Il contenzioso amministrativo in Francia e negli Stati italiani preunitari: una breve ricostruzione
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Giovanni Giannotti
Il saggio analizza la genesi del diritto amministrativo e lo sviluppo del contenzioso amministrativo in Francia e negli stati italiani preunitari. Dopo un excursus sull´origine del diritto amministrativo, il lavoro prosegue con l´esame del contenzioso amministrativo in Francia tra l´età dell´assolutismo e il periodo napoleonico. Il lavoro termina con la disamina del contenzioso amministrativo negli stati italiani preunitari: Granducato di Toscana, Regno di Napoli e Regno di Sardegna
Sommario: 1. L’accentramento amministrativo in Francia e la nascita del droit administratif; 2. L’origine della giustizia amministrativa; 3. Il contenzioso amministrativo negli stati italiani preunitari: Granducato di Toscana e Napoli; 4. Il Regno di Sardegna; 5. Il sistema del contenzioso amministrativo nello Stato sabaudo; 6. Osservazioni conclusive.
1. L'accertamento amministrativo in Francia
È oggetto di discussione se il diritto amministrativo, quantomeno «nel suo nucleo originario fondato sull’accentramento, sulla garanzia dei funzionari e su un foro speciale nasca con l’Antico Regime, o sia invece il frutto della Rivoluzione di fine Settecento[1]», quando si affermò «l’immunità del potere esecutivo dal sindacato giurisdizionale[2]». Sebbene alcune tesi rinvengano la nascita del diritto amministrativo all’epoca del diritto romano[3] o tutt’al più al Medioevo[4], si ritiene generalmente che la nascita del droit administratif sia avvenuta in Francia, paese ove comparvero per la prima volta «intorno alla metà del XVIII secolo[5]» le espressioni «administration publique e bureaucratie[6]».
Tale assunto quindi localizza l’origine “moderna” del droit administratif - inteso sia come corpus di norme speciali[7] che come «materia oggetto di insegnamento universitario[8]» – in Francia, al momento del «passaggio tra la Repubblica e il primo Impero[9]», quando Oltralpe era pressante l’esigenza di riorganizzarsi per fronteggiare gli assalti delle coalizioni europee[10]. Secondo questa prospettiva il diritto amministrativo emerse quando nacque l’esigenza di «normativizzare l’esercizio del potere pubblico[11]» per tutelare i cittadini dagli abusi dei pubblici dipendenti; dato che questo avvenne agli albori del diciannovesimo secolo, appunto in tale ottica il profilarsi di una scienza amministrativistica solamente all’inizio dell’Ottocento era la prova dell’assenza nelle epoche precedenti di tale branca giuridica[12].
È stato osservato che tale tesi presenta però un «eccessivo apriorismo[13]», in quanto i suoi propugnatori non hanno valutato adeguatamente la realtà storica[14]; ad essa si è contrapposta quindi un’altra teoria, che ritiene come «tutte le istituzioni e le norme compendiate nell’Ottocento[15]» nel settore del diritto amministrativo affondino le radici nell’Antico Regime o in un passato, anche molto remoto[16]. E difatti già nell’Ottocento Alexis De Tocqueville, nel sottolineare la «sostanziale continuità con l’antico regime[17]», aveva espresso una diversa opinione rispetto all’assunto che vedeva il droit administratif come frutto della Rivoluzione francese. Proprio Tocqueville è l’autore che rappresenta un punto di riferimento per gli studi concernenti la genesi del diritto amministrativo. Il suo saggio L’Ancien régime per un verso permette di comprendere pienamente il passaggio dall’Antico Regime al periodo rivoluzionario e poi a quello post-rivoluzionario; per l’altro verso contiene una serie di precisi riferimenti all’origine del diritto amministrativo[18].
In merito all’accentramento amministrativo difatti scrive Alexis De Tocqueville:
«L’accentramento amministrativo è una istituzione dell’antico regime e non opera della rivoluzione e dell’impero, come si dice[19]».
Con queste parole Tocqueville ne L’Ancien régime et la révolution[20] smentiva le opinioni di coloro che ritenevano che l’accentramento amministrativo fosse una conquista della Rivoluzione, rilevando invece che esso era un «prodotto dell’antico regime[21]», anzi «la sola parte della costituzione dell’antico regime[22]» sopravvissuta ai rivolgimenti del 1789, in quanto unico elemento idoneo ad adattarsi al «nuovo stato sociale creato dalla rivoluzione[23]». Egli evidenziava come nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto vi fosse stata una continuità[24], che poteva rinvenirsi nella «organizzazione amministrativa accentrata[25]» e nella «attività di cui gli amministrati[26]» potevano avvantaggiarsi «solo in via di fatto[27]».
Per completezza espositiva va ricordato che gli studi storici in alcuni casi hanno tentato di individuare l’origine del diritto amministrativo in epoche ben più remote del periodo compreso tra la fine del Settecento e primi decenni dell’Ottocento. Come ricorda Marco D’Alberti, tali tesi arriverebbero a rinvenire i fondamenti del diritto amministrativo addirittura all’età dei Capetingi, ove era emersa la potestà del sovrano e dei signori locali di imporre a sudditi le corvées vale a dire prestazioni manuali, quali: la costruzione e manutenzione dei sentieri, ponti, strade, mulini e castelli[28].
Massimo Severo Giannini ha osservato peraltro che la dottrina francese mise in risalto enfaticamente come la Francia avesse preceduto tutte le altre nazioni nell’istituzione di organismi amministrativi accentrati, non a caso l’illustre studioso nell’analizzare la genesi del diritto amministrativo rilevava come la dottrina d’Oltralpe avesse sostenuto che l’origine del droit administratif, se non poteva farsi risalire ai Romani, poteva però benissimo rinvenirsi al 25 maggio 1413, quando «Carlo VI riordinò tutta l’organizzazione interna, dalla Camera dei Conti alle foreste, dalla milizia ai prevosti baglivi e siniscalchi[29]»; mentre l’antico Conseil du Roi, secondo la prospettiva propria di tale tesi, «con la sua giurisprudenza aveva anticipato la futura giurisprudenza amministrativa[30]» dell’epopea rivoluzionaria e napoleonica[31].
Tralasciando lo «sciovinismo giuridico[32]» della dottrina transalpina, è necessario ai fini dell’indagine ritornare a Tocqueville, il quale aveva osservato acutamente il declino sia degli istituti feudali che dei poteri locali e nobiliari a vantaggio dello Stato centrale; egli in particolare rimarcava la nascita di un’amministrazione costituita sia in centro che in periferia da funzionari di estrazione borghese, i quali erano giunti a sovrastare la nobiltà e l’aristocrazia feudale. Sebbene nobili e feudatari fossero rimasti formalmente «primi abitanti delle città[33]», sostanzialmente avevano perduto il primato di cui godevano dal punto di vista politico[34].
Osserva Tocqueville:
«Nel centro del regno, vicino al trono, si è formato a poco a poco un corpo amministrativo di singolare potenza, e nel quale tutti i poteri si riuniscono in modo nuovo: il Consiglio del Re. […] Esso è contemporaneamente: suprema Corte di Giustizia, perché ha diritto di annullare i decreti di tutti i tribunali ordinari; tribunale superiore amministrativo, perché da esso dipendono in ultima istanza tutte le giurisdizioni speciali. […] Come consiglio superiore amministrativo, tocca ad esso di stabilire le regole generali che devono guidare gli agenti del governo; decide anche di tutti gli affari importanti e sorveglia i poteri secondari. Ogni cosa finisce col far capo ad esso, e da esso parte il movimento che si comunica a tutto. […] Questo Consiglio non è composto di grandi signori, ma di personaggi di mediocre o bassa nascita, ex intendenti e altra gente consumata nella pratica degli affari, e tutti revocabili. Per solito agisce con discrezione e senza chiasso, mostrando sempre pretese minori del suo potere. Così, non ha di per sé alcuno splendore; o piuttosto, si perde nello splendore del trono a cui è vicino; tanto potente che nulla gli sfugge, e nello stesso tempo così oscuro che a stento la storia lo nota[35]».
In provincia, coloro che governavano e assicuravano la predominanza dell’amministrazione centrale secondo il modello creato da Luigi XIII e da Richelieu erano gli intendenti[36]; di cui Tocqueville ha descritto ne L’Ancien Régime con estrema chiarezza e precisione i poteri.
La figura dell’intendente, generalmente «uomo di nascita comune […] estraneo alla provincia, giovane e che deve ancora fare fortuna[37]», era stata istituita durante il regno di Luigi XIII[38] e il sistema imperniato su di essi rappresentava una sostanziale invenzione del Cardinale Richelieu[39]; l’intendente era il funzionario più importante della provincia ed una sorta di «longa manus del potere centrale[40]», in altri termini era «un organo periferico dell’amministrazione centrale[41]», non rappresentava la collettività locale ma contribuiva a far sì che il centro controllasse la periferia[42] nonché a rendere più efficiente la riscossione delle entrate regie[43], del resto la nascita e il rafforzamento di questa figura si inserisce in quel processo di formazione di apparati amministrativi stabili, posti alle «dirette dipendenze del sovrano e contrapposti ai poteri locali»[44]. Difatti si legge ne L’Ancien Régime:
«E come l’amministrazione centrale non ha, in realtà, che un solo agente a Parigi, così non ha che un agente in provincia. […]. Chi governa in realtà è l’intendente. Costui è un uomo di nascita comune, sempre estraneo alla provincia, giovane e che deve ancora fare fortuna. Non esercita il potere per diritto d’elezione, di nascita, o per avere comprata la carica; è scelto dal governo tra i membri secondari del Consiglio di Stato ed è sempre revocabile. Egli rappresenta appunto questo corpo da cui è separato, e per ciò nel linguaggio amministrativo del tempo si chiama «commissario distaccato» [commissaire départi]. Nelle sue mani si accentrano quasi tutti i poteri dello stesso consiglio, ed egli gli esercita quasi tutti in prima istanza. Al pari di questo Consiglio, è amministratore e giudice a un tempo. L’intendente corrisponde con tutti i ministri, nella provincia è l’unico agente di tutte le volontà del governo»[45].
