Le fonti legislative sovranazionali e internazionali alla luce degli atti normativi dell´Unione Europea in materia di confisca
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Stefano Zoccali
L´articolo ha lo scopo di operare una ricognizione storica sull´evoluzione delle fonti legislative di matrice sovranazionale e internazionale in materia di confisca e di delineare possibili prospettive future, in considerazione delle questioni lasciate in sospeso dal legislatore. Numerosi sono stati, infatti, nel corso dell´ultimo trentennio gli interventi legislativi prodotti al fine di favorire una cooperazione a livello internazionale, volta poi a incidere sulle singole legislazioni interne, e di contribuire alla formulazione di soluzioni sanzionatorie di contrasto all´accumulo di ricchezze di derivazione illecita. Particolare attenzione è stata data al Regolamento UE 2018/1805 e alla sua attuazione in Italia, avviata con la Circolare del Ministero dell´Interno del 12 gennaio 2021.
Sommario: 1. Le fonti legislative di matrice sovranazionale e le convenzioni internazionali; 2. Le prime Decisioni Quadro in materia di confisca: 2001/500/GAI e 2005/212/GAI; 3. Gli atti dell’Unione europea e il c.d. principio di mutuo riconoscimento delle Decisioni in materia di confisca: la Decisione Quadro 2006/783/GAI; 4. L’evoluzione della confisca nella legislazione europea: la cooperazione degli Stati nella ricerca dei beni e dei proventi illeciti e la Decisione Quadro 2007/845/GAI; 5. La proposta di direttiva COM/2012/85 e gli emendamenti presentati dalla Commissione LIBE nel 2013; 6. La Direttiva 2014/42/UE sul congelamento e la confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato e la Proposta di Regolamento europeo del 2016; 7. Conclusioni: il Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca e la sua attuazione avviata con la circolare del Ministero dell’Interno italiano del 12 gennaio 2021.
1. Le fonti legislative di matrice sovranazionale e le convenzioni internazionali
La crescita sempre più diffusa del fenomeno della criminalità economica e lo sviluppo delle finalità delittuose in una società ormai globalizzata hanno stimolato, nel corso degli ultimi anni, gli Stati a promuovere e garantire una cooperazione a livello internazionale volta a incidere sulle singole legislazioni interne, contribuendo al processo di formulazione di soluzioni sanzionatorie di contrasto all’accumulo di ricchezze di derivazione illecita tramite gli strumenti di acquisizione al patrimonio statale[1].
In particolare, l’istituto della confisca, pur subendo nel corso dei secoli numerose modifiche di carattere funzionale e strutturale e pur avendo origini molto antiche, ha rappresentato - e continua a rappresentare - una costante del fenomeno punitivo[2]. Originariamente la misura era stata in maniera generica intesa come la sottrazione da parte dello Stato di un bene di un soggetto privato a seguito della commissione di un reato o di un’attività illecita.
In una prima fase storica, infatti, il ruolo assunto dall’istituto è stato di secondo piano rispetto alle pene detentive o alle sanzioni che incidevano sull’integrità fisica o sulla libertà della persona[3]. Successivamente è stato posto, invece, al centro della politica legislativa dei singoli stati europei con un incremento significativo della sua efficacia e della sua rilevanza tanto come misura di sicurezza, quanto sotto forma di misura di prevenzione. Tale processo di affermazione della confisca quale strumento di contrasto ha raggiunto i picchi più alti di diffusione in particolare negli ultimi quattro decenni.
Nello specifico, attorno alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso prese piede, anche a livello internazionale, la consapevolezza che un’attività di prevenzione e di lotta alle nuove e complesse strutture organizzative criminali non potesse fare a meno dell’impiego di misure volte a rintracciare, congelare e privare in modo definitivo i beni a cui aspiravano i c.d. criminali del profitto economico[4]. Infatti, negli anni successivi aumentò sempre di più l’attenzione che le istituzioni sovranazionali rivolgevano all’impresa criminale internazionale[5]e, prima ancora degli interventi normativi di derivazione europea, furono stipulati numerosi accordi multilaterali a livello internazionale.
In questo ambito, pertanto, di particolare rilevanza furono le numerose attività promosse dalle Nazioni Unite (ONU) e dal Consiglio d’Europa (CdE)[6]. L’Assemblea generale dell’ONU, infatti, comprese come gli ingenti proventi derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti e dalle attività ad esse indirettamente connesse permettessero alle organizzazioni criminali di contaminare e inquinare i sistemi economici dei singoli Stati e, in numerosissimi casi, perfino delle loro governance.
Si iniziò, in questo modo, ad ammodernare lo strumento della confisca anche all’interno degli atti internazionali, promuovendo la formulazione di nuove tipologie della misura ablatoria dei profitti illeciti.
Un primo intervento di diritto internazionale in materia fu così rappresentato dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, firmata a Vienna il 19 dicembre 1988 ed entrata in vigore l’11 novembre 1990. L’accordo in questione introdusse per la prima volta, anche se limitatamente ai reati in materia di traffico illecito di sostanze stupefacenti[7], un sistema riordinato di norme in materia di congelamento e confisca dei proventi illeciti e di procedure di cooperazione giudiziaria e di polizia a livello internazionale.
Tale scelta andava nella direzione di elaborare efficaci normative di contrasto, oltre che alle organizzazioni criminali del narcotraffico in sé, anche ai loro apparati finanziari e patrimoniali, incrementati dal riciclaggio e dal reimpiego dei profitti illeciti nel sistema economico legale.
I singoli Stati dovettero così, in funzione della stipula della Convenzione di Vienna del 1988, immettere all’interno dei loro ordinamenti delle fattispecie di reato volte a punire il riciclaggio dei proventi del traffico di stupefacenti, introducendo, inoltre, un innovativo strumento confiscatorio, dotato di caratteristiche differenti da quelli precedentemente presenti nei contesti legislativi degli Stati.
In particolare, l’articolo 5, comma 1, lettera a), della Convenzione di Vienna ha previsto che ogni parte adotti i provvedimenti che si rivelino necessari al fine di permettere la confisca dei prodotti derivanti - i proventi - da illeciti o dei beni il cui valore corrisponde a quello dei prodotti in questione. Nello specifico, per “proventi” il testo dell’accordo andò a intendere qualunque tipo di bene proveniente direttamente o indirettamente dalla perpetrazione di un reato determinato conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, oppure ottenuto direttamente o indirettamente all’atto della commissione del reato, includendo in questo modo anche tutti i proventi la cui origine fosse da individuare nel vantaggio patrimoniale acquisito grazie alla commissione dei reati previsti dalla Convenzione e non soltanto quelli strettamente connessi con il risultato della condotta illecito-criminale[8].
Gli Stati aderenti hanno così dovuto arricchire il novero delle misure ablatorie presenti nei loro ordinamenti giuridici di una figura di confisca che prescinde dalla verifica della sussistenza del nesso di derivazione tra ricchezza e delitto presupposto[9], prevedendo per la prima volta a livello internazionale anche una forma di confisca di somme di denaro o di beni di valore equivalente.
L’articolo 1 della Convenzione di Vienna offrì poi una definizione di “confiscation” che può essere circoscritta come la «privazione definitiva di un bene derivante dalla decisione di una corte o di altra autorità competente», dove i “beni” sono tutti i tipi di averi – materiali o immateriali, mobili o immobili, tangibili o intangibili – e di atti giuridici o documenti attestanti la proprietà degli stessi averi o dei relativi diritti.
Inoltre, l’accordo ha indirizzato gli Stati verso l’adozione di misure idonee ad affievolire l’onere probatorio in capo all’accusa, disciplinando, anche se in termini molto generali, le indagini patrimoniali finalizzate all’applicazione della confisca e le procedure concernenti l’esecuzione in Stati diversi da quello dell’emissione del provvedimento ablatorio.
Si iniziò, quindi, a rendere tangibile e fattiva la collaborazione giudiziaria internazionale, stabilendo che l’esecuzione di un provvedimento di confisca, richiesto dallo Stato aderente avente giurisdizione riguardo al reato presupposto, potesse essere attuata da quello sul cui territorio fossero situati i proventi, i beni, gli strumenti o ogni altra res per mezzo della c.d. procedura interna – secondo la quale il ricevente deve trasmettere la domanda alle proprie autorità competenti così da far emanare un provvedimento di confisca nel rispetto delle norme interne – oppure dando direttamente esecuzione all’ordine di confisca emesso nello Stato richiedente. In entrambi i casi, i beni confiscati, salvo accordi bilaterali, rimangono allo Stato di esecuzione che ne dispone nel rispetto della propria normativa interna e delle proprie procedure di natura amministrativa.
La Convenzione di Vienna del 1988 rappresentò, quindi, pur a fronte di risultati pratici non immediatamente rilevanti, un primo importante passo verso la cooperazione internazionale, introducendo dei principi innovativi ripresi e perfezionati negli anni a seguire in ambito europeo e internazionale.
A distanza di qualche anno, un altro strumento in ambito internazionale introdotto fu quello della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale firmata a Palermo del 2000[10]. Dal punto di vista politico-normativo, l’accordo in questione rappresentò un ulteriore passo in avanti nel contrasto alla criminalità internazionale, essendo stato stipulato con l’obiettivo dichiarato di promuovere la cooperazione per prevenire e combattere le organizzazioni criminali operanti a livello transnazionale in maniera più efficace e coordinata rispetto al passato[11].
