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Al di fuori del Parlamento: l´Autonomia differenziata come processo verticistico
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Pubbl. Mar, 5 Ago 2025
Sottoposto a PEER REVIEW

Al di fuori del Parlamento: l´Autonomia differenziata come processo verticistico

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Antonio Gusmai
Professore AssociatoUniversità degli Studi di Bari



L’articolo si propone di mettere in evidenza alcune criticità che ancora riguardano il processo di attuazione del disegno di differenziazione regionale. Ed infatti, nonostante l’intervento demolitorio della Corte costituzionale (sent. n. 192 del 2024) con cui si è letteralmente smantellata grossa parte dell’impianto predisposto dalla c.d. legge Calderoli, a rimanere in piedi restano questioni tecniche che potrebbero non poco pregiudicare la centralità del Parlamento. Su tutte, come si vedrà, il ruolo svolto da organi di garanzia sostanzialmente non indipendenti (è il caso del trinomio Cabina di Regia-CTFS-CLEP), che sembrano neutralizzare procedure di trasparenza indispensabili al controllo delle forze politiche di maggioranza (che invece potrebbero essere meglio garantite dall’UPB).


ENG

Outside Parliament: Asymmetrical Regional Autonomy as a Top-Down Process

This article examines the persistent critical issues surrounding the implementation of Italy’s regional differentiation plan. The Constitutional Court’s landmark Judgment No. 192/2024 dismantled much of the framework established by the so-called “Calderoli Law.” Yet several technical problems remain. These issues risk undermining the central role of Parliament in the process. A key concern is the role of oversight bodies that are, in practice, not fully independent. This is the case of the triad formed by the Cabina di Regia, the CTFS, and the CLEP. Their involvement appears to weaken essential transparency mechanisms, limiting the political majority’s ability to exercise effective oversight. By contrast, such guarantees could be more robustly secured through the UPB.

Sommario: 1. La definizione e l’aggiornamento dei Lep tra CTFS e CLEP. 2. La sentenza n. 192 del 2024 e la centralità del Parlamento nel processo di composizione della «complessità del pluralismo istituzionale» – 3. Le ragioni di una breve comparazione dei due organi. 3.1 La Commissione tecnica per i fabbisogni standard. 3.2 L’Ufficio parlamentare di bilancio. 4. A mo’ di chiusura: sulle maggiori garanzie offerte dall’UPB rispetto alla CTFS.

1. La definizione e l’aggiornamento dei Lep tra CTFS e CLEP 

Con la sentenza n. 192 del 2024, il giudice delle leggi ha significativamente perimetrato – benché non del tutto invalidato – le modalità attraverso le quali la legge n. 86 del 2024 (meglio nota come “legge Calderoli”) intende dare attuazione a quel disegno di differenziazione regionale (art. 116, comma 3, Cost.) che, sin dalla sua introduzione nel rinnovato Titolo V Cost., ha alimentato contrasti e perplessità[1], per lungo tempo rimasti celati al di sotto della sua sostanziale neutralizzazione legislativa[2]

Ed invero, già nel corso del dibattito politico-partitico che ha indirizzato l’istruttoria parlamentare, la legge Calderoli è parsa sollevare numerose criticità. Tanto con riferimento al contenuto dell’autonomia politico-finanziaria che si vuole riconoscere alle Regioni che ne facciano richiesta ex art. 116, comma 3, Cost.; quanto con riguardo al metodo prescelto per dare attuazione al disegno di differenziazione regionale, apparso per più aspetti poter «spezzare l’Italia» in ventuno “staterelli” regionali[3]

Nel complicato intreccio di organi, competenze e (conflitti di) interessi di natura meramente territoriale, la legge Calderoli ha infatti affidato la definizione sostanziale dei nuovi assetti del regionalismo italiano alle deliberazioni di organi collegiali sostanzialmente subordinati alle direttive impartite dal Governo e dai vertici ministeriali, limitando considerevolmente le già ristrette attribuzioni parlamentari[4]. Basti pensare ai poteri procedurali e sostanziali riconosciuti alla Cabina di regia, al Comitato per l’individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (CLEP) e alla Commissione Tecnica Fabbisogni Standard (d’ora in avanti, CTFS), tutti organismi soltanto formalmente indipendenti dal potere politico, ma sostanzialmente eterodiretti – già dal momento della nomina dei relativi componenti – dai vertici dell’Esecutivo[5].

Quanto ciò possa incidere sulla determinazione e sul contenuto degli stessi Lep, ben al di là delle pur rilevanti questioni tecnico-contabili riguardanti il loro finanziamento, è presto detto. Tuttavia, prima di svolgere qualche riflessione in più sulla permeabilità politica degli organi cui la legge Calderoli ha affidato la determinazione e l’aggiornamento dei Lep, appare doveroso richiamare brevemente le argomentazioni con cui la Consulta ha invalidato alcune disposizioni della legge n. 86 del 2024 dedicate agli aspetti testé soltanto lambiti. E, segnatamente, quelle che sanciscono la sostanziale estromissione del Parlamento dal procedimento di definizione dei Lep e la potenziale alterazione del sistema delle fonti, con precipuo riguardo all’intarsio tra legge, decreti legislativi e d.P.C.M. 

È su tale premessa che, infine, si proveranno ad evidenziare tutte le aporie dischiuse dalla recente approvazione in Consiglio dei ministri del d.d.l. recante delega al Governo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (eccettuata la materia «tutela della salute»)[6]. Una vera e propria prova di forza, verrebbe da dire, una sfida politico-muscolare nei confronti di un pronunciamento del giudice delle leggi che ben potrebbe definirsi «equalizzante»[7]. Non per nulla, sin da subito fortemente criticato da alcuni commentatori a causa delle sue fisiologiche implicazioni politiche[8].

Da qui, dunque, la necessità di provare a mettere ordine in un complicato intarsio di organi, competenze, interessi (talvolta opachi) e procedure dei cui riverberi sostanziali la pubblica opinione fatica a prendere piena consapevolezza e che, tuttavia, sembrano poter delineare un nuovo modello di Stato sociale regionale «all’insaputa del Parlamento e a dispetto delle garanzie del sistema delle fonti del diritto»[9].

2. La sentenza n. 192 del 2024 e la centralità del Parlamento nel processo di composizione della «complessità del pluralismo istituzionale»

Adita da alcune Regioni in via principale, con la sentenza n. 192 del 2024 la Corte costituzionale non solo ha riletto il regionalismo italiano nell’ottica della sussidiarietà[10], ma – per quel che qui più rileva – ha ribadito la centralità del Parlamento nel processo di composizione della «complessità del pluralismo istituzionale». Sono le Camere, infatti, il luogo istituzionalmente preposto a realizzare «un confronto trasparente con le forze di opposizione» e «alimentare il dibattito nella sfera pubblica, soprattutto quando si discutono questioni che riguardano la vita di tutti i cittadini». Soltanto in esse appare, dunque, possibile «tutelare le esigenze unitarie tendenzialmente stabili, che trascendono la dialettica maggioranza-opposizione» (§ 4); esigenze di cui occorre tenere conto in un modello regionale «cooperativo» e solidarista, non già «duale», antagonista e competitivo[11].