Erano quindi funzionari muniti di vasti privilegi e di poteri autoritativi molto forti, caratteristica che incideva sul diritto dei cittadini, dinanzi ad essi non si era in presenza né di signori né di aristocratici, bensì di modesti, in relazione all’estrazione, ma potentissimi burocrati[46]. Quanto scritto assume notevole importanza dal punto di vista sociale, in quanto è propedeutico all’ascesa della borghesia. Lo stesso Tocqueville ne L’Ancien Regime rilevava che il potere degli intendenti aveva finito con il surclassare quello dell’aristocrazia locale. Il notabile, pur essendo sia proprietario di grandi terreni sia titolare di grandi ricchezze che di altisonanti titoli nobiliari aveva un’influenza inferiore nella provincia rispetto all’intendente; quest’ultimo al contrario, pur essendo socialmente inferiore aveva acquisito un potere superiore rispetto a quello dei notabili locali[47], al punto tale da spingere Tocqueville a scrivere che questi funzionari «governavano la Francia[48]». Così, la progressiva crescita di potere degli intendenti e del Conseil du Roi esautorò i nobili e gli aristocratici feudali sia dall’amministrazione dello Stato che da quella delle province e delle campagne[49].
È questo, nella visione tocquevilliana, uno degli elementi che portò alla rivoluzione francese ossia la capacità della borghesia di soppiantare le classi prima dominanti, fenomeno che avvenne ancor prima del 1789; tale processo fu graduale e l’amministrazione costituì certamente una componente fondamentale per spianare la strada all’ascesa della borghesia[50].
Quanto detto circa l’attività dei pubblici uffici nel contesto transalpino consente di rilevare che Oltralpe era emersa una situazione nuova, la quale rappresentava una cesura con il passato: il titolare di un ufficio amministrativo vale a dire l’intendente, seppur modesto socialmente, risultava titolare di vasti ed estesi poteri: poteva «espropriare le grandi terre dei notabili[51]», «imporre sanzioni[52]» e irrogare la pena di morte. In capo alla burocrazia erano sorti quindi «poteri esorbitanti[53]» dato che il rapporto tra l’intendente e gli altri cittadini non poteva certo essere considerato paritario[54], basti pensare al fatto che l’intendente risolveva alcune controversie e agiva in tale veste come un’autorità di natura giurisdizionale[55].
Con la Rivoluzione francese inoltre viene fatto un passo avanti rispetto alla situazione precedente, giacché si impone il principio fondamentale della divisione dei poteri[56]. Mentre prima il potere legislativo, esecutivo e giudiziario erano riuniti tutti nella figura del monarca, con la Rivoluzione si arrivò ad una suddivisione fra i poteri dello stato e la funzione amministrativa si collocò nell’alveo di quello esecutivo; l’amministrazione assunse dunque il volto di un corpo di funzionari inseriti nell’apparato esecutivo che «adottano misure, atti e provvedimenti in attuazione della legge[57]»; quindi, mentre in precedenza risultava difficoltoso distinguere l’amministrazione dalla legislazione o dalla giurisdizione, ora l’amministrazione aveva una sua identità, seppur all’interno del potere esecutivo[58]. In ogni caso la Rivoluzione, pur apparentemente distruttrice dell’«ordine di antico regime, sotto il profilo amministrativo ne costituì il completamente nel segno della continuità, dato che portò a termine il controllo centralizzato del territorio»[59]. La rilevanza della centralizzazione è corroborata peraltro dall’assunto, sostenuto dalla dottrina transalpina, secondo la quale fu proprio nei «paesi centralizzati[60]», quale era appunto la Francia, che germogliò il diritto amministrativo[61]; del resto, tra le caratteristiche precipue che esso presentava nella sua fase iniziale vi erano: in primo luogo il rafforzamento dei poteri pubblici sia nei confronti dei cittadini che di terzi contraenti e dipendenti; in secondo luogo l’assoggettamento del potere pubblico a norme derogatorie al diritto comune e l’attribuzione ad esso di poteri speciali, derivanti dalla sua partecipazione al potere dello stato; in terzo luogo – ed è rilevante ai fini dell’indagine - proprio l’uniformità e la centralizzazione[62]. Inoltre durante il periodo napoleonico avvennero una serie di riforme quali, la soppressione degli intendenti dell’Ancien Regime e la loro sostituzione con il prefetto; l’abolizione di ordini e corporazioni; la ripartizione del territorio in dipartimenti[63]; le riforme napoleoniche del resto proseguivano nel solco della politica dell’Ancien Regime e del periodo rivoluzionario, contrassegnato dalla specialità del diritto e del contenzioso amministrativo rispetto al diritto comune[64]. Mediando tra la tesi che ritiene il diritto amministrativo un effetto della Rivoluzione e quella che invece vede nel droit administratif una continuità rispetto al passato, è possibile concludere che il diritto amministrativo nacque come somma di più eventi, alcuni dei quali risalenti nei secoli e con «provenienze ed esperienze statali[65]» estremamente differenti. I tasselli di questo mosaico finirono con l’aggregarsi gradualmente, facendo sì che il diritto amministrativo si affermasse in Francia senza che ve ne fosse piena consapevolezza[66].
Invero va osservato però che l’uso della locuzione «diritto amministrativo»[67] fu adoperata però per la prima volta solo nel 1798 nel programma di Thomas Métivier[68], «oscuro professore delle scuole centrali del Dipartimento della Charente-Inférieure[69]» sebbene l’atto di nascita “ufficiale” del diritto amministrativo avvenne con la legge 28 piovoso dell’anno VIII, corrispondente al 17 febbraio 1800, la quale diede per la prima volta all’amministrazione francese «un’organizzazione giuridicamente garantita ed esteriormente obbligata»[70]. Due anni dopo ossia nel 1802 fu creata in Francia la cattedra di Economia e amministrazione pubblica[71], e dato che il Piemonte era stato annesso alla Francia, l’Università di Torino attivò l’insegnamento e ne conferì l’incarico a Giuseppe Cridis, il quale elaborò anche uno studio – rimasto inedito per un centinaio di anni – denominato De l’administration publique[72]. Con la legge del 22 ventoso dell’anno XII ossia il 13 marzo 1804, oltre a riorganizzare le facoltà giuridiche, fu mutato sia il nome che la sostanza della materia mediante l’istituzione della cattedra di “Diritto pubblico e diritto civile nei suoi rapporti con l’amministrazione pubblica”. L’insegnamento di tale disciplina, affidato a Louis Portiez de l’Oise presso l’École de Droit, ebbe però vita breve, dato che fu mantenuto solo nel biennio compreso tra il 1805 e il 1807.
Negli anni successivi crebbe l’attenzione verso i profili giuridici relativi all’amministrazione pubblica: nel 1806 Rémi Fleurigeon diede alle stampe un Code admistratif [73]; nel 1808 Portiez de l’Oise elaborò un corso di legislazione amministrativa mentre Charles-Jean Baptiste Bonin pubblicò a Parigi «un volume di Principes d’aministration publique»[74]; Philpe-Antoine Merlin introdusse nel 1810 «la voce Acte Administratif[75]» nel «Repertoire Universel et raisonné de jurisprudence[76]». Erano i primi e peraltro incerti tentativi di delimitare i confini della nuova materia; la fase iniziale di elaborazione dottrinale del diritto amministrativo[77], per usare le parole di Luca Mannori, «è interamente assorbita dalla messa a fuoco di alcuni concetti-cardine, necessari per costruire il grande, futuro edificio: amministrazione, separazione dei poteri, atto amministrativo, giustizia amministrativa[78]», il diritto amministrativo, «per nulla programmato dai padri fondatori dello stato liberale» riuscirà soltanto gradualmente a rivelare la trama dei suoi rapporti[79].
«Il primo tangibile contributo[80]» volto a dare una fisionomia scientifica alla frammentaria legislazione in materia di pubblica amministrazione non fu però opera di studiosi transalpini, bensì di un « isolato ed eclettico ingegno italico[81]» ossia Gian Domenico Romagnosi, titolare della cattedra di legislazione amministrativa a Milano il quale nel 1814 pubblicò “I principi fondamentali del diritto amministrativo onde tesserne le lodi[82]”. Come ha ricordato Guido Zanobini, l’eccellenza dell’autore manifesta l’eccezionale valore di questa prima trattazione scientifica, ove furono espressi nozioni e princìpi che divennero di pubblico dominio solo più tardi[83].
2. L’origine della giustizia amministrativa
Autorevole dottrina ha rilevato l’assenza negli ordinamenti dell’ancien régime di un sistema di giustizia amministrativa[84]; difatti nell’Antico Regime l’attività del monarca, seppur non scevra da vincoli giuridici, fu comunque sottratta costantemente ad ingerenze o controlli da parte degli organi giurisdizionali, il cui unico compito era solo ed esclusivamente quello di amministrare la giustizia tra i sudditi. Gli atti della pubblica autorità difatti, pur dovendo prendere in considerazione l’interesse dei singoli non potevano né essere dichiarati illegittimi né lesivi dei diritti altrui, conseguentemente i privati che avessero ritenuto di essere stati danneggiati nei loro interessi potevano rivolgersi soltanto alle autorità superiori e, talvolta, allo stesso sovrano, chiedendo la riparazione del torto in via di grazia, ma mai in via di giustizia[85]. Del resto, come ricorda Mario Nigro, una delle preoccupazioni costanti delle monarchia assolute fu quella di garantire l’immunità dell’azione autoritativa dello stato dal controllo della giurisdizione ordinaria, precipuamente dei Parlamenti[86], i quali nell’ordinamento francese amministravano la giustizia in nome del Re[87]. Il diritto particolare degli uffici amministrativi si sviluppò in seguito a questa sottrazione alla giurisdizione ordinaria, che al contempo era anche un’esenzione dal diritto comune[88].
Già nell’Editto di Saint Germain del 1641 si rinveniva una chiara «affermazione del principio di separazione delle autorità amministrative da quelle giudiziarie[89]», non a caso nell’Editto si legge: «Nous avons, de l'avis d'icelui et de notre certaine science, pleine puissance et autorité royale, dit et déclaré, disons et déclarons que notredite cour de parlement de Paris et toutes nos autres cours, n'ont été établies que pour rendre la justice à nos sujets ; leur faisons très expresses inhibitions et défenses, non seulement de prendre, à l'avenir, cognoissance d'aucunes affaires semblables à celles qui sont cy-devant énoncées, mais généralement de toutes celles qui peuvent concerner l'état, administration et gouvernement d'icelui que nous réservons à notre personne seule et de nos successeurs rois, si ce n'est que nous leur en donnions le pouvoir et commandement spécial par nos lettres-patentes, nous réservant de prendre sur les affaires publiques les advis de notredite cour de parlement, lorsque nous le jugerons à propos pour le bien de notre service [90]». Emerge con chiarezza da questo passaggio la distinzione tra le «liti dei sudditi fra loro[91]» da un lato, per le quali rendere giustizia spettava al Parlamento e alle Corti; gli affari di governo e d’amministrazione dall’altro lato, sottratti invece ai giudici “ordinari”.
