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Pubbl. Mar, 18 Mag 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

La Corte costituzionale sull´omogenitorialità: la decisione spetta al legislatore

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Chiara Alberta Parisse
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Trento



Il presente contributo mira ad analizzare le recenti sentenze della Corte costituzionale n. 32 e 33 del 2021 sul tema della stepchild adoption e della procreazione medicalmente assistita. Ripercorrendo le origini dell´istituto dell´adozione in casi particolari e delle sue applicazioni giurisprudenziali, viene posta particolare attenzione sulla tutela del preminente interesse del minore nato a seguito di ricorso a tecniche di PMA. Da ultimo si rinviene l´esigenza indifferibile di un intervento legislativo, in modo tale da tendere alla realizzazione del principio di uguaglianza e da non determinare disparità di trattamento del diritto del minore ad essere assistito solo in ragione dell´ orientamento sessuale dei genitori.


ENG This article aims at analyzing the recent judgements of the Constitutional Court of Italy n. 32 and 33 of 2021 on the topics of stepchild adoption and medically assisted procreation. Tracing back the origins of adoption in particular cases and its jurisprudential applications, particular attentions shall be paid to the protection of the best interest of the child born with medically assisted procreation. Finally, there is a clear need for a legislative intervention, in such a way as to seek to achieve the principle of equality and not to result in an unequal treatment of the right of the child to be assisted solely by reason of the sexual orientation of the parents.

Sommario: 1. Introduzione; 2. L'adozione in casi particolari; 3. La sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 1999; 4. La pronuncia della Corte di Cassazione n. 12962 del 2016; 5. La trascrizione dell’atto di nascita nei registri dello stato civile nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione; 6. La sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2021; 7. Il superiore interesse del minore; 8. La sentenza  della Corte costituzionale n. 33 del 2021; 9. Conclusioni.

1. Introduzione

La Corte Costituzionale si è recentemente pronunciata sui temi della stepchild adoption e della procreazione medicalmente assistita nelle sentenze n. 32 e 33 del 2021, respingendo le questioni di legittimità sollevate dai giudici rimettenti e invitando il legislatore - stante il non più indifferibile vuoto di tutela di situazioni riguardanti la stepchild adoption -  a predisporre una disciplina normativa adeguata alle nuove esigenze delle famiglie di fatto, tenendo anzitutto in considerazione «il preminente interesse del minore, che comprende la garanzia del suo diritto all’identità̀ affettiva, relazionale, sociale, fondato sulla stabilità dei rapporti familiari e di cura e sul loro riconoscimento giuridico».

L’ordinamento giuridico italiano risulta privo infatti, ad oggi, di una regolamentazione del suddetto istituto, di talché la giurisprudenza ha provato a colmare questo vuoto, interpretando coerentemente le previsioni normative a seconda delle singole fattispecie portate al vaglio di essa.

Onde comprendere la portata potenzialmente innovativa delle summenzionate sentenze, è necessario anzitutto analizzare l’ istituto dell’adozione in casi particolari nel caso di coppie omosessuali e l’ evoluzione giurisprudenziale in materia di adozione e di procreazione medicalmente assistita.

2. L’adozione in casi particolari

Non essendo prevista una disposizione legislativa ad hoc per le coppie same-sex riguardante l’adozione, si fa prevalentemente riferimento all’istituto dell’adozione in casi particolari, prevista dall’articolo 44 della legge 184/1983, istituto simile a quello dell’adozione ordinaria nell’ambito della maggiore età, ma con alcune peculiari differenze. Essa è un’adozione consensuale, riconosciuta solo in casi specifici, tassativamente previsti e non suscettibili di interpretazione estensiva; non elimina i rapporti con la famiglia d’origine; da ultimo permette anche alle persone single di poter adottare un minore[1]. L’adozione in casi particolari mira a realizzare il diritto del minore ad avere una famiglia anche in quei casi in cui, pur non sussistendo le condizioni previste per l’adozione piena ex articolo 7 della legge 184/1983, si ritiene necessario procedere all’adozione, onde assicurare al bambino un ambiente idoneo al suo sviluppo affettivo e alla sua crescita[2]. Non a caso, infatti, viene puntualizzato nella disposizione che si debba sempre tendere alla realizzazione del “preminente interesse del minore”, precisazione di non superflua importanza per il tema trattato.

Le ipotesi tassativamente previste cui si accennava poc’anzi sono l’adozione dell’orfano:

a) da parte di persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;

c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;

d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

 Con riguardo alla lettera d), la giurisprudenza e la dottrina si sono più volte soffermate sul significato da attribuire alla locuzione «impossibilità di affidamento preadottivo». In un primo momento, infatti, s’intendeva che quest’ultima facesse riferimento esclusivamente a un’“impossibilità di fatto”, ossia a minori in stato di abbandono, rimasti senza proposte adottive[3]; successivamente invece si è intesa come riferibile anche a ipotesi di “impossibilità di diritto”, non necessariamente legate ad una situazione di abbandono del minore, ma nell’ottica del suo migliore interesse.

Andando al di là di quelle che erano le intenzioni del legislatore del 1983, la giurisprudenza ha sfruttato la duttilità del predetto art. 44 per dare risposta a casistiche diverse, permettendo a soggetti diversi di adottare un minore, sempre nell’ottica del best interest of the child[4].

3. La sentenza n. 383 del 1999 della Corte Costituzionale

Analizzando più in dettaglio la giurisprudenza, la Corte Costituzionale condivide l’impostazione cui si è poc’anzi accennato nella sentenza n. 383 del 1999, con cui ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 44, lettere a) e c), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 30, secondo comma, della Costituzione.

Le questioni erano state sollevate distintamente dal Tribunale per i minorenni di Ancora e Roma, lamentando l’uno l’illegittimità dell’art. 44, lettere a) e c), della legge n. 184/1983 – per violazione degli artt. 3 e 30, secondo comma, della Costituzione – nella parte in cui non consente ai parenti entro il quarto grado l’adozione in casi particolari dei minori i cui genitori siano stati dichiarati decaduti dalla loro potestà; l’altro dell’art. 44, lettera c), della predetta legge - per violazione dell’art. 3 della Costituzione - nella parte in cui subordina alla constatata impossibilità di affidamento preadottivo l’adozione dei minori da parte dei parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto con loro significativi rapporti. Le suddette questioni erano state successivamente riunite dalla Corte in un unico giudizio.

