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Le Sezioni Unite sull´ elemento soggettivo della revocatoria ordinaria
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Pubbl. Lun, 5 Mag 2025

Le Sezioni Unite sull´ elemento soggettivo della revocatoria ordinaria

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Carmen Scarfò
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Reggio Calabria Mediterr



Il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili, con la sentenza del 27 gennaio 2025, n. 1898, relativamente all’elemento soggettivo necessario per privare di efficacia, mediante l’azione revocatoria ordinaria, gli atti di disposizione anteriori al sorgere del credito, rappresenta un punto di svolta all’interno della letteratura giuridica, in quanto chiarisce che « In tema di azione revocatoria, quando l’atto di disposizione è anteriore sorgere del credito, ad integrare la “dolosa preordinazione” richiesta dall’art. 2901, primo comma, cod. civ. non è sufficiente la mera consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni dei creditori (c.d. dolo generico), ma è necessario che l’atto sia stato posto in essere dal debitore


Sommario: 1. L’azione revocatoria quale mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale; 2. Il caso; 3. I passaggi logico-argomentativi della sentenza n. 1898/2025. Il quesito posto alle Sezioni Unite e i termini del contrasto; 3.1. (Segue) I passaggi logico-argomentativi della sentenza n. 1898/2025. I motivi della decisione; 3.2. (Segue) I passaggi logico-argomentativi della sentenza n. 1898/2025: L’accoglimento della revocatoria ed i suoi effetti verso i terzi; 4. Conclusioni.

1. L’azione revocatoria quale mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale

L'ordinamento nazionale tutela l’interesse del creditore alla conservazione della garanzia delle proprie ragioni rappresentata dall'intero patrimonio del debitore (art. 2740 c.c.), attraverso la previsione dei c.d. «mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale», in funzione del futuro ed eventuale esperimento dell'azione esecutiva, allo scopo di evitare che il patrimonio del debitore risulti incapiente al momento dell’esecuzione coattiva del credito[1].

Tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica, il Codice civile, agli artt. 2900 ss. c.c., disciplina l’azione surrogatoria, l’azione revocatoria e il sequestro conservativo [2].

Siffatte azioni, ancorché tra loro diverse in ragione dei presupposti cui è subordinato il loro esperimento, sono accomunate da un’unica funzione ossia quella di conservare il patrimonio del debitore, in vista della futura ed eventuale esecuzione forzata: esse, infatti, non hanno lo scopo di far conseguire al creditore un immediato soddisfacimento del credito, ma quella di evitare che, in caso di inadempimento imputabile al debitore, il creditore – all’atto dell’adempimento coattivo del credito – rimanga privo della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c

In particolare, l’azione revocatoria, originariamente prevista dall’art. 1235 comma 1 del codice civile del 1865 quale speciale rimedio impugnatorio d'incerta natura ed effetti contro gli atti fraudolenti del debitore, è attualmente disciplinata dagli artt. 2901 ss. c.c., come azione tendente a far dichiarare nei confronti del creditore-attore l'inefficacia relativa degli atti di disposizione patrimoniale con i quali il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni.

Tale funzione si attua rendendo possibile la realizzazione del diritto di credito mediante l’esperimento dell’azione esecutiva sui beni oggetto dell’atto «revocato», al fine di ovviare al pregiudizio che l’attività dispositiva del debitore arreca alle ragioni del creditore.

Lo scopo dell’azione revocatoria consiste, quindi, nel riscostruire la garanzia patrimoniale generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740, c. 1, c.c., la cui consistenza si sia ridotta per effetto dell’atto dispositivo posto in essere dal debitore, al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l’azione espropriativa[3].

A tal fine, l’esperibilità di siffatto rimedio è soggetta alla sussistenza di presupposti oggettivi e soggettivi; i primi, attinenti alla natura e alla rilevanza dei singoli atti di disposizione del debitore; i secondi, generalmente individuati nella sussistenza del credito verso il debitore, nel pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione alla garanzia patrimoniale di tale credito (c.d. «eventus damni»), in un certo atteggiamento soggettivo del debitore (c.d. «scientia damni» o «consilium fraudis»), e, se l'atto e a titolo oneroso, anche dell'atteggiamento psicologico del terzo (c.d «partecipatio fraudis»)[4].

Inoltre, i presupposti soggettivi, come si evince dalla lettura dell’art. 2901, c. 1, c.c., variano a seconda che l’atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore ai danni del creditore sia anteriore o posteriore al sorgere del credito.

Nel primo caso, il creditore dovrà dimostrare: che l’autore dell’atto (i.e. il debitore), alla data della sua stipulazione, aveva l’intenzione di contrarre debiti, ovvero era consapevole del sorgere della futura obbligazione; e che il debitore ha compiuto l’atto di disposizione patrimoniale in funzione del sorgere dell’obbligazione, al fine di porsi in una situazione di – totale o parziale – impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto (c.d. «dolo specifico»)[5].

Nel secondo caso, invece, il creditore dovrà provare, sic et simpliciter, che il debitore, al momento dell’atto di disposizione, era a conoscenza del pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato alle sue ragioni creditorie (c.d. «dolo generico»).