In particolare, gli Stati aderenti si sono così obbligati a punire la condotta di chiunque partecipi ad un gruppo criminale organizzato e quella di chi ricicli del denaro di derivazione illecita, oltre che ad introdurre nelle legislazioni interne delle discipline indirizzate ad imporre agli istituti bancari e agli operatori finanziari forme di collaborazione volte a segnalare eventuali operazioni economiche sospette. Inoltre, si iniziò così a pianificare una financial intelligence unit interna che avesse il compito di cooperare e comunicare costantemente con le autorità di altri Stati, colpendo, in modo particolare, la corruzione dei pubblici ufficiali e prevedendo la responsabilità delle persone giuridiche.
Si richiese poi agli aderenti di adottare confisca - oltre che nei confronti dei profitti del reato, dei beni, delle attrezzature e degli strumenti adoperati per commettere il reato – anche in forma per equivalente delle utilità e dei surrogati. Proprio per quanto concerne la confisca per equivalente, però, venne prevista la sua applicazione dalla Convenzione limitatamente ai proventi del reato e non anche al valore corrispondente agli strumenti, come avveniva già in alcuni ordinamenti di civil law europei, poiché si tratta in questi casi di forme di confisca volte a perseguire differenti finalità.
La nozione di confisca offerta dall’articolo 12 della Convenzione di Palermo del 2000 non si discostò comunque dalla nozione di confisca classica comune a molti ordinamenti giuridici interni e, a ulteriore precisazione dell’oggetto della misura ablatoria, la stessa disposizione stabilì che essa continuasse a essere legata ai beni ottenuti a seguito della commissione accertata di singoli reati, con l’eventuale opportunità di attingere anche ai proventi indiretti e ai beni di natura lecita aventi valore equivalente ai proventi stessi.
L’accordo ha poi previsto l’introduzione di un meccanismo di inversione dell’onere della prova, indirizzando gli aderenti verso la possibilità che sia il destinatario colpevole del reato a dovere dimostrare l’origine lecita dei presunti proventi del reato o di altri beni che possono essere oggetto di confisca, nel rispetto dei principi sanciti dal diritto interno e della natura del procedimento giudiziario.
Infine, in materia di destinazione dei beni a seguito della confisca, l’articolo 14 della Convenzione di Palermo dispone che lo Stato che, autonomamente o su richiesta di un altro Stato, sottopone a confisca proventi di reato o beni ne dispone conformemente al proprio diritto interno e alle conseguenti procedure amministrative. Nella seconda ipotesi, si può prendere in considerazione l’eventualità di restituire, in via prioritaria e nei limiti fissati dal diritto nazionale, la restituzione dei beni o dei proventi confiscati allo Stato richiedente, al fine che lo stesso possa utilizzarli per risarcire le vittime del reato oppure restituire i beni o i proventi ai loro legittimi proprietari.
È anche prevista la possibilità di stipulare accordi per destinare i beni oggetto di confisca alla lotta contro il crimine organizzato e di dividere con gli altri Stati coinvolti i proventi della confisca, individuando nella scelta di trattenere parte dei beni destinatari della misura uno strumento utile per rendere ancor più fattiva e concreta la cooperazione[12].
Negli stessi anni, come accennato in precedenza, anche il Consiglio d’Europa iniziò a volgere la propria attenzione verso una pianificazione sovranazionale della cooperazione in materia di confisca. Le Convenzioni del Consiglio d’Europa si inserirono, in tal modo, nell’ambito dell’azione contro la criminalità economica sulla base di tre pilastri indipendenti: a) l’elaborazione di norme europee; b) la valutazione della conformità delle legislazioni europee con le predette norme; c) lo sviluppo di programmi di cooperazione tecnica con gli Stati o con gruppi di Stati[13].
Nello specifico, un’importanza significativa, meritevole di una trattazione dettagliata, è quella assunta dalla Convenzione relativa al riciclaggio, al sequestro e alla confisca dei proventi firmata a Strasburgo l’8 novembre 1990.
L’accordo, all’articolo 1, lettera d), circoscrive la confisca come «una sanzione o misura, ordinata da una autorità giudiziaria a seguito di un procedimento per uno o più reati, che consiste nel privare definitivamente un bene», offrendo una definizione comprensiva delle confische penali, ma che esclude, è bene premetterlo, quelle amministrative o che sono state emanate in assenza di condanna. La stessa definizione della confisca sarebbe, invece, applicabile alle c.d. actio in rem e alle misure di prevenzione patrimoniali previste nell’ordinamento italiano, purché siano correlate a fattispecie di reato il cui accertamento di responsabilità sia avvenuto nell’ambito di un parallelo procedimento penale.
In sintesi, ogni genere di procedimento, a prescindere dalla connessione con procedimenti penali e dalle norme procedurali applicabili, può essere posto alla base dell’applicazione della confisca a condizione che trovi origine in un’autorità giudiziaria e abbia rilevanza penale. In questo modo, verrebbe consentita[14], ad esempio, l’applicazione all’estero di un provvedimento di confisca antimafia che non presuppone l’emissione di una sentenza di condanna e non è applicato in un procedimento penale, ma sia pur sempre condotto dall’autorità giudiziaria e riguardi strumenti o proventi di reato.
Il perno della Convenzione di Strasburgo del 1990 è rappresentato in particolare dall’articolo 13, che disciplina la previsione di uno specifico meccanismo di confisca internazionale. L’attivazione di tale tipologia di confisca presuppone la presenza di strumenti o di proventi di reato oltre i confini dello Stato in cui sia stato commesso il reato presupposto al quale i beni in questione siano riconducibili.
Gli Stati aderenti hanno, a tal proposito, la possibilità di scegliere fra due metodi alternativi di attuazione della richiesta di esecuzione della confisca di strumenti o di proventi presenti sul proprio territorio proveniente da un altro Stato.
Il primo metodo consiste nell’esecuzione dell’ordine di confisca emesso dal richiedente con riferimento agli strumenti e ai proventi in questione; il secondo metodo, invece, necessita della trasmissione della richiesta alle proprie autorità competenti al fine di ottenere un ordine di confisca e, solo successivamente, darvi esecuzione[15].
La Convenzione di Strasburgo del 1990, alla cui base vi sono i principi sanciti da quella di Vienna delle Nazioni Unite del 1988, ha il merito di aver introdotto per la prima volta un apparato di norme dirette alla formulazione di un sistema di collaborazione fondato sull’obbligatorietà della prestazione e dell’assistenza (giudiziaria, amministrativa e di polizia), avendo rappresentato in questi tre decenni uno dei modelli più solidi di cooperazione internazionale nel contrasto al riciclaggio e nell’aggressione ai patrimoni di derivazione illecita.
Successivamente, l’accordo è stato, inoltre, aggiornato e ampliato con la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo stipulata a Varsavia nel 2005, che ha previsto una maggiore e più incisiva aggressione dei finanziamenti delle organizzazioni terroristiche, colpendo attraverso la confisca – anche per equivalente – il finanziamento derivante sia dal riciclaggio e sia da attività lecite.
2. Le prime Decisioni Quadro in materia di confisca: 2001/500/GAI e 2005/212/GAI
La normativa in materia di confisca elaborata in ambito europeo si colloca in un sistema generale di produzione legislativa che le istituzioni dell’Unione europea hanno adottato negli ultimi anni nei settori della prevenzione e della repressione dei reati, oltre che in quello, come sì è già accennato per le altre istituzioni sovranazionali, della cooperazione giudiziaria in materia penale, così da favorire la realizzazione di uno spazio in cui siano garantite giustizia, libertà e sicurezza ai cittadini europei.
Pertanto, con l’avvento del nuovo millennio hanno trovato sempre maggiore spazio le c.d. decisioni quadro, le quali hanno costituito degli strumenti vincolanti per gli Stati membri dell’Unione europea quanto al prefissato risultato da ottenere, ferma restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi di attuazione e nel rispetto dei criteri della chiarezza, dell’efficacia e della certezza del diritto. Infatti, nell’ambito di quello che, fino al Trattato di Lisbona, costituiva il c.d. terzo pilastro (la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), le istituzioni potevano adottare una serie di atti che rispondevano ad una tipologia differente rispetto a quella prevista per il pilastro comunitario dall’attuale articolo 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea[16].
Nello specifico, le decisioni quadro, ampiamente adoperate in materia di confisca e definite dall’articolo 34, paragrafo 2, lettera b), del Trattato sull’Unione europea, sono una tipologia di atti adottati dal Consiglio dell’Unione europea e ispirati al modello delle direttive, con le quali condividono lo scopo di ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli stati membri, ma che, a differenza di queste ultime, non possono avere efficacia diretta. A seguito del Trattato di Lisbona, i loro effetti giuridici, al pari di quelli degli altri atti adottati dalle istituzioni ai sensi del Trattato sull’Unione europea, sono stati mantenuti fino a quando gli atti in questione non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati.
Il primo intervento sovranazionale di questo tipo, avente ad oggetto la confisca, fu rappresentato dalla Decisione Quadro 2001/500/GAI - concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato – adottata nel 2001 su iniziativa della Repubblica francese[17].
L’atto in questione andò a modificare e integrare l’Azione Comune 98/699/GAI sull’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato, oltre che a introdurre un approccio meno flessibile rispetto a quello contenuto all’interno della già citata Convenzione di Strasburgo del Consiglio d’Europa del 1990. Infatti, fu introdotta dalla Decisione Quadro 2001/500/GAI una regola generale secondo la quale, per garantire maggiore uniformità fra gli Stati membri nelle previsioni dei reati per i quali dovesse essere applicata la confisca, qualora un reato fosse stato punibile con una pena detentiva di termine massimo superiore a un anno, la normativa interna avrebbe dovuto riconoscere la possibilità che fosse ordinata anche la confisca dei proventi derivanti dal reato in questione.
Tale principio non era applicabile per i proventi dei reati fiscali, in quanto veniva consentito di poter procedere alla confisca di questi ultimi proventi in forza di strumenti di diritto nazionale, sovranazionale e internazionale relativi al recupero dei crediti fiscali.