In questa prospettiva, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge Calderoli, dacché esso avrebbe recato una delega sostanzialmente “in bianco” a favore del Governo per la determinazione (culminante in uno o più dd.P.C.M.) dei Lep attraverso l’ausilio del Clep e della CTFS, rinviando genericamente[12] ai «principi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197». Le (per vero intricate) disposizioni normative richiamate appaiono, infatti, insufficienti a guidare il Governo nell’esercizio del potere legislativo delegato, non soddisfacendo «lo standard dell’art. 76 Cost.» che «esige che il potere governativo sia guidato dalle Camere» (§ 9.2). Il che pare, invero, indispensabile con riguardo alla determinazione dei Lep, la cui definizione implica «una delicata scelta politica», connessa all’esigenza «di bilanciare uguaglianza dei privati e autonomia regionale, diritti e esigenze finanziarie e anche i diversi diritti fra loro. Si tratta, in definitiva, di decidere i livelli delle prestazioni relativi ai diritti civili e sociali, con le risorse necessarie per garantire uno standard uniforme delle stesse prestazioni in tutto il territorio nazionale» (§ 9.2)[13].

Le censure formulate dalla Consulta con riguardo all’art. 3 della legge Calderoli non si limitano, tuttavia, alla violazione dell’art. 76 Cost., ma si estendono anche alla disposizione con cui si prevede che i decreti legislativi di determinazione dei LEP «possano essere successivamente modificati con un atto sub-legislativo, cioè con un d.P.C.m.». Tale meccanismo, infatti, prosegue la Corte, «risulta intrinsecamente contraddittorio e dissonante rispetto al sistema costituzionale delle fonti», giacché «la norma impugnata configura il d.P.C.m. come una fonte primaria, essendo esso abilitato a modificare un decreto legislativo per forza propria». Da qui, dunque, la violazione dell’«art. 3 Cost.» (§ 13.2)[14]

Pur avendo specificato che «resta fermo il lavoro istruttorio e ricognitivo compiuto sulla base di tali norme» (§ 13.3), la Consulta ha pertanto sensibilmente ristretto, in senso conforme al complessivo ordito costituzionale, la portata applicativa dell’impianto della legge Calderoli, ben al di là dell’interpretazione solipsistica o “monadica” dell’art. 116, comma 3, Cost., per giunta “a trazione” governativa, fatta propria dall’Esecutivo. Ciò, infatti, apparirebbe in stridente contrasto con la tutela di quelle esigenze (tendenzialmente) unitarie che soltanto nel Parlamento nazionale e nella sua funzione legislativa possono trovare una qualche forma di rappresentazione e sintesi. Non già all’interno di gangli strutturali dell’Esecutivo chiamati a “governare” il processo di ridefinizione dello Stato sociale regionale[15].

Da questa prospettiva, allora, in linea con le argomentazioni della Corte sulla centralità delle attribuzioni parlamentari nel processo di trasformazione del regionalismo italiano, piuttosto che tramite la CTFS, la determinazione e l’aggiornamento dei Lep parrebbero più utilmente riconducibili nella sfera di competenza dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (d’ora in avanti, UPB). Organo tecnico-politico, quest’ultimo, meglio in grado – già per la sua collocazione istituzionale – di “governare” istanze e competenze necessarie a definire i Lep senza artefatte ricostruzioni politicamente “interessate”, la cui ricorrenza potrebbe, in ogni caso, essere più facilmente (rispetto al Clep e alla CTFS) sottoponibile al controllo di razionalità sociale da parte di quella pubblica opinione che funge fa “custode” effettivo dell’ordinamento positivo[16]

Com’è stato recentemente evidenziato, tra la CTFS, da una parte, e l’UPB, dall’altra, sembra dispiegarsi un «disallineamento istruttorio» e una «diversa permeabilità politica» tali da aprire «la via a inevitabili interrogativi di ordine istituzionale sull’adeguatezza dei relativi modelli strutturali»[17]. Modelli strutturali, qui il punctum crucis delle brevi riflessioni che seguiranno, che evidenziano tutte le criticità legate all’attribuzione di rilevantissimi compiti dal risvolto giuridico-costituzionale (come sono quelli legati alla determinazione dei Lep) in capo ad organi sforniti della necessaria indipendenza rispetto alle preponderanti ragioni dell’Esecutivo. Profilo, questo, cui sembra, invero, sommarsi l’utilizzo sempre più spregiudicato, da parte del Governo, della propria maggioranza numerica in Parlamento, a grave detrimento della trasparenza – intesa come conoscibilità e consapevolezza dei reali interessi in gioco – e della pluralità del dibattito politico che si realizza (anche) nelle Aule parlamentari[18].

3. Le ragioni di una breve comparazione dei due organi

A riprova di quanto si è venuti sin qui soltanto accennando, già durante l’istruttoria parlamentare del d.d.l. Calderoli, a differenza della CTFS, l’UPB aveva – a più riprese – evidenziato alcune, invero non marginali, perplessità sul merito e sul metodo che sostenevano il progetto di attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost. Rilievi, questi, per vero successivamente fatti propri dalla stessa Consulta nella richiamata sentenza n. 192 del 2024[19].

Ecco, allora, spiegato il motivo per cui sembrerebbe opportuno dedicare almeno un po’ di spazio all’analisi della struttura operativa di entrambi i collegi di natura tecnico-scientifica. Questi, invero, dovrebbero avere il compito di fornire agli organi di indirizzo politico analisi tecniche indipendenti e terze, supportando i parlamentari nella valutazione di misure che, involgendo risolutive questioni fiscali e il loro impatto macroeconomico, non potrebbero non riverberarsi «sull’ assetto della forma di Stato»[20].

La comparazione dei due organismi ha una precipua finalità. Quella di provare a meglio comprendere le storture che di fatto ancora sembrano incidere sull’articolazione compositiva della CTFS, a cui spetta la definizione dei fabbisogni standard e la stima delle risorse necessarie per garantire i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). Trattasi di questioni definitorie altamente tecniche, pur se attraversate da una forte rilevanza sociale. Questioni, dunque, primariamente costituzionali, che restano entrambe attualissime, visto che l’attività del CLEP[21] “salvato” dalla sentenza n. 192 del 2024[22] sembra destinata a conservare la sua rilevanza, per giunta anche sotto l’usbergo del «Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie»[23], come se nulla fosse normativamente accaduto e con il presumibile obiettivo di cercare una quasi impossibile riabilitazione di quel che resta dell’impianto originario della legge n. 86 del 2024, ormai un «corpo» a cui «è venuto meno il cuore dell’impianto»[24].

3.1 La Commissione tecnica per i Fabbisogni Standard

Per meglio comprendere l’inadeguatezza dell’affidamento alla CTFS del compito di definire i costi standard per garantire i Lep sembra, pertanto, indispensabile osservare più da vicino la composizione e le attribuzioni dell’organo tecnico-scientifico che lavora in stretta sinergia con i vertici dell’Esecutivo. 

