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Pubbl. Lun, 12 Ott 2015

Risoluzione alternativa delle controversie: l´arbitrato rituale ed irrituale. ZVDDDMKBYXL1KXR

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Valeria Lucia


Tra i metodi privati di risoluzione alternativa delle controversie, l´arbitrato è il più utilizzato, soprattutto durante la conclusione di contratti commerciali. Prevedendo apposite clausole compromissorie, infatti, le parti decidono di compromettere in arbitri eventuali future controversie. Sostanziali sono le differenze tra l´arbitrato rituale e quello irrituale, in termini di spendibilità del lodo arbitrale.


L’istituto dell’arbitrato è previsto e disciplinato dal codice di procedura civile, libro IV, titolo VIII, artt. 806-840, come metodo alternativo di risoluzione delle controversie rispetto a quello giudiziale, ad eccezione delle materie di diritto di famiglia o che non possono formare oggetto di transazione. L’arbitrato può avere natura rituale o irrituale, a seconda della volontà espressa dalle parti nel contratto con espressa clausola compromissoria, in ossequio a quanto previsto dall’art. 1362 c.c. e ss. E’ pertanto di fondamentale importanza l’analisi della concreta volontà delle parti.

Come già anticipato, l’arbitrato è uno metodo privato di risoluzione alternativa delle controversie espressamente previsto dal codice di procedura civile, con cui le parti possono ricorrere a dei soggetti privati, e non ad un organo giudiziario, qualora abbiano dichiarato di volersene avvalere con clausola compromissoria all’interno del contratto concluso tra di esse. La libertà che il Legislatore riconosce alle parti viene limitata solo in materia di diritti inderogabili, non potendo trovare applicazione l’istituto dell’arbitrato nelle vertenze aventi ad oggetto questioni di diritto di famiglia o che non possono formare oggetto di transazione. Da ultimo, l’arbitrato può trovare applicazione in materia di diritto del lavoro se previsto dalla legge o dai contratti collettivi di lavoro.

L’arbitrato può essere classificato secondo vari criteri, ma quello di primaria importanza riguarda la tipologia di procedura seguita per lo svolgimento dello stesso, distinguendosi tra arbitrato rituale ed irrituale. Il primo si ha ogniqualvolta gli arbitri decidano seguendo i dettami procedurali previsti dal codice di procedura civile e all’esito delle fasi preliminari pervengano all’emanazione di un cosiddetto lodo arbitrale, simile per forma ad una sentenza, ma che ne può assumere le caratteristiche solo a seguito di un procedimento giurisdizionale, attraverso il deposito del lodo presso la cancelleria del giudice competente per territorio e con la successiva pronuncia, da parte del medesimo giudice, di un decreto che dichiara il lodo esecutivo. Diversamente, quando la procedura è stabilita dagli stessi arbitri, l’arbitrato avrà carattere irrituale e la relativa statuizione avrà natura negoziale.

La questione relativa alla natura rituale o irrituale dell’arbitrato ha conseguenze di primaria importanza rispetto all’efficacia della soluzione rinvenuta dagli arbitri all’esito del procedimento. Per tale motivo, è utile ripercorrere brevemente la storia normativa del lodo.

Il codice di procedura civile del 1940, art. 825, prevedeva che il lodo, ex se, non aveva alcuna autonoma rilevanza, pertanto, per ottenere autorità, necessitava del decreto pretorile di esecutività, con cui si conferiva al provvedimento efficacia di sentenza. Evidente l’esigenza dello Stato di controllare il potere giurisdizionale non esercitato da organi statali.

Con la riforma del 1983, poi, il lodo, dotato di valore inferiore rispetto alla sentenza, aveva una efficacia sostanzialmente privata, ossia meramente vincolante solo per le parti. Entro un anno dalla pronuncia, le parti potevano decidere di depositare il lodo, per ottenere il decreto che rendesse esecutivo il provvedimento sul territorio nazionale. Da qui la distinzione tra la naturale efficacia vincolante inter partes del lodo e gli ulteriori effetti conseguibili attraverso il deposito e l’emanazione di un provvedimento giurisdizionale ad hoc.