Nonostante il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale per infondatezza, nella sentenza in oggetto la Corte costituzionale ha specificato che la ratio dell’effettiva realizzazione degli interessi del minore consente l’adozione per «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» anche quando i minori «non sono stati o non possono essere formalmente dichiarati adottabili».

Il problema principale riguardava il fatto che l’assistenza prestata dai parenti avrebbe escluso automaticamente lo stato di abbandono[5]. Da un lato, pertanto, non sarebbe stata possibile la dichiarazione di adottabilità; dall’altro, se si fosse proceduto a un’interpretazione restrittiva dell’art. 44, non sarebbe stato consentito ai parenti di procedere all’adozione semplice.

La Corte fornisce un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 44, osservando che il suddetto articolo costituisce «una sorta di clausola residuale per i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell’adozione ‘legittimante’, consentendo l’adozione anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’art. 7. In questa logica di apertura, la lettera c) (oggi lett. d) fornisce un’ulteriore "valvola" per i casi che non rientrano in quelli più specifici previsti dalle lettere a) e b). A differenza di quella "legittimante", la particolare adozione del citato art. 44 non recide i legami del minore con la sua famiglia di origine, ma offre allo stesso la possibilità di rimanere nell’ambito della nuova famiglia che l’ha accolto, formalizzando il rapporto affettivo instauratosi con determinati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui: i parenti o le persone che hanno con lui rapporti stabili e duraturi preesistenti alla perdita dei genitori, ovvero il nuovo coniuge del genitore.»

La Corte respinge dunque la necessità di un’interpretazione letterale dell’art. 44 nel senso di un accertamento circa l’esistenza della previa dichiarazione dello stato di abbandono del minore e dunque di una conseguente declaratoria formale di adottabilità, nonché di un vano tentativo del predetto affidamento. I giudici costituzionali, invero, precisano che il fondamento dell’art. 44 sia costituito dall’assenza delle condizioni previste ex art. 7 della legge 184/1983, delineando così una distinzione tra i due tipi di adozione: l’adozione ordinaria ex art. 7 ha come requisito imprescindibile lo stato di abbandono, l’adozione in casi particolari ex art. 44 mira a realizzare il diritto del minore ad essere inserito in una famiglia nei casi in cui, pur non sussistendo i presupposti dell’articolo 7, sia comunque necessario od opportuno procedere all’adozione, riconoscendo giuridicamente relazioni familiari già esistenti di fatto[6].

Il riconoscimento giuridico delle suddette relazioni corrisponde infatti all’interesse del minore, garantendogli uno status certo e l’assunzione di responsabilità da parte delle persone che se ne prendono cura.

4. La pronuncia della Corte di Cassazione n. 12962 del 2016

Addentrandosi più specificamente nell’applicazione dell’art. 44 nei casi di coppie same-sex, un precedente giurisprudenziale importante si rinviene nella giurisprudenza di legittimità, ossia nella sentenza della Corte di Cassazione 12962 del 2016. La questione giuridica di cui si è occupata la Suprema Corte consisteva nello stabilire se, nell’ambito di un rapporto di convivenza di coppia, la domanda proposta da uno dei due partner per l’adozione del figlio dell’altro, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184/1983, determinasse ex se un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra il minore e, nella fattispecie de qua, la madre legale.

La Corte, attraverso un lungo iter argomentativo in cui aderisce alle tesi avallate dalla giurisprudenza di merito riguardo all’interpretazione e applicazione estensiva del predetto articolo 44[7], ha confermato l’adozione co-parentale (cd. stepchild adoption) da parte del genitore sociale all’interno delle famiglie omogenitoriali[8].

La suddetta Corte ha concentrato la propria attenzione su due profili rilevanti: l'adozione della coppia omosessuale «non determina in astratto un conflitto di interessi tra genitore biologico e il minore adottato, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice»; l’adozione «prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempre che, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore».

Anzitutto nella prima parte della sentenza viene precisato dalla Corte di Cassazione che non sussiste un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottato, ipotesi avanzata dalla Procura generale in relazione all'articolo 44 primo comma lettera d), che sosteneva che questo conflitto  fosse conseguente alla relazione sentimentale che univa la madre legale alla madre sociale e che richiedesse dunque che la minore fosse difesa in giudizio da un curatore speciale. Gli ermellini sostengono invece che il conflitto di interessi debba essere accertato in concreto dal giudice di merito, accertamento già compiuto e che ha dato esito negativo, anche perché o si ritiene che la relazione sottostante (coppia dello stesso sesso) possa essere potenzialmente dannosa e incompatibile con l’interesse del minore – incorrendo, in una valutazione negativa, discriminatoria e senza fondamento scientifico dell’orientamento sessuale dei partner della coppia – oppure si esclude la sussistenza in via generale e astratta di una situazione di un conflitto di interessi nell’ambito dell’adozione[9].

Nella seconda parte, la pronuncia si fonda sull’analisi ermeneutica della locuzione «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» contemplato nell’art. 44., primo comma lett. d) della legge n. 183/84, affermando che la suddetta impossibilità «deve essere intesa come impossibilità anche giuridica, e non solo di fatto. Infatti, l’esistenza della madre biologica (ovviamente attiva nell’accudimento della minore) rende giuridicamente impossibile la dichiarazione di abbandono e l’affidamento preadottivo e dunque pienamente applicabile l’ipotesi di cui alla lettera d), fra l’altro azionabile anche da un singolo, come la ricorrente madre «sociale».

Pertanto, aderendo a quest’interpretazione, si permette anche alle coppie dello stesso sesso di procedere all’affidamento preadottivo, in modo tale che si possano adottare anche minori che non si trovino in uno stato di abbandono, ma relativamente ai quali nasca l’interesse al riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità o con altri soggetti che possano prendersi cura del minore[10].