Tale separazione tuttavia non implicava l’assenza di organi giurisdizionali per le vicende relative al governo e all’amministrazione, dal momento che esistevano giudici speciali, i quali erano: il sovrano e il suo consiglio; «le corti e le camere dei conti[92]»; gli intendenti[93]. Gli atti posti in essere dalle pubbliche autorità comunque, anche se dovevano tenere conto degli interessi dei singoli, non potevano comunque essere dichiarati né illegittimi né lesivi degli altrui diritti, di conseguenza i privati che avessero ritenuto di aver subito un danno nei loro interessi, potevano solo rivolgersi alle autorità superiori e in alcuni casi al sovrano, chiedendo la riparazione del torto in via di grazia ma non in via di giustizia. Solamente alcuni rapporti patrimoniali – quelli derivanti ad esempio dall’amministrazione e dall’alienazione dei beni dello Stato oppure dall’applicazione e dalla riscossione dei tributi o ancora dalla responsabilità civile dei pubblici funzionari – potevano formare oggetto di controversie giurisdizionali; queste ultime tuttavia rientravano quasi sempre nella competenza dell’intendente di finanza o della Camera dei conti[94].
Vent’anni dopo l’Editto, una decisione del Conseil di Luigi XVI segnò il declino delle giurisdizioni speciali, poiché inibì loro di risolvere le controversie che il sovrano avesse deciso di riservare a sé stesso, conseguentemente le dispute in materia amministrativa furono devolute in primo grado agli intendenti, in appello al Conseil Du Roi. Durante gli ultimi due secoli dell’Ancien Regime e soprattutto nel corso del Settecento venne chiarita e formalizzata ancor di più «la specialità del diritto amministrativo[95]», sia in relazione alle peculiarità dei «poteri attribuiti alle pubbliche amministrazioni[96]» che per la specificità del contenzioso amministrativo, che sfuggiva al potere giudiziario[97].
Nell’esperienza transalpina le origini dell’immunità degli atti dell’amministrazione rispetto al sindacato del giudice ordinario furono provocate sia ragioni ideologiche che politiche, dato che riflettevano il secolare contrasto esistente tra il Governo e i Parlamenti. Questi ultimi, essendo «in origine assemblee rappresentative dei ceti più elevati[98]», svolgevano le funzioni di «giudici superiori d’appello[99]» e rivendicavano le proprie competenze «nelle vertenze contro gli atti dell’amministrazione[100]», conseguentemente entravano spesso in conflitto con le autorità amministrative. A partire dal XVIII secolo era stato sancito nei decreti regi che i Parlamenti non dovessero interferire sull’attività dell’amministrazione[101], essendo questa un potere autonomo non poteva essere in alcun modo limitata dal potere giurisdizionale. Con la fine dell’Ancien régime furono travolti anche i Parlamenti, ma le forze rivoluzionarie si mostrarono diffidenti verso la magistratura, costituita tradizionalmente da elementi contigui all’aristocrazia, conseguentemente tra il 1789 e il 1790 dapprima l’Assemblea nazionale e poi l’Assemblea costituente sancirono solennemente il divieto per gli organi giurisdizionali di intervenire sull’amministrazione, la quale, essendo un potere autonomo non avrebbe dovuto essere limitata dal potere giurisdizionale, in caso contrario infatti il giudice chiamato a sentenziare sull’amministrazione, avrebbe finito con l’interferire sull’attività amministrativa[102]. Dato che i magistrati non potevano giudicare sulle misure dell’amministrazione era loro interdetto il giudizio sugli agenti pubblici per i loro atti amministrativi[103].
Dunque il legislatore francese del periodo rivoluzionario segnò una linea di demarcazione formale tra l’attività giudiziaria e la funzione amministrativa, per mostrare anche di aver archiviato l’epoca[104] nella quale vi era un continuum inscindibile tra «giudicare e amministrare[105]», difatti la legge sull’ordinamento giudiziario del 16 – 24 agosto 1790 all’art. 16 stabilì:
«Les fonctions juidiciaries sont distinctes, et demeurent toujuours séparées des fonctions administratives. Les juges no pourront, à peine de forfaiture, troubler, de quelque maniére que ce soit, les operations des corps administratifs, ni citer devant eux les administrateurs, pour raison de leurs fonctions[106]».
Proseguiva dunque l’esclusione, in via di principio, del giudice ordinario dal contenzioso in materia amministrativa; scomparso il Consel du Roi a seguito della rivoluzione, fu affidata fondamentalmente ai ministri la risoluzione delle dispute che coinvolgevano le pubbliche amministrazioni[107].
La rivoluzione francese, facendo in un primo tempo tabula rasa sia dei residui feudali ed assolutistici che dei primi rudimentali istituti del contenzioso amministrativo offrì in seguito, grazie alla separazione dei poteri, la migliore struttura organizzativa, quando si passò dall’iniziale radicalismo rivoluzionario a posizioni più moderate, secondo le quali il controllo amministrativo doveva essere affidato ad appositi organi di giustizia distinti però da quelli dell’amministrazione anche se appartenenti al potere esecutivo e non a quello giurisdizionale. Con la creazione del Consel d’Etat – era una derivazione del Consel du Roi vigente durante la monarchia assoluta – nacque quel sistema di giustizia amministrativa il cui centro si rinviene in un complesso di giudici distinti ma non separati dagli organi d’amministrazione.
Il Consiglio di Stato, istituito dalla Costituzione del 22 frimaio dell’anno VIII (22 febbraio 1799), operava come organo consultivo del Governo[108] , peraltro tale Carta costituzionale da un lato demandava le questioni di diritto privato nonché determinate questioni tributarie ai tribunali ordinari, dall’altro lato attribuiva ai Consigli di Prefettura – erano sostanzialmente collegi amministrativi locali – numerose controversie relative all’esercizio dei pubblici poteri, riconoscendo a tali Consigli sia una potestà amministrativa che una potestà giurisdizionale; la Costituzione assegnava inoltre ad altri collegi, quale la Corte dei Conti, competenze giurisdizionali su particolari questioni; assegnava al Consiglio di Stato potestà generale relativamente alla legittimità dei provvedimenti ministeriali, sulla impugnativa delle pronunce dei Consigli di Prefettura, sui conflitti di attribuzione tra tribunali e Pubblica amministrazione, pur non modellando l’attività del Conseil d’Etat come esercizio di funzione giurisdizionale, bensì semplicemente come esercizio di funzione consultiva e riservando al Capo dello Stato il decreto destinato a dare attribuzione alle delibere del Conseil[109].
Nel corso dell’epoca napoleonica il Conseil divenne un organo incaricato dell’intero apparato amministrativo e dotato di competenze proprie[110]; fu mantenuto anche dai Borbone, una volta restaurata la monarchia sul trono di Francia, così come il sistema del contenzioso amministrativo, il quale sopravvisse alla caduta di Napoleone, rafforzandosi e «divenendo il modello di tutela nei confronti della pubblica amministrazione prevalente nell’Europa continentale»[111], in particolare nella penisola italiana, radicandosi nelle regioni sottoposte all’influenza francese[112].
Il sistema del contenzioso amministrativo non offriva tuttavia un’effettiva tutela verso l’amministrazione o gli arbitri che potevano essere perpetrati da essa[113]. È nota infatti la polemica di Alexis De Tocqueville nei confronti di questo sistema[114], non a caso presentando nel 1846 il Cours de droit adminitratif di L.A. Macarel all’Académie des Sciences morales et politiques[115] affermò:
«Oso dire, signori, che questi sono degli assiomi di diritto che nessun popolo libero, e aggiungerei, che nessun popolo civile ammetterà mai […] Ora, ogni volta che un cittadino dovrà difendere un diritto di questa specie contro un altro cittadino suo uguale, gli si permetterà di adire i tribunali ordinari e i giudici inamovibili; ma se si tratta di difendere questo medesimo diritto contro l’amministrazione? Egli dovrà accettare dei giudici che rappresentano l’amministrazione stessa. Non solo, non potrà neppure fidarsi della sentenza di questi giudici, perché qui la giustizia è riservata […]. La regola generale è che ogni processo deve andare davanti a quella giustizia che offre le maggiori garanzie alle due parti, chiunque tali parti siano[116]».
La relazione di Tocqueville si concludeva infine con un’invettiva contro il sistema francese[117]:
«Tutti gli stranieri, si dice, ci invidiano la nostra amministrazione e, soprattutto, l’estrema centralizzazione che la caratterizza. Si tratta di un luogo comune, signori, che, come spesso càpita, non è altro che un comune errore […]. Non si trova alcuna traccia di una simile opinione nelle due grandi nazioni libere che esistono oggigiorno al mondo; mille volte ho avuto occasione di trattare questo argomento con gli uomini più illuminati d’America e d’Inghilterra, ed affermo davanti all’Accademia che non ho incontrato uno solo che volesse adottare per il suo paese il nostro sistema amministrativo, prendendolo nel suo complesso e con l’impronta che vi ha lasciato la mano potente di Napoleone, né che pensasse che un tale sistema potesse a lungo essere compatibile con la libertà[118]».
3. Il contenzioso amministrativo negli stati italiani preunitari: Granducato di Toscana e Napoli
Guido Zanobini ha rilevato come negli antichi stati italiani «la difesa dei diritti individuali fu affidata costantemente a mezzi, del tutto illusori, dei ricorsi alle stesse autorità amministrative ed al principe[119]», che furono propri in generale di tutti governi assoluti[120]. Tale affermazione non è esatta in generale, dato che istituti, seppur rudimentali di giustizia amministrativa, esistevano anche negli stati assoluti, né del tutto veritiera per il panorama italiano[121]. Al riguardo è sufficiente volgere lo sguardo alla Regia Camera Sommaria operante a Napoli, la quale fu per tre secoli e mezzo un organo di giustizia amministrativa della monarchia meridionale[122].
Con la dominazione napoleonica queste istituzioni furono spazzate via e furono estesi alla penisola italiana princìpi ed istituti del contenzioso francese: nel Regno d’Italia furono istituiti, sulla falsariga del modello transalpino, un Consiglio di Stato e un Consiglio di Prefettura, provvisti di poteri in linea di massima analoghi agli omonimi istituti francesi[123]. Il Consiglio di Stato e i Consigli di Prefettura furono dotati di funzioni di amministrazione consultiva e giurisdizionale, sebbene, sotto la vigenza del principio della giustizia ritenuta ossia «imputata formalmente in capo al sovrano»[124] le funzioni giurisdizionali dovessero essere esercitate sotto forma di pareri o proposte, che diventano esecutivi soltanto se recepiti un decreto del monarca[125].