Con la riforma del 1994 è stato eliminato il termine di decadenza annuale per il deposito del lodo, evidenziandone ancor più incisivamente la natura di atto giuridicamente rilevante ex se.

Da ultima, la modifica legislativa intervenuta con la riforma del 2006, che ha inserito nel codice di procedura civile l’art. 824bis, per cui il lodo viene equiparato, a tutti gli effetti, ad una sentenza pronunciata dall’Autorità Giudiziaria, salvo il disposto dell’art. 825 c.p.c. Tale richiamo significa che degli effetti tipici della sentenza il lodo condivide soltanto quelli di accertamento, condanna e costitutivi, mancando di quello esecutivo. In ogni caso, la capacità di essere titolo per l’esecuzione non è estranea al lodo, poiché tale effetto può ottenersi con  l’intervento dell’Autorità Giudiziaria, dovendo il Tribunale controllare il provvedimento. La procedura prevista è all’art. 825 c.p.c. e consiste in una istanza, con deposito del lodo originale e in copia conforme unitamente alla convenzione di arbitrato, presso la cancelleria del Tribunale territorialmente competente. A seguito di un controllo meramente formale, quest’ultimo dichiarerà esecutivo il lodo con apposito decreto.

Prima facie è evidente la sostanziale differenza tra arbitrato rituale ed irrituale, poiché quest’ultimo darà luogo all’emanazione di una statuizione meno incisiva, potendo dispiegare la sua efficacia solo tra le parti del contratto. Pertanto, per avere efficacia anche verso terzi, la decisione degli arbitri deve rivestire la forma del lodo ed essere presa in ossequio ai dettami procedurali previsti dal codice di procedura civile, così da permettere alle parti di presentare il lodo innanzi al giudice territorialmente competente per farlo dichiarare esecutivo, previa verifica dei requisiti richiesti per legge, cosiddetto exequatur.

Se la differenza è lapalissiana e cristallina, non altrettanto può dirsi dell’accertamento della natura rituale o irrituale in concreto dell’arbitrato. Come anticipato, è rimessa alla volontà delle parti la decisione di rimettere ad arbitri la risoluzione di eventuali e future controversie scaturenti dal contratto in essere. Tale volontà è espressa con apposite clausole compromissorie, secondo le regole dettate dagli artt. 1362 e ss. c.c.

In ogni caso, fare riferimento unicamente all’interpretazione della volontà delle parti, ad esempio analizzando il lessico utilizzato per la redazione della clausola compromissoria, non sempre può essere dirimente. Per tale motivo, la dottrina più evoluta ritiene che l’unico vero elemento discretivo tra arbitrato rituale ed irrituale consiste nella natura del lodo, quale atto conclusivo dei relativi procedimenti. Quando le parti vogliono pervenire ad un lodo suscettibile di esecutività e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c. si è in presenza di un arbitrato rituale; quando invece le parti intendono deferire la controversia all’arbitro con atto negoziale, per cui riconducibile alla loro esclusiva volontà, siamo di fronte ad un arbitrato irrituale.

Nel dubbio, secondo unanime giurisprudenza di legittimità e di merito, qualora nessuno degli elementi descritti possa essere d’ausilio all’interprete, si impone la necessità di dichiarare l’irritualità dell’arbitrato. [così Cass. civ. n. 8798 del 2007]

L’arbitrato rituale ed irrituale costituiscono quindi istituti differenti e non equiparabili, essendo il lodo rituale a carattere decisorio, mentre il lodo irrituale ha carattere meramente negoziale. Questa estrema differenza tra i due istituti processuali, ha conseguenze dirette anche  sull’exequatur, poiché quello del lodo arbitrale irrituale è disposto dal giudice dell’impugnazione solo in caso di accettazione scritta espressa del lodo oppure di rigetto della proposta impugnazione e rappresenta una sorta di certificazione di non impugnabilità o di conferma di lodo. Diversamente, l’exequatur del lodo arbitrale rituale è disposto dal Presidente del Tribunale solo ai fini esecutivi e con salvezza delle successive impugnazioni e sospensioni di esecutività da parte del giudice del gravame, che è la Corte d’Appello, pertanto, precede la scadenza del termine di impugnabilità ed ha natura interlocutoria. [cfr. Cass. civ., Sez. Lav., n. 19182 del 2013]