Gli ermellini precisano che nell’articolo 44 lettera d) non è specificato nessun presupposto ai fini della definizione del rapporto giuridico tra l’adottante e il minore al di fuori dell’impossibilità di affidamento preadottivo; pertanto possono essere ricomprese nel suddetto articolo tutte le ipotesi di impossibilità cd. “di diritto” in cui rilevi l’interesse del minore a vedersi a vedersi riconosciuti i proprio rapporti affettivi con il genitore sociale o con soggetti differenti dal genitore biologico[11].

Da ultimo, richiamandosi anche a pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo - in cui veniva affrontata la questione dell’impossibilità e inidoneità delle coppie omosessuali di crescere un bambino - la Suprema Corte conclude che: «in assenza di argomenti, di studi scientifici o di altri elementi di prova in grado di dimostrare che le famiglie omogenitoriali non possono in alcun caso occuparsi di un figlio», la supposta inidoneità delle coppie omosessuali a crescere un figlio non può essere addotta come giustificazione alla differenza di trattamento tra coppie conviventi. Pertanto, essendo state riconosciute come meritevoli di tutela anche altre tipologie di famiglie diverse da quelle tradizionali, attraverso un’interpretazione evolutiva dell’articolo 8 CEDU, bisogna dare rilevanza giuridica anche al legame intercorrente tra il minore e i genitori sociali[12].

Attraverso questa operazione ermeneutica, si è giunti a riconoscere la possibilità di adozione anche alle coppie same sex nell’ottica del best interest of the child, affermando la centralità del minore nelle questioni trattate.

Da ultimo, la Corte fa riferimento all’emanazione in Italia della legge 76/2016 regolante le unioni civili e le convivenze di fatto, vigente ma non applicabile al caso di specie. In essa non si è riconosciuta tuttavia la possibilità di adozione di figli per le coppie dello stesso sesso: all’articolo 1 comma 20 è sancita l’applicabilità alle unioni civili di tutte le disposizioni «che si riferiscono al matrimonio” o che contengono le parole “coniuge” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi o nei contratti collettivi».

Con specifico riferimento all’adozione, esso dispone inoltre che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, lasciando, con questa clausola di salvaguardia, uno spiraglio di apertura alle conclusioni giurisprudenziali raggiunte.

5. La trascrizione dell’atto di nascita nei registri dello stato civile nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione

Un altro precedente giurisprudenziale importante e controverso, cui farà riferimento la sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 2021, attiene alla trascrizione nei registri dello stato civile dei certificati di nascita formati all’estero e recanti l’indicazione di due genitori dello stesso sesso. Si tratta di coppie omosessuali che hanno fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (nel caso di due donne) o alla gestazione per altri (nel caso di due uomini) in Paesi esteri dove ciò è permesso dalla legge e che, al ritorno in Italia, chiedono la trascrizione dell’atto di nascita dei bambini nei registri dello stato civile[13].

La sentenza cui si fa specifico riferimento è la sentenza resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 12193 del 2019. In essa le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio di diritto che impedisce la trascrizione, nei registri dello stato civile italiano del provvedimento, reso da un giudice estero, col quale è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero attraverso la maternità surrogata e un soggetto privo di legame biologico rispetto al medesimo[14].

Il caso riguardava concerneva due minori concepiti con il liquido seminale di uno dei partner di una coppia omossessuale tramite il ricorso alla tecnica della maternità surrogata, attuata con la collaborazione di due donne, delle quali una aveva messo a disposizione gli ovociti e l’altra aveva portato a termine la gestazione. A seguito del rifiuto dell’ufficiale di stato civile di trascrivere il provvedimento che dichiarava la genitorialità del partner non biologico nei registri dello stato civile italiano, i ricorrenti avevano adito la Corte d’Appello di Trento, la quale aveva accolto la domanda.

Avendo il Procuratore generale adito la Corte di Cassazione ed essendo stata devoluta la questione alle Sezioni Unite, queste ultime hanno ritenuto che il riconoscimento in Italia dell’efficacia del provvedimento straniero contrasti con il divieto di surrogazione di maternità, disposto ex art.12 comma sesto della legge n. 40/2004, ravvisando in tale previsione normativa un principio di ordine pubblico, dinanzi al quale l’interesse del minore può affievolirsi, in contrasto con quanto precedentemente affermato nella sentenza 19599/2016[15].

Gli ermellini hanno sancito, nelle loro argomentazioni, che l’apertura dell’ordinamento nazionale al diritto sovranazionale ha certamente «modificato il concetto di ordine pubblico, caratterizzato, nelle formulazioni più recenti da un sempre più marcato riferimento ai valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale e alla tutela dei diritti fondamentali [...]». Tuttavia la Corte ritiene che «in tema di riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l'ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, dev'essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria».

Essi individuano quindi nel divieto alla maternità surrogata un principio di ordine pubblico che non può essere disatteso, essendo considerata la maternità surrogata una pratica che lede la dignità della donna e di fronte alla quale il preminente interesse del minore, nel bilanciamento di interessi, è destinato a soccombere.

6. La sentenza n. 32 del 2021 della Corte Costituzionale

A fronte dell’evoluzione giurisprudenziale esaminata, si giunge ora all’analisi della prima sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2021, in cui la Corte ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 8 e 9 della legge n. 40 del 2004[16] (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e dell’articolo 250 c.c.[17], sollevate in riferimento agli articoli 2, 3, 30, 117 primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo[18] e agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[19].

Le questioni di legittimità costituzionale erano stata sollevate dal Tribunale di Padova a seguito del ricorso da parte di una madre intenzionale di due gemelle, nate a seguito di procreazione medicalmente assistita[20]. Due donne, infatti, stante nell’ordinamento italiano il divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita per persone dello stesso sesso ex articolo 5[21] della legge 40/2004, avevano deciso di ricorrere alla pratica della PMA all’estero e, tramite impianto di gameti maschili nel corpo di una delle due donne – la cosiddetta “madre biologica” – avevano dato alla luce due gemelle. Dopo la nascita, la partner della madre biologica – altrimenti detta “madre intenzionale” - si era comportata come fosse secondo genitore giuridico, adempiendo ai doveri stabiliti ex art. 315 c.c. Dopo cinque anni dalla nascita delle gemelle, tuttavia, la coppia era entrata in una situazione di crisi, pertanto la madre intenzionale aveva manifestato il desiderio di adottare le figlie utilizzando la procedura dell’“adozione in casi particolari”[22], fattispecie prevista ex art. 44 della legge 184/1983[23], ma non aveva tuttavia ricevuto il consenso della madre biologica, necessario per questo tipo di adozione.

