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Pubbl. Mer, 12 Mag 2021

Ergastolo ostativo: depositata la sentenza della Corte costituzionale

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Editoriale a cura di Ilaria Taccola



La Corte costituzionale nella giornata dell´11 maggio 2021 ha depositato la sentenza n.97/2021 con cui ha ritenuto che la collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento, decidendo quindi di rinviare il giudizio e fissare una nuova discussione alla data del 10 maggio 2022, in modo da permettere al legislatore di affrontare la materia.


Come si legge nella sentenza n. 97/2021 della Corte costituzionale, con ordinanza del 3 giugno 2020, e depositata il 18 giugno 2020 (r.o. n. 100 del 2020), la Corte di cassazione, prima sezione penale,  aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nonché dell’art. 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, nella parte in cui escludono l’ammissione alla liberazione condizionale il condannato all’ergastolo per i delitti commessi ai sensi dell’art. 416 bis c.p. che non abbia collaborato con la giustizia.

La Corte costituzionale, nella sentenza depositata nella giornata dell'11 maggio 2021, ha precisato che la mancata collaborazione da parte del condannato all’ergastolo può essere un indice del fatto che il soggetto mantiene ancora dei rapporti con l’associazione mafiosa, ma ciò che è in contrasto con i valori costituzionali, in particolare con il principio di rieducazione del condannato ex art. 27 Cost., è la presunzione assoluta che impedisce l’accesso alla liberazione condizionale o ad altri benefici. Invero, la collaborazione con la giustizia non è un indice assoluto di ravvedimento del soggetto, come non è indice assoluto di pericolosità la sua mancata collaborazione.

Tuttavia, la Corte costituzionale ha deciso di rinviare il giudizio e fissare una nuova discussione alla data del 10 maggio 2022, in modo da permettere al legislatore di affrontare la materia, poiché un suo intervento demolitorio in questo ambito potrebbe comportare effetti disarmonici, compromettendo le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva ai fini del contrasto del fenomeno della criminalità mafiosa.

Infatti, si legge che

“nella sentenza n. 253 del 2019, questa Corte ha già stabilito che, in relazione a condannati per reati di affiliazione a una associazione mafiosa (e per reati a questa collegati), caratterizzati dalle specifiche connotazioni criminologiche appena descritte, ai soli fini dell’accesso al permesso-premio, la valutazione in concreto di accadimenti idonei a superare la presunzione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata – da parte di tutte le autorità coinvolte, e in primo luogo ad opera del magistrato di sorveglianza – deve rispondere a criteri di particolare rigore, proporzionati alla forza del vincolo imposto dal sodalizio criminale del quale si esige l’abbandono definitivo.

In quel caso, a integrazione della vigente disciplina di ordinamento penitenziario, la pronuncia di accoglimento ha richiamato profili costituzionalmente necessari di natura probatoria.

Anche nel presente caso, ed anzi in questo a maggior ragione, la presunzione di pericolosità sociale del condannato all’ergastolo che non collabora, per quanto non più assoluta, può risultare superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carceraria o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione. A fortiori, per l’accesso alla liberazione condizionale di un ergastolano (non collaborante) per delitti collegati alla criminalità organizzata, e per la connessa valutazione del suo sicuro ravvedimento, sarà quindi necessaria l’acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere, sia l’attualità di suoi collegamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino.

Deve inoltre considerarsi che, nel presente giudizio, sono sospettati di illegittimità costituzionale aspetti centrali e, per così dire, “apicali” della normativa apprestata per il contrasto alle organizzazioni criminali: sia quanto alle fattispecie di reato (delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste), sia con riferimento all’entità della pena inflitta (l’ergastolo), sia in relazione al beneficio avuto di mira, la liberazione condizionale, che dischiude l’accesso alla definitiva estinzione della pena.

In tali condizioni, un intervento meramente “demolitorio” di questa Corte potrebbe mettere a rischio il complessivo equilibrio della disciplina in esame, e, soprattutto, le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa.

Da questo punto di vista, potrebbe, ad esempio, risultare incongrua, se compiuta con i limitati strumenti a disposizione del giudice costituzionale, l’equiparazione, per le condizioni di accesso alla libertà condizionale, tra il condannato all’ergastolo per delitti connessi alla criminalità organizzata, che non abbia collaborato con la giustizia, e gli ergastolani per delitti di contesto mafioso collaboranti.

Come si è detto, la mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta, è comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità specifica. Appartiene perciò alla discrezionalità legislativa, e non già a questa Corte, decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento ex art. 176 cod. pen.: scelte fra le quali potrebbe, ad esempio, annoverarsi la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l’introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione”.


Note e riferimenti bibliografici