La principale funzione della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard, istituita con la legge di stabilità 2016 (art. 1, comma 29, della legge 28 dicembre 2015, n. 208), è quella di analizzare e valutare le attività, le metodologie e le elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali, come previsto dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216[25]. La CTFS opera senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e si avvale delle strutture e dell’organizzazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze. 

La sua attività è dunque apparsa, da subito, cruciale per il funzionamento del sistema di finanza pubblica in Italia, avendo essa il compito di assicurare che le risorse vengano distribuite in modo razionale, coerente con le esigenze dei cittadini e nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà. Essa, invero, analizza e determina i fabbisogni finanziari degli enti locali sulla base di dati oggettivi e metodologie scientifiche; fornisce consulenza e supporto per la ripartizione delle risorse, al contempo tenendo conto dei divari territoriali e delle specificità locali; contribuisce a garantire una distribuzione equa delle risorse tra gli enti, in conformità con i principi sanciti dalla Costituzione (art. 119) e dalle leggi in materia di federalismo fiscale[26]

La CTFS si è rivelata, pertanto, una componente chiave del sistema di federalismo fiscale introdotto con la legge delega n. 42/2009[27]. E tanto, dal momento che la sua attività mira a superare il criterio della spesa storica (che consolida le disparità esistenti[28]), introducendo un sistema basato sui fabbisogni standard capace di meglio riflettere le reali necessità di ciascun territorio. Non da ultimo, favorisce una maggiore trasparenza e responsabilizzazione degli enti locali nella gestione delle risorse pubbliche[29].

Ed è proprio in ragione di tali specifiche competenze che la Commissione è stata chiamata a giocare un ruolo cruciale nel processo di attuazione dell’autonomia differenziata, fornendo un supporto tecnico-scientifico alla Cabina di regia, organo politico presieduto dal ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie (Roberto Calderoli), che di fatto riceve dalla prima i dati e le analisi necessarie per prendere decisioni informate. È quest’ultima che ha il compito formale di definire i LEP, in sostanza però individuati dalla CTFS con il supporto di un altro organismo dalla sedicente «neutralità tecnica e ideologica»[30], il precitato CLEP[31]

Tale meccanismo, oltremodo farraginoso e come visto censurato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 192 del 2024, sembra avere un duplice obiettivo: da una parte quello di marginalizzare il Parlamento nel processo di attuazione delle istanze autonomistiche; dall’altra, quello di produrre «una pari marginalizzazione del ruolo definitorio dei Lep, da determinarsi con l’esclusivo utilizzo dei DPCM all’esito di un’attività considerata (solo in apparenza) come tecnica e non politica»[32]

Più in generale, strutturare un procedimento in cui la Cabina di Regia, quale organo di incontro dei “vertici” di apparato, definisce i LEP sulla base delle indicazioni della Commissione per i fabbisogni standard (composta da tecnici), implica che «anziché partire dai diritti per poi determinare l’ammontare delle risorse necessarie ad attuarli – come sarebbe costituzionalmente corretto», si è optato per un approccio tecnico che valuta prima «le risorse disponibili (di cui è, infatti, prevista la non incrementabilità) per poi determinare i diritti. Un’inammissibile inversione dell’ordine gerarchico delle fonti normative»[33], talora alimentata dalla distinzione tra «nucleo minimo» e «livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (art. 117, co. 2, lett. m), Cost.)[34]

Per vero, ad indicare al Governo strade maggiormente conformi ai crismi della democrazia sociale voluta dai Costituenti, vi erano già numerose analisi dettagliate contenute in dossier ampiamente conosciuti dalle Assemblee elettive. Ad esempio, nel febbraio 2021, in occasione di un’audizione presso la Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale, la Società Soluzioni per il Sistema Economico (SOSE s.p.a.) ha illustrato i risultati – di evidente portata critica – della ricognizione effettuata in merito alle prestazioni effettivamente erogate dai governi locali delle Regioni a statuto ordinario, nonché ai relativi costi sostenuti[35]. L’analisi ha delineato un quadro caratterizzato da marcate disparità – o, meglio, disuguaglianze – tanto nella distribuzione delle risorse finanziarie quanto nell’offerta dei servizi, evidenziando come al Nord si registrassero livelli significativamente più elevati di spesa pro capite e di servizi erogati rispetto alle regioni del Sud[36]. Dati e documentazioni che, tuttavia, non hanno affatto dissuaso le forze politiche di maggioranza dall’architettare un impianto verticistico, di fatto interpretato dalla Consulta come un disegno normativo frontalmente in contrasto con i più fondamentali principi contenuti nella Carta repubblicana (su tutti: solidarietà, uguaglianza, unità giuridica ed economica della Repubblica), «il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia»[37].

Anzi, come ha ampiamente dimostrato parte della dottrina, proprio tale Società è stata dal CLEP financo pensata come possibile grimaldello, assieme al CTFS, utile alla costruzione di «un nuovo paradigma normativo, da elevare al rango di fonte extraordinamentale». Il tutto, «pur di legittimare l’irruzione nella regolazione delle relazioni finanziarie di soggetti autonomi ed esterni al circuito normativo quali, per l’appunto, CTFS e SOSE». Al duplice fine, a questo punto evidente, i) di privare il Parlamento di qualsivoglia tipo di controllo attraverso la legittimazione di una nuova fonte del diritto dalla componente tecnica; ii) di celare la politicità intrinseca tanto all’attività di determinazione delle prestazioni, quanto alla definizione degli standard di servizio. In sostanza, la proposta, poi abbandonata, era diretta a «rendere flessibile sul piano delle fonti il passaggio dall’iniziale determinazione dei Lep alla successiva definizione dei costi e fabbisogni standard: da un lato il DPCM, cui demandare la definizione della tipologia degli standard di servizio secondo l’indicazione di appositi criteri generali di misurazione; dall’altro gli atti gerarchicamente inferiori (per es. decreti ministeriali), cui rinviare la definizione dettagliata dei singoli standard»[38].

D’altronde, l’assenza di neutralità che caratterizza il rapporto sinergico tra CLEP e CTFS si fa ancora più nitida se – facendo seguito a quanto prima soltanto accennato – si focalizza l’attenzione sulla struttura di quest’ultima. La CTFS, infatti, è composta da dodici membri, tra cui un presidente. Attualmente a dirigerla è la prof.ssa Elena D’Orlando, assieme ad altri componenti che rappresentano diverse istituzioni, tra cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dell’Interno, il Ministero per gli Affari Regionali e le Autonomie, l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e le Regioni. Tale composizione, che in astratto mira a garantire una rappresentanza equilibrata delle diverse istituzioni coinvolte nel processo di determinazione dei fabbisogni standard, in concreto non può che risultare essa stessa una forma indiretta di rappresentanza politica. Ed invero, i componenti della Commissione sono individuati dalle rispettive istituzioni di appartenenza e, il suo vertice, è nominato dal Governo[39].