La distinzione appena tracciata non risulta, tuttavia, pacifica nella giurisprudenza di legittimità; invero, un recente orientamento, aderendo alla tesi del c.d. dolo generico, ha affermato che anche per la revoca di atti di disposizione anteriori al sorgere del credito non è necessaria la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore (c.d. «dolo specifico»), ma è sufficiente la semplice conoscenza, da parte del primo, del pregiudizio arrecato al secondo (c.d. «dolo generico»)[6].

Le Sezioni Unite, intervenute a dirimere il contrasto ermeneutico sul tema, con sentenza n. 1898/2025, che di seguito verrà esaminata, ripudiano la c.d. «tesi del dolo generico», confermando l'orientamento finora prevalente, ed enunciano il seguente principio di diritto: «In tema di azione revocatoria, quando l'atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare la "dolosa preordinazione" richiesta dallo art. 2901, primo comma, cod. civ. non è sufficiente la mera consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni dei creditori (c.d. dolo generico), ma è necessario che l'atto sia stato posto in essere dal debitore in funzione del sorgere dell'obbligazione, al fine d'impedire o rendere più difficile l'azione esecutiva o comunque di pregiudicare il soddisfacimento del credito, attraverso una modificazione della consistenza o della composizione del proprio patrimonio (c.d. dolo specifico), e che, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse a conoscenza dell'intento specificamente perseguito dal debitore rispetto al debito futuro».

2. Il caso

Il caso sotteso alla sentenza in esame prende le mosse dalla proposizione di un atto di citazione con cui l’originario attore conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la debitrice nonchè il terzo acquirente di alcuni beni costituenti l'intero patrimonio immobiliare della debitrice, per ottenere la declaratoria di inefficacia nei suoi confronti dell'atto dispositivo, ai sensi dell’art. 2901 c.c.

Nello specifico, l'attore deduceva di vantare un credito in virtù di un assegno bancario dell'importo di Euro 100.000,00 emesso il 30 settembre 2008, e rimasto insoluto; e che la debitrice, con un atto di compravendita stipulato il 16 settembre 2008 ed un atto integrativo stipulato il 6 ottobre 2008, aveva alienato cinque beni immobili, costituenti il suo intero patrimonio immobiliare, verso il corrispettivo di Euro 490.000,00, rilasciando quietanza il 20 ottobre 2008.

Costituitasi in giudizio la convenuta società acquirente, resistendo alla domanda attorea, sosteneva che la compravendita fosse anteriore al sorgere del credito e negava la dolosa preordinazione dell’atto a pregiudicare i diritti dei creditori, nonché la propria consapevolezza di tale intenzione.

Il Tribunale di Roma con sentenza, emessa il 15 maggio 2015, rigettava la domanda.

La sentenza veniva ritualmente impugnata dall’originario attore dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, la quale – in riforma della sentenza di prime cure – dichiarava inefficaci gli atti impugnati.

A fondamento della decisione, la Corte escludeva che l’atto impugnato fosse anteriore al sorgere del credito, ritenendo non provato che l’assegno prodotto a sostegno della domanda fosse stato consegnato in sostituzione di un altro emesso il 15 settembre 2008; che rispetto ai quattro immobili indicati nell’originario contratto di vendita del 16 settembre 2008, l’atto integrativo del 6 ottobre 2008 non aveva portata novativa, avendo il medesimo oggetto.

I giudici di secondo grado, inoltre, ritenevano che l’atto integrativo del 6 ottobre 2008, essendo volto soltanto a specificare gli estremi catastali, avesse efficacia traslativa esclusivamente in ordine al quinto bene in esso riportato e che, pertanto, soltanto per quest’ultimo la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. dovesse essere accertata sulla base della disciplina relativa agli atti di disposizione anteriori al sorgere del credito.

Quanto al c.d. «eventus damni», la Corte d'Appello riteneva, da un lato, sufficiente che l’atto impugnato comporti una variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio del debitore, tale da rendere più incerto o difficile il soddisfacimento delle ragioni creditorie; dall’altro, che la debitrice, rimasta contumace, non aveva dimostrato l’effettiva disponibilità di un patrimonio residuo idoneo ad essere assoggettato ad esecuzione.

Quanto all'elemento soggettivo, la Corte precisa che sel’atto dispositivo è anteriore al sorgere del credito per la sussistenza «dell’animus nocendi» non occorre il dolo specifico (ossia la consapevole volontà di arrecare pregiudizio ai creditori) ma è sufficiente il dolo generico (cioè la previsione di tale pregiudizio) e che la «partecipatio fraudis» del terzo può essere accertata anche mediante il ricorso a presunzioni (mentre, quando l’atto è successivo al sorgere del credito, è sufficiente la consapevolezza del medesimo pregiudizio). Pertanto, osservavano i giudici di merito che, avendo l’atto contestato ad oggetto la contestuale disposizione di una pluralità di beni, l’esistenza e la consapevolezza del pregiudizio dovesse ritenersi sussistente in re ipsa.