La Restaurazione eliminò tali istituti, e i monarchi assoluti, una volta rientrati in possesso del trono nelle varie regioni italiane dopo la caduta di Napoleone, resuscitarono immediatamente l’antica legislazione, affidando la tutela degli interessi privati all’arbitrio dei funzionari amministrativi[126]; in ogni caso il sistema francese rimase un esempio per il «nascente liberalismo[127]» italico, il quale aspirava ad ottenere, nell’interesse dei sudditi, una forma di controllo sull’attività dell’amministrazione[128]. Si sviluppò quindi sotto l’influsso delle correnti politiche liberali un movimento volto ad influenzare i governi della penisola per adottare, nel campo della pubblica amministrazione e nello specifico in quello del contenzioso, istituzioni analoghe a quelle transalpine. Peraltro i sovrani assoluti, analizzando la situazione dalla prospettiva degli interessi dell’amministrazione, ritennero utile assecondare tali aspirazioni[129], pertanto in molti degli stati preunitari risorsero gli istituti del contenzioso amministrativo e le controversie con l’amministrazione furono devolute ai Tribunali del contenzioso amministrativo, «organi collegiali aventi natura amministrativa e inseriti, sia pure con qualche garanzia di indipendenza, nella organizzazione del potere esecutivo[130]».
Conseguentemente nella maggior parte degli stati preunitari risorsero gli istituti del contenzioso amministrativo: nel Regno delle Due Sicilie con la legge del 25 marso 1817[131], nello Stato Pontificio con la promulgazione dell’editto Gamberini del 1835; nel Regno di Sardegna con le Regie Patenti del 25 agosto e del 31 dicembre 1842, mentre nel Ducato di Parma gli istituti francesi non erano mai stati soppressi. Non furono adottati istituti del contenzioso amministrativo né nel Regno Lombardo-Veneto né nel Ducato di Modena, mentre nel Granducato di Toscana esistevano speciali collegi quali i Consigli di Prefettura, il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, dotati di giurisdizione in alcune questioni tecniche amministrative[132]. E proprio la situazione delineatasi nel Granducato era incerta[133], in quanto, sulla scorta della teoria di Michele Bertetti, autore de “Il contenzioso amministrativo in Italia” tradizionalmente si riteneva che «in Toscana non vi fosse stato un contenzioso amministrativo[134]» propriamente detto[135] e che tale locuzione indicasse nel Granducato semplicemente un sistema di ricorsi a tutela dei «semplici interessi[136]». Di avviso opposto era invece Federico Cammeo, che, sulla base degli studi di Isacco Rignano, il quale aveva dato alle stampe nel 1857 “Il Saggio di un manuale del diritto pubblico interno della Toscana”[137] reputava esistente nella regione toscana un contenzioso amministrativo, privo di competenza generale ma stabilita per categorie di materie, dotato peraltro di veri e propri organi di giustizia amministrativa oltre la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato e il Consiglio di Prefettura[138]. L’opinione formulata da Cammeo era imperniata peraltro sulla giurisprudenza e sulla legislazione vigenti nel Granducato, in particolare sulla giurisdizione di primo grado del Consiglio di Prefettura e su quella d’appello del Consiglio di Stato verso i ricorsi presentati dagli interessati contro eventuali delibere dei Consigli comunali viziate da nullità per difetto di forma e violazione di legge[139].
Tra gli ordinamenti che avevano accolto il sistema del contenzioso sono degni di estrema attenzione quello borbonico e quello piemontese. Nel Regno delle Due Sicilie, con la legge del 21.03.1817[140] fu ripristinato il modello del contenzioso amministrativo[141]. Secondo questo sistema erano organi del contenzioso: nei municipi i Sindaci e i Consigli elettivi; nelle province i Consigli d’Intendenza; la Gran Corte dei Conti[142] a Napoli e a Palermo[143]. La Gran Corte a Napoli era ripartita in tre sezioni denominate Camere: la prima di esse rappresentava precisamente la Camera del contenzioso amministrativo ed esercitava le funzioni giurisdizionali della Gran Corte[144]. Le sentenze emesse degli organi inferiori erano soggette ad appello presso gli organi superiori, mentre «le decisioni prese dalla Corte dei Conti non divenivano esecutive senza l’approvazione del monarca[145]», vigeva quindi «il principio della giustizia ritenuta[146]». Nel 1824 fu creata la Consulta generale del Regno, cui però non furono mai assegnati funzioni giurisdizionali ma solo consultive, il monarca però poteva chiedere un parere sui provvedimenti da adottare verso le decisioni contenziose prese dalla Gran Corte, attribuendo così alla Consulta una diretta ingerenza sull’espletamento delle funzioni della giustizia ritenuta[147].
Il contenzioso napoletano merita di essere segnalato per le sue pregevoli caratteristiche: per la grande accuratezza nella sua struttura oltre che per una minuziosa disciplina del procedimento innanzi ai giudici del contenzioso; per la sua continuità «con gli ordinamenti prerivoluzionari[148]»; per essere stato uno stimolo per «il pensiero scientifico amministrativo[149];» per la piena consapevolezza delle “ragioni politiche” degli istituti amministrativi che ispirò l’azione di uomini di governo di orientamento riformatore quali Luigi de’ Medici e Giuseppe Zurlo[150].
4. Il Regno di Sardegna
Nel Regno di Sardegna con l’editto del 18 agosto 1831 Carlo Alberto istituì un Consiglio di Stato, con funzioni consultive e ripartito in tre sezioni: Interno; Giustizia; Grazia e affari ecclesiastici, sempre l’editto statuiva che il parere del Consiglio di Stato fosse obbligatorio prima adottare una serie di atti tra i quali: atti aventi forza di legge; regolamenti; conflitti fra giurisdizione giudiziaria e amministrazione; bilancio generale dello Stato, liquidazioni contenziose[151].
E proprio sul Consiglio di Stato sono stati pubblicati diversi studi; al riguardo è essenziale ricordare come a lungo il punto centrale della discussione è stato quello relativo alla difformità tra gli intenti riformatori e la realtà in cui si trovò ad operare la riforma posta in essere da Carlo Alberto: l’indagine si è polarizzata spesso sulle modalità con le quali l’istituto, fin dal momento stesso in cui iniziò ad esistere, venne soffocato, «impedendosi allo stesso di esprimere appieno tutta la potenzialità innovativa della quale lo si era, all’origine, forse ritenuto capace[152]». Sul Consiglio di Stato scrive Carlo Ghisalberti: «Vero è, però, che il Consiglio di Stato Piemontese, investito di una competenza consultiva assai vasta e rappresentativo per la composizione della sua adunanza generale degli interessi di tutto il paese, veniva trasformato, per le mene conservatrici dell’oligarchia ministeriale […] da una istituzione politica di largo respiro in quell’organo esclusivamente consultivo della pubblica amministrazione la cui vicenda resterà strettamente legata alla storia del diritto italiano[153]».
5. l sistema del contenzioso amministrativo nello Stato sabaudo
Anche nel Regno di Sardegna, come nella maggior parte degli stati italiani preunitari[154], «vigeva il sistema del contenzioso amministrativo »[155], introdotto con le regie Patenti del 25 agosto e del 31 dicembre 1842[156].
Il principio ispiratore dei due atti normativi fu quello di distinguere le attribuzioni economiche ossia puramente amministrative da quelle amministrative contenziose; le prime vennero assegnate agli intendenti; le seconde ai Consigli d’Intendenza, dotati di una e vera propria giurisdizione e avverso le cui decisioni era possibile presentare appello alla Corte dei Conti[157].
L’ordinamento introdotto nel 1842 risultava dunque imperniato su due categorie di giurisdizioni: in primo luogo i Consigli di Intendenza, i quali operavano come tribunali ordinari del contenzioso amministrativo; in secondo luogo la Camera dei conti. I Consigli di Intendenza coincidevano sia per la composizione che per l’estensione territoriale delle loro competenze con i Consigli di prefettura dell’ordinamento transalpino; la Camera dei Conti era invece l’organo supremo di controllo finanziario dello Stato sabaudo, formato da magistrati inamovibili e dotato di grande prestigio. Le materie riservate alla giurisdizione dei tribunali del contenzioso amministrativo erano le seguenti: contribuzioni dirette e indirette dovute allo Stato, ai comuni, ai regi economati e agli altri enti pubblici; interpretazione ed esecuzione di contratti di affitto di beni pubblici, di appalti e forniture; la materia catastale; gli affari concernenti strade ed acque pubbliche; le questioni relative agli stipendi dei funzionari statali e comunali nonché le materie concernenti la contabilità e la responsabilità contabile[158]. Inoltre la competenza si estendeva ai giudizi di natura penale, se vertenti su contravvenzioni in materia tributaria e alla materia dell’espropriazione. Per i giudizi di primo grado erano competenti i Consigli d’Intendenza, in secondo grado la Camera dei Conti[159], quando il valore della causa superava determinati limiti[160]. Le leggi del 1842, seppur apprezzate, dato che avevano portato all’istituzione di un giudice per materie in passato riservate agli intendenti, sembrarono ben presto insufficienti e non idonee – in taluni casi si obiettava come per questioni di diritto civile “puro” fosse designato un giudice speciale - a regolare la materia, conseguentemente furono avanzate verso di esse sia critiche radicali che più tenui solleciti di riforma; le leggi del 1842 peraltro subirono modifiche secondarie nel 1847 e nel 1853[161]. In particolare l’editto del 1847 conteneva un’elencazione di materie per le quali era ammesso il ricorso ai Consigli di Intendenza e in secondo grado alla Camera dei Conti, senza tuttavia eliminare ogni forma di dubbio sul carattere tassativo oppure esemplificativo dell’elenco[162].
6. Osservazioni conclusive
Le «riforme degli anni Quaranta[163]» portarono all’assegnazione ai tribunali del contenzioso amministrativo sia di questioni in precedenza riservate alla pubblica amministrazione[164] sia di questioni di natura civile, meritevoli di beneficiare di «tutela non dissimile[165]» da quella prevista per le controversie solitamente devolute ai giudici ordinari.