Inoltre, agli Stati membri veniva imposta l’introduzione della confisca per equivalente almeno nei casi in cui i proventi derivanti dal reato non potessero essere individuati, tanto nei procedimenti di derivazione interna, quanto in quelli avviati su istanza di un altro Stato membro.
Infine, un’ultima innovazione di tipo procedurale che la Decisione Quadro 2001/500/GAI, all’articolo 4, richiese agli Stati, fu quella di garantire lo stesso grado di priorità alle richieste di assistenza presentate dagli stessi aderenti concernenti l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi del reato rispetto a quelle presentate, invece, alle misure analoghe la cui richiesta perveniva dai confini nazionali. Tale scelta fu operata al fine di scongiurare eventuali forme di discriminazione fra i provvedimenti adottati dai giudici stranieri e quelli dei giudici nazionali sul piano dell’esecuzione cronologica.
Nonostante gli aspetti significativi che erano stati introdotti dalla Decisione Quadro 2001/500/GAI avessero iniziato a rendere più concreta e più fattiva la cooperazione fra Stati membri e l’armonizzazione delle loro singole normative, lo stesso atto sovranazionale si rilevò in realtà poco attento rispetto alla previsione di nuove e più moderne tipologie di confisca da affiancare a quella c.d. tradizionale.
Proprio per queste ragioni, fu introdotta pochi anni dopo la successiva Decisione Quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005 relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, la quale seguiva a sua volta alla Decisione Quadro 2003/577/GAI del 2003 relativa, invece, all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio[18].
La Decisione Quadro 2005/212/GAI, invece, ha così introdotto il principio di obbligatorietà della confisca – diretta e per equivalente – per ogni reato punibile con una pena detentiva superiore ad un anno di reclusione[19], l’applicazione della misura patrimoniale anche a seguito dell’intervenuta prescrizione e la previsione della c.d. confisca estesa.
Quest’ultima trova applicazione in caso di gravi reati connessi agli ambiti di operatività delle organizzazioni criminali - che erano stati oggetto dell’attenzione del Consiglio dell’Unione europea in una precedente decisione quadro in materia di terrorismo[20]- e rientra nella categoria della confisca dei beni di sospetta origine illecita. Tale tipologia di confisca permette, poi, di applicare la misura ablatoria anche a beni diversi dai proventi del reato, senza che sia necessario accertare la sussistenza di un nesso di pertinenzialità.
Inoltre, viene prevista la possibilità che venga disposta la confisca in procedimenti differenti da quello penale, ma, alla luce dell’esplicito riferimento operato dall’articolo 3 alla persona condannata, rimane comunque necessaria una precedente condanna, non essendo stati menzionati dall’atto normativo in questione i c.d. procedimenti in rem[21]. Il limite in questione, tuttavia, presenta numerosi profili di incompatibilità tra la confisca estesa e gli analoghi modelli nazionali, quali, ad esempio, la c.d. civil forfeiture, la confisca ex articolo 24 del Codice antimafia, el Decomiso ampliado dell’ordinamento spagnolo, l’acquisizione pubblica allargata (la c.d. Erweiterter Verfall) prevista dal paragrafo 73 del Codice penale tedesco e la confiscation générale dell’ordinamento francese[22].
La Decisione Quadro 2005/212/GAI ha poi delineato anche i presupposti applicativi dei poteri estesi di confisca, senza prevedere l’inversione dell’onere della prova, in via alternativa e predisponendo tre differenti possibilità: a) nel caso in cui il giudice, sulla base di fatti circostanziati, sia pienamente convinto che il bene sia il provento di attività criminose del condannato commesse durante un periodo ragionevolmente anteriore rispetto alla condanna; b) qualora il giudice, sempre sulla base di fatti circostanziati, sia pienamente convinto che il bene sia il provento di analoghe attività criminose, a condizione che le stesse siano state commesse entro un periodo ragionevole anteriore alla condanna; c) infine, nei casi in cui sussista una sproporzione tra il valore del patrimonio e il reddito del condannato, sulla base della quale il giudice dovrebbe convincersi che il bene in questione sia il provento di attività criminose poste in essere dal condannato.
L’utilizzo da parte del legislatore europeo dell’espressione “fatto circostanziato” sembra escludere l’eventualità che la confisca sia basata su meri sospetti, i quali non costituiscono il grado di una vera e propria prova o, per lo meno, di indizi. L’accusa ha, infatti, il compito di provare l’origine illecita del bene, anche attraverso indizi - gravi, precisi e concordanti fra loro – e non poggiare solamente su semplici presunzioni. Non è necessario dover dimostrare e provare i crimini da cui derivano i beni, ma fornire almeno sufficienti elementi – i c.d. “fatti circostanziati” appunto – da cui emerga che i beni siano stati acquistati illecitamente.
L’utilizzo dell’espressione in esame, assieme a quella ad essa correlata di “pienamente convinto” riferita al giudice, si rifà al c.d. principio del libero convincimento del giudice di matrice europea-continentale, secondo il quale è necessario raggiungere la prova oltre ogni ragionevole dubbio oppure richiedere un quadro indiziario chiaro e convincente, in ossequio ai c.d. standard penalistici di common law[23].
3. Gli atti dell’Unione europea e il c.d. principio di mutuo riconoscimento delle Decisioni in materia di confisca: la Decisione Quadro 2006/783/GAI
La Decisione Quadro 2003/577/GAI del 2003 aveva costituito, come si è accennato in precedenza[24], la prima forma di applicazione del c.d. principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, affermatosi durante il Consiglio di Tampere del 1999, delineando le regole generali in materia di esecuzione sul territorio di uno Stato membro dei provvedimenti giudiziari, emessi in un altro Stato membro, che dispongono il blocco o sequestro dei beni per fini probatori ovvero per la loro successiva e conseguente confisca.
Tuttavia, non essendo sufficiente limitare l’assicurazione del reciproco riconoscimento di provvedimenti provvisori quali il congelamento e il sequestro, il legislatore sovranazionale decise di integrare, al fine di rendere maggiormente efficace la lotta alla criminalità economica, anche il reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca dei proventi di reato attraverso l’emissione della successiva Decisione Quadro 2006/783/GAI, volta a sua volta a rendere ancor più fattiva la cooperazione europea.
L’intervento in questione appare strettamente connesso alla precedente Decisione Quadro 2005/212/GAI che disciplinava gli elementi “minimi” della confisca, in quanto va proprio a disciplinare il modello del mutuo riconoscimento regolando l’emissione e l’esecuzione dell’ordinanza relativa alle decisioni in materia di confisca sulla base di rapporti diretti tra le autorità giudiziarie, causando rilevanti conseguenze sul piano sistematico e su quello del diritto positivo[25].
In primo luogo, la Decisione Quadro 2006/783/GAI offre una base normativa al progetto di migliorare l’esecuzione di un provvedimento di confisca adottato in un altro Stato membro anche ai fini delle restituzioni nei confronti della vittima del reato. Infatti, vengono sensibilmente ridotte le possibilità di rifiutare l’esecuzione della confisca, chiarendo come il principio del mutuo riconoscimento vada applicato solo ai provvedimenti definitivi - e non alle misure prodromiche e strumentali alla stessa confisca – emessi da autorità giudiziarie – non amministrative – degli Stati membri, all’esito di un procedimento penale[26].
L’intervento normativo prevede il dovere per ogni singolo Stato membro di informare il Segretario generale del Consiglio sulle autorità competenti sia ad emettere un ordine di confisca e sia a riceverlo. Questi dovrà poi successivamente mettere a disposizione degli Stati membri tutte le informazioni ricevute in modo tale che possano essere fornite alle autorità competenti che ne abbiano la necessità.
Ancora, l’articolo 6 della Decisione Quadro 2006/783/GAI prevede che, qualora i fatti posti alla base della confisca configurino almeno uno fra i reati previsti nella disposizione e siano puniti all’interno dello Stato di emissione con pena detentiva prevista di almeno tre anni, la decisione di confisca può essere eseguita senza la preventiva verifica della doppia incriminabilità. Nel caso in cui, invece, si tratti di reati diversi da quelli previsti dalla norma, lo Stato richiesto ha la possibilità di vincolare l’esecuzione della misura alla condizione che i fatti che danno luogo alla stessa costituiscano un reato per il quale, ai sensi della legge dello Stato di esecuzione, sia autorizzata la confisca a prescindere dalla qualificazione dello stesso nello Stato di emissione[27].
Inoltre, qualora nella legislazione interna dello Stato di esecuzione e di emissione sia presente la confisca per equivalente, la confisca nello Stato di esecuzione potrà anche assumere la forma di richiesta di pagamento di una somma corrispondente al valore del bene.
Sono poi previsti dei motivi di non riconoscimento che non rendono possibile l’esecuzione dell’ordine di confisca.
In primo luogo, l’articolo 4 della Decisione Quadro 2006/783/GAI, infatti, prevede la possibilità che venga esercitato il rifiuto ad eseguire la confisca nel caso in cui il certificato necessario all’esecuzione non venga prodotto, sia incompleto o non conforme alla normativa sovranazionale in questione.
Ulteriormente, l’autorità giudiziaria competente può opporre rifiuto ad eseguire la confisca: a) nei casi in cui l’esecuzione stessa possa dare origine a un contrasto con il principio del ne bis in idem; b) quando i fatti posti a fondamento della misura non costituiscono reato per l’ordinamento giuridico dello Stato richiesto a meno che non si tratti di imposte e tasse; c) in presenza di immunità, di privilegi o di diritti di parti interessate quali, ad esempio, i terzi in buona fede[28].