La ricorrente aveva dunque adito il Tribunale di Padova al fine di ottenere, in via principale, l’autorizzazione a dichiarare all’ufficiale dello stato civile di essere genitore, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, o di essere dichiarata tale attraverso una sentenza del suddetto Tribunale per aver prestato il consenso alla fecondazione eterologa. In via subordinata, era invece stato richiesta dalla madre intenzionale l’autorizzazione a riconoscere davanti dall’ufficiale dello stato civile le minori quali proprie figlie ovvero di accertare tale riconoscimento, pronunciando ai sensi dell’art. 250, quarto comma, cod. civ. una sentenza che avrebbe dovuto tener luogo del consenso da lei stessa prestato e rifiutato dalla madre che ne aveva dichiarato la nascita e che le aveva riconosciute. In via ulteriormente subordinata, era stato richiesto al Tribunale di Padova di ordinare all’ufficiale dello stato civile la rettificazione degli atti di nascita delle minori, «sì che risulti che le stesse sono nate a seguito di fecondazione eterologa, sulla base del consenso prestato dalla madre biologica e dalla ricorrente, madre intenzionale»[24].

Stante l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata degli articoli sopracitati, ad avviso del giudice a quo, nella fattispecie in esame si sarebbe potuto configurare una lesione dell’interesse del minore ad essere assistito, dovuto ad un vuoto di tutela nella disciplina legislativa. Le norme portate all’attenzione della Corte Costituzionale, infatti, non avrebbero consentito ai nati da un progetto condiviso di PMA da due donne, praticata legalmente all’estero, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale, ove non fossero stati sussistenti i presupposti per procedere all’“adozione in casi particolari” e fosse stato accertato giudizialmente l’interesse del minore.

7. Il superiore interesse del minore

La Corte Costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile, pronunciandosi con una sentenza cosiddetta di “rigetto-monito[25]”, invitando dunque il legislatore a intervenire per regolamentare la situazione delle coppie che avevano avuto accesso alla tecnica di PMA all’estero per colmare un vuoto di tutela di una situazione di fatto.

Nelle argomentazioni addotte dalla Corte, l’attenzione è focalizzata prevalentemente sulla tutela del «preminente interesse del minore, che comprende la garanzia del suo diritto all’identità̀ affettiva, relazionale, sociale, fondato sulla stabilità dei rapporti familiari e di cura e sul loro riconoscimento giuridico».

Non essendo possibile nel caso di specie, infatti, neanche la procedura dell’“adozione in casi particolari” – mancando l’assenso del genitore biologico - la Corte rileva che si sarebbe determinata anzitutto una violazione del diritto a essere assistito del minore, cui ha fatto riferimento anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo in numerose pronunce antecedenti, debitamente richiamate[26]. Quest’ultima, infatti, ha considerato il bambino portatore di un proprio diritto alla vita privata e familiare, che costituisce e – anzi - deve costituire un elemento determinante di valutazione, che viene ricondotto all’articolo 8 CEDU- che sancisce il rispetto della vita privata e familiare - da leggere in combinato disposto con l’articolo 14 CEDU – che sancisce il divieto di discriminazioni.

Si verificherebbe, infatti, come conseguenza una lesione del principio di eguaglianza previsto dall’ articolo 3 della Costituzione: il minore inserito in una famiglia formata da persone dello stesso sesso verrebbe a trovarsi in una situazione deteriore rispetto al minore inserito in una famiglia cosiddetta “tradizionale” per il solo fatto dell’orientamento sessuale dei suoi genitori, nonostante tutti i minori siano egualmente portatori del diritto ad essere assistiti[27]. Si verificherebbe inoltre a fortiori un’irragionevole disparità di trattamento se, come nel caso di specie, la coppia entrasse in uno stato di crisi, sussistendo tuttavia la volontà anche della madre intenzionale di prendersi cura delle bambine nate a seguito di un progetto genitoriale a suo tempo condiviso.

Nonostante le eccezioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, relative al fatto che la questione de qua sarebbe non il diritto delle minori ad essere riconosciute come figlie da entrambe le madri, ma la pretesa della madre intenzionale ad essere riconosciuta come genitore legale, la Corte argomenta che le disposizioni in oggetto, ossia gli articoli 8 e 9 della legge 40/2004, insieme all’articolo 250 c.c., abbiano come finalità primaria la tutela delle minori, in quanto «volte a consentire l’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti delle stesse anche da parte della madre intenzionale, in virtù del riconoscimento formale dello status di figlie dalla stessa auspicato».

Se, infatti, la genitorialità intenzionale – o sociale – esiste, negare la costituzione dello status di figlio nei confronti del genitore sarebbe contrario al principio sovente richiamato della tutela del preminente interesse del bambino o della bambina.

Anche i genitori intenzionali, infatti, costituiscono una famiglia, non nel senso letterale richiamato dall’articolo 29 della Costituzione, quanto invece dall’articolo 2 della Costituzione, laddove si riferisce alla generica definizione di «formazione sociale».

I giudici costituzionali, infatti, adducono a sostegno della propria tesi anche pronunce antecedenti all’emanazione della legge 40/2004, in cui era stata evidenziata sia l’esigenza di individuare strumenti idonei alla tutela del bambino nato a seguito di fecondazione assistita, sia in relazione ai diritti di cui egli stesso è portatore e delle istanze di cui si fanno portatori coloro che decidono di prendersene cura, ossia i genitori, siano essi legali o biologici.

La Corte inoltre ritiene che «i legami biologici non sono un requisito imprescindibile della famiglia», ma, come rilevato sia in numerose sentenze della Corte di Giustizia[28], sia della Corte Europea dei diritti dell’uomo per ciò che concerne l’allargamento del concetto di famiglia ex articolo 8 CEDU, requisito necessario per il riconoscimento di una famiglia è la volontà di accoglienza e di prestazione di aiuto reciproco, presupposto ritenuto sussistente nella fattispecie in esame.