Con l’introduzione del regime costituzionale nel 1848[166] i tribunali del contenzioso amministrativo furono messi in discussione, dato che lo Statuto aveva posto la riserva della funzione giurisdizionale al giudice ordinario[167], in quanto il pensiero liberale, il quale oramai aveva preso il sopravvento negli organi legislativi, era favorevole a sottrarre la giurisdizione amministrativa agli organi del potere esecutivo e devolverla ai tribunali ordinari[168]. Alla posizione di coloro che erano favorevoli alla giurisdizione unica e decisi a procedere ad una radicale riforma, volta ad abolire il contenzioso amministrativo e devolvere «tutte le liti con l’amministrazione ai tribunali ordinari[169]» se ne contrapponeva una seconda, di natura moderata, orientata verso un «semplice riordino del contenzioso amministrativo [170]» e ad assegnare le controversie di natura spiccatamente patrimoniale alla giurisdizione ordinaria[171].
Tali opinioni si confrontarono in sede parlamentare, difatti nel 1850 alla Camera dei deputati il ministro Galvagno avanzò la proposta di abolire il contenzioso amministrativo e di devolvere le liti con l’amministrazione sia in materia civile che penale ai tribunali ordinari[172], ma tale progetto non fu accolto e prevalse la linea, orientata al riordino del contenzioso amministrativo, di cui era sostenitore Rattazzi.
Con i decreti reali del 30 ottobre 1859 fu confermato il sistema del contenzioso amministrativo. I Consigli d’Intendenza furono sostituiti dalla Consigli di Governo, che divennero i tribunali ordinari del contenzioso; la Camera dei Conti venne sostituita dalla Corte dei Conti e a quest’ultima furono traferite soltanto le funzioni relative alla materia e responsabilità contabile; tutte le altre funzioni furono attribuite al Consiglio di Stato[173], «supremo organo consultivo del Regno d’Italia» il quale ebbe dunque una «Sezione del contenzioso amministrativo[174] » e finì dunque con l’unire in sé «funzioni consultive e funzioni contenziose[175]».
Alla vigilia dell’Unità d’Italia quindi la «tutela del privato contro l’amministrazione[176]» era ripartita quindi fra i giudici ordinari del contenzioso amministrativo – questi erano competenti relativamente ad appalti pubblici, imposte indirette e tasse, demanio stradale, trattamento economico dei funzionari degli enti locali -; giudici speciali del contenzioso amministrativo – giudici speciali in quanto dotati di competenze ridotte, quali le controversie in materia di contabilità pubblica, devolute alla Corte dei Conti e quelle in materia di pensioni, assegnate in unico grado al Consiglio di Stato - ; infine giudici ordinari, competenti per le controversie relative ai contratti della pubblica amministrazione diverse da quelle devolute alla cognizione dei giudici speciali del contenzioso amministrativo, nonché per quelle relative alla proprietà e alle imposte dirette[177].
In conclusione si può osservare che il sistema del contenzioso amministrativo era imperniato da un lato nell’idea secondo la quale sia le funzioni giurisdizionali che amministrative erano «emanazione personale[178]» del sovrano, dall’altro lato nella impermeabilità assoluta «tra giurisdizione e amministrazione[179]»; in virtù di tale impermeabilità l’amministrazione risultava essere un «sistema in sé completo[180]» e ripartito in amministrazione attiva e amministrazione contenziosa. E in quest’impianto i tribunali del contenzioso amministrativo erano espressione della stessa amministrazione – con notevoli carenze sotto l’aspetto di autonomia e terzietà – nonché gli unici riconosciuti a dirimere le controversie tra la pubblica amministrazione attiva e i cittadini concernenti gli affari amministrativi tipicamente individuati e non assegnate al diritto comune[181]. Inoltre le competenze assegnate ai giudici ordinari e speciali del contenzioso amministrativo e ai giudici ordinari non esaurivano del tutto il settore di vertenze che potevano nascere tra la pubblica amministrazione e i privati, dato che residuava una vasta area di attività amministrativa sottratta a qualsivoglia forma di controllo giurisdizionale ossia l’«amministrazione economica[182]», vale a dire quell’attività amministrativa non regolata da specifiche disposizioni legislative né da regolamenti oppure rimessa alle valutazioni tecniche o discrezionali dell’amministrazione[183].
Dopo l’unificazione del paese, la pluralità di diversi modelli di giustizia amministrativa in vigore nelle regioni italiane diede nuova linfa al dibattito relativo alla riforma del contenzioso amministrativo[184]; da un lato vi erano i sostenitori «del sistema francese del contenzioso amministrativo[185]»; dall’altro lato i fautori del «sistema belga della giurisdizione unica[186]». E a prevalere fu proprio quest’ultima posizione, la quale riteneva che la tutela del cittadino verso la pubblica amministrazione fosse garantita meglio dal giudice ordinario piuttosto che dal giudice amministrativo[187]. L’approvazione della legge. 20 marzo 1865 attuò infine l’unificazione dell’ordinamento amministrativo italiano e portò all’abrogazione delle discipline degli stati preunitari, che erano rimaste ancora in vigore[188].
Circa l’origine del diritto amministrativo alcune ricostruzioni storiche ritengono che avrebbe origini risalenti nel tempo, altre invece che sia nato in fasi più recenti da collocarsi alla fine al XVIII secolo; per il periodo precedente è stata coniata l’espressione «preistoria del diritto amministrativo» v. L. MANNORI – B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma – Bari, 2001, 3.
[2] G. NAPOLITANO, op. loc. ult. cit.
[3] M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2019, 4. Per quanto concerne la tesi che reputa esistente il diritto amministrativo nel corpus del diritto romano v. D. SERRIGNY, Droit Public et administratif romain, Vol. I e Vol. II, Paris, 1862.
[4]. M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit. Sulla teoria che colloca l’origine del diritto amministrativo all’epoca medievale, nello specifico nell’undicesimo secolo cfr. J.L. MESTRE, Introduction historique au droit administratif français, Paris, 1985.
[5] M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, 27.
[6] M. CLARICH, op. loc. ult. cit.
[7] G. F. FERRARI, «Civil law» e «common law»: aspetti pubblicistici in P. CARROZZA – A. DI GIOVINE – G.F. FERRARI, Diritto costituzionale comparato, Tomo II, Roma – Bari, 2014, 793.
[8] G. F. FERRARI, op. loc. ul. cit.
[9] G. F. FERRARI, op. loc. ul. cit.
[10] G. F. FERRARI, op. loc. ul. cit.
[11] L. MANNORI, Uno stato per Romagnosi. La scoperta del diritto amministrativo, Vol. 2, Milano, 4 – 5.
[12] L. MANNORI, op. loc. ult. cit.
[13] L. MANNORI, op. loc. ult. cit.
[14] L. MANNORI, op. loc. ult. cit.
[15] L. MANNORI, op. loc. ult. cit.
[16] L. MANNORI, op. loc. ult. cit. Sul punto v. P. LEGENDRE, Histoire de la pensée administrative française, in Traité de science admnistrative, Paris, 1966, 1- 80.
[17] G. F. FERRARI, op. cit., 793 – 794.
[18] M. D’ALBERTI, op. cit., 8.
[19] A. De TOCQUEVILLE, L’Ancien régime et la révolution, tr. it L’Antico Regime e la Rivoluzione a cura di Candeloro, Milano, 2019, 71.
[20] M. D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato, Bologna, 39.
[21] A. De TOCQUEVILLE, op. cit., 71.
[22] A. DE TOCQUEVILLE, op. loc. ult. cit.
[23] A. DE TOCQUEVILLE, op. loc. ult. cit.
[24] «Perché dopo l’89 – scrive De Tocqueville - la costituzione amministrativa è rimasta in piedi fra le rovine delle costituzioni politiche. Mutava la persone del principe o le forme del potere centrale, ma il corso giornaliero degli affari non era né interrotto né turbato; ognuno continuava a restar sottoposto, nei piccoli interessi che lo riguardavano particolarmente, alle regole e agli usi che conosceva; dipendeva dai poteri secondari ai quali aveva sempre avuto l’abitudine di rivolgersi e per solito aveva da fare coi medesimi incaricati; perché, se anche ad ogni rivoluzione l’amministrazione era decapitata, il suo corpo rimaneva intatto e vivo; le stesse funzioni erano esercitate dagli stessi funzionari, i quali portavano attraverso le diverse leggi politiche la loro mentalità e la loro procedura. Giudicavano e amministravano prima in nome del re, poi in nome della repubblica, infine in nome dell’imperatore. Poi, quando la fortuna fece ripetere alla ruota lo stesso giro, ricominciarono ad amministrare e a giudicare per il re, per la repubblica, per l’imperatore, sempre gli stessi e nello stesso modo; che cosa importava infatti il nome del padrone? Essi dovevano non tanto essere buoni cittadini, quanto buoni amministratori e buoni giudici. Passata la prima scossa, sembrava loro che nulla si fosse mosso nel paese». A. DE TOCQUEVILLE, op. cit., 239.
[25] S. LICCIARDELLO, La formazione del diritto amministrativo, in A.A.V.V., Istituzioni di diritto amministrativo Torino, 2017, 5.
[26] S. LICCIARDELLO, op. loc. ult. cit.
[27] S. LICCIARDELLO, op. loc. ult. cit. cfr. inoltre F. BENVENUTI, L’amministrazione e la rivoluzione francese, in Scritti per Mario Nigro, II, ora in F. BENVENUTI, Scritti giuridici. Volume V, Milano, 2006, 4215.
[28] M. D’ALBERTI, op. cit., 40.
[29] M.S. GIANNNI, Profili storici della scienza del diritto amministrativo, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, 2, Milano, 1973, 185.
[30] M. S. GIANNINI, op loc. ult.. cit.
[31] M. S. GIANNINI, op. loc. ult. cit.
[32] M. S. GIANNINI, op. cit., 184.
[33] M. D’ALBERTI, op. cit., 41.
[34] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[35] A. DE TOCQUEVILLE, op. cit., 72- 73.
[36] M. D’ALBERTI, op. cit., 42.
[37] A. DE TOCQUEVILLE, op cit. 74.
[38] M. CARAVALE, Storia del diritto nell’Europa moderna e contemporanea, Roma – Bari, 2011, 126.
[39] G. NEGRELLI, L’età moderna, Padova, 1991, 321.
[40] M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, 8.
[41] M. D’ALBERTI, op loc. ult. cit..
[42] M. D’ALBERTI, op loc. ult. cit..