È garantita la possibilità di rinviare l’esecuzione della confisca, invece, quando la misura sia riferita ad una somma di denaro e il relativo valore superi l’importo della decisione stessa qualora l’esecuzione avvenga in più di uno Stato contestualmente oppure nel caso in cui ci sia stata un’impugnazione avverso la confisca stessa. Nel primo caso, in presenza di un concorso di decisioni, sarà lo Stato di esecuzione a decidere sulla confisca se le stesse hanno ad oggetto una somma di denaro contro la stessa persona – fisica o giuridica – e la stessa non dispone di somme a sufficienza oppure se vi sono varie decisioni di confisca sullo stesso bene.
L’articolo 16 della Decisione Quadro 2006/783/GAI si occupa anche della destinazione dei beni confiscati, disponendo che qualora l’importo residuato della confisca sia inferiore o pari a mille euro, lo stesso dovrà essere indirizzato allo Stato di esecuzione, in caso contrario, invece, si dividerà in parti uguali tra lo Stato di emissione e quello di esecuzione. Nel caso in cui si tratti di beni differenti dalla somma di denaro, gli stessi potranno essere venduti, con il ricavato che dovrà essere trasferito o venduto allo Stato di emissione.
Infine, se lo Stato di esecuzione dovesse essere tenuto a risarcire la parte interessata o terzi in buona fede per l’esecuzione di una decisione di confisca appuratosi poi illegittima, lo Stato di emissione sarà tenuto a rimborsare lo Stato di esecuzione delle somme versate a titolo di risarcimento salvo che il danno cagionato non sia stato causato per colpa esclusiva dello Stato di esecuzione.
Gli Stati membri dell’Unione europea avrebbero dovuto adeguare la propria normativa interna alle previsioni della Decisione Quadro 2006/783/GAI entro il 24 novembre 2008. Tuttavia, per quanto concerne l’ordinamento giuridico italiano, la definitiva riproduzione delle disposizioni in esame è avvenuta soltanto con l’emissione del decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 137, attuativo dell’atto sovranazionale ed entrato in vigore il 17 settembre 2015[29].
4. L’evoluzione della confisca nella legislazione europea: la cooperazione degli Stati nella ricerca dei beni e dei proventi illeciti e la Decisione Quadro 2007/845/GAI
Il Consiglio dell’Unione europea, dopo aver pianificato e messo in atto una serie di disposizioni volte all’armonizzazione e al ravvicinamento delle normative interne in materia di sequestro e di confisca dei proventi di reato, oltre che sempre nell’ottica di fronteggiare la dimensione transnazionale assunta dalle organizzazioni criminali, ha sentito anche l’ulteriore esigenza di introdurre a livello sovranazionale apposite misure dirette a facilitare la cooperazione giudiziaria e di polizia già durante le fasi investigative.
Infatti, è proprio durante tali momenti preliminari che si procede ad una prima identificazione dei beni in nazioni diverse da quelle in cui erano stati commessi in precedenza i reati e alla selezione degli elementi idonei a confermarne la riconducibilità degli stessi ai membri dell’organizzazione criminale nei confronti della quale è diretta l’indagine. L’attività in questione è parsa nel corso degli ultimi anni particolarmente complessa in ragione della delocalizzazione verso Stati esteri degli investimenti illeciti operata della criminalità organizzata al fine di occultare o riciclare i beni derivanti da attività illecite.
È proprio per queste ragioni che, ad appena un anno dal precedente intervento sovranazionale in materia, fu emanata anche la Decisione Quadro 2007/845/GAI, approvata dal Consiglio dell’Unione europea il 6 dicembre 2007 e che ha così disciplinato l’attività di cooperazione tra gli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o di altri beni connessi[30], nella piena consapevolezza, ormai acquisita a livello europeo, che il fine unico della criminalità organizzata transfrontaliera sia sempre e solo quello del profitto economico[31].
Prima di soffermarsi approfonditamente sull’atto normativo in questione, è bene preliminarmente ricordare come, sempre lo stesso organo europeo, si fosse già occupato in precedenza del potenziamento dei tradizionali – e alle volte vetusti – canali di cooperazione, attraverso un’altra precedente Decisione Quadro, la 2002/565/GAI del 13 giugno 2002, con la quale era stata prevista la costituzione delle c.d. squadre investigative comuni. Anche in questo caso, come per la Decisione Quadro 2006/783/GAI, il recepimento da parte dell’ordinamento giuridico italiano è stato però tardivo, essendo, infatti, avvenuto soltanto con l’entrata in vigore del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 34[32].
Tornando a volgere l’attenzione alla Decisione Quadro 2007/845/GAI, l’obiettivo concreto è stato quello di potenziare e implementare una più stretta cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri incaricate del reperimento di proventi di derivazione illecita e di altri beni confiscabili, oltre che di introdurre specifiche disposizioni idonee ad assicurare una comunicazione rapida e diretta fra le stesse autorità.
Tale scopo è stato perseguito attraverso il completamento e il perfezionamento del progetto di Rete Interagenzie Camden per il recupero dei beni (CARIN) - istituita all’Aja nel settembre del 2004 da Austria, Belgio, Germania, Irlanda, Olanda e Regno Unito – che consiste in una rete globale di operatori ed esperti che hanno il compito di rafforzare la conoscenza reciproca dei metodi e delle tecniche adoperate nei settori dell’identificazione, del congelamento, del sequestro e della confisca transfrontalieri[33].
Gli Stati membri dovevano, quindi, dotarsi di specifici uffici nazionali per il recupero dei beni con competenze specifiche nei settori menzionati e garantire la possibilità per questi uffici di scambiarsi le informazioni e i dati in loro possesso con una certa celerità. L’istituzione degli uffici doveva avvenire in conformità al proprio diritto interno e agli Stati membri è stata garantita la possibilità di istituire o designare due uffici per il recupero dei beni qualora più di due fossero le autorità incaricate di facilitare il reperimento e l’identificazione dei proventi illeciti.
L’articolo 3 della Decisione Quadro 2007/845/GAI disciplina il c.d. scambio di informazioni su richiesta, che deve avvenire attraverso la compilazione di un apposito formulario all’interno del quale è necessario specificare l’oggetto e i motivi della richiesta oltre che la natura del procedimento. Nello specifico, occorre inserire indicazioni il più dettagliate e precise possibile sui beni oggetto dei provvedimenti ablatori o, comunque, ricercati[34]e sulle persone fisiche o giuridiche che si presume siano implicate[35].
Lo scambio di informazioni può comunque avvenire anche senza che sia necessaria per forza l’apposita richiesta in tutti quei casi in cui un determinato ufficio nazionale per il recupero dei beni, oppure un’altra autorità incaricata di semplificare il reperimento e l’identificazione dei proventi di reati, reputi che le informazioni di cui è già in possesso siano necessarie ai fini dell’esecuzione dei compiti di un altro ufficio per il recupero dei beni, ma sempre qualora tale scambio non si scontri con i limiti imposti dal diritto nazionale.
A tal proposito, in ogni caso le informazioni debbono essere scambiate applicando le norme poste a protezione dei dati, essendo l’uso delle informazioni oggetto di scambio soggetto alla normativa interna in materia di protezione dei dati dello Stato ricevente.
Le disposizioni della Decisione Quadro 2007/845/GAI lasciano, comunque, impregiudicati gli obblighi derivanti: dagli strumenti dell’Unione europea in materia di assistenza giudiziaria reciproca o sul riconoscimento reciproco delle decisioni in materia penale; dagli accordi o intese bilaterali o multilaterali tra gli Stati membri dell’Unione europea e i paesi terzi in materia di assistenza giudiziaria reciproca; dalla Decisioni Quadro 2000/642/GAI e 2006/960/GAI[36].
Il termine entro il quale gli Stati membri avrebbero dovuto garantire l’avvio della cooperazione in conformità a quanto disposto dal Consiglio dell’Unione europea, comunicando al Segretario generale dello stesso organo e alla Commissione il testo di tutte le disposizioni introdotte all’interno dei singoli ordinamenti giuridici nazionali per dare attuazione agli obblighi derivanti dalla decisione in esame, era stato fissato alla data del 18 dicembre 2008. Soltanto dopo quasi quattro anni tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno portato a termine la composizione della struttura dei c.d. Asset recovery office (ARO) e, in particolare, l’ultimo Stato membro a definire la procedura in questione è stato il Portogallo a fine 2012. Occorre, comunque, evidenziare come tutti gli uffici costituiti all’interno dei singoli Stati siano caratterizzati da organizzazioni e competenze specifiche differenti fra loro in ragione delle diversità fra i vari ordinamenti giuridici[37].
Gli Stati che hanno optato per istituire due ARO hanno creato: a) una struttura a carattere giudiziario per l’esecuzione dei provvedimenti di sequestro, di confisca e per la gestione dei beni confiscati; b) una struttura, invece, a carattere di polizia per le attività finalizzate alla ricerca, all’individuazione dei beni e allo scambio informativo.
Proprio a tale scopo, la Commissione dell’Unione europea, nelle relazioni accompagnatorie, ha specificato e raccomandato agli Stati membri che gli ARO abbiano la possibilità di servirsi: dell’Agenzia europea di polizia (la c.d. Europol[38]), che coordina le attività operative degli uffici nazionali e assicura un rapido scambio di informazioni; dell’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria (la c.d. Eurojust[39]) che agevola la cooperazione degli stessi in ambito giudiziario e il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di blocco e confisca dei beni.