Avverso tale sentenza il curatore del fallimento della convenuta società acquirente in liquidazione proponeva ricorso per cassazione, articolando quattro motivi[7].

Tra i quattro motivi di ricorso proposti avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, quello che assume maggiore rilevanza ai fini della questione di diritto analizzata dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento è il primo motivo, con il quale il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, primo comma, nn. 1 e 2, c.c.

Nello specifico, la società acquirente (originaria convenuta) nel richiedere la cassazione della sentenza impugnata, censura la medesima nella parte in cui «pur avendo ritenuto che l’atto di compravendita fosse anteriore al sorgere del credito, ha considerato sufficiente, per la sussistenza dell’elemento soggettivo della revocatoria, la mera consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori, anziché la dolosa preordinazione dell’atto a tale scopo. Premesso che ai fini di tale preordinazione occorre che l’atto di disposizione sia stato posto in essere dall’autore per precostituirsi una situazione d’insolvenza, in vista della successiva assunzione di un’obbligazione, sostiene che, oltre al dolo specifico del debitore, è necessario quello generico del terzo, consistente nella conoscenza dell’intenzione del debitore e del piano da lui ordito».

3. I passaggi logico-argomentativi della sentenza n. 1898/2025. Il quesito posto alle Sezioni Unite e i termini del contrasto

La questione posta all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione è relativa all’individuazione dell’esatta portata dell’elemento soggettivo dell’azione revocatoria nell’ipotesi in cui essa abbia ad oggetto un atto dispositivo anteriore al sorgere del credito.

Invero, la Terza Sezione civile con l’ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite dava atto, relativamente all’individuazione dell’elemento soggettivo della revocatoria, nell’ipotesi in cui la stessa abbia ad oggetto un atto dispositivo anteriore al sorgere del credito, dell’esistenza nella giurisprudenza di legittimità di due diversi orientamenti.

Secondo un primo (maggioritario) indirizzo, nel caso in cui l’azione revocatoria abbia ad oggetto atti posteriori al sorgere del credito, è sufficiente la semplice conoscenza da parte del debitore e del terzo acquirente del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del credito (c.d « dolo generico »); mentre, qualora si tratti di atti anteriori al sorgere del credito è richiesto il c.d. «dolo specifico», consistente nella dolosa preordinazione dell’atto da parte del debitore al fine di compromettere il soddisfacimento del credito, nonché, nel caso di atti a titolo oneroso, la partecipazione dolosa del terzo a tale pregiudizievole programma[8].

In altri termini, secondo i fautori di tale orientamento, affinché l’atto di disposizione anteriore al sorgere del credito sia dichiarato inefficace è necessario che «l’autore dell’atto, alla data della sua stipulazione, avesse l’intenzione di contrarre debiti oppure fosse consapevole del sorgere della futura obbligazione, e che lo stesso soggetto abbia compiuto l’atto dispositivo appunto in funzione del sorgere dell’obbligazione, per porsi in situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto»[9]. Qualora si tratti di atti a titolo oneroso, è poi richiesto, ai fini della configurabilità della c.d. «partecipatio fraudis» in capo al terzo, «la conoscenza della dolosa preordinazione dell’atto ad opera del disponente rispetto al credito futuro, la quale presuppone anche la conoscenza da parte del terzo dello specifico credito per cui è proposta l’azione».

Al contrario, la c.d. « partecipatio fraudis» non è necessaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia successivo al sorgere del credito; in tal caso, si ritiene sufficiente la mera consapevolezza da parte del terzo della diminuzione della garanzia generica, derivante dalla riduzione della consistenza patrimoniale[10].

Un secondo, più recente, orientamento aderisce, viceversa, alla c.d. «tesi del dolo generico», sostenendo che, anche nel caso di atti anteriore al sorgere del credito, non è necessaria la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore, ma è sufficiente la semplice conoscenza, da parte del primo, del pregiudizio arrecato al secondo[11].

In altre parole, «non è richiesta la volontà del debitore di contrarre debiti, ovvero la consapevolezza da parte sua del sorgere della futura obbligazione, né il compimento dell'atto allo specifico fine di impedire o ostacolare l'attuazione coattiva del diritto del creditore, ma è sufficiente la mera previsione del pregiudizio arrecato ai creditori, da intendersi anche quale mero pericolo dell'insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell'esazione coattiva del credito»[12].

3.1. (Segue) I passaggi logico-argomentativi della sentenza n. 1898/2025. I motivi della decisione

La sentenza delle Sezioni Unite in commento, ai fini della risoluzione del contrasto ermeneutico, muove dalla lettera dell’art. 2901, c. 1, c.c., il quale subordina la dichiarazione d’inefficacia degli atti di disposizione patrimoniale compiuti dal debitore in pregiudizio alle ragioni del creditore alle seguenti condizioni:

« 1. che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

2. che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. »

Secondo le Sezioni Unite, la tesi del dolo generico[13] attribuisce portata non decisiva alla differente formulazione delle due parti della norma, in quanto la stessa non richiede che il debitore abbia agito con la specifica intenzione di danneggiare i creditori, ma solo che abbia posto in essere l’atto nella consapevolezza di pregiudicare le ragioni creditizie, «escludendo quindi, in entrambe le ipotesi da essa contemplate, la necessità sia dell’animus nocendi, ovverosia di "una callida volontà dell'obbligato di danneggiare il creditore", sia, nel caso di atto a titolo oneroso, della conoscenza da parte del terzo dello specifico credito di cui l’atto dispositivo è volto a pregiudicare la soddisfazione»[14].