[43] M. CARAVALE, op. cit. p. 126 «È sostanzialmente creazione di Richelieu – scrive Giorgio Negrelli - il sistema degli «intendenti». Si tratta di agenti inviati dal Re nelle province con missioni temporanee, scopi definiti( di giustizia, di polizia e di finanza) e con ampi poteri, ma sono destinati a divenire in breve tempo i «commissari» permanenti del Governo centrale in tutta la Francia. Sono nominati direttamente dal Re e la loro funzione è revocabile e non soggetta a compravendita. Gli intendenti sono tratti dalle file di quei «maîtres des requeêtes» (maestri dei ricorsi; originariamente giudici nei ricorsi al Re, poi genericamente: alti funzionari) che hanno costituito l’ossatura della burocrazia statale che vanno rapidamente infiltrandosi anche nei supremi organi politici […] a scapito della nobiltà. Provengono dunque da quella stessa borghesia e nobiltà «di toga» di cui vanno a controllare l’attività negli «uffici»: al termine di un’evoluzione secolare, la Monarchia sa dunque di potersi fondare non tanto su nuove istituzioni, quanto su uomini capaci di anteporre l’interesse dello Sato a quello delle consorterie o del particolarismo locale». G. NEGRELLI, op. cit. p. 321; v. inoltre A. TENENTI, L’età moderna. XVI-XVIII secolo, Bologna, 1990, 381. Sulla politica portata avanti da Luigi XIII cfr. inoltre M. ASCHERI, Introduzione storica al diritto moderno e contemporaneo, Torino, 2008, 122.
[44] M. CLARICH, op. cit., 29.
[45] A. DE TOCQUEVILLE, op. cit., 73 - 74.
[46] M. D’ALBERTI op. cit., p. 8.
[47] M. D’ALBERTI, op. cit., 8.
[48] A. DE TOCQUEVILLE, op. cit., 75.
[49] M D’ALBETI, Diritto amministrativo comparato, 42.
[50] M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, 9.
[51] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[52] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[53] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[54] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[55] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[56] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[57] A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, Roma – Bari, 2007, 436.
[58] M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, 9.
[59] A. PADOA SCHIOPPA, op. cit., 436.
[60] M. MAZZAMUTO, I principi costitutivi del diritto amministrativo come autonoma branca del diritto in Studi sui principi del diritto amministrativo, a cura di Renna e Saitta, Milano, 2012, 14- 15.
[61] M. MAZZAMAMUTO, op. loc. ult. cit.
[62] M. MAZZAMUTO, op. loc. ult. cit.
[63] S. CASSESE, Il diritto amministrativo. Storia e prospettive, Milano, 2010, 15 – 16.
[64] M D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato, 45.
[65] E. CASETTA Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, 10.
[66] E. CASETTA, op. loc. ult. cit.
[67] A. SANDULLI, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1800-1945), Milano, 2009, 3.
[68] A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[69] A. SANDULLI, op loc. ult. cit.. Sul punto vedi inoltre J.- L. MESTRE, Aux origines de l’einsegnement du droit administratif: le «Cours de legislation administrative» de Portiez de l’Oise (1808) in Revue française de droit administratif, 1993, 244.
[70] G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo. Volume I, Milano, 1957, 41.
[71] A. SANDULLI, op. cit. p. 3.
[72] A. SANDULLI, op. cit. p. 5. Su Giuseppe Cridis vedi G. BUNIVA, Giuseppe Cridis in Annotatore Piemontese, marzo 1839. Per quanto riguarda la fase primordiale della scienza amministrativa italiana cfr. C. MOZZARELLI – S.NESPOR, La codificazione del diritto amministrativo. Giuristi e istituzioni nello Stato liberale, in Riv. trim. di diritto pubblico, 1976, 1087 ss.: G. REBUFFA, La formazione del diritto amministrativo in Italia. Profili di amministrativisti preorlandiani, Bologna, 1981.
[73] A. SANDULLI op. cit., 5; v. inoltre. R. FLEURIGEON, Code Amnistratif ou Recueil par ordre alphabétique de matières, de toutes le lois nouvelles et anciennes, relatives aux functions administratives et de police, Paris, 1806.
[74] A. SANDULLI, op. cit. p. 6. Sul punto v. P. ESCOBUE, Charles Bonnin, précourseur de la scienze de l’Administration, in Revue administrative, 1958, 15 ss.
[75] A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[76] A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[77] A. SANDULLI, op. cit., 7.
[78] L. MANNORI, op. cit., 12.
[79] L. MANNORI, op. loc. ult. cit.
[80] A. SANDULLI, op. cit., 7.
[81] A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[82] L’opera di Romagnosi è universalmente conosciuta come “Princìpi fondamentali di diritto amministrativo” ma tale titolo invero è quello della seconda edizione, edita a Firenze nel 1832, dal momento che la prima edizione, edita a Milano nel 1814 era stata data alle stampe con il titolo di Instituzioni di diritto amministrativo, v. A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[83] G. ZANOBINI op. cit., 47. La dottrina a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento ha tessuto le doti dell’opera di G.D. Romagnosi, al riguardo v. G. TOMMASINI, La nozione del diritto amministrativo nell’opera di G.D. Romagnosi, Parma, 1892; ID. Il concetto della giustizia amministrativa in G.D. Romagnosi, Parma, 1901; G. CALGI, G.D. Romagnosi: la vita, i tempi, le opere: 11 dicembre 1761 – 8 dicembre 1835, Roma, 1935.
[84] A. SANDULLI, op. cit., 7.
[85] G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Vol. II, Milano,10.
[86] M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1994, 24.
[87] P. ALVAZZI DEL FRATE, Gli ordinamenti costituzionali in A.A.V.V., Tempi del diritto, Torino, 2016, 292 «I Parlamenti – scrive Paolo Alvazzi del Frate – costituivano la giurisdizione suprema, civile, penale e amministrativa, ed erano dotati di competenza generale d’appello nei confronti delle sentenze emanante dai tribunali regi inferiori o dai giudici signorili. Il Parlamento di Parigi, sorto nella seconda metà del XIII secolo dalla Curia regis, godeva di privilegi particolari e di un’autorità tale da porlo in una posizione di superiorità rispetto alle altre Corti. Oltre al Parlamento di Parigi esistevano dodici “Parlamenti Provinciali”, progressivamente istituiti dal XIV secolo nelle varie province del Regno, cui fu riconosciuto il ruolo di “Corti sovrane” e affidata l’amministrazione della giustizia regia. Alle decisioni del Parlamento di Parigi – e, seppure in misura minore, anche a quelle dei Parlamenti Provinciali – era attribuita efficacia normativa, in particolare quando assumevano la forma di Arrêt de règlement, il cui valore erga omnes era formalmente riconosciuto»; P. ALVAZZI DEL FRATE, op. cit., 293, v. inoltre A. CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, Vol. 1, Milano, 1982, 405 ss.
[88] M. NIGRO, op. cit., 24.
[89] M. NIGRO, op. loc. ult. cit.
[90] ISAMBERT – TAILLANDIER – DECRUSY, Recueil général des anciennes lois françaises, depuis l'an 420 jusqu'à la Révolution de 1789, Tome XVI, Belin – Leprieure, Paris, 1829, 533. Il volume è consultabile sul sito
[91] M. NIGRO, op. cit., 24.
[92] M. NIGRO, op. loc. ult. cit.
[93] M. NIGRO, op. loc. ult. cit.
[94] G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo Vol. II. La giustizia amministrativa, 10.
[95] M. D’ALBERTI, op. cit., 42
[96] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[97] M. D’ALBERTI, op. loc. ult. cit.
[98] A.TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013, 8.
[99] A.TRAVI, op. loc. ult. cit.
[100] A.TRAVI, op. loc. ult. cit.
[101] A.TRAVI, op. loc. ult. cit.
[102] A. TRAVI, op. loc. ult. cit.
[103] G. BIGOT, La responsabilità dell’amministrazione in Francia. Storia e teoria, in Scienza e politica. Per una storia delle dottrine politiche, 22 (42), 2010, tr. it di Nobili, 25.
[104] L. MANNORI – B. SORDI, Giustizia e amministrazione, in Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, a cura di Fioravanti, Roma – Bari, 2002, 75.
[105] L. MANNORI – B. SORDI, op. cit.
[106] A.TRAVI, op. cit., 8. tr. it. «Le funzioni giurisdizionali sono distinte e rimangono sempre separate dalle funzioni amministrative. I giudici non potranno, sotto pena di esorbitanza dal loro potere, interferire in qualunque modo sulle operazioni dei corpi amministrativi, né citare avanti a sé gli amministratori a motivo dell’esercizio delle loro funzioni»
[107] M. D’ALBERTI, op. cit., 44.
[108] Costituzione dell’anno VIII.
Art. 52: «Sotto la direzione dei consoli, un Consiglio di Stato è incaricato di redigere i progetti di legge e i regolamenti d’amministrazione pubblica, e di risolvere le difficoltà che insorgono in materia amministrativa». Per consultare la Costituzione dell’anno VIII ho usato A. SAITTA, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1780 – 1875) Milano, 1971, 516.
[109] A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1979, 801.
[110] A. TRAVI, op cit., 9.
Senato-consulto del 18 maggio 1804
Titolo IX. – Del Consiglio di Stato
Art. 75. «Quando il Consiglio di Stato delibera sui progetti di leggi o sui regolamenti di amministrazione pubblica, i due terzi dei membri del Consiglio in servizio ordinario devono essere presenti. Il numero dei consiglieri di Stato presenti non può essere minore di venticinque».
Art. 76. «Il Consiglio di Stato si divide in sei sezioni; e cioè: sezione della legislazione; sezione dell’interno; sezione delle finanze; sezione della guerra; sezione della marina; e sezione del commercio».
Art. 77. «Quanto un membro del Consiglio di Stato è stato portato per cinque anni sulla lista dei membri del Consiglio in servizio ordinario, egli riceve un brevetto di Consigliere di Stato a vita. – Quando cessa di essere portato sulla lista del Consiglio di Stato in servizio ordinario o straordinario, egli ha diritto solo al terzo dello stipendio di Consigliere di Stato. – Perde il suo titolo e i suoi diritti solo per una sentenza dell’Alta corte imperiale, che comporti pena afflittiva o infamante». v. A. SAITTA, op. cit., 551.
[111] S. LICCIARDELLO, op. cit., 7.
[112] P. AIMO, La giustizia nell’amministrazione dall’800 ad oggi, Roma – Bari, 2000, 31 ss.
[113] S. LICCIARDELLO, op. cit., 7.
[114] M.BELLAVISTA, Il principio della separazione dei poteri nella continuità fra procedimento e processo, in P.A. Persona e amministrazione. Ricerche giuridiche sull’Amministrazione e l’Economia, 2/2018, 52.
[115] S. LICCIARDELLO op. cit., 7.
[116] A. DE TOCQUEVILLE, Relazione sull’opera di Macarel intitolata “Corso di diritto amministrativo”, in Scritti politici, a cura di Matteucci, Vol. I, Torino, 1964, 240 - 241
[117] S. LICCIARDELLO, op. cit., 7.