Tale gemmazione politica dell’organo avrebbe dovuto dissuadere il Governo da ogni forma di coinvolgimento della stessa all’interno dei processi attuativi dell’art. 116, comma 3, della Carta fondamentale. In dinamiche, cioè, aventi precipuamente ad oggetto la determinazione della «soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale»[40] (i LEP) su tutto il territorio della Repubblica. Dissuasione tutt’altro che avvenuta e che, anzi, per le ragioni di cui si è detto, ha esposto la stessa CTFS al rischio di essere trasformata in «una sorta di “Camera delle Regioni” all’insaputa del Parlamento e in assenza delle garanzie di terzietà e di equilibrio proprie del sistema costituzionale»[41]

Sembra allora potersi convenire su almeno un aspetto di capitale importanza per l’economia del presente contributo: pur essendo un organo tecnico, la Commissione non può affatto essere considerata alla stregua di un organo indipendente. E tanto, per almeno tre principali ordini di ragioni. Alla prima si è in parte già fatto cenno, dacché legata alla nomina dei suoi membri. Questi, infatti, sono individuati dalle istituzioni di appartenenza (Ministeri, Regioni, ANCI), il che potrebbe introdurre dinamiche politiche nelle scelte, specialmente per i rappresentanti dei ministeri o delle Regioni. Inoltre, come visto, il Presidente della CTFS è designato dal capo dell’Esecutivo, potendo così influenzare l’orientamento dell’organo verso le priorità del Governo in carica. 

La seconda ragione che induce a dubitare della sua terzietà è legata, invece, al ruolo che essa riveste nella finanza pubblica. La determinazione dei fabbisogni standard, infatti, ha un impatto diretto sulle scelte di allocazione delle risorse pubbliche. Trattasi, come evidente, di questioni altamente sensibili dal punto di vista politico che potrebbero influenzare, anche solo indirettamente, il lavoro della Commissione. Invero, sebbene la sua attività sia supportata da analisi tendenzialmente oggettive, i risultati possono essere utilizzati in contesti politici, come la definizione dei trasferimenti o dei meccanismi perequativi. 

La terza ragione attiene, infine, ai collegamenti che la Commissione instaura con il MEF. Come si è visto all’inizio, la CTFS, pur essendo un organo tecnico, risulta essere strettamente connessa al Ministero dell’Economia e delle Finanze, il che difficilmente può non tradursi in concreta subordinazione alle direttive del Governo. 

Volendo riassumere: la CTFS svolge un ruolo tecnico-scientifico, ma lavora in sinergia con organi amministrativi e politici. Ciò ha delle ineludibili implicazioni: pur essendo composta da esperti, le sue attività appaiono strettamente influenzate dal quadro dei vertici delle Amministrazioni e dalle direttive politiche che ne discendono. Per almeno tali motivi, essa pare assumere, piuttosto che le vesti di un organismo terzo, le sembianze di un organo tecnico integrato nell’apparato statale. Il cui grado di autonomia è, in sostanza, determinato dal contesto politico-dicasteriale in cui opera.

D’altro canto, è la stessa terzietà di alcuni suoi componenti (a cominciare dalla Presidente) ad essere disattesa nella misura in cui gli stessi partecipano anche a “delegazioni trattanti” l’autonomia differenziata per conto delle Regioni. Ed invero, come ancora di recente si apprende dagli organi di stampa, il CTFS sembra essere “governato” da quella che viene definita una “lobby veneta”[42]. Elena D’Orlando, infatti, è stata nominata dal governatore Luca Zaia membro della delegazione che avrebbe dovuto negoziare l’autonomia differenziata del Veneto. Inoltre, tra gli altri componenti della CTFS, compare il prof. Andrea Giovanardi, membro anch’egli della delegazione trattante per l’autonomia del Veneto, ma in aggiunta anche avvocato scelto dallo stesso Zaia per difendere la legge Calderoli davanti al giudice delle leggi. Figure non propriamente imparziali, se si pensa che il loro compito sarà quello di stabilire quante risorse assegnare in ogni Regione[43]

3.2 L’Ufficio parlamentare di bilancio

L'Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) è un organo di cruciale importanza nel panorama delle decisioni finanziarie. Tra le altre funzioni, esso ha il precipuo compito di analizzare e verificare le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del Governo italiano, al contempo assicurando trasparenza e affidabilità dei conti pubblici. Il tutto, a beneficio del lavoro svolto dai «soggetti della rappresentanza politica»[44] e del sempre possibile e auspicabile controllo esercitabile dai «rappresentati»[45]

Tuttavia, la sua portata e le sue funzioni non sembrano aver ancora ricevuto un’adeguata e approfondita attenzione da parte della giuspubblicistica[46]

L’istituzione dell’Ufficio trova la sua matrice nella direttiva 2011/85/UE, la quale, come noto, ha esortato gli Stati membri dell’Unione europea a dotarsi di un organismo indipendente incaricato di esercitare funzioni di monitoraggio e controllo sulla finanza pubblica nell’ambito dei rispettivi ordinamenti giuridici[47]. L'UPB si colloca, invero, nel quadro del “sistema” dei Fiscal Councils istituiti dagli Stati membri dell'Unione europea, operanti in stretta sinergia con l’European Fiscal Board, l’autorità preposta al monitoraggio dell’andamento dei conti pubblici e alla verifica del rispetto delle regole di bilancio per conto della Commissione europea[48]

Le finalità della disciplina unionale risultano agevolmente individuabili: gli organismi indipendenti, pur non disponendo di poteri sanzionatori diretti in caso di deviazione dalle fiscal rules europee, possono comunque produrre rilevanti conseguenze reputazionali per le autorità di bilancio degli Stati membri. In altri termini, l’indipendenza di tali organismi e la presumibile accuratezza delle loro valutazioni s’inscrivono nell’ambito della cosiddetta accountability finanziaria di ciascuno Stato membro, che così si proietta tanto sul piano interno (coinvolgendo i risultati raggiunti dalle maggioranze di governo), quanto su quello esterno (offrendo utili informazioni, ad esempio, alla Commissione europea)[49]. A conferma di quel che si è venuti dicendo, è il regolamento UE 473/2013 a prescrivere che, nei documenti di programmazione finanziaria, sia esplicitata la provenienza delle valutazioni, al fine di comprendere se queste siano state elaborate direttamente dagli organismi indipendenti o semplicemente validate da essi[50].

A livello nazionale, la disciplina di dettaglio dell’UPB trova collocazione nel Capo VII (artt. 16-19) della legge n. 243 del 2012, recante le “Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione”. Peraltro, traendo origine dall’art. 5, comma 1, della l. cost. n. 1 del 2012, la sua disciplina è contenuta in una legge “rinforzata”, come tale dotata di una particolare forza di resistenza[51]. Cionondimeno, non è certamente questa la sede più opportuna per osservare, anche solo da lontano, le numerose e complesse implicazioni derivanti dalla sua operatività nell’ordinamento costituzionale[52]. Ciò che qui è semmai utile rimarcare sono tutti quei profili che caratterizzano l’operare dell’UPB in assenza di condizionamenti esterni. Potrebbe dirsi, dunque, semplificando molto, in condizioni di terzietà rispetto alle dinamiche che intanto si realizzano nell’agone politico[53]