La tesi del dolo generico esclude, altresì, la necessità della prova che il debitore, al momento della stipula, avesse intenzione di contrarre debiti o fosse consapevole del sorgere della futura obbligazione, ritenendo sufficiente la mera previsione dell'insorgenza del debito e del pregiudizio per il creditore; essa si pone, dunque, in linea con l'opinione dottrinale che richiede che il debitore a) abbia previsto il sorgere del credito, b) abbia voluto sottrarre il bene all'azione esecutiva, e c) abbia previsto che le ragioni del futuro creditore rimarranno pregiudicate [15].

Tale assunto, nella maggior parte dei casi, si risolve, tuttavia, nella tralatizia affermazione della sufficienza del dolo generico[16], e di una diversa misura dell’intenzione fraudolenta, senza che però venga sufficientemente precisato in cosa debba consistere la supposta maggiore intensità del dolo [17].

In verità, il significato steso delle espressioni utilizzate nell’art. 2901, c.1, c.c. consente di evidenziare che l’intento del legislatore è proprio quello di subordinare l’accoglimento della revocatoria a presupposti soggettivi diversi, a seconda che la stessa abbia ad oggetto un atto posto in essere in epoca anteriore o successiva al sorgere del credito.

Sul punto, le Sezioni Unite osservano che «mentre il verbo “conoscere” significa avere notizia o cognizione di una cosa o del suo modo di essere, per averne fatto direttamente o indirettamente esperienza o per averla appresa da altri; invece, il sostantivo “preordinazione” fa riferimento alla predisposizione di un mezzo in funzione del raggiungimento di un risultato».

La seconda espressione, dunque, implica una «finalizzazione teleologica della condotta del debitore», ossia una condotta «dolosa», che allude al carattere fraudolento o quanto meno intenzionale dell’azione, volta ad impedire o ostacolare l’azione esecutiva del creditore o comunque il soddisfacimento del credito.

Il carattere fraudolento è del tutto assente nella prima espressione ("conoscere"), che, invece, si riferisce alla mera conoscenza del pregiudizio che l’atto oggettivamente arreca o può arrecare alle ragioni dei creditori, per la riduzione della garanzia patrimoniale che ne consegue, indipendentemente dalle finalità concretamente perseguite dal debitore attraverso il compimento dell’atto stesso.

La Suprema Corte osserva che «l’utilizzazione di due espressioni aventi un significato completamente differente nell’ambito della medesima disposizione non è causale me è frutto di una scelta ponderata del legislatore del 1942, in seguito al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi proprio con riguardo all’azione revocatoria, precedentemente all’entrata in vigore del 1942».

Nel Codice civile del 1865, l’art. 1235 c.c. prevedeva la revocabilità solo degli atti dispositivi posti in essere in epoca successiva al sorgere del credito, a condizione che gli stessi fossero stati "fatti in frode" delle ragioni dei creditori.

Il significato di tale espressione era controverso, tanto che, per alcuni autori, il legislatore aveva inteso fare riferimento all’intenzione di arrecare danno ai creditori (c.d. « animus nocendi »); secondo altri, invece, voleva alludere alla necessità della mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori, attraverso la creazione o l’aggravamento di una situazione d’insolvibilità (c.d. «scientia damni»).

Prevalse, infine, il secondo orientamento, in quanto richiede il c.d. «animus nocendi» avrebbe comportato un eccessivo restringimento dei limiti di operatività dell’azione revocatoria, impendendo alla stessa di assolvere alla propria funzione di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale.

Tale indirizzo fu accolto anche dal legislatore che, nella formulazione del Codice civile vigente, ha ampliato ulteriormente l’ambito applicativo dell’azione, ammettendone l’esercizio anche nei confronti degli atti dispositivi posti in essere anteriormente al sorgere del credito, ma differenziandone il presupposto soggettivo da quello richiesto ai fini della revocatoria degli atti posti in essere successivamente.

Invero, mentre per la dichiarazione d’inefficacia degli atti potesriori è necessaria soltanto la prova della «conoscenza del pregiudizio» arrecato alle ragioni dei creditori, per gli atti anteriori occorre, invece, la prova della «dolosa preordinazione» al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito.

Sostengono le Sezioni Unite che, «in quanto adottata nella piena consapevolezza dei contrasti insorti in ordine all’interpretazione della disciplina previgente, la formulazione letterale dell’art. 2901, c.1, c.c. non può dar luogo ad equivoci, testimoniando chiaramente la volontà del legislatore di regolare in maniera diversa il profilo soggettivo delle due fattispecie da esso contemplate, attraverso l’introduzione di una disciplina più restrittiva per la revocatoria degli atti compiuti in epoca anteriore al sorgere del credito».