[118] A. DE TOCQUEVILLE, op cit., 246.
[119] G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo. Volume II. La Giustizia amministrativa, Milano, 1958, p. 28.
[120] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[121] M. NIGRO, op. cit., 52.
[122] C. GHISALBERTI, Contributo alla storia delle amministrazioni preunitarie, Milano, 1963, p. 67, v. inoltre M. Nigro, op. cit., 52. «Si legge – scrive Carlo Ghisalberti - nelle storie civili del Regno di Napoli come Alfonso I d’Aragona riorganizzasse quella Regia Camera della Sommaria, che fu per tre secoli e mezzo circa il supremo tribunale amministrativo della monarchia meridionale, e si apprende inoltre come tale istituzione perdurasse attraverso le differenti vicende dell’ordinamento giuridico napoletano sino alla rivoluzione francese del Novantanove e all’inizio del decennio francese, mantenendo sempre la veste tradizionale datale dalle prammatiche aragonesi. Essa rappresentava nel regno quell’embrionale sistema di giustizia amministrativa che gli Stati dell’antico regime avevano proprio e che garantiva ai sudditi, se non la legittimità dell’azione amministrativa e il buon uso del potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione, come noi oggi li intendiamo, almeno la possibilità di un certo controllo giuridico sull’attività amministrativa. La Regia camera della Sommaria, alla vigilia delle invasioni francesi nel Regno di Napoli, appariva investita di una serie piuttosto ampia di funzioni amministrative e giudiziarie e, pur non essendo un organo di giustizia amministrativa nel senso moderno della parola, aveva una grande importanza nell’ordinamento della monarchia meridionale, sia per la vastità delle materie di sua competenza, sia per il grande interesse pubblicistico che accompagnava la sua attività.» C. GHISALBERTI, op. cit., 67. Sul punto v. inoltre P. GIANNONE, Istoria civile del Regno di Napoli. Tomo III Napoli, 1723, 386 ss.; G. GRIMALDI, Istoria delle e dei magistrati del Regno di Napoli. Tomo IV, Napoli, 335 ss.
[123] M. NIGRO, op. cit., 52.
[124] M. CLARICH, op. cit., 468.
[125] G. ZANOBINI, op. cit., 28.
[126] G. ZANOBINI, op. cit., 29.
[127] M. NIGRO, op. cit., 52.
[128] M. NIGRO, op. cit., 52.
[129] M. NIGRO, op. loc. ult. cit.
[130] F. G. SCOSA, La formazione del sistema, in Giustizia amministrativa, a cura di Scoca, Torino, 2014, 4.
[131] A. TRAVI, op. cit., 14.
[132] G. ZANOBINI, op. cit., 30.
[133] M. NIGRO, op. cit., 52.
[134] M. NIGRO, op. loc. ult. cit.
[135] M. NIGRO, op. loc. ult. cit. Così Michele Bertetti: «In Toscana si può dire che la giurisdizione amministrativa del contenzioso amministrativo non esisteva. Infatti sin d’ora in sole due materie emanavano giudicati da altra autorità che dalla giudiziara. Le controversie riguardanti i contratti di accollo per le strade erano portate avanti ai Consigli di Prefettura, di acque e strade, i quali decidevano unitamente ad un membro della Corte, e con appello devolutivo al Consiglio di Stato. Le questioni relative alla pensioni venivano decise della Corte dei Conti con facoltà di appello ad una Commissione levata dal Consiglio di Stato. Fatta eccezione di ciò, i privati i quali si credevano lesi nei propri diritti dall’autorità amministrativa, promuovevano le loro azioni davanti ai tribunali ordinari. Sebbene la giurisdizione speciale del contenzioso amministrativo in Toscana avesse un campo così ristretto, tuttavia si soleva in quella parte d’Italia chiamar con nome di contenzioso amministrativo il sindacato degli atti dell’amministrazione invocato direttamente o in via gerarchica dalle parti interessate. Adunque in Toscana il contenzioso amministrativo, secondo il significato nel quale tale parola veniva adoperata, comprendeva solo le quistioni riflettenti semplici interessi dei cittadini, le quali, a nostro avviso, come abbiamo a suo luogo spiegato, sono di competenza della stessa autorità amministrativa, e non si estendeva alle controversie di diritto, intorno alle quali è competente solo l’autorità giudiziaria». M. Bertetti, Il contenzioso amministrativo in Italia o l’amministrazione e la giustizia secondo la legge 20 marzo 1865 », Torino, 1865, 74. Il testo è consultabile sul sito ...
[136] M. NIGRO, op. loc. ult. cit.
[137] Così Isacco Rignano: « È stato creduto generalmente, non doversi deferire alla cognizione dei tribunali ordinari simil genere di contestazioni, segnatamente per la ragione, che esse sono suscitate da atti amministrativi, i quali non potrebbero cadere sotto l’esame e la censura dei tribunali ordinari senza offendere il principio che esige un’assoluta cesura tra le autorità amministrative e le autorità giudiciarie; e per l’altra ancora, che i tribunali ordinari non potrebbero convenientemente apprezzare le ragioni di Stato e d’interesse pubblico che possono dar vita agli atti amministrativi, causa delle contestazioni medesime. – Fu invece ravvisata necessaria per la resoluzione di simili controversie, una speciale giurisdizione posta al fianco delle medesime autorità governative, la quale potesse meglio conoscere ed apprezzare i loro atti e le cause delle loro determinazioni, e quindi risolvere con maggiore celerità, con minore apparato di forme, e con maggiori garanzie per l’interesse governativo. Siffatta speciale giurisdizione fu affidata in Toscana per la massima parte al Consiglio di Stato, ai consigli di prefettura e di governo, ed alla regia corte dei conti; tutti i quali collegi presero perciò anche il carattere ed il nome di tribunali amministrativi. – Questi tribunali speciali giudicano alla pari degli altri le controversie loro deferite in primo e secondo grado di giurisdizione; perocchè riconosciuta la necessità della loro istituzione, ragione voleva che per essi pure fosse applicato il principio generale che reclama per tutte le cause civili un secondo grado di giurisdizione, all’effetto che gli errori o gli eccessi dei primi giudicanti possano essere riparati e repressi dai giudici d’appello. – Non tutte però le cause civili nelle quali sia interessato il governo o alcuno dei regi dipartimenti od i municipi, sono di competenza dei tribunali amministrativi: anzi altrove vedemmo, come milita una regola generale affatto opposta, stabilendo le patrie leggi che tutte le cause interessanti la regalìa ed i regi dipartimenti rientrano nella competenza dei tribunali ordinari dello Stato, qualunque ne sia il merito ed in qualunque grado di giurisdizione, come tutte le altre cause interessanti i privati. La competenza dei tribunali amministrativi deve dunque mantenere sempre il carattere di competenza assolutamente eccezionale; essendo stata istituita dalle leggi, per l’indole speciale di talune contestazioni interessanti il governo e le comunità, e non per la ragione che figurano in esse come parti il governo o le comunità medesime. Per regola generale adunque deve ritenersi che anche per contestazioni di simil genere sono competenti i tribunali ordinari, e che la giurisdizione eccezionale dei tribunali amministrativi, deve aver luogo soltanto per quelle la cui cognizione e resoluzione sia loro dalle leggi espressamente attribuita». I. Rignano, Saggio di un manuale del diritto pubblico interno della Toscana, Barbera, Bianchi e C., Firenze, 1857, 184 – 185. Il testo è consultabile sul sito ...
[138]. F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d., 376 ss.
[139] M. NIGRO, op. cit., 52.
Regolamento comunale pubblicato con sovrano decreto del dì 20 novembre 1849 e notificazione portante il regolamento dei consigli comunali, p. 24.
Art. 61. «Si hanno per nulla le Deliberazioni dei Consigli Comunali in che non siano state osservate le forme stabilite nella presente Legge; o che sieno contrarie ai precetti sia di questa, sia delle altre Leggi dello Stato».
Art. 62. «Il Prefetto in Consiglio di Prefettura conosce e giudica di tali nullità: senza pregiudizio delle particolari processure contro coloro i quali avessero scientemente partecipato nei Consigli Comunali ad atti che siano punibili ai termini delle Legge criminali». Il testo è consultabile sul sito...
[140] «Questa legge [La l. 21 marzo 1817] come espressamente risulta dal preambolo […] era intesa a fissare i limiti tra contenzioso amministrativo e contenzioso giudiziario. Essa stabiliva, perciò, che sarebbero state essenzialmente distinte e separate tra loro le materie del contenzioso amministrativo da quelle del contenzioso giudiziario […]. Essa stabiliva, perciò, che sarebbero state essenzialmente distinte e separate tra loro le materie del contenzioso amministrativo da quelle del contenzioso giudiziario (art. 1); che sarebbero state ugualmente separate e distinte le autorità ed i corpi incaricati di pronunziare sulle prime, dalle autorità e corpi cui sarebbe appartenuto giudicare sulle seconde (art. 2); stabiliva poi le materie di competenza delle autorità del contenzioso amministrativo (artt. 3-17), elencava le dette autorità (art. 18), ne definiva le competenze (artt. 19-26), e dettava alcune norme sull’esecuzione delle loro decisioni (artt. 27-33).». G. LANDI, Istituzioni di diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie (1815 – 1861), Tomo II, Milano, 1977, 957.
[141] G. ZANOBINI, op. cit., 30.
[142] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[143] «Le Gran Corti de’ Conti di Napoli e di Palermo, erano, se non proprio gli organi «supremi» del contenzioso amministrativo – perché le loro decisioni erano talora appellabili innanzi al Supremo Consiglio di cancelleria, e più tardi alle Consulte, e potevano essere soggette a revisione di tali consessi – certamente gli organi ordinari più importanti, in quanto, come si disse, specificamente costituiti per l’esercizio delle attribuzioni del contenzioso». V. G. LANDI, op. cit., 967 -968
[144] Le Gran Corti erano due per la precisione: la prima a Napoli, l’altra istituita con la legge del 1818 per i domini al di là del Faro, si trovava a Palermo. Le due Gran Corti avevano un ordinamento affine anche si distinguevano in alcuni particolari. «La Gran Corte di Napoli era articolata in una «Camera del contenzioso amministrativo (artt. 10ss. l. 29 maggio 1817) e due «Camere de’conti» (artt. 18 ss.l. cit). La Camera del contenzioso giudicava, in prima istanza, nel contenzioso dei contratti, lavori e forniture dei ministeri, nonché delle liquidazioni spedite contro i contabili dello Stato (art. 13 l. cit.); ed era giudice degli appelli avverso le decisioni, provvedimenti ed ordinanze dei Consigli d’intendenza, nonché degli atti dei commissari ripartitori (intendenti) incaricati dell’esecuzione delle decisioni dell’abolita Commessione feudale. […] La Gran Corte de’ Conti ne’ reali domini al di là del Faro, secondo la legge istitutiva, 7 gennaio 1818, aveva una sola Camera, ed era composta […] d’un presidente, un vice presidente, due consiglieri, due supplenti, un procuratore generale, un cancelliere con le funzioni di segretario generale, un «archivario», un aiutante dell’archivio, quattro razionali due de’quali erano consiglieri supplenti, un cassiere de’proventi fiscali, ed alcuni uscieri. L’organico si rivelò ben presto insufficiente, in relazione all’ingente arretrato, per il cui smaltimento non valse nemmeno l’istituzione di una commissione temporanea […] per l’esame de’ conti fino al 31 dicembre 1825. […] Infine, con r.d. 2 marzo 1832, si provvide, contestualmente, ad abolire la ricordata Commessione temporanea e ad istituire una seconda Camera, cui fu dato il nome di Camera contabile». G. LANDI, op cit., pp. 971- 972 e 979.