A ben vedere, l’UPB sembra, infatti, possedere i requisiti fondamentali di indipendenza e autonomia, indispensabili nelle fasi di giudizio e di valutazione delle scelte politiche dal forte impatto economico-sociale[54]. Basti pensare alla natura della sua composizione, che si articola in un Consiglio composto da tre membri scelti fra persone di riconosciuta indipendenza e comprovata competenza ed esperienza in materia di economia e finanza pubblica a livello nazionale e internazionale, designati d’intesa dai Presidenti delle due Camere, previo inserimento in una rosa di dieci candidati indicati dalle Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica[55]. Sono queste ultime, infatti, a redigere l’elenco dei soggetti nominabili, deliberando con una maggioranza idonea a coinvolgere la più ampia rappresentanza assembleare: come stabilisce l’art. 16 della legge n. 243 del 2012, occorre il voto dei due terzi dei componenti, da esprimersi secondo modalità stabilite dai Regolamenti parlamentari[56]

Ad ulteriore garanzia dell’imparzialità e dell’autonomia funzionale dell’organo, i membri del Consiglio esercitano, poi, il proprio mandato per un periodo di sei anni, senza possibilità di rinnovo (si ricordi, invece, la possibile conferma “politica” dell’incarico nella CTFS). Ai componenti di tale collegio – e il dato non è di poco momento, se lo si confronta con le figure che ricoprono posizioni apicali all’interno del CTFS[57] – è inoltre impedito l’esercizio di qualsivoglia attività professionale o di consulenza, non potendo essi figurare quali amministratori o dipendenti di soggetti pubblici o privati, né ricoprire i ruoli di altri uffici pubblici di qualsiasi natura[58].

L'elemento che qualifica l’Ufficio come organismo indipendente, seppur integrato nel circuito parlamentare, sembra emergere non solo dal dato testuale, ma anche dalle specifiche disposizioni che prevedono la composizione del personale, che può provenire dalle amministrazioni di Camera e Senato fuori ruolo e da soggetti selezionati attraverso procedure comparative pubbliche. A ciò si aggiunga la facoltà di avvalersi di locali e risorse strumentali fornite dalle due Camere, in un quadro di intesa reciproca, consolidando così il legame funzionale con l’ordinamento parlamentare, senza che ciò ne pregiudichi l’autonomia operativa[59].

Quanto alle funzioni attribuite all’UPB, esse si caratterizzano per la loro natura interlocutoria, conoscitiva e consultiva. Come accennato, l’obiettivo primario dell’organismo è quello di rafforzare i meccanismi di sostenibilità della finanza pubblica del Paese, assicurando trasparenza e affidabilità nella gestione dei conti pubblici. In questa prospettiva, l’attività dell’UPB è orientata al potenziamento degli strumenti di analisi e valutazione, con particolare riferimento alle previsioni macroeconomiche, alla finanza pubblica e agli effetti dei provvedimenti legislativi di maggiore rilevanza[60] (si pensi agli effetti disgregativi che avrebbe potuto determinare la legge Calderoli in assenza dell’intervento della Consulta), per cui il Presidente può essere chiamato a svolgere anche audizioni presso le competenti Commissioni parlamentari[61]. Inoltre, le competenze dell’Ufficio sono esplicate in funzione di una più elevata trasparenza dei conti pubblici, mediante un affinamento delle strategie di comunicazione rivolte all’opinione pubblica[62]

Volendo invece gettare uno sguardo alle concrete modalità operative, l’UPB si pronuncia attraverso atti specifici di rilevante contenuto tecnico. Tra questi, si annoverano i rapporti semestrali, dedicati all’analisi e alla valutazione delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica formulate dal Governo, nonché al monitoraggio del rispetto delle regole di bilancio sia nazionali sia europee[63]. A ciò si aggiungono le note trimestrali sulla congiuntura economica, documenti in grado di offrire una lettura approfondita dell’andamento del ciclo economico, tanto a livello nazionale, quanto internazionale[64]. Infine, l’Ufficio produce i c.d. focustematici, ossia sintetiche analisi sulle questioni economiche di maggiore attualità nel dibattito pubblico[65]. Sebbene le analisi, le verifiche e le stime elaborate dall’UPB non abbiano carattere vincolante, la legge prevede, in una dimensione strettamente interlocutoria, la possibilità per le Camere di sollecitare il Governo a fornire chiarimenti qualora emergano «valutazioni significativamente divergenti» rispetto a quelle formulate dall’Ufficio[66].

È vero, non poche volte l’UPB è risultato essere un vero e proprio «grillo parlante»: le forze politiche hanno spesso ignorato le sue valutazioni, in contesti parlamentari che hanno visto gli stessi Presidenti delle Camere non di rado rinunciare alle loro stesse funzioni di garanzia nei confronti delle minoranze (financo quando la discussione ha riguardato «la più politica di tutte le leggi», quella di bilancio, «perché stabilisce le entrate e le spese dello Stato»)[67]

Ciò non sembra, tuttavia, escludere – ma anzi pare avvalorare – le funzionalità autonome e indipendenti dell’Ufficio, che semmai rappresenta, per il parlamentarismo ormai da tempo in profonda crisi, una delle tante occasioni perse in termini di rivitalizzazione[68]. A ben vedere, infatti, le precitate regole della governanceeconomica europea sembrano conferire alle Assemblee legislative una rinnovata centralità nell’esercizio della funzione di controllo sulla decisione di bilancio. Tale pivotalità, quantomeno sul piano formale, si concretizza nella piena garanzia delle esigenze di rigore, trasparenza ed efficacia, che costituiscono i pilastri fondamentali della governance finanziaria, e si realizza attraverso un rafforzato esercizio della funzione di controllo parlamentare, volto a preservare l’equilibrio tra autonomia decisionale e responsabilità istituzionale[69].

L’UPB è incaricato di fornire un solido patrimonio di conoscenze e informazioni attendibili, con l’obiettivo di promuovere processi decisionali più trasparenti e consapevoli, indispensabili allorché in gioco vi siano questioni come quelle che attengono alla trasformazione dello Stato regionale. È quindi un organo deputato a ridurre la sempre maggiore dipendenza governativa del Parlamento, tentando di correggere le infruttuose dinamiche politiche spesso generate dai gruppi politici di maggioranza e opposizione[70]

Sicché, nonostante tali sostanziali debolezze, in parte imputabili alla sua ambivalente natura giuridica[71], esso sembra pur sempre restare un organo capace di contribuire a tenere in equilibrio non soltanto i conti pubblici, ma più in generale ad «indurre i Governi a comportamenti responsabili in materia di politiche di bilancio»[72].

Un Parlamento “sordo”, potrebbe dirsi con una caustica battuta, non riduce l’Ufficio “invalido”.

4. A mo’ di chiusura: sulle maggiori garanzie offerte dall’UPB rispetto CTFS

Nello scenario politico-normativo testé sinteticamente richiamato, la recente approvazione del d.d.l. recante delega al Governo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (eccettuata la materia «tutela della salute») sembra riproporre questioni che parevano (almeno) in parte risolte dalla pubblicazione della sentenza n. 192 del 2024. E tanto, soprattutto con riguardo alla riproposizione della centralità del ruolo e delle funzioni della CTFS, cui corrisponde la sostanziale neutralizzazione di quelle funzioni parlamentari di controllo nel cui ambito un ruolo centrale avrebbe potuto svolgere l’UPB.