Non può quindi meravigliare, osserva la sentenza in commento, che, «nell’estendere l’ambito applicativo della revocatoria anche agli atti dispositivi posti in essere in epoca anteriore al sorgere del creditore, anche il legislatore del 1942 abbia avvertito l’esigenza di subordinare l’esercizio ad un presupposto soggettivo più rigoroso di quello richiesto per la dichiarazione d’inefficacia degli atti successivi».

In tal senso, depone anche la Relazione del Ministro guardasigilli, nella quale viene precisato che quando l’atto è anteriore al sorgere del credito, l’azione è ammissibile, se l’atto è dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento del credito stesso[18].

Diversamente, la norma si sarebbe limitata a chiarire che l’azione era proponibile anche contro gli atti dispositivi anteriori al sorgere del credito, richiedendo per entrambe le ipotesi la prova della consapevolezza da parte del debitore della incidenza dell’atto sulla consistenza quantitativa o qualitativa del proprio patrimonio, senza fare alcun riferimento alla necessità di un disegno fraudolento.

«L’identificazione dell’elemento soggettivo della revocatoria nella mera consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio arrecato ai creditori comporta infatti un’indubbia dilatazione dei margini di operatività dell’istituto, già alquanto estesi per effetto dell’opinione comune, che ritiene configurabile il presupposto « dell’eventus damni » non solo in presenza di una compromissione totale della consistenza del patrimonio del debitore, ma anche a fronte di una variazione quantitativa o qualitativa dello stesso tale da rendere più incerta o difficile la soddisfazione del credito»[19].

Tale dilatazione, che si traduce in un rafforzamento della tutela dei creditori, si pone in contrasto con la natura eccezionale che l’azione revocatoria assume nell’ipotesi in cui abbia ad oggetto atti dispositivi anteriori al sorgere del credito.

3.2. (Segue) I passaggi logico-argomentativi della sentenza n. 1898/2025. L’accoglimento della revocatoria ed i suoi effetti verso i terzi

Le Sezioni Unite civili, infine, osservano che «l’accoglimento dell’azione revocatoria è inevitabilmente destinato ad incidere sulle posizioni giuridiche di una pluralità di soggetti (oltre al debitore, il terzo acquirente ed eventuali subacquirenti, nonché i loro creditori) i cui interessi vanno tenuti debitamente in conto, nell’ambito di un opportuno bilanciamento con quello dei creditori alla conservazione della garanzia patrimoniale ».

A tutela delle predette posizioni, e a salvaguardia della sicurezza degli scambi, il legislatore ha subordinato l’accoglimento della domanda all’ulteriore condizione che, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse partecipe della dolosa preordinazione, cioè fosse a conoscenza dell’intento fraudolento (o dolosa preordinazione) specificamente perseguito dal debitore rispetto al debitore futuro[20], e ha disposto, all’art. 2903 c.c., che l’azione revocatoria si prescriva in un termine breve di cinque anni dal compimento dell’atto, anziché in quello di dieci anni ordinariamente previsto per i diritti di credito.

4. Conclusioni

L’azione revocatoria costituisce uno dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale del credito più discusso, stante la diversità dell’elemento soggettivo richiesto per la proponibilità della medesima sulla scorta dell’anteriorità o meno al sorgere del debito degli atti di disposizione patrimoniale.

La diversa definizione dell’elemento soggettivo, come rilevato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza in commento, ha risvolti applicativi anche sul piano processuale.

Invero, la diversità dell’elemento soggettivo in ragione del tempo in cui è stato effettuato l’atto di disposizione patrimoniale incide sull’oggetto dell’onere probatorio incombente sull’attore in revocatoria.

L’attore, in guisa delle regole processuali (art. 2697 c.c.), proposta l’azione revocatoria ordinaria per ottenere la dichiarazione d’inefficacia di atti di disposizione patrimoniale anteriori al sorgere del credito, ha l’onere di provare che da un lato, quell’atto di disposizione patrimoniale è lesivo delle sue ragioni creditorie (c.d. «eventus damni»); dall’altro, il dolo specifico del debitore, cioè la dolosa preordinazione di un intento fraudolento.

Per contra, l’attore, nel caso di proposizione di azione revocatoria ordinaria diretta a conseguire l’inefficacia di atti di disposizione patrimoniale successivi al sorgere del credito, può limitarsi a provare soltanto il dolo generico, cioè la generica consapevolezza di nuocere alle ragioni del creditore (Cass. 13446/2013).

Dunque, è evidente che, ove si accolga la tesi secondo cui ai fini della dichiarazione d’inefficacia è sufficiente in entrambi i casi la mera consapevolezza del pregiudizio arrecato al creditore, vi sarebbe un’indubbia dilatazione dei margini di operatività dell’istituto, in contrasto con la natura eccezionale che l’azione revocatoria viene ad assumere nell’ipotesi in cui abbia ad oggetto atti dispositivi posti in essere in epoca anteriore al sorgere del credito.