La filiazione, peraltro, diventa il fulcro del diritto di famiglia anche in ragione dei mutamenti e delle diverse problematiche che sono state evidenziate nel corso del tempo[29].

Mentre parte della dottrina ha accolto positivamente questa sentenza[30], altra parte[31] ha invece argomentato che  la Corte costituzionale abbia manifestato una richiesta di necessità tipica del giuspositivismo assoluto, che divergerebbe da quanto stabilito positivamente dalle Preleggi premesse al Codice civile, ponendo nel nulla sia l’analogia legis, che l’analogia iuris. In secondo luogo, si sostiene che verrebbe a crearsi una contraddizione per cui sarebbe la società a regolare per la Costituzione, non sarebbe invece la Costituzione regola della società[32].

Tale considerazione appare semplicistica, in quanto non terrebbe conto degli equilibri costituzionali e delle evoluzioni della società. La Costituzione è sì regola della società, tuttavia è ampio contenitore di diritti di quella stessa società che, proprio come causa e conseguenza della sua evoluzione, sono mutevoli e necessitano di essere riconosciuti, circostanziati e ricondotti a precise disposizioni normative.

Inoltre, un ruolo importante è svolto anche dal cosiddetto “diritto vivente”, ossia il modo in cui i principi supremi, racchiusi nella Carta costituzionale e nelle Carte dei diritti, s’inverano nelle norme ordinarie, a seconda dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza[33].

Se, infatti, si ritiene che nel diritto di famiglia, più che in ogni altro settore del diritto, sia condivisibile l’assunto per cui il diritto nasca dal contesto sociale, purché ciò si verifichi sarebbe necessaria una condivisione di valori a livello normativo-giurisprudenziale e l’esistenza di un substrato sociale adeguato e pronto ad accoglierli. A seguito dell’emersione di nuove esigenze di tutela, infatti, il riconoscimento delle stesse non passa necessariamente sempre prima da una scelta legislativa, ma spesso è preceduto da pronunce giurisprudenziali che cercano di ricondurre e conciliare tali istanze con le norme in vigore, a volte producendo l’effetto di travalicare la funzione nomofilattica propria della giurisprudenza[34].

I giudici costituzionali rivestono in tal senso un’enorme importanza nell’individuare le nuove esigenze da ricondurre all’interno della cornice costituzionale, che rimane fonte primaria del diritto, anch’esso mutevole. L’attività – o meglio l’attivismo, com’è stato definito da parte della dottrina[35] - dei giudici sarebbe dunque necessario, giacché da ricondurre primariamente ai vuoti di tutela del legislatore, che non ha fornito alla Corte strumenti idonei per lavorare correttamente[36].

Proprio in virtù della lacune sopracitate e, nel caso di specie, «nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi […] come necessaria permanenza dei legami affettivi e familiare, anche se non biologici, e riconoscimento giuridico degli stessi, al fine di conferire certezza nella costruzione dell’identità personale», si ritiene imprescindibile un intervento del legislatore per evitare il costituirsi di discriminazioni nei confronti dei figli a causa del solo orientamento sessuale dei genitori.

La Corte, infatti, ha già avuto modo di affrontare l’argomento della genitorialità sociale o intenzionale, riaffermando come non vi sia un divieto costituzionale per le coppie omosessuali di accogliere figli, né, d’altro canto, vi siano evidenze scientifiche su eventuali ripercussioni negative sulla crescita del figlio in una famiglia di fatto[37]. Pertanto la genitorialità sociale esiste e merita, come tale, riconoscimento al pari di quella biologica, non essendo i legami biologici prerequisito della formazione familiare, come testimoniato anche dalla fattispecie dell’adozione.

Proprio perché il principio di eguaglianza postula il costante riferimento alla realtà e alle differenze, per la Corte non è importante l’affermazione di un principio secondo cui «i genitori devono essere due (ricorso all’ordine naturale delle cose) anche se sono dello stesso sesso (violenza all’ordine naturale delle cose)[38] per portare a compimento un progetto umano anche se empio», ma l’affermazione per cui due persone, a prescindere dal sesso, possano egualmente assolvere i compiti di cura nell’interesse preminente del minore.

Dopo la stagione delle riforme post-codicistiche, infatti, alla visione tradizionale e istituzionale della famiglia e della genitorialità si è sostituita una concezione prevalentemente funzionale dei rapporti familiari che, astraendosi da ogni dato strutturalistico e dato naturalistico della famiglia - come il vincolo biologico – mette in risalto soprattutto la funzione della famiglia come luogo di crescita della persona e, in particolar modo, del minore[39]. Questa, dunque, è l’ottica adottata anche nel caso di specie.

Oggi si assiste sempre più ad una frammentazione della figura genitoriale, per cui al quesito su chi sia l’effettivo genitore non è possibile dare una risposta univoca, sia in relazione all’instabilità dei rapporti di coppia, sia in relazione all’evoluzione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita che mettono in secondo piano la rilevanza del legame biologico[40], come affermato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza in oggetto.

La Corte fa inoltre riferimento ad un bilanciamento tra due diritti: il diritto del minore ad essere assistito e un divieto posto dalla legge 40/2004 sulla contrarietà all’ordine pubblico. Fermo restando la competenza legislativa primaria e proprio in virtù del suddetto bilanciamento, i giudici costituzionale in conclusione suggeriscono al legislatore due vie alternative da percorrere: o una riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento dello status filiationis ovvero l’introduzione di una nuova tipologia di adozione per assicurare, con apposita e più celere procedura, una piena tutela dei diritti dei minori.