Come anticipato nel Rapporto finale 2024 del CLEP, con il d.d.l. in questione il Governo non sembra, infatti, volersi allineare ai rilievi critici formulati dalla Consulta in relazione al contenuto e alle procedure con cui la legge Calderoli intende attuare l’art. 116, comma 3, Cost., benché – a più riprese – nello stesso documento normativo non manchino riferimenti al «rispetto della sentenza della Corte costituzionale n. 192 del 2024»[73]

In primo luogo, a suscitare più di qualche perplessità è l’evidente difficoltà di tenere assieme l’obiettivo di dare «completa attuazione» all’art. 116, comma 3, Cost. (art. 1, comma 1), peraltro attraverso decreti legislativi da adottarsi sulla base di principi e criteri direttivi ora eccessivamente generici (si pensi a quelli in materia di biodiversità), ora meramente ricognitivi (quelli, ad esempio, in materia di governo del territorio); con l’intento, all’evidenza incompatibile (quantomeno) in un’ottica di breve periodo, di «favorire il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali, in attuazione dei principi di cui agli articoli 2, 3, secondo comma, 5 e 119, quinto comma, della Costituzione» (art. 2, comma 1).

In secondo luogo, e per quel che qui più rileva, a venire in rilievo è la riproposizione, in capo alla CTFS, del compito di definire e aggiornare i costi e fabbisogni standard che, confluendo nei dd.P.C.M., determineranno il contenuto sostanziale dei Lep, poi soltanto formalmente adottati tramite decreto legislativo. E tanto, attraverso un complicato intarsio normativo che parrebbe voler aggirare le argomentazioni con cui la Consulta ha ribadito l’imprescindibile ruolo del Parlamento nel procedimento di attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost.[74]. Quasi che il pronunciamento del giudice delle leggi, pur formalmente richiamato dal disegno di legge delega, “tamquam non esset”.

In terzo luogo, infine, a rilevare è il richiamo effettuato al lavoro istruttorio precedentemente svolto dal CLEP, che la Corte costituzionale ha sì inteso «mantenere fermo», ma nel rispetto di «una duplice e ovvia condizione: considerare detto lavoro quale mero “ausilio” dell’attività di determinazione dei Lep; tenere fermo il necessario “rispetto dei principi costituzionali, quali richiamati dalla presente sentenza”»[75]. Condizioni che, tuttavia, per tutte le ragioni che si sono testé evidenziate, non sembrano ricorrere nel d.d.l. approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 19 maggio.

Piuttosto che nel trinomio Cabina di Regia-CLEP-CTFS, la realizzazione dell’autonomia differenziata nell’alveo dei principi costituzionali richiamati dalla sentenza n. 192 del 2024 parrebbe, allora, non poter prescindere dalla trasparente e articolata discussione parlamentare. È il Parlamento nazionale, infatti, il luogo istituzionale in cui poter far valere le ragioni “generali”, inscritte nella rappresentanza della «Nazione» (art. 67 Cost.), attraverso cui legittimare normativamente differenziazioni regionali che, in ogni caso, devono porsi quale «strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali»[76], non già a soddisfare mere istanze autonomistiche radicate in ragioni di contabilità pubblica[77]

Per questa via, dunque, indispensabile sembra essere l’apporto di organi realmente indipendenti ed imparziali, come quell’UPB che, sinora inutilmente, ha tentato di correggere l’autoreferenzialità di una classe politica che ora si appresta, peraltro, a frantumare l’unità nazionale e l’uguaglianza sostanziale nell’accesso e nel godimento dei diritti (soprattutto sociali) in ventuno, disparate legislazioni e amministrazioni regionali. A differenza di quegli organi sostanzialmente subordinati alle direttive impartite dai vertici dell’Esecutivo, l’UPB sembra, infatti, poter realmente contribuire a mantenere – ma, sarebbe meglio dire a rendere – trasparente e consapevole il dibattito pubblico sull’autonomia differenziata, correggendo artefatte ricostruzioni politico-normative pericolosamente in grado di aggirare i limiti che la Costituzione – prima ancora che la Consulta – pone a progetti di trasformazione dello Stato sociale attraverso la frammentazione dell’unità nazionale (artt. 2, 3, co. 2, 5, 120 Cost.). 

In questo scenario, «occorre», pertanto, ribadire l’urgenza «che i profili tecnici dello Stato sociale non sfuggano al controllo parlamentare e al conseguente dibattito pubblico, che dunque i relativi dati siano certi, affidabili e non surrettiziamente alterati». Il che sembra, in definitiva, non poter prescindere dall’«istituzione di un organismo di determinazione dei costi e fabbisogni standard effettivamente neutrale e non politicamente eterodiretto»[78].


Note e riferimenti bibliografici

* Il testo rielabora le relazioni presentate dall’Autore ai due Convegni organizzati dall’Unione Giuristi Cattolici Italiani dal titolo “Riforme costituzionali: quali prospettive?”. La prima manifestazione si è svolta il 28 febbraio 2025 ad Altamura, presso il Monastero di Santa Corce. Il secondo incontro si è invece tenuto l’11 giugno 2025, presso il Palazzo Marchesale di Santeramo in Colle.

** Professore Associato di Diritto costituzionale e Pubblico nell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

[1] Perplessità di ordine giuridico-costituzionale come noto denunciate, sin dalle audizioni parlamentari che accompagnarono l’approvazione della legge cost. n. 3 del 2001, da Leopoldo Elia, il quale stigmatizzò il possibile contrasto che sarebbe potuto insorgere tra l’art. 117 Cost. e l’attuazione del nuovo art. 116, comma 3, Cost. Sul punto, cfr. L. Elia, Audizione, I Commissione, Senato, XIV Leg., 23 ottobre 2001. Di recente, le perplessità mosse da Elia sono riprese da U. De Siervo, L’incompatibilità costituzionale del terzo comma dell’art. 116 Cost., in Democrazia e diritto, 2023, 80 ss. Ancor più radicale appare la tesi sostenuta da P. Maddalena, L’autonomia regionale differenziata. Solidarietà e territori – Editoriale, in AmbienteDiritto.it, n. 1/2024, 4, il quale ritiene l’art. 116, comma 3, Cost., un luogo costituzionale «giuridicamente inesistente», giacché esso abiliterebbe una legge ordinaria a modificare l’ordine costituzionale delle competenze.

[2] Per una più complessiva panoramica sul regionalismo italiano, si vedano gli autorevoli contributi raccolti in R. Bin – F. Ferrari (a cura di), Il futuro delle Regioni, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023.

[3] E tanto, a voler rievocare il titolo di un recente lavoro di F. Pallante, Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese, Einaudi, Torino, 2024, il quale sottolinea che «proseguire lungo» la «strada» della differenziazione regionale tratteggiata dalla legge Calderoli «è da irresponsabili. L’espansione incontrollata dei poteri regionali va fermata e le regioni devono tornare a essere strumenti al servizio della Repubblica e del suo disegno di emancipazione di tutti i cittadini: a prescindere dal territorio di residenza» (p. 6).