L’ordinamento giuridico italiano ha istituito il 18 maggio 2011, con un apposito decreto direttoriale del Capo della polizia e Direttore generale della pubblica sicurezza, un solo Ufficio nazionale per il recupero dei beni (ARO), presso il Ministero dell’Interno – Direzione centrale della polizia criminale in seno al Servizio per la cooperazione internazionale di polizia[40]. La scelta dell’Italia è fondata sulla circostanza che l’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata[41]già si occupa delle funzioni di gestione dei beni previste dalla normativa sovranazionale[42].
Il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia garantisce un’ampia cooperazione di polizia con gli altri Stati membri dell’Unione europea nello scambio di informazioni – su richiesta e spontanea – nell’azione di contrasto ai patrimoni di derivazione illecita nella fase investigativa e nella fase esecutiva.
Nella prima fase, lo scopo è quello di ricercare, individuare e localizzare i beni che potranno essere oggetto di congelamento, sequestro oppure confisca nel corso di un procedimento civile, penale o di prevenzione.
Nella fase esecutiva, invece, la cooperazione ha la funzione di: a) veicolare le richieste per rogatoria internazionale sul canale della cooperazione di polizia e rendere più veloce la procedura di inoltro all’ufficio giudiziario di un altro Stato membro; b) attuare, collaborando, l’esecuzione dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria nazionale nei vari Stati membri; c) fungere da ausilio nella gestione e nella soluzione delle problematiche riguardanti beni sottoposti a sequestro o a confisca nello Stato membro richiesto.
5. La proposta di direttiva COM/2012/85 e gli emendamenti presentati dalla Commissione LIBE nel 2013
Le varie disposizioni normative analizzate finora fanno evincere, quindi, come il legislatore europeo abbia ammesso delle forme di confisca extra-penale che trovano il loro presupposto nella presenza di una sentenza di condanna pronunciata in un giudizio separato rispetto a quello in cui è adottata la misura.
Tuttavia, successivamente l’Unione europea ha scelto di intervenire nuovamente al fine di dare una nuova spinta al processo di generalizzazione delle misure ablatorie in rem. Infatti, attraverso l’adozione della Risoluzione 2010/2309(INI)[43], emanata il 25 ottobre 2011, il Parlamento europeo ha potenziato lo strumento delle misure patrimoniali, rimarcando ancora una volta l’ormai consolidato fine dell’aumento dell’efficacia delle azioni repressive contro la criminalità organizzata[44].
L’obiettivo in questione ha posto a carico della Commissione europea l’onere di presentare una proposta di direttiva sulle procedure di sequestro e confisca dei proventi di reato, che comprendesse anche forme di confisca emanate in assenza di condanna. Pertanto, lo stesso organo dell’Unione europea presentò il 12 marzo 2012 la proposta di direttiva COM/2012/85.
Quest’ultimo intervento normativo è stato funzionale affinché fosse portato a compimento il lungo iter avviato dalle predette decisioni quadro del Consiglio dell’Unione europea – che erano state adottate in materia di confisca, come si è evidenziato, nell’ormai superato terzo pilastro - richiamate ovviamente anche nel testo della proposta di direttiva.
La proposta di direttiva COM/2012/85 trovò il suo fondamento giuridico negli articoli 82 e 83 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, i quali, a seguito del Trattato di Lisbona e del superamento della suddivisione delle politiche europee nei noti tre pilastri, prevedono le nuove competenze dell’organismo sovranazionale in materia di diritto penale e di diritto processuale penale.
Al suo interno venne prevista un’estensione degli ambiti di applicazione della confisca e, nello specifico, la disposizione della misura anche per tutti i reati già menzionati dalla Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione dei funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri del 1997, oltre che da numerose decisioni quadro. A tal proposito, proprio rispetto all’ultima decisione quadro analizzata in precedenza, occorre mettere in evidenza come non fosse più richiesto il pieno convincimento del giudice ai fini dell’applicazione della misura, anche se senza chiarire all'interno della proposta se fosse sufficiente lo standard civilistico del “più probabile che non” adoperato negli ordinamenti di common law per forme di confische applicate a seguito di una condanna penale[45].
Inoltre, in uno scenario che mirava sempre con maggiore attenzione all’estensione dell’operatività e ad una maggiore effettività, venne ampliato il concetto di “provento” di reato, al fine di includere la possibilità di confiscare non soltanto i proventi diretti ma anche tutti gli utili valutabili, anche quelli indiretti, che derivano dal reinvestimento e dalla trasformazione dei proventi diretti stessi[46].
Un’altra introduzione prodotta all'interno della proposta di direttiva fu quella della previsione di una forma di sequestro idonea ad assicurare la confisca dei proventi del reato, a condizione che lo stesso provvedimento fosse adottato da un’autorità giurisdizionale, con il fine di prevenire la dispersione dei beni confiscabili attraverso una periodica verifica della sussistenza dell’esigenza in esame.
Infine, per quanto concerne il presupposto applicativo della condanna, pur mantenendo il principio dell’applicabilità della confisca dei beni solo a soggetti condannati, veniva prevista una deroga volta a introdurre delle ipotesi di confisca in assenza di condanna nei casi di impossibilità ad emettere una condanna definitiva per decesso, malattia o fuga dell’indagato o dell’imputato.
La proposta peccava, però, della mancata introduzione di una vera e propria forma di actio in rem volta a consentire l’aggressione dei patrimoni a prescindere dal processo penale, poiché il procedimento era definito quale autonomo ma operativo soltanto nei casi in cui non fosse possibile appunto procedere nei confronti del soggetto. In più era comunque necessario che il giudice fosse convinto in ordine alla responsabilità dell’imputato e che, quindi, il procedimento, qualora si fosse svolto nei confronti dello stesso, si sarebbe dovuto concludere secondo il giudice con una condanna.
Pertanto, la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (la c.d. Commissione LIBE) del Parlamento europeo presentò il 20 maggio 2013 una serie di emendamenti alla proposta di direttiva in materia di congelamento e confisca dei proventi di reato volti ad introdurre un modello generale di confisca sovranazionale applicabile a prescindere dall’eventuale presenza di una sentenza di condanna e per una più ampia categoria di ipotesi di reato[47].
L’obiettivo della Commissione LIBE era in particolare quello di puntare alla massima espansione possibile della misura della confisca. Infatti, veniva specificato all’interno degli emendamenti proposti come la misura non debba limitarsi ad aggredire i proventi di reato, ma debba anche estendersi a qualunque proprietà che risulti dalle attività criminali. Alla confisca si sarebbe dovuta riconoscere una natura penale, conformemente ai c.d. criteri Engel[48]e al modello della confisca di prevenzione tipica dell’ordinamento giuridico italiano[49].
La scelta era in sostanza quella di virare su una linea di politica criminale basata sull’adozione di una forma di actio in rem “pura” come modello fondamentale della confisca sovranazionale su cui fondare il reciproco riconoscimento e qualificando la confisca senza condanna come sanzione penale da sottoporre alle garanzie CEDU[50]. Lo schema che prospettava la Commissione LIBE con i suoi emendamenti puntava di conseguenza a realizzare una forma di confisca praeter probationem delicti con caratteristiche molto differenti rispetto a quelle delineate dalla Commissione europea con la proposta di direttiva COM/2012/85[51], circostanza che destò molti dubbi in dottrina e in giurisprudenza.
Infine, gli emendamenti non sembravano tenere conto del fatto che la qualificazione come penale della confisca in questione avrebbe dovuto comportare, come si vedrà dettagliatamente in seguito, l’applicazione fra le garanzie tipiche della materia penale anche del principio di presunzione d’innocenza, che mal si concilia con l’eventuale applicazione di una sanzione applicata in assenza di condanna[52].
6. La Direttiva 2014/42/UE sul congelamento e la confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato e la Proposta di Regolamento europeo del 2016
Le proposte di modifica prospettate dalla Commissione LIBE del 2013 non trovarono, per i motivi appena esposti, accoglimento e fu così che la proposta di direttiva COM/2012/85 produsse l’adozione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio della Direttiva 2014/42/UE[53], attuata all’interno dell’ordinamento giuridico italiano il 24 novembre 2016[54]. Lo strumento normativo muove dalla consapevolezza che il motore della criminalità organizzata è rappresentato dal profitto economico e che la prevenzione e la lotta efficace contro tali forme di organizzazioni richiedono la neutralizzazione di questo profitto[55], con una necessaria programmazione sovranazionale da potenziare e preservare.
L’intento del legislatore europeo, con l’introduzione della direttiva in questione, è stato quello di migliorare il processo di armonizzazione della materia e di riavviare l’effettiva cooperazione fra gli Stati membri, messa in discussione dalla disorganicità applicativa del principio del mutuo riconoscimento derivante dalle decisioni quadro degli anni precedenti.
Infatti, la possibilità riconosciuta agli Stati membri di optare liberamente tra uno dei modelli di confisca contemplati dalle normative sovranazionali, portava in concreto ad una mancata applicazione del reciproco riconoscimento in tutti quei casi nei quali la tipologia di confisca accolta dal singolo Stato fosse diversa rispetto a quella dello Stato richiesto[56].
Proprio per queste ragioni, oltre che in linea con le opzioni strategiche contenute nella proposta al nuovo strumento normativo, la Direttiva 2014/42/UE fin dai primi considerando rimarca lo scopo prefissato di perseguire l’adozione di norme minime per avvicinare «i regimi degli Stati membri in materia di congelamento e confisca dei beni, favorendo così la fiducia reciproca e un’efficace cooperazione transfrontaliera[57]».
L’esigenza dell’introduzione della fonte sovranazionale in esame derivava, quindi, dalla consapevolezza dell’esigenza, manifestata dal considerando n. 19 della stessa direttiva, di riattivare la cooperazione tra gli Stati membri, che, paradossalmente, era stata compromessa dalla Decisione Quadro 212/2005/GAI[58].