8. La sentenza n. 33 del 2021

Sul solco della sentenza n. 32 del 2021 si pone la pronuncia della Corte Costituzionale n. 33 del 2021, in cui sono stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 12 comma 6 della legge 40 del 2004[41] (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), dell’articolo 64 comma 1 lettera g della legge 31 maggio 1995 n. 218[42] (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), e dell’art. 18 del d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396[43] (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) - in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla prima sezione della Corte di Cassazione, a seguito anche del pronunciamento delle Sezioni Unite con la sentenza 12193/2019, la quale aveva escluso il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento straniero dichiarativo del rapporto di filiazione tra il minore nato con la pratica della maternità surrogata e il genitore intenzionale, in virtù della contrarietà del riconoscimento a ragioni di ordine pubblico[44]. Le Sezioni Unite, infatti, avevano sostenuto che un principio di diritto in forza del quale l'interesse del minore non dovrebbe essere considerato un valore assoluto, ma anzi avrebbe potuto affievolirsi in considerazione di altri valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione[45].

Attraverso un lungo iter argomentativo, la Corte costituzionale nel caso de qua ha riaffermato un principio importante, che si pone in linea con quello della sentenza n. 32 del 2021, ossia quello per cui l’interesse superiore del minore a vedersi riconosciuto il legame di filiazione con il genitore intenzionale deve essere bilanciato con la legittima scelta dell’ordinamento italiano di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata.  Pur confermando la linea seguita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, i giudici costituzionali ribadiscono che in gioco vi è il preminente interesse del minore a vedersi riconosciuto giuridicamente il legame con entrambi i genitori.

Analogamente alla sentenza n. 32 del 2021, la Corte ribadisce che l’oggetto de qua non sia costituito dall’affermazione di un generico diritto alla genitorialità, quanto invece l’assolvimento delle responsabilità genitoriali nei confronti del minore[46].

I giudici costituzionali, pertanto, si pongono ancora una volta nell’ottica del bilanciamento degli interessi al fine di salvaguardare il fine legittimo, perseguito dall’ordinamento italiano, di disincentivare il ricorso a pratiche di surrogazione di maternità[47], ponendosi anche problemi in ordine alla cosiddetta “mercificazione del corpo”.

Com’è stato sostenuto da parte della dottrina, anche il superiore interesse del minore, sebbene sia da ricomprendere nell’alveo dei diritti fondamentali primari, non può sottrarsi ad un ragionevole bilanciamento con altri interessi egualmente rilevanti nell’ordinamento italiano, al fine evitarne un uso distorto[48]. Come si è più volte riscontrato, anche all’interno delle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo e delle fonti nazionali, europee e sovranazionali, il suddetto interesse è criterio essenziale non solo per trattare di questioni relative al rapporto tra genitore e figli, ma anche per ciò che concerne questioni relative all'accertamento di stato di figlio ed alle azioni esperibili[49].

Escludendo la possibilità di trascrizione del provvedimento giudiziario per il riconoscimento giuridico dello status filiationis, la Corte conviene con i giudici di legittimità che l’adozione in casi particolari «costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma non ancora del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali». La suddetta procedura, infatti, non determinerebbe l’attribuzione della genitorialità alla persona che decide di adottare e, in secondo luogo, non configurerebbe neanche vincoli di parentela all’interno della famiglia. Inoltre, come esaminato anche nella sentenza n. 32 del 2021, un significativo limite sarebbe posto dall’assenso all’adozione da parte del genitore biologico, requisito che verrebbe messo in discussione se la coppia entrasse in crisi, con conseguente impossibilità del minore ad essere adottato.

I giudici costituzionali, nuovamente attraverso l’utilizzo di una sentenza di “rigetto-monito”, rinnovano dunque l’invito al legislatore ad intervenire per regolamentare le suddette situazioni con una disciplina che abbia come fulcro fondamentale il preminente interesse del minore, da bilanciare però con precise scelte legislative.

9. Conclusioni

Le sentenze analizzate sono dunque estremamente importanti, sia per le differenti condizioni di tutela in cui verserebbero i figli nati da maternità surrogata e tecniche di procreazione medicalmente assistita, sia per l’insofferenza nei confronti di un immobilismo legislativo, che si pone in contrasto con le recenti istanze di tutela dello status filiationis, derivanti da scelte non disciplinate nell’attuale legislazione italiana[50]. È tuttavia lasciato necessariamente dalla Corte costituzionale un margine d’indeterminatezza riguardante il bilanciamento dei diritti sopracitati, in ottemperanza al principio della divisione dei poteri.

Inoltre, bisogna prendere in considerazione le numerose fonti e pronunce giurisprudenziali europee ed internazionali, che avallano un dialogo che si fonda un sistema di tutela multilivello dei diritti fondamentali ed inalienabili della persona, in specie sia del minore che delle persone LGBTQIA+.

Alla luce delle pronunce esaminate, sembrerebbe pertanto indifferibile un intervento del legislatore.

In attesa del suddetto intervento, si porrebbero di contro alcuni interrogativi di non poco rilievo: in primo luogo quali possano essere le conseguenze a seguito di un’inerzia legislativa; in secondo luogo se la Corte Costituzionale possa intervenire con una nuova pronuncia d’illegittimità costituzionale. Più specificatamente, infatti, con riguardo all’omogenitorialità, laddove non si ritenga di poter proseguire nella direzione dell’interpretazione costituzionalmente conforme, la Corte Costituzionale potrebbe essere nuovamente chiamata ad intervenire direttamente sulle disposizioni della legge 76/2016 che limitano la genitorialità, anche sociale, delle persone LGBTQIA+.[51]

In terzo luogo, dubbi si porrebbero riguardo alla direzione verso la quale possano operare i giudici di merito[52]. Questi ultimi, infatti, hanno il delicato ruolo di decidere i singoli casi secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, potendosi tuttavia generare interpretazioni differenti da parte di diversi giudici, provocando, conseguentemente, una lesione del principio di eguaglianza, poiché si tratterebbero situazioni eguali in modo differente, a seconda della discrezionalità dei diversi giudici.

L’apertura verso il riconoscimento dei diritti dei minori nati a seguito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita o di maternità surrogata, anche e soprattutto grazie all’opera ermeneutica della Corte Costituzionale – come analizzato nelle sentenze sopracitate - è ancora in divenire, anche in relazione al fatto che non si sia ancora verificato una completa apertura anzitutto a livello del substrato sociale e culturale.