[4] In effetti, ad osservare la formulazione originaria dell’art. 3 della legge Calderoli, «a restare ai margini del processo di attuazione dell’autonomia differenziata sono le assemblee elettive». Così, C. De Fiores, Audizione presso la Commissione Affari costituzionali del Senato sui disegni di legge nn. 615, 62, 273 (Attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario), 25 maggio 2023, 5-6.

[5] Con riferimento specifico alla CTFS, V. Tondi della Mura, La necessaria terzietà degli organismi tecnico-economici: Commissione Fabbisogni e Ufficio di Bilancio nel prisma della sentenza costituzionale n. 192/2024, in Rivista AIC, n. 2/2025, 6-8, ha rimarcato dapprima, «con riguardo all’accessibilità alla carica», l’assenza di «limiti di merito, di mandato e di compatibilità»; e, poi, con riferimento «al rapporto con il Parlamento», l’«ampio margine operativo che svuota di contenuto il ruolo parlamentare». Sicché, «stando al modello legislativo» che governa l’attuazione del regionalismo differenziato, «la progettazione dello Stato sociale del Paese è affidata a una Commissione (…) che si presta a essere eterodiretta dai partiti della coalizione di governo senza alcun limite ordinatorio. Per i singoli componenti e il relativo presidente, infatti, valgono nell’ordine: l’assenza di apposite competenze tecniche e qualifiche di merito; la cooptazione meramente politica e la conseguente dipendenza assoluta del cooptato dal cooptante; il premio fedeltà politica consistente nell’eventuale rinnovo senza limite del mandato; l’opacità dei vantaggi derivanti dalla combinazione fra gratuità dalla carica e assenza di qualsiasi incompatibilità personale e professionale. Il tutto, lasciando sostanzialmente estraneo il Parlamento dell’esito dell’inevitabile sbilanciamento fra i diversi interessi territoriali e amministrativi coinvolti». 

[6] Il d.d.l., reperibile online, consta di 33 articoli in cui, a seguito della sentenza n. 192 del 2024, il Governo ha provato ad indicare i principi e i criteri direttivi per ogni singola materia-funzione delegabile alle Regioni, dopo aver richiamato – in maniera, invero, nuovamente generica e normativamente intricata – quelli che varrebbero, in via generale, per tutte le materie che intersecano l’autonomia regionale (art. 2). Nella parte finale del d.d.l., poi, sono incluse le disposizioni propriamente finanziarie e contabili.

[7] Espressione che, non a caso, viene utilizzata dalle scienze economiche e sociali al fine di indicare provvedimenti volti a ridurre le disuguaglianze tra classi sociali o aree geografiche. Si pensi alle politiche di equalizzazione fiscale o alle misure equalizzanti nel Welfare State.

[8] Ad esempio, vi è chi nella sentenza ha fianco ravvisato le proprietà di un intervento di «supplenza politica», come tale fortemente limitativo della discrezionalità del legislatore. Sembrano essere queste le considerazioni di M. Esposito, contenute in un’intervista rilasciata a ilSussidiario.net il 4 dicembre 2024. Secondo l’A., invero, a seguito della pronuncia della Consulta, «il Parlamento si trova di fronte un’area di legislazione già impegnata “costruttivamente”, se così si può dire, dalla Corte costituzionale: ogni diversa determinazione sconterebbe la violazione di quella sorta di “norma interposta” costituita dalla sentenza della Corte».

[9] V. Tondi della Mura, La necessaria terzietà degli organismi tecnico-economici, cit., 9.

[10] Come si può, infatti, leggere nel cons. in dir. n. 4.1 della sentenza n. 192 del 2024, «secondo la prospettiva costituzionale, incentrata sul principio di sussidiarietà, la scelta sulla ripartizione delle funzioni legislative e amministrative tra lo Stato e le regioni o la singola regione, nel caso della differenziazione ex art. 116, terzo comma, Cost., non può essere ricondotta ad una logica di potere con cui risolvere i conflitti tra diversi soggetti politici, né dipendere da valutazioni meramente politiche. Il principio di sussidiarietà richiede che la ripartizione delle funzioni, e quindi la differenziazione, non sia considerata ex parte principis, bensì ex parte populi».

[11] Con le parole usate dalla Consulta nella sentenza n. 192 del 2024: un regionalismo improntato alla realizzazione dei principi costituzionali della «solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni», dell’«unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 120 Cost.)», dell’«eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.)», dell’«effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e quindi» della «coesione sociale» e dell’«unità nazionale – che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato –, il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia» (cons. in dir. n. 4).

[12] Come si può, infatti, leggere nel cons. in dir. n. 9.2 della sentenza n. 192 del 2024, «la determinazione dei principi e criteri direttivi “ben può avvenire per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, purché sufficientemente specifici (sentenza n. 156 del 1987)». Circostanza, questa, che non si verifica però nell’art. 3, comma 1, della legge Calderoli che, richiamando i commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022, pretende «di dettare contemporaneamente criteri direttivi – per relationem – con riferimento a numerose e variegate materie. Poiché ogni materia ha le sue peculiarità e richiede distinte valutazioni e delicati bilanciamenti, una determinazione plurisettoriale di criteri direttivi per la fissazione dei LEP, che non moduli tali criteri in relazione ai diversi settori, risulta inevitabilmente destinata alla genericità».

[13] Pertanto, sul punto, la Consulta stabilisce che «l’art. 3, comma 1, della legge n. 86 del 2024 (…) è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 76 Cost. (sentenze n. 280 del 2004 e n. 47 del 1959). Tale vizio si riflette in lesione delle competenze costituzionali delle ricorrenti, perché il conferimento di un potere legislativo delegato illegittimo per insufficienza di criteri direttivi delinea un quadro illegittimo dell’azione regionale, dato che i LEP intersecano numerose materie regionali».

[14] «Ad abundantiam», prosegue la Consulta, «si può rilevare che la norma impugnata finisce anche per porsi in contrasto, da un lato, con il principio secondo il quale una fonte primaria non può creare una fonte con sé concorrenziale (sentenze n. 198 del 2021 e n. 361 del 2010), dall’altro con l’art. 76 Cost., perché, attribuendo al Presidente del Consiglio il potere di aggiornare i LEP fissati con decreto legislativo, in sostanza conferisce un’altra delega ad un organo diverso dall’unico cui la delega legislativa può essere data (il Governo nella sua interezza), in base all’art. 76 Cost.».

[15] Su tali aspetti, diffusamente, si veda V. Tondi della Mura, La necessaria terzietà degli organismi tecnico-economici, cit., passim.

[16] Su tali complessissime dinamiche si è provato a ragionare, amplius, in altra sede. Si veda, pertanto, se si vuole, A. Gusmai, Il giudice, il legislatore e l’opinione pubblica: appunti sulla razionalità sociale dell’ordinamento costituzionale, in Forumcostituzionale.it, 9 maggio 2016, spec. 18 ss. Ad ogni modo, in quella sede si è avuto modo di sottolineare che, affinché la pubblica opinione possa atteggiarsi a reale custode dell'ordinamento positivo, è necessario ponderare il grado di consapevolezza e la qualità delle informazioni a cui possono accedere i soggetti che la determinano. Il che appare assumere ulteriore rilevanza, in senso evidentemente critico, in una società, come quella contemporanea, in cui l’omologazione e il conformismo sociale prodotti dalla forza sconfinata delle istituzioni e dei soggetti economici operanti nei mercati tendono, con sempre maggiore nitore, ad anestetizzare le capacità critiche dei consociati. Ciò che, portato alle sue estreme conseguenze, potrebbe fare della pubblica opinione la peggiore attentatrice delle democrazie costituzionali.