Infatti, l’articolo 8 della successiva Decisione Quadro 783/2006 GAI[59]ammetteva fra i motivi di rifiuto al mutuo riconoscimento la circostanza secondo la quale la decisione di confisca esulasse dall’ambito di operatività dell’opzione scelta e adottata dallo Stato di esecuzione, ai sensi proprio dell’articolo 3, paragrafo 2, della Decisione Quadro 2005/212/GAI.
L’articolo 14 della Direttiva 2014/42/UE specifica come con il nuovo intervento sovranazionale siano sostituite interamente l’Azione comune 98/699/GAI e parzialmente le Decisioni Quadro 2001/500 e 2005/512. Tuttavia, la tecnica di formulazione a sostituzione parziale di un precedente strumento normativo è stata oggetto di numerose critiche in quanto causa di assenza di tassatività e di scarsa riconoscibilità del dettato legislativo. Al contrario sarebbe stata più idonea l’introduzione di uno strumento interamente nuovo come richiesto dall’articolo 9 del Protocollo n. 36 del Trattato di Lisbona[60].
L’armonizzazione tra i vari ordinamenti interni è basata sul sistema delle garanzie della CEDU, non a caso il considerando n. 38 della Direttiva richiama esplicitamente il rispetto dei diritti fondamentali e l’osservanza dei principi sanciti dalla Carta di Nizza e dalla stessa CEDU, secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi con le sentenze della Corte Edu. L’esigenza di non ledere i diritti fondamentali è posta, infatti, alla base dell’istituto della confisca applicata in assenza di condanna e per come delineato dall’articolo 4 della Direttiva.
Occorre, pertanto, che siano sempre tutelati adeguatamente il diritto di proprietà, la presunzione d’innocenza, il divieto di bis in idem, il diritto all’effettività del ricorso e, infine, quello di essere giudicati da un giudice imparziale.
In un’ottica generale di questo tipo, le ipotesi di confisca senza condanna paiono legittimamente limitate ulteriormente rispetto a quanto era stato originariamente previsto dalla proposta di direttiva COM/2012/85 e, ancora di più, dagli emendamenti della Commissione LIBE. La misura ablatoria non viene più prevista in caso di morte del destinatario, ma rimane operativa soltanto nel caso in cui l’indagato o l’imputato sia malato o nascosto, oltre che soltanto in relazione alle ipotesi di confisca degli strumenti del reato o del profitto accertato senza che siano incluse, invece, forme di confisca estesa.
La Direttiva 2014/42/UE non prevede, quindi, una forma di actio in rem pura e volta a colpire i proventi o gli strumenti del reato. Il provvedimento della confisca diretta è applicabile a tutte quelle ipotesi in cui, anche in presenza dell’accertamento di un fatto tipico e dell’origine illecita dei proventi o dell’utilizzo dei beni come strumento del reato, non sia possibile giungere a una condanna, almeno in caso di latitanza o di malattia. La misura patrimoniale della confisca deve essere, dunque applicata in ogni caso all’esito dell’accertamento della responsabilità penale, che soltanto a causa di motivi contingenti non ha potuto concludersi con una sentenza di condanna.
Tuttavia, l’articolo 4 dello strumento normativo non esclude in maniera assoluta la possibilità che un singolo Stato membro dell’Unione europea possa introdurre delle nuove tipologie di confisca in assenza di condanna anche in circostanze differenti, stabilendo la natura del procedimento, in quanto, come precisato anche dal considerando n. 22, la direttiva si limita a stabilire norme minime senza impedire agli Stati di riconoscere poteri più estesi nel proprio diritto interno. In questo modo, non risultano essere incompatibili con i principi sanciti dalla direttiva in esame la confisca di prevenzione italiana e la civil forfeiture diffusa in Regno Unito e nella Repubblica d’Irlanda, pur mancando una piena ed esplicita legittimazione della confisca di prevenzione a livello sovranazionale[61].
Nello specifico, lo stesso articolo 4 della direttiva in questione, pone a carico degli Stati membri l’obbligo di adottare le misure necessarie per procedere alla confisca, totale o parziale, di beni strumentali o proventi da reato, oppure, ancora, di beni di valore corrispondente a questi ultimi, ammettendo la confisca anche nella forma per equivalente, in base a una condanna penale definitiva.
Particolarmente ampia appare, in tal senso, la definizione di “provento” offerta dall’articolo 2 della fonte normativa sovranazionale. Esso può, infatti, consistere in qualunque bene e includere tutti i reinvestimenti successivi o la trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio valutabile dal punto di vista economico. Saranno gli stessi Stati a dover stabilire se la confisca per equivalente debba essere considerata come sussidiaria o alternativa alla forma diretta della misura ablatoria[62].
L’attuazione della Direttiva 2014/42/UE avrebbe dovuto, invece, secondo alcuni contributi dottrinali, riequilibrare il rapporto tra garanzie ed efficienza in materia penale patrimoniale, portando, in un’ottica di effettiva armonizzazione normativa sovranazionale, all’abbandono o alla contrazione di quelle tipologie di confische negli Stati membri che non trovano forme di misure ablatorie simili negli altri ordinamenti. Un esempio di questo tipo sarebbe rinvenibile, ad esempio, proprio nel sistema delle misure di prevenzione patrimoniale che rappresenta un caso isolato a livello europeo[63].
Un’altra norma contenuta nella direttiva in oggetto di particolare rilevanza è rappresentata dall’articolo 5, che disciplina i c.d. poteri estesi di confisca e che è assimilabile alla confisca allargata italiana. La previsione dei poteri estesi è stata introdotta nell’ottica, rimarcata dal già menzionato considerando n. 19, di contrastare efficacemente le organizzazioni criminali in tutte quelle situazioni nelle quali può essere opportuno far seguire alla condanna penale anche la confisca, non solo dei beni associati ad un reato, di ulteriori beni costituenti proventi di altri reati a parere dell’autorità giudiziaria.
Infine, il 21 dicembre 2016 è stata pubblicata la Proposta di Regolamento, direttamente vincolante, per il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di sequestro e confisca emanati nell’ambito di un procedimento penale, compresi i provvedimenti di confisca estesa, di confisca nei confronti dei terzi e di confisca senza condanna[64].
La proposta in questione si pone in continuità con la Direttiva 2014/42/UE, pur prevedendo un ambito applicativo più esteso. Infatti, il considerando n. 13 della proposta prevede l’operatività del principio del mutuo riconoscimento non soltanto per le tipologie di confisca previste dal precedente atto normativo, ma anche in relazione ai provvedimenti di confisca emessi in assenza di condanna sempre, però, all’interno di un procedimento penale. L’estensione dell’operatività del principio viene ampliata anche per tutti quegli Stati membri che non conoscono il modello della confisca senza condanna. Al contrario, sono escluse dall’ambito applicativo della Proposta di Regolamento le confische di carattere civile o amministrativo, così da non creare possibili contrasti in materia di tutela dei diritti fondamentali.
L’articolo 1 della Proposta di Regolamento del 2016, in particolare, prevede un limite al principio del reciproco riconoscimento nella possibilità di invocare la tutela dei diritti fondamentali, la cui eventuale violazione costituisce un potenziale strumento idoneo a giustificare il rifiuto ad applicare un provvedimento di confisca.
7. Conclusioni: il Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca e la sua attuazione con la circolare del Ministero dell'Interno italiano del 12 gennaio 2021
La Proposta di Regolamento del 2016 è stata successivamente oggetto di modifica nel dicembre del 2017, con in sostanza un unico cambiamento che prevede il passaggio da un mutuo riconoscimento dei provvedimenti emanati in un processo penale al riconoscimento dei provvedimenti emanati, invece, in un procedimento in materia penale[65].
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno, quindi, successivamente adottato il Regolamento (UE) 2018/1805 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca emanati nell’ambito di un procedimento penale, includendo, come previsto già fin dalla Proposta del 2016, anche i provvedimenti di confisca estesa, di confisca nei confronti dei terzi e di confisca in assenza di condanna.
Fino a questo momento, come è stato messo in evidenza dai vari rapporti sull’attuazione delle decisioni quadro degli anni precedenti e da Eurojust, il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di confisca è stato ancora poco utilizzato. Con il nuovo atto normativo, invece, il principio in questione, sempre sulla scia tracciata dalla Decisione Quadro 783/2006[66], viene ora finalmente affermato e imposto attraverso l’emanazione di un provvedimento legislativo direttamente applicabile come un regolamento, adottato in ossequio alla procedura legislativa ordinaria sulla base dell’articolo 82, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea[67].
In particolare, molto significativa è la precisazione operata dal considerando n. 13 del principio cardine del reciproco riconoscimento, secondo il quale anche qualora un provvedimento possa non esistere all’interno dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, lo Stato interessato dovrebbe essere in grado di riconoscere ed eseguire il provvedimento di questo tipo emesso da un altro Stato membro. È stata accolta, così facendo, la via del mutuo riconoscimento a prescindere dall’armonizzazione.
L’adozione di un regolamento direttamente applicabile negli Stati membri ai sensi dell’articolo 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea rappresenta una scelta motivata da necessità di efficienza, essendo l’unico strumento idoneo ad essere immediatamente applicato in ragione di un’uniforme applicazione ed essendo, inoltre, sottratto alla necessità di un recepimento da parte dei singoli Stati.
Dai primi commenti sorti a seguito della pubblicazione del regolamento in esame, è stato rilevato qualche dubbio relativo all’attribuzione di una diretta competenza in materia processuale penale al legislatore europeo, pur se limitata ad una mera cooperazione di tipo verticale. Una scelta che è stata definita forte sul piano politico-criminale, oltre che con importanti ricadute su questioni di tipo sostanziale e in termini di tutela dei diritti fondamentali[68].