È proprio sul piano etico, infatti, che si configura quel bilanciamento d’interessi cui si faceva riferimento; bilanciamento che si riflette in ambito giuridico e che solo successivamente si traduce nell’elaborazione di disposizioni legislative compromissorie, che tengano conto delle evoluzioni sociali e delle metamorfosi dei diritti all’interno della società[53]. In assenza di un intervento legislativo, la Corte Costituzionale, anche a rischio di apparire “attivista”, è intervenuta nella materia in esame con pronunce innovative e al tempo stesso conservative, rispettosa sia dell’attività legislativa e del principio cardine della divisione dei poteri, sia delle disposizioni e delle pronunce sovranazionali, al fine di avviare un dialogo incentrato sulla tutela dei nuovi diritti, aperto ai cambiamenti del modello familiare [54].

Riprendendo testualmente le parole della Corte in una pronuncia antecedente, infatti, «la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti»[55].

Si auspica dunque un intervento legislativo nel rispetto del principio di eguaglianza non solo formale, ma tanto più sostanziale, da intendersi come produzione di regole non arbitrarie, applicazione corretta delle dette regole e come riconoscimento e attribuzione a tutti degli stessi diritti, nel rispetto dell’identità di ognuno[56].


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. FERRANDO, L’adozione in casi particolari nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale

[2] P. MOROZZO DELLA ROCCA, L’adozione dei minori e l’affidamento familiare, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da G. FERRANDO, III. Filiazione e adozione, Bologna, 2007, 587 ss.

[4] G. FERRANDO, op. cit.

[5] G. FERRANDO, ibidem.

[6] G. FERRANDO, op. cit.

[7] V. Tribunale per i minorenni di Roma sentenza 30 luglio 2014 n. 299, che riconosce l’adozione del figlio biologico o adottivo del partner dello stesso sesso sulla base di un’interpretazione estensiva dell’articolo 44 della legge 184/1983; Corte d’Appello di Roma sentenza 23 dicembre 2015 n. 7127 che conferma l’orientamento del Tribunale per i minorenni di Roma; Corte d’Appello di Milano sentenza del 16 ottobre 2015 con cui viene reso esecutivo in Italia il provvedimento spagnolo con cui una donna ha adottato nel Paese Iberico la figlia della sua compagna nata con fecondazione eterologa; Corte d’Appello di Napoli sentenza del 30 marzo 2016, la quale si è espressa in materia di riconoscimento e trascrivibilità di due sentenze francesi incrociate da parte di una coppia di donne che adottavano rispettivamente il figlio della compagna, ritenendo che tali sentenze fossero ammissibili nel nostro ordinamento.

[8] V. L. GIACOMELLI, Tutela dei minori e pragmatismo dei giudici: verso il riconoscimento delle «nuove» forme di filiazione e genitorialità, in www.osservatorioaic.it.

[9] L. GIACOMELLI, op. cit.

[10] D. BERLOCO, Adozione di minori in casi particolari da parte di coppia omosessuale. Legge n. 76 del 20 maggio 2016 e pronuncia della Cassazione n. 12962 del 22 giugno 2016, in Lo Stato Civile Italiano, 2016, 9, 6 ss.

[11] C. MILANO, Per la Consulta la stepchild adoption è inadeguata a realizzare l’interesse dei figli nati da coppie dello stesso sesso, in www.camminodiritto.it.

[12] M. VAHABAVA, La Cassazione si confronta con la “step- child adoption”, in www.gazzettaforense.com.

[13] L. GIACOMELLI, op. cit.

[14] M. C. VENUTI, Le sezioni unite e l’omopaternità: lo strabico bilanciamento tra il best interest of the child e gli interessi sottesi al divieto di gestazione per altri, in GenIus, 2019, 2, 6 ss.

[16] Art. 8: “I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di  procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o  di  figli riconosciuti della coppia che ha espresso la  volontà  di  ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 6”.

Art. 9: “1.  Qualora  si  ricorra  a  tecniche  di  procreazione  medicalmente assistita  di  tipo  eterologo  in  violazione  del  divieto  di  cui all'articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il  cui  consenso è ricavabile da atti concludenti non  può  esercitare  l'azione  di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, ne' l'impugnazione di cui all'articolo 263 dello stesso codice.

2. La madre del nato  a  seguito  dell'applicazione  di  tecniche  di procreazione medicalmente assistita non puo' dichiarare  la  volontà di non essere nominata, ai  sensi  dell'articolo  30,  comma  1,  del regolamento di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  3 novembre 2000, n. 396.

3. In  caso  di  applicazione  di  tecniche  di  tipo  eterologo  in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione  giuridica  parentale  con  il nato e non può far valere  nei  suoi  confronti  alcun  diritto  ne' essere titolare di obblighi”.

[17] 1. Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.

2. Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso.

3. Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.

4. Il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all'altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell'articolo 262.

5. Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età , salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio.

[18] La Convenzione sui diritti del fanciullo sancisce i diritti umani dei bambini e dei ragazzi di età inferiore ai 18 anni. La Convenzione è stata approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.

[19] La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)  una Convenzione internazionale redatta dal Consiglio d'Europa, che si occupa di protezione dei diritti fondamentali dell'uomo.

[20] A. GORGONI, Un passo avanti verso l’ampliamento della genitorialità fondata sull’assunzione della responsabilità nella procreazione medicalmente assistita, in Persona e mercato, 1/2021.

[21] Art. 5: “1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.

[22] L’adozione in casi particolari è l’adozione in cui non sussistono i presupposti tipici dell’adozione legittimante, ossia lo stato di abbandono, non fa eliminare i rapporti con la famiglia di origine, ma si basa sul consenso tra adottante e adottato. V. in dottrina M. PICCHI, La tutela del rapporto di filiazione in caso di maternità surrogata: arresti giurisprudenziali e prospettive, in www.federalismi.it, 2020, 29, 114-154; J. LONG, Adozione in casi particolari e dissenso del genitore esercente la responsabilità genitoriale, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2019, 1, 9-15.