[17] Di «disallineamento istruttorio» e «diversa permeabilità politica» dei due organi parla V. Tondi della Mura, La necessaria terzietà degli organismi tecnico-economici, cit., spec. 2-3, ma passim.

[18] Sulla rilevanza della trasparenza, intesa come strumento di consapevolezza e controllo sociale, degli interessi che confluiscono nelle deliberazioni dei rappresentanti della «Nazione» (art. 67 Cost.), si veda, da ultimo, F. Sicuro, Il libero mandato nelle dinamiche rappresentative, Cacucci, Bari, 2025, 251 ss.

[19] Il punto è stato evidenziato, ancora, da V. Tondi della Mura, La necessaria terzietà degli organismi tecnico-economici, cit., 2.

[20] In tal senso, già, V. Tondi della Mura, Per un regionalismo differenziato rispettoso della coesione nazionale. Prime note, in Italian Papers On Federalism, n. 2/2019, 3, riferendosi alla portata potenzialmente dirompente del c.d. «regionalismo differenziato».

[21] CLEP è acronimo di Comitato per l’individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, organo che, come si vedrà, di fatto detta pressoché i criteri di stima dei LEP per conto della CTFS. Esso viene istituito con d.P.C.M. 23 marzo 2023 «a supporto della Cabina di regia per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale (nel seguito, LEP), istituita dall’articolo 1, comma 792, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, per le esigenze di studio e approfondimento tecnico delle complesse questioni rilevanti ai fini dell’espletamento delle funzioni attribuite alla stessa dal successivo comma 793» (art. 1). Come specifica il successivo art. 2 del d.P.C.M. 20 febbraio 2024 (che al primo articolo proroga i suoi lavori sino al 31 dicembre 2024), il CLEP è incaricato di fornire, per il tramite del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, ogni contributo istruttorio richiesto dalla Cabina di regia di cui all’articolo 1 del presente decreto ai fini dell’espletamento delle seguenti funzioni di spettanza della medesima Cabina di regia e di ogni altra funzione a esse strumentale: a) fissazione dei LEP, ai fini della determinazione dei medesimi secondo le procedure indicate dall’articolo 1, commi 795 e 796, della legge n. 197 del 2022; b) individuazione dei costi e dei fabbisogni standard relativi ai LEP nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, sulla base delle ipotesi tecniche trasmesse dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard » (comma 1). Inoltre, il CLEP è «incaricato di fornire ogni contributo istruttorio utile ai fini della fissazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nelle materie ulteriori rispetto a quelle di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione» (comma 2); e «può trasmettere alla Cabina di regia, quando lo ritenga opportuno, proprie osservazioni, proposte, studi o approfondimenti che ritenga necessari ai fini di cui ai commi 1 e 2» (comma 3).  

[22] Cfr. Corte cost., sent. n. 192 del 2024, Considerato in diritto n. 9.2, ove si legge: «La determinazione dei LEP dovrà dunque avvenire (anche con l’ausilio del lavoro svolto dal Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP, istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2023) nel rispetto dei principi costituzionali, quali richiamati dalla presente sentenza». 

[23] Ulteriore verticalizzazione imputabile alle nuove disposizioni contenute nel c.d. decreto Milleproroghe, approvato il 9 dicembre scorso dal Consiglio dei Ministri. In particolare, come riportano gli organi si stampa, da una parte si fa «salvo il lavoro istruttorio e ricognitivo» del CLEP, svolto in virtù delle disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte; dall’altra, si stabilisce che «l’attività istruttoria per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e dei relativi costi e fabbisogni standard, a decorrere dal 5 dicembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025, è svolta presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie». Ne dà conto K. Hauser, ne il Manifesto del 10 dicembre 2024. D’altronde, come riportano numerosi altri quotidiani (si veda, tra gli altri, P. Spirito, Autonomia differenziata, l’azzardo di Cassese, in il Quotidiano del Sud, 5 dicembre 2024) il presidente del CLEP, Sabino Cassese, ha sin da subito dichiarato di non voler arrestare i lavori del Comitato. A sottolineare il ruolo di «spicco» riservato dall’impianto autonomistico al Ministro per gli Affari regionali e le autonomie («che appare quasi un alter ego del Presidente del Consiglio, che può sempre sostituire») è, da ultimo, F. Gabriele, Sulla autonomia «ulteriore» nelle regioni a Statuto ordinario (o del regionalismo «differenziato» volutamente «frainteso», in Diritto Pubblico Europeo Rassegna online, fasc. 2/2024, 225.

[24] L’efficace immagine è di V. Tondi della Mura, intervistato da G. Martina del Quotidiano di Puglia, 4 dicembre 2024.

[25] Tale provvedimento normativo, intitolato “Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province”, è uno dei decreti attuativi della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. Esso stabilisce le regole per: 1) determinare i costi e i fabbisogni standard degli enti locali (Comuni, Province, Città Metropolitane) per garantire un’erogazione uniforme dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) su tutto il territorio nazionale; 2) sostituire il criterio della spesa storica con quello dei fabbisogni standard, al fine di rendere la distribuzione delle risorse più equa, trasparente ed efficiente.

[26] L’obiettivo è individuare il livello di risorse necessario per garantire servizi essenziali di qualità comparabile in tutte le aree del Paese.

[27] La legge, con riferimento alle Regioni, opera una distinzione tra le spese destinate ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nei settori che riguardano i diritti civili e sociali e quelle relative ad altri ambiti. Le principali criticità derivano dalla persistente assenza di una chiara definizione sia dei LEP (ad eccezione del settore sanitario, per il quale sono stati definiti i LEA (livelli essenziali di assistenza) sia dei fabbisogni standard (misurati in relazione alla popolazione residente ed al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali). Per un’efficacie ricognizione delle problematiche legate al tema, si veda il recente documento del Servizio Studi della Camera dei deputati del 5 giugno 2024, intitolato “Federalismo fiscale”.

[28] È appena il caso rammentare che, nella legge n. 86 del 2024, a norma dell’art. 4, il criterio della spesa storica resta utilizzabile per le materie non concernenti i diritti civili e sociali. Si tratta di materie importanti, tra le quali troviamo, ad esempio, i rapporti internazionali e con l’Unione europea, la giustizia di pace, il commercio con l’estero, la protezione civile. Materie, queste, ad alcune delle quali per giunta «afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà». A renderne difficile il trasferimento, come puntualizza la Consulta, è il fatto che ormai tali discipline sono di competenza del «diritto unionale». Si veda, ancora, Corte cost., sent. n. 192 del 2024, Considerato in diritto n. 4.4.

[29] I settori interessati includono istruzione, assