logico infatti ritenere che l’obbligo di intervento tanto dell’internet service provider quanto del gestore del motore di ricerca, la cui attività vada ad incidere sui diritti fondamentali della persona, presupponga la conoscenza dettagliata dei contenuti da rimuovere.
E così la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che
«la domanda di deindicizzazione esige la precisa individuazione dei risultati della ricerca che l'attore intende rimuovere, e quindi, normalmente, l'indicazione degli indirizzi telematici, o URL, dei contenuti rilevanti a tal fine, anche se non è escluso che una puntuale rappresentazione delle singole informazioni che sono associate alle parole chiave possa rivelarsi, secondo le circostanze, idonea a dare precisa contezza della cosa oggetto della domanda, in modo da consentire al convenuto, gestore del motore di ricerca, di apprestare adeguate e puntuali difese sul punto» (Cassazione civile sez. I, 21/07/2021, n.20861).
Nel caso in esame, la domanda di deindicizzazione risultava essere totalmente indeterminata, avendo il ricorrente richiesto di pronunciare un ordine di rimozione con riguardo a tutti i risultati che apparivano con la digitazione del proprio nome e cognome.
4. Conclusioni
Nonostante il GDPR abbia fornito un appiglio normativo nella disciplina del diritto all’oblio, la sua concreta applicazione continua ad essere estremamente delicata per via della difficoltà nel bilanciare diritti contrapposti di pari rango.
[1] C. CHIOLA, Appunti sul c.d. diritto all’oblio e la tutela dei dati personali, i Percorsi Cost., n. 1, 2010, 39.
[2] Tra le tante, Cass. Civ., n. 5525/2012
[3] Articolo 17 Regolamento UE 679/2016 Diritto alla cancellazione («diritto all'oblio») 1. L'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l'obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti: a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; b) l'interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all'articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento; c) l'interessato si oppone al trattamento ai sensi dell'articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell'articolo 21, paragrafo 2; d) i dati personali sono stati trattati illecitamente; e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento; f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all'offerta di servizi della società dell'informazione di cui all'articolo 8, paragrafo 1. 2. Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell'interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali. 3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento sia necessario: a) per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; b) per l'adempimento di un obbligo giuridico che richieda il trattamento previsto dal diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell'articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell'articolo 9, paragrafo 3; d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all'articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; e) per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.
[4] Cass. Civ., S.U., n. 19681 del 22.07.2019
[5] Cass. Civ. sez. I, 18/10/1984, n.5259 secondo la quale “Il diritto di stampa, e cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, sancito in linea di principio dall'art. 21 cost. e regolato dalla l. 8 febbraio 1948 n. 47, è legittimo quando concorrono le seguenti tre condizioni: a) utilità sociale dell'informazione; b) verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti, che non è rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; c) forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l'offesa triviale o irridente i più umani sentimenti. La forma della critica non è civile quando non è improntata a leale chiarezza, quando cioè il giornalista ricorre al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato o comunque all'artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre, alle vere e proprie insinuazioni. In tali ipotesi l'esercizio del diritto di stampa può costituire illecito civile anche ove non costituisca reato”.
[6] M.ASTONE, Il diritto all’oblio on line alla prova dei limiti territoriali, Europa e Diritto Privato, fasc.1,1 marzo 2020, pag. 223.
[7] Cass. Civ., S.U., n. 19681 del 22.07.2019
[8] Cass. Civ., del 05/04/2012, n. 5525
[9] Cass. Civ. n. 9147/2020