Invero, l’azione revocatoria, in quanto avente la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi su beni che hanno cessato di far parte del patrimonio del debitore prima dell’insorgenza dell’obbligazione, costituisce una deroga al principio generale, sancito dall’art. 2740, c. 1, c.c. secondo cui «il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni presenti e futuri , cioè con quelli esistenti nel suo patrimonio alla data in cui è sorta l’obbligazione e con quelli che abbia acquistato in epoca successiva, e non anche con quelli di cui alla predetta data avesse già cessato di essere titolare[21].

Questa esclusione trova giustificazione nella considerazione che, nel momento in cui entra in contatto con il debitore, il creditore è perfettamente in grado di rendersi conto dell’attuale consistenza e composizione del suo patrimonio, nonché di apprezzarne l’idoneità a garantire il soddisfacimento del credito in caso di inadempimento.  

Pertanto, al fine di evitare un uso «improprio» di siffatta azione da parte dei creditori, anche in un’ottica di economia processuale, può ritenersi ragionevole che l’esercizio dell’azione revocatoria resti limitato al «dolo generico» nell’ipotesi, avente carattere ordinario, in cui il debitore abbia disposto dei propri beni in epoca successiva al sorgere del debito, nella consapevolezza del pregiudizio in tal modo arrecato al creditore; mentre, è necessario ancorare alla sussistenza del «dolo specifico» l’ipotesi, eccezionale, in cui l’atto dispositivo, pur essendo stato posto in essere in epoca anteriore, costituisca l’attuazione di un disegno volto a disfarsi dei propri beni, proprio in vista dell’assunzione di quello specifico debito[22].

 

 


 


 

Note e riferimenti bibliografici

[1] E. EULA, Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Commentario del Codice civile, diretto da D'AMELIO e FINZI, Libro VI, Tutela dei diritti, Firenze, 1943, 826;

[2] Siffatte azioni, ancorché tra loro diverse in ragione dei presupposti cui è subordinato il loro esperimento, sono accomunate da un’unica funzione ovverossia quella di conservare il patrimonio del debitore, in vista della futura ed eventuale esecuzione forzata: esse, infatti, non hanno lo scopo di far conseguire al creditore un immediato soddisfacimento del credito, ma hanno la funzione di evitare che, in caso di inadempimento imputabile al debitore, il creditore – all’atto dell’adempimento coattivo del credito –  rimanga privo della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c.

[3] L’effetto non è quello di far ritornare il bene nel patrimonio del debitore, poiché l’atto revocato conserva comunque in capo all’acquirente la sua efficacia traslativa o costitutiva del diritto, ma più semplicemente quello di far accertare, in favore del creditore che la esercita, l’inefficacia relativa dell’atto dispositivo compiuto dal debitore che resta, pertanto, valido tra i contraenti.

[4] R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, III edizione, ITAEDIZIONI, Torino 2023, 936 ss.

[5] R. GIOVAGNOLI, Op. cit., III edizione, ITAEDIZIONI, Torino, 2023, 936 ss.

[6] In dottrina v. A. MAIERINI, Della revoca degli atti fraudolenti fatti dal debitore in pregiudizio dei creditori, Firenze, !898, 187; L. CONFORTI, Sugli effetti della revoca degli atti fraudolenti, in Studi in onere di M. D’amelio, I, 363, Roma, 1933, 55

[7] Per la ricostruzione del caso, Cfr. Cass., Sez. Un. Civ., 27/01/2025, n. 1898, 2-4.

[8] Cfr. Cass., Sez. III, 7/06/2023, n. 16092; 15/11/2016, n. 23205; 19/09/2015, n. 18315; Cass., Sez. II, 20/02/2015, n. 3461; Cass., Sez. I, 09/05/2008, n. 11577; 21/09/2001, n. 11916: «In tema di azione revocatoria ordinaria, allorché l’atto di disposizione a titolo oneroso sia anteriore al sorgere del credito, la condizione per l’esercizio dell’azione stessa è, oltre al consilium fraudis del debitore, la partecipatio fraudis del terzo acquirente, ossia la conoscenza da parte del terzo della dolosa preordinazione della vendita ad opera del disponente rispetto al credito futuro; tale elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento, riservato al giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato» .

[9] Cfr. Cass., Sez. I, 27/02/1985, n. 1716 la quale affermeva che: «Nell’ipotesi di azione revocatoria di un negozio dispositivo anteriore al sorgere del credito, prevista al n. 1) del primo comma dell’art. 2901 c.c., gli elementi costitutivi della fattispecie che – oltre al carattere lesivo dell’atto di disposizione ed alla esistenza del credito – debbono essere dimostrati dal creditore sono due: che l’autore dell’atto, alla data della sua stipulazione, aveva l’intenzione di contrarre debiti ovvero era consapevole del sorgere della futura obbligazione; che lo stesso soggetto abbia compiuto l’atto dispositivo appunto in funzione del sorgere dell’obbligazione, per porsi in una situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto. La valutazione compiuta al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione».