[145] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[146] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[147] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[148] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[149] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[150] M. NIGRO, op. cit., 53. Per quanto riguarda l’ordinamento della giustizia amministrativa a Napoli dopo il rientro dei Borbone v. C. GHISALBERTI, Contributi alla storia delle amministrazioni preunitarie, 93 ss, ove tra l’altro si possono leggere alcuni brani del rapporto di Zurlo, a partire da 104 ss; cfr. inoltre R. FEOLA, La monarchia ammnistrativa. Il sistema del contenzioso nelle Sicilie, Napoli, 1984,179 ss; ID. Dall’illuminismo alla Restaurazione. Donato Tommasi e la legislazione delle Sicilie, Napoli, 245 – 269.
[151] A. TRAVI, op. cit., 14. Sull’istituzione del Consiglio di Stato da parte di Carlo Alberto v. C. GHISALBERT, Dall’antico regime al 1848, Roma – Bari, 2001, 135; M. CARAVALE, Storia del diritto nell’Europa moderna e contemporanea, 279: G.S. PENE VIDARI, Il Consiglio di Stato albertino: istituzione e realizzazione in Atti del Convegno celebrativo del 150° anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 21 – 63; ID. Aspetti di storia giuridica del sec. XIX. Appunti dalle lezioni di Storia del diritto italiano II (a.a. 1996 – 1997) a cura di de Benedetti, Torino, 124 ss.; N. NADA, Il regno di Carlo Alberti (1831 – 1848) in P. NOTARO – N. NADA, Il Piemonte sabaudo dal periodo napoleonico al Risorgimento, Storia d’Italia diretta da Galasso, Torino, 1993, pp. 210 ss.; M.R. DI SIMONE, Istituzioni e fonti normative in Italia dall’antico regime al fascismo, Torino, 2007, 152; C. MONTANARI, Dalla restaurazione al codice civile Albertino in I. SOFFIETTI – C. MONTANARI, Il diritto negli Stati sabaudi: le fonti (sec. XV – XIX), Torino, 2001, 146; P. COLOMBO, Storia costituzionale della monarchia italiana, Roma – Bari, 2001, 10; ID., Con lealtà di Re e con affetto di padre. Torino, 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto Albertino, Bologna, 2003, 30 – 31.
[152] G. LOMBARDI, Il Consiglio di Stato nel quadro istituzionale della Restaurazione, in Atti del Convegno celebrativo del 150° anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 63.
[153] C. GHISALBERTI Dall’antico regime al 1848, 135.
[154] G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2003, 326
[155] G. CORSO, op loc. ult. cit.
[156] M. NIGRO, op. cit., 54.
Raccolta degli atti di governo di S.M. il Re di Sardegna. Volume 10. Regie Lettere Patenti [..] in data 31 dicembre 1842, Titolo II. Delle attribuzioni de’ Consigli d’Intendenza.
Capo I. Delle attribuzioni giudiziarie e miste
Art. 19. «Le questioni di amministrazione contenziosa qui appresso indicate sono attribuite alla giurisdizione dei Consigli d’Intendenza, a norma delle seguenti disposizioni, e nei modi e forme infra stabilite, esclusi sempre i casi in cui si tratti di controversie per dritti di proprietà, od alla proprietà inerenti, o di contestazioni sulla qualità ereditaria. In questi casi, risolta la controversie succennata, i Tribunali dovranno rimettere la causa ai Consigli d’Intendenza per la decisione della quistione d’amministrazione contenziosa che vi diede luogo».
Art. 20. «Apparterranno alla cognizione dei Consigli: 1.° Le controversie relative all’esazione dei redditi e crediti demaniali già attribuite alla cognizione degli Intendenti colle Lettere Patenti del 29 ottobre 1816, e quelle concernenti l’intelligenza e l’eseguimento dei contratti d’affittamento dei beni e diritti del Demanio; 2.° Le questioni che nascono per la riscossione delle entrate provinciali e comunali di qualunque natura, compresa la quota di consorzio per lavori d’acque e strade; 3.° Quelle relative all’intelligenza ed all’eseguimento dei contratti per lavori d’ogni genere nell’interesse delle Aziende dipendenti dal Dicastero dell’Interno e delle Finanze, ed in quello delle Provincie; 4.° Le contestazioni sull’intelligenza ed eseguimento dei contratti di somministrazione o lavori d’ogni qualità stipulati nell’interesse delle Comunità, non che dei contratti d’affittamento dei beni o redditi comunali; 5.° Le questioni relative all’eseguimento degli appalti dei dazi di consumo, dritti d’ala o di piazza, di peso e simili spettanti alle Comunità. L’interpretazione in via regolamentaria delle tariffe daziarie è però sempre riservata alla Nostra Camera dei Conti». […]
Art. 22. «Pronunzieranno i Consigli sulle controversie che riflettono:1.° Le usurpazioni e le degradazioni del suolo, fossi, ponti, traverse, ed altre dipendenze delle strade reali, provinciali e Comunali, gli ingombri, costruzioni d’opere, piantamenti, od ogni altra novità pregiudizievole alla conservazione delle medesime, e le quote di concorso nelle spese di costruzione, di manutenzione o di ristauro di esse, delle dette loro dipendenze o di qualunque opera accessoria; 2° Le opere che ostano o nuocono al libero corso dei fiumi, torrenti, rivi e scolatori pubblici, gli ostacolo frapposti alla navigazione dei fiumi, la manutenzione degli argini, ripari, ed ogni altra opera inserviente alla difesa delle sponde, ed al buon regime delle dette acque, e le indennizzazioni relative, eccettuati i casi contemplati nell’art. 38 del Regolamento per le acque annesso alle Lettere Patenti del 29 maggio 1817; 3.° L’esercizio della servitù dei marciapiedi lungo i fiumi navigabili, od atti a trasporto; 4.° Le ragioni di preferenza per l’occupazione, e l’assegnamento agli aventi dritto, e la divisione, mediante pagamento, del suolo di strade reali, provinciali e comunali abbandonate o di alveo derelitto per conseguenza di nuova inalveazione o rettilineazione di un fiume o torrente; 5.° Le contestazioni circa al punto, se una strada esistente debba o non essere classificata fra le comunali, ed il concorso nelle spese di manutenzione e ristauro delle strade vicinali gravate di servitù a favore del pubblico, e classificate come tali dall’autorità amministrativa […]».
Art. 23. «I Consigli pronunzieranno pure: 1.° Sulle questioni concernenti il pagamento degli stipendi, salari, ed altri assegnamenti degli impiegati ed agenti delle Comunità; 2.° Sovra quelle eccitatesi tra le Comunità ed i rispettivi Esattori, od aventi dritto da essi per le contabilità verso le medesime incontrate». Il testo è consultabile sul sito ... e gli articoli citati sono consultabili da 345 ss.
[157] M. NIGRO, op. cit., 54.
[158] G. ZANOBINI, op. cit., 31.
[159] A. TRAVI, op. cit., 14.
[160] G. ZANOBINI, op. cit., 31.
[161] M. NIGRO, op. cit., 54.
[162] A.TRAVI, op. cit., 14.
[163] A. SANDULLI, La storia, in Diritto processuale amministrativo, a cura di Sandulli, Milano, 2013, 5.
[164] A. Sandulli, op. loc. ult. cit.
[165] A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[166] G. CORSO, op. cit., 327.
[167] A. TRAVI, op. cit. p. 15. Riporto gli artt. 68 – 73 dello Statuto Albertino.
Art. 68. «La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce».
Art. 69. «I Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio».
Art. 70. «I Magistrati, Tribunali, e Giudici attualmente esistenti sono conservati. Non si potrà derogare all’organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge».
Art. 71. «Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie».
Art. 72. «Le udienze dei Tribunali in materia civile, e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi».
Art. 73. «L’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo». Per consultare lo Statuto Albertino ho adoperato A. AQUARONE – M. D’ADDIO – G. NEGRI, Le Costituzioni italiane, Milano, 1958, 668.
[168] G. ZANOBINI, op. cit., 32.
[169] A. SANDULLI, op. cit., 6.
[170] A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[171] A. SANDULLI, op. loc. ult. cit.
[172] M. NIGRO. op. cit., 54.
[173] G. ZANOBINI, op. cit., 32.
[174] G. ZANOBINI, op. loc. ult. cit.
[175] G. CORSO, op. cit., 327.
[176] G. CORSO, op. loc. ult. cit.
[177] G. CORSO, op. loc. ult. cit.
[178] A. PROTO PISANI, Appunti sul giudice delle controversie fra privati e pubblica amminstrazione, in Foro it., 2009, V, 369.
[179] A. PROTO PISANI, op. loc. ult. cit.
[180] A. PROTO PISANI, op. loc. ult. cit.
[181] A. PROTO PISANI, op. loc. ult. cit.
[182] G. CORSO, op. cit., 327.
[183] G. CORSO, op. loc. ult. cit.
[184] A. SANDULLI, op. cit., 8.
[185] P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982, 10.
[186] P. VIRGA, op. loc. ult. cit. L’attuazione del principio della giurisdizione unica era stata realizzata nell’ordinamento belga con la Costituzione del 7 febbraio 1831, v. G. LANDI – G. POTENZA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1974, 588.
[187] P. VIRGA, op. loc. ult. cit.
[188] A.TRAVI, op. cit., 19, v. inoltre N. SAITTA, Sistema di giustizia amministrativa, Napoli, 2015, 3 -4.