[23] Art. 44: “I minori possono  essere  adottati  anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell'articolo 7:

a) da persone unite al minore, orfano di padre e di madre, da vincolo  di  parentela  fino  al  sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori;

b) dal coniuge nel caso  in  cui  il  minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;

c) quando vi sia la  constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

L'adozione, nei casi indicati nel precedente comma, è consentita anche in presenza di figli legittimi. Nei casi di cui  alle  lettere a) e c) l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, il minore deve essere adottato da entrambi i coniugi. In tutti i casi l'adottante deve superare di almeno diciotto anni l’età di coloro che intende adottare.

[24] V. sentenza della Corte Costituzionale 32/2021 paragrafo 1.1.

[25] Le sentenze monitorie sono sentenze in cui la Corte rivolge un invito al legislatore per rendere la disciplina vigente adeguata alla Costituzione, o in ragione della complessità della materia su cui si pronuncia – per cui sono necessarie valutazioni politiche legislative – o in ragione del fatto che la Corte, in alcuni casi, non possa individuare il “verso”, ossia la direzione verso cui procedere; v. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, Giappichelli, 2020, 486 ss.; R. PINARDI, Il processo costituzionale: la tipologia delle decisioni. Le decisioni di "incostituzionalità sopravvenuta", di "incostituzionalità differita" e le tecniche monitorie. , in Il foro italiano, 1998, 3, 156 ss.; R. ROMBOLI, Il processo costituzionale: la tipologia delle decisioni. Premessa., in Il foro italiano, 1998, 3, 143 ss.

[26] V. paragrafo 2.4.1.2. («the child’s rights must be the paramount consideration»: Corte EDU, sezione seconda, sentenza 5 novembre 2002, Yousef contro Paesi Bassi; sezione prima, sentenza 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo, paragrafo 133: «Bearing in mind that the best interests of the child are paramount in such a case»; grande camera, sentenza del 26 novembre 2013, X contro Lettonia, paragrafo 95: «the best interests of the child must be of primary consideration»).

[27] La ratio è simile a quella adottata dalla Corte Costituzionale nella sentenza 213 del 2016, con cui la Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, terzo comma della legge 5 febbraio 1992 n. 104 nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado. Non includendo, infatti, tra i beneficiari del permesso anche il convivente, si determinerebbe una lesione del principio di eguaglianza sostanziale e, più specificatamente, del diritto della persona portatrice di handicap ad essere assistito in una famiglia di fatto e in una famiglia fondata sul matrimonio. Per approfondimenti, v. S. MANGIAMELI, Una sentenza sul crinale tra il diritto di assistenza e l'omologazione della famiglia di fatto, in Giurisprudenza costituzionale, 2016, 5, 1672-1681; A. CORDIANO, Una nuova pronuncia di incostituzionalità della l. 104/1992: i confini evanescenti della convivenza di fatto non registrata, in Riv. it. dir. lav., 2017, 1, 152 ss.

[28] V. a questo proposito Corte Giust., sez. V,12 dicembre 2013, C-267/12 Frédéric Hay contre Crédit agricole mutuel de Charente-Maritime et des Deux-Sèvres, in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2014, 735.

[29] A. FEDERICO, Il divieto di maternità surrogata e il superiore interesse del minore, in Giustizia Civile, 2020,4, 647 ss.

[30] A. GORGONI, op. cit.

[31] D. CASTELLANO, Procreazione medicalmente assistita: la madre intenzionale note a margine, in www.filodiritto.com.

[32] D. CASTELLANO, op. cit.

[33] A. FEDERICO, Il divieto di maternità surrogata e il superiore interesse del minore, in Giustizia Civile, 2020, 4, 647 ss.

[34] R. FADDA, Il conflitto assiologico nella legge 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2020, 2, 439 ss.

[35] E. CHELI, Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone, in Quaderni costituzionali, Rivista italiana di diritto costituzionale, 2019,4, 777-787.

[36] R. BIN, Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone, in Quaderni costituzionali, Rivista italiana di diritto costituzionale, 2019, 4, 757-775.

[37] V. anche D. A GONZALEZ SALZBERG, Sexuality and Transsexuality Under the European Convention on Human Rights: A Queer Reading of Human Rights Law, Londra, 2019, 148 ss. che afferma che studi sulla genitorialità omosessuale hanno evidenziato che non vi sia nessuna differenza tra un bambino cresciuto all’interno di una coppia omosessuale e uno cresciuto all’interno di una coppia eterosessuale.

[38] D. CASTELLANO, op. cit.

[39] A. FEDERICO, Il divieto di maternità surrogata e il superiore interesse del minore, in Giustizia Civile, 2020, 4, 647 ss.; U. SALANITRO, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità (Commento a Cass. civ., sez. un., 8.5.2019, n. 12193), in La nuova giurisprudenza civile commentata, Vol. 35, fasc. 4/2019, 737-756.

[40] A. FEDERICO, ibidem.

[41] Art. 12 comma 6: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

[42] Art. 64 comma 1 lettera g: “1.  La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: g) le sue disposizioni non producono  effetti  contrari all'ordine pubblico".

[43] Art. 18: “Gli atti  formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico".

[44] S. OCCHIPINTI, Maternità surrogata: necessaria una legge a tutela del bambino, in www.altalex.com.

[45] G. PERLINGIERI, Ordine pubblico e identità culturale. Le Sezioni Unite in tema di c.d. maternità surrogata, in Dir. succ. e fam., 2019, 339.

[46] www.ilfamiliarista.it.

[47] S. OCCHIPINTI, op. cit.

[48] V. SCALISI, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto in Rivista di diritto civile, 2018, 2, 405-434.

[49] A. FEDERICO, op. cit., 665 ss.

[52] G. FERRANDO, l diritti dei figli di due mamme o di due papà ad avere due genitori. Un primo commento alle sentenze della Corte Costituzionale n. 32 e 33 del 2021, in www.giustiziainsieme.it

[53] A. FEDERICO, op. cit., 660 ss.

[54] R. FADDA, Il conflitto assiologico nella legge 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2020, 2, 439 ss.

[55] Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Foro it., 2004, parte I, col. 1053.

[56] L. GIANFORMAGGIO, L’eguaglianza di fronte alla legge: principio logico, morale o giuridico?, in L. GIANFORMAGGIO, Eguaglianza, donne e diritto, Bologna, 2005, 65 ss.