[10] Cfr. Cass., Sez. III, 15/10/2021, n. 28423; Cass. Sez. VI, 3712/2014, n. 25614; Cass., Sez. I, 5/07/2013, n. 16825

[11] Cfr. Cass., Sez. III, 4/09/2023, n. 25687; 27/02/2023, n. 5812 secondo cui: «In tema di azine revocatoria, quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare l’“animus nocendi” richiesto dall’art. 2901, comma 1, n.1, c.c. è sufficiente il mero dolo generico e, cioè, la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato ai creditori, non essendo invece necessaria la ricorrenza del dolo specifico, viale a dire la consapevole volontà di pregiudicare le ragioni creditorie»; negli stessi termini Cass. 15/10/2010, n. 21338; 7/10/2008, n. 24757.

[12] Cass., Sez. III, 23/09/2004, n. 19131 la quale afferma che: «L’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli il soddisfacimento coattivo del suo credito e la relativa sentenza ha efficacia retroattiva, in quanto l’atto dispositivo è viziato sin dall’origine».

[13] In dottrina v.  A. MAIERINI, Op. cit., Firenze, !898, 187; L. CONFORTI, Op. cit., in Studi in onere di M. D’amelio, I, 363, Roma, 1933, 55

[14] Cfr. ex multis Cass., Sez. III, 14/05/2024, n. 13265.

[15] Cfr. Cass., Sez. III, 7/10/2008, n. 24757.

[16] Cfr. Cass., Sez. III, 4/09/2023, n. 25687; 27/02/2023, n. 5812; 28/07/2014, n. 17096; 15/10/2010, n. 21338.

[17] Cfr. ex multis Cass., Sez. III, 14/05/2024, n. 13265.

[18] Nella Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942 si legge: «Nella disciplina dell'azione revocatoria ho avuto cura di risolvere le più importanti questioni pratiche che si sono agitate nel campo di questo istituto. Il “ consilium fraudis”, requisito tradizionale dell'azione revocatoria, è dall'art. 2901 del c.c., in conformità del concetto prevalso in dottrina e in giurisprudenza, individuato nella conoscenza del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del creditore. L'azione non è sempre legata all'anteriorità del credito rispetto all'atto che s'impugna; anche quando l'atto è anteriore al sorgere del credito l'azione è ammissibile, se l'atto è dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito stesso. La deroga al principio dell'anteriorità del credito è giustificata dalla particolare nota di perversità che caratterizza in questo caso il “ consilium fraudis ”. La disposizione codifica una massima più volte enunciata dalla corte di cassazione e s'ispira allo stesso concetto che informa l'art. 194 del Codice penale, nel quale, del pari, l'anteriorità del credito non costituisce uno dei presupposti per la dichiarazione d'inefficacia dell'atto. È mantenuta la distinzione tra atti a titolo gratuito e atti a titolo oneroso, alla quale è correlativa una parziale diversità dei presupposti dell'azione: trattandosi di atti a titolo oneroso, si richiede che anche il terzo fosse consapevole del pregiudizio ovvero, quando l'atto è anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. Ad eliminare eventuali dubbi sulle prestazioni di garanzia, il secondo comma dell'art. 2901 le considera atti a titolo oneroso se sono contestuali al credito garantito. Data, infatti, la contestualità, la garanzia s'inserisce nel negozio a cui accede, come un elemento di questo, configurandosi come corrispettiva della prestazione del creditore, poiché in tanto il credito sorge in quanto ad esso si lega la garanzia. Ho codificato (art. 2901, terzo comma) il principio, ormai consolidato in dottrina e in giurisprudenza, che non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto, intendendo qui parlare di adempimento in senso tecnico, senza escludere la possibilità d'impugnare con l'azione revocatoria, ad esempio, la datio in solutum o la novazione, se sussistono tutte le condizioni richieste dalla legge. La sorte dei diritti dei subacquirenti — incompiutamente regolata dall'art. 1235 del codice del 1865, il quale, tra l'altro, non poneva la necessaria distinzione tra subacquirenti a titolo oneroso e subacquirenti a titolo gratuita — è disciplinata dall'ultimo comma dell'art. 2901: la dichiarazione d'inefficacia dell'atto estende i suoi effetti all'acquirente mediato, se l'acquisto fu gratuito; non pregiudica invece il diritto dell'acquirente mediato se l'acquisto fu a titolo oneroso e questi era in buona fede al momento dell'acquisto. Rimangono naturalmente fermi, quando la domanda di revocazione si riferisce ad un atto soggetto a trascrizione, gli effetti della trascrizione della domanda stessa, per cui, se questa fu trascritta prima che il subacquirente operasse la trascrizione o l'iscrizione del suo titolo d'acquisto, la sentenza che dichiara l'inefficacia dell'atto pregiudica anche il subacquirente a titolo oneroso e di buona fede (art. 2652 del c.c., n. 5). L'art. 2902 del c.c. determina gli effetti dell'azione revocatoria. Questa giova soltanto al creditore che l'ha proposta, il quale, ottenuta la dichiarazione d'inefficacia, può promuovere le azioni conservative o esecutive sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato, osservando le forme prescritte dagli articoli 602 e segg. del codice di procedura civile. I beni alienati - come, per altro, era opinione largamente diffusa sotto l'impero del codice precedente - non rientrano nel patrimonio del debitore, ma la revoca è pronunciata al solo effetto di assoggettarli alle azioni del creditore danneggiato. Ad assicurare il soddisfacimento del creditore anzidetto tende l'ultimo comma dell'art. 2902, secondo cui il terzo contraente che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria non può concorrere sul ricavato dei beni che hanno formato oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto. Questa regola può a prima vista sembrare molto grave per il terzo contraente, ma occorre considerare che la prevalenza del creditore sul terzo è giustificata dal comportamento normalmente illecito di questo e dal fatto che altrimenti le ragioni del creditore finirebbero con l'essere nella maggior parte dei casi compromesse dal concorso del terzo. Il problema si presenta sotto diverso aspetto in tema di revocatoria fallimentare, tenuto conto delle profonde modificazioni che la revocatoria ordinaria subisce nel fallimento, in cui, agevolata da presunzioni di frode, non è esercitata nell'interesse del singolo creditore, ma nell'interesse generale della, massa, senza distinzione tra crediti anteriori e crediti posteriori all'atto impugnato. L'opportunità, nell'interesse sociale della sicurezza degli affari e della certezza dei diritti, che la sorte degli atti suscettivi di revoca non rimanga per lungo tempo sospesa, mi ha indotto, in conformità del voto espresso da autorevoli scrittori, a stabilire in cinque anni il termine di prescrizione dell'azione, il quale decorre dalla data dell'atto (art. 2903 del c.c.). Una norma di rinvio (art. 2904 del c.c.) fa salve le speciali disposizioni che, in altre sedi, disciplinano l'azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale».