Il legislatore sovranazionale appare comunque consapevole dei rischi a cui si è esposto con la coraggiosa scelta attuata, al punto di precisare al considerando n. 53 che la forma giuridica del regolamento in esame non dovrebbe costituire un precedente per i futuri atti giuridici dell’Unione europea nel riconoscimento reciproco delle sentenze e, più in generale, delle decisioni giudiziarie in materia penale, così da non ledere i principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
In tal senso, a livello interno, a seguito dell’entrata in vigore – a far data dal 19 dicembre 2020 – del suddetto Regolamento UE 2018/1805, la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato ha emesso una circolare attuativa, diffusa il 12 gennaio 2021 e indirizzata ai questori, dello stesso atto normativo sovranazionale. Con la circolare, vengono invitate le singole Divisioni Anticrimine a adottare tutte le opportune disposizioni dirette a favorire l’esecuzione, in sinergia con le autorità giudiziarie, delle misure di congelamento e confisca di beni all’estero, nel rispetto dell’obbligo per gli Stati membri di riconoscere i provvedimenti di congelamento e confisca emessi da un altro Stato membro all’interno di un procedimento penale.
La Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato ha così ulteriormente ribadito come, in linea con il considerando n. 13, la nozione di procedimento in materia penale sia un concetto autonomo del diritto dell’Unione, idoneo a contemplare al suo interno tutti i tipi di provvedimenti di congelamento e provvedimenti di confisca emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato e non soltanto i provvedimenti rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/42/UE[69].
Pertanto, in forza del nuovo regolamento europeo, l’autorità di emissione (il pubblico ministero o il giudice che dispone il sequestro o la confisca) deve trasmettere il provvedimento all’autorità di esecuzione presso lo stato estero dove si trova il bene, compilando, traducendo e trasmettendo il certificato allegato al regolamento stesso.
L’autorità di esecuzione deve poi riconoscere il provvedimento trasmesso ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento e, secondo quanto disposto dall’articolo 7, deve darvi esecuzione con le stesse modalità usate per un provvedimento di congelamento nazionale emesso da un’autorità dello Stato di esecuzione, salvo che non adduca uno dei motivi di non riconoscimento e di non esecuzione previsti all’articolo 8 oppure uno dei motivi di rinvio previsti all’articolo 10 sempre dello stesso Regolamento UE 2018/1805. Infine, per quanto concerne l’Italia è stato designato quale autorità centrale responsabile della trasmissione e ricezione amministrativa dei certificati di congelamento e confisca il Ministero della Giustizia.
La circolare ha così lo scopo di richiamare l’attenzione sulle potenzialità degli strumenti di cooperazione tra gli Stati in materia di sequestro e confisca, ancora non adeguatamente sfruttati dai singoli Stati membri, per far fronte all’esigenza di contrastare con misure più efficaci e incisive la proiezione internazionale di fenomeni criminali «lucrogenetici».
La criminalità organizzata e, più in generale, le singole attività illecite idonee a immettere ingenti capitali in Stati esteri hanno assunto negli ultimi anni connotati sempre più transnazionali, coadiuvate dalla cooperazione di “colletti bianchi” pronti a mettere a disposizione le proprie competenze professionali[70]. In un contesto così variegato, assume ancora più centralità lo strumento della confisca dei beni, la quale non può che necessitare di una cooperazione fattiva idonea a supplire alle attuali lacune presenti in singoli ordinamenti giuridici in cui la modernizzazione degli strumenti ablatori continua a esigere di importanti correttivi.
Il mutuo riconoscimento, in definitiva, va a coprire numerose tipologie di confische, tra le quali sono incluse, come già affermato, quelle senza condanna e quelle preventive. Tuttavia, restano esclusi dall’attuazione del principio in questione tutti quei provvedimenti emessi nel quadro di un procedimento in materia civile o amministrativa, come, ad esempio, i provvedimenti di espropriazione dei beni non connessi a reati. È in questa direzione che si auspica possa andare ad operare il legislatore sovranazionale, nella speranza che anche l’omologo interno sappia recepire in maniera più chiara e incisiva i contenuti del Regolamento UE 2018/1805.
Persistono, infatti, ingenti difficoltà discendenti dalla qualificazione della natura delle due tipologie di confisca precedentemente menzionate quale meramente ripristinatoria, peraltro in evidente contrasto con la necessità che il legislatore italiano si trova davanti nel dovere dare attuazione al Regolamento in esame, il quale pretende ai fini del mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca che gli stessi siano adottati, come ribadito in ultimo anche dalla Circolare del 12 gennaio 2021, in un procedimento in materia penale, oltre che il rispetto dei diritti procedurali di cui alle precedenti direttive sovranazionali e delle garanzie previste dalla Carta di Nizza.
In conclusione, quindi, non può che essere auspicata a livello interno una modulazione delle garanzie proprie della materia penale che accompagni la determinazione della base minima delle garanzie stesse idonea a connotare la responsabilità penale sulla scia dei principi costituzionali e convenzionali, in ragione dell’importantissimo rilievo assunto dalle confische nella sfera penalistica e delle esigenze di sicurezza dell’ambito economico internazionale.
[1]A. CISTERNA, La natura promiscua della confisca tra misura di sicurezza e sanzione punitiva in rapporto alle nuove tecniche sanzionatorie della criminalità del profitto, in La giustizia patrimoniale penale, (a cura di) A. BARGI – A. CISTERNA, UTET, Torino, 2011, I, 82 ss.
[2]E. NICOSIA, La Confisca, le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, G. Giappichelli Editore, Torino, 2012, 4.
[3]E. NICOSIA, Ibidem.
[4]F. VERGINE, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, CEDAM, Padova, 2012, 3.
[5]M. PISANI, Criminalità organizzata e cooperazione internazionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 703.
[6]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea, CEDAM – Wolters Kluwer, Milano, 2016, 41.
[7] M. MONTAGNA,Il procedimento di applicazione delle misure ablative di prevenzione e garanzie del giusto processo, in La giustizia patrimoniale penale, (a cura di) A. BARGI – A. CISTERNA, UTET, Torino, 2011, I, 445 ss.
[8]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea, Op. cit., 44.
[9]F. VERGINE, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Op. cit., 6.
[10]Sull’attualità dell’accordo in questione alla luce del potenziamento della cooperazione internazionale per le misure di prevenzione patrimoniali: M. A. ACCILI SABBATINI – A. BALSAMO, Verso un nuovo ruolo della Convenzione di Palermo nel contrasto alla criminalità transnazionale. Dopo l’applicazione del Meccanismo di Riesame ad opera della Conferenza delle parti, in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 12/2018, 113 ss.
[11]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea, Op. cit., 54-61.
[12]Forme di collaborazione simili sono state attuate nel corso degli ultimi decenni in Svizzera, nel Regno Unito, nel Lussemburgo e negli Stati Uniti d’America e scelte di questo tipo sono state particolarmente apprezzate dal Dipartimento di giustizia statunitense e dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI). Sul punto si rimanda a: F. VERGINE, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Op. cit., 10.
[13]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea, Op. cit., 42.
[14]A. M. MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Giuffrè Editore, Milano, 2001, 603.
[15]F. VERGINE, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Op. cit., 21.
[16]L. DANIELE, Diritto dell’Unione europea. Sistema istituzionale – ordinamento – tutela giurisdizionale – competenze. Sesta edizione, Giuffrè Editore, Milano, 2018, 241-248.
[17]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea, Op. cit., 83-86; F. VERGINE, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Op. cit., 24-26.
[18]La Decisione Quadro 2003/577/GAI del 2003 costituisce la prima forma di applicazione del c.d. principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, affermatosi durante il Consiglio di Tampere del 1999, adottata in attuazione delle misure già previste nell’ambito nel Programma di misure per la sua stessa attuazione. Sul principio del mutuo riconoscimento si tornerà in seguito (cfr. infra, § 3).
[19]F. VERGINE, Confisca, in Archivio Penale,n. 3/2013, p. 8.
[20]La Decisione Quadro 2002/475/GAI del 13 giugno 2002 sulla lotta al terrorismo.
[21]Il limite in questione è stato comunque superato dalla Direttiva della Commissione europea COM 2012/85, la quale, a seguito degli emendamenti presentati dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE), ha previsto una forma di actio in rem diretta alla lotta alla criminalità organizzata (cfr. infra § 5). Sulla questione: F. MAZZACUVA, La posizione della Commissione LIBE del Parlamento europeo alla proposta di direttiva relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013; A. M. MAUGERI,L’actio in rem assurge a modello di “confisca europea” nel rispetto delle garanzie CEDU? Emendamenti della Commissione LIBE alla proposta di direttiva in materia di congelamento e confisca dei proventi di reato,in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 3/2013; A. M. MAUGERI, La proposta di direttiva UE in materia di congelamento e confisca dei proventi del reato: prime riflessioni, in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 2/2012, 180 ss.
[22]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea,Op. cit., 94-99.
[23]A. M. MAUGERI, La proposta di direttiva UE in materia di congelamento e confisca dei proventi del reato: prime riflessioni, Fascicolo 2/2012, 182.
[24]Cfr. infra, § 2.
[25]G. IUZZOLINO, La confisca nel diritto penale dell’Unione europea tra armonizzazione normativa e mutuo riconoscimento, in Cass. Pen., 2011, 1555 ss.
[26]G. IUZZOLINO, Ivi, 1556.
[27]F. VERGINE, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Op. cit., 32.
[28]F. VERGINE, Confisca, Op. cit., 8.
[29]C. PESCE, Il recepimento italiano degli atti UE in materia di sequestro e confisca, in Eurojus, 2016.
[30]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea, Op. cit., 209-210.