[19] Cfr. Cass., Sez. III, 14/07/2023, n. 20232; Cass., Sez. VI, 18/06/2019, n. 16221; Cass., Sez. II, 03/02/2015, n. 1902 ove si precisa che: «In tema di revocatoria ordinaria, non essendo rchiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (quale, nella specie, una transazione traslativa di beni ereditari conclusa dakk0erede con un terzo), l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’“eventus damni”».

[20] Cass., Sez. III, 19/09/2015, n. 18315; Cass., Sez. I, 09/05/2008, n. 11577; 21/09/2001, n. 11916. In dottrina v. R. NICOLO', Della tutela dei diritti. Surrogatoria. Revocatoria, in Commentario del Codice civile, SCALOJA e BRANCA (a cura di), Libro VI, Bologna-Roma, 1962, 185.

 

[21] R. GIOVAGNOLI, Op. cit., III edizione, ITAEDIZIONI, Torino 2023, 915 ss. precisa che «Tutti i beni del debitore sono, come precisa l’art. 2740, c. 1, c.c., così i “beni presenti” come “i beni futuri”. Ciò significa che potranno essere oggetto di esecuzione forzata (nel momento di attuazione della responsabilità patrimoniale), e soggiacciono intanto alle misure di conservazione della garanzia (nella fase in cui quella responsabilità è solo potenziale), non solo i beni esistenti nel patrimonio del debitore alla nascita dell’obbligazione, ma anche i beni sopravvenuti successivamente (e sui quali dunque il creditore, all’atto di far credito), non poteva a rigore nutrire affidamento). In altri termini, nel parlare di “presente” e di”futuro”, il legislatore si riferisce al momento in cui è assunta l’obbligazione».

[22] Il principio di universalità della responsabilità patrimoniale deve combinarsi con il principio di proporzionalità (o di adeguatezza) in quanto, in concreto, la misura dell’incidenza della responsabilità sul patrimonio del debitore non può essere mai funzione dell’entità dei debiti stessi, e a questa adeguarsi.

Ne discende che l’interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale generica non può essere mai superiore al patrimonio del debitore, ma deve contenersi nella misura necessaria e sufficiente per la certezza di ottenere il soddisfacimento del proprio interesse creditorio.

La commisurazione quantitativa della responsabilità al valore dei debiti opera, innanzitutto, come è ovvio, sul piano dell’attuazione di siffatta responsabilità, nel senso che il patrimonio del debitore deve soggiacere all’esecuzione forzata soltanto entro il limite di quel valore: ne costituisce indice normativo l’art. 496 c.p.c., che prevede la riduzione del pignoramento quando il valore dei beni pignorati risulti superiore all’ammontare delle spese e dei crediti.

Ma essa opera, altresì, nella fase in cui quella responsabilità è ancora potenziale: quando cioè obiettivo dell’ordinamento non è ancora quello di convertire in danaro i beni del debitore inadempiente perché il creditore si soddisfi sul ricavato, ma è solo quello di conservare quei beni per un’esecuzione futura e puramente eventuale, che si attuerà se e in quanto vi sarà l’inadempimento del debitore.

Anche un interesse alla conservazione preventiva viene dimensionato quantitativamente: lo dimostrano gli art. 2782 ss. c.c., relativo alla riduzione delle ipoteche; lo testimonia ancora la necessità del requisito dell’eventus damni perché sia possibile esperire l’azione revocatoria: sul tema v. in dottrina R. GIOVAGNOLI, Op. cit., III edizione, ITAEDIZIONI, Torino 2023, 915 ss.