[31]F. VERGINE, Confisca, Op. cit., 9.
[32]Per una più ampia e dettagliata disamina anche della Decisione Quadro 2002/565/GAI si rimanda a: G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea,Op. cit., 222-233.
[33]F. VERGINE, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Op. cit., 36.
[34]Quali: conti correnti, immobili o automobili.
[35]Si pensi, ad esempio, a: nominativi, dati anagrafici, residenze, domicili, dati societari o sedi legali.
[36]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea, Op. cit., 213.
[37]Per una dettagliata ricognizione sui singoli ARO all’interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione europea si rimanda a: G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Ivi, 214-217; A. DINICOLA – B. VETTORI, Normative e prassi applicative in materia di amministrazione e destinazione dei beni confiscati negli Stati membri dell’UE: una mappatura, in S. COSTANTINO – B. VETTORI – A. DI NICOLA – A. CERASA – G. TUMMINELLI, La destinazione dei beni confiscati alle mafie nell’Unione europea. Normative e prassi applicative a confronto, con prefazione di C. VISCONTI, Franco Angeli Open Access, Milano, 2018, 15 ss.
[38]Europol è stato costituito con la Convenzione di Bruxelles del 1995, ratificata in Italia dalla legge 23 marzo 1998, n. 93. A seguito dell’emanazione della Decisione Quadro 2009/371/GAI del Consiglio dell’Unione europea e del Regolamento (UE) 2016/794 è divenuto Agenzia dell’Unione europea con il compito di sostenere e rafforzare la cooperazione fra gli Stati membri per prevenire e combattere la criminalità organizzata, il terrorismo e altre forme di criminalità particolarmente gravi. L’agenzia fornisce anche sul proprio sito internet le statistiche sull’ammontare dei proventi derivanti dalla commissione di reati in rapporto al prodotto interno lordo europeo e mondiale. Sui dati in questione: A. ROSANÒ, Congelamento e confisca dei beni. Le novità del diritto dell’Unione europea nel quadro della cooperazione internazionale, in Eurojus, 2019, 7-8.
[39]L’Unità europea di cooperazione giudiziaria Eurojustha sede all’Aja ed è un organo che è stato istituito con la Decisione 2002/187/GAI del Consiglio dell’Unione europea, per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata, e recepita dall’ordinamento giuridico italiano con la legge 14 marzo 2005, n. 41. Recentemente, con il Regolamento (UE) 2018/1727 che ha abrogato la precedente Decisione 2002/187/GAI, le è stata attribuita la nuova denominazione e il nuovo rango di Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale Eurojust. Sulla riforma di Eurojust: L. SALAZAR, La riforma di Eurojust e i suoi riflessi sull’ordinamento italiano, Diritto Penale Contemporaneo,Fascicolo 1/2019, 43 ss.
[40]G. FURCINITI – D. FRUSTAGLI, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione europea,Op. cit., 217-219.
[41]Sulla quale: M. MAZZAMUTO, L’agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in Diritto Penale Contemporaneo; M. MAZZAMUTO, Gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati tra giurisdizione e amministrazione, in Giur. It., 2013, 485 ss.; A. BALSAMO,La istituzione dell’agenzia per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in Cass. Pen., 2010, 2094 ss.
[42]A. DINICOLA – B. VETTORI,Normative e prassi applicative in materia di amministrazione e destinazione dei beni confiscati negli Stati membri dell’UE: una mappatura, Op. cit., 37-40.
[43]A. BALSAMO – C. LUCCHINI, La risoluzione del 25 ottobre 2011 del Parlamento europeo: un nuovo approccio al fenomeno della criminalità organizzata, Diritto Penale Contemporaneo, 2012.
[44]A. BALSAMO, Il “Codice antimafia” e la proposta di direttiva europea sulla confisca: quali prospettive per le misure patrimoniali nel contesto europeo?, in Diritto Penale Contemporaneo, 2012, 3-4.
[45]Si pensi alla civil forfeiture statunitense o al confiscationbritannico. Sul punto si tornerà in maniera dettagliata nel § 6.
[46]A. M. MAUGERI, La proposta di direttiva UE in materia di congelamento e confisca dei proventi del reato: prime riflessioni, in Diritto Penale Contemporaneo, Op. cit., 184.
[47]A. M. MAUGERI, L’actio in rem assurge a modello di “confisca europea” nel rispetto delle garanzie CEDU? Emendamenti della Commissione LIBE alla proposta di direttiva in materia di congelamento e confisca dei proventi di reato, Op. cit.
[48]Sui quali sia consentito un richiamo a: S. ZOCCALI, La giurisprudenza sovranazionale e l’applicazione dei c.d. “criteri Engel”: un’analisi storica sull’evoluzione della qualificazione della norma penale fra Corte Edu e Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di “ne bis in idem”, in ORDINES, 2019,1.
[49]F. MAZZACUVA, La posizione della Commissione LIBE del Parlamento europeo alla proposta di direttiva relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013.
[50]S. FINOCCHIARO, La confisca “civile” dei proventi da reato. Misure di prevenzione e civil forfeiture: verso un nuovo modello di non-conviction based confiscation, Criminal Justice Network, Milano, 2018, 252-253; A. M. MAUGERI, L’actio in rem assurge a modello di “confisca europea” nel rispetto delle garanzie CEDU? Emendamenti della Commissione LIBE alla proposta di direttiva in materia di congelamento e confisca dei proventi di reato, Op. cit.
[51]A. BALSAMO, Diritto dell’UE e della CEDU e confisca di prevenzione, in AA. VV.,Libro dell’anno del Diritto, Treccani, Roma, 2014.
[52]F. MAZZACUVA, La posizione della Commissione LIBE del Parlamento europeo alla proposta di direttiva relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato, Op. cit.; S. FINOCCHIARO, La confisca “civile” dei proventi da reato. Misure di prevenzione e civil forfeiture: verso un nuovo modello di non-conviction based confiscation, Op. cit., 253.
[53]M. MONTANARI, Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Direttiva UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 2014.
[54]A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 29 ottobre 2016, n. 202.
[55]T. TRINCHERA, Novità in materia di confisca, in Libro dell’anno del Diritto, Treccani, Roma, 2015, § 2.4.
[56]A. M. MAUGERI, La direttiva 2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti e dei proventi da reato nell’Unione europea tra garanzie ed efficienza: un “work in progress”, in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 1/2015, 306 ss.
[57]Considerando n. 5 della Direttiva 2014/42/UE.
[58]Cfr. infra, § 2.
[59]Cfr. infra, § 3.
[60]A. M. MAUGERI, La direttiva 2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti e dei proventi da reato nell’Unione europea tra garanzie ed efficienza: un “work in progress”, Op. cit., 302.
[61]A. M. MAUGERI, La direttiva 2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti e dei proventi da reato nell’Unione europea tra garanzie ed efficienza: un “work in progress”, Op. cit., 334-335.
[62]T. TRINCHERA, Novità in materia di confisca, Op. cit., § 2.4.
[63]C. CUPELLI – G. DESANTIS,L’intervento sul patrimonio come strumento di contrasto all’economia illecita, in Sequestro e confisca, di M. MONTAGNA(a cura di), G. Giappichelli Editore, Torino, 2017, 113 ss.
[64]A. M. MAUGERI, Prime osservazioni sulla nuova “proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca”, in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 2/2017, 231 ss.
[65]Con la precisazione, infatti, al considerando n. 13 del definitivo Regolamento (UE) 2018/1805, che l’espressione “Procedimento in materia penale” costituisce: «un concetto autonomo del diritto dell’Unione interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ferma restando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tale termine contempla pertanto tutti i tipi di provvedimenti di congelamento e provvedimenti di confisca emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato e non solo i provvedimenti che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva 2014/42/UE. Esso contempla inoltre altri tipi di provvedimenti emessi in assenza di una condanna definitiva».
[66]Il Regolamento (UE) 2018/1805 sostituisce le Decisioni Quadro 2003/577 e 2006/783 per gli Stati membri dell’Unione europea che sono ad esse vincolati a decorrere dal 19 dicembre 2020.
[67]A. M. MAUGERI, Il regolamento (UE) 2018/1805 per il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e di confisca: una pietra angolare per la cooperazione e l’efficienza, in Diritto Penale Contemporaneo, 2019. 3.
[68]A. M. MAUGERI, Ivi, 6.
[69]Il regolamento riguarda, quindi, anche la confisca di prevenzione senza condanna disciplinata dal Codice antimafia, la quale, invece, non era contemplata dalla Direttiva 2014/42/UE.
[70]Sui c.d. white collars crimes,espressione coniata dal sociologo statunitense Edwin Sutherland, per un approfondimento si rimanda a: G. GENNARO, Manuale di sociologia della devianza, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2002, 62-72. Sull’influenza, invece, degli stessi white collar crimes nella diffusione legislativa, ma anche giurisprudenziale, in materia di congelamento dei beni e di confisca: A. DI NICOLA, La criminalità economica organizzata: implicazioni di politica penale, articolo in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia, Anno XV, n. 1-2, gennaio-giugno 2002, 276-291; E. ZUFFADA, Il Tribunale di Milano individua una nuova figura di “colletto bianco pericoloso”: il falso professionista (nella specie, un falso avvocato). Un ulteriore passo delle misure di prevenzione nel contrasto alla criminalità da profitto. Nota a Tribunale di Milano, Sezione Autonoma di Misure di Prevenzione, decr. 16 febbraio 2016 n. 32, in Diritto Penale Contemporaneo, 2016; F. BRIZZI, Misure di prevenzione e pericolosità dei “colletti bianchi” nella elaborazione della giurisprudenza di merito, in Archivio Penale, n. 3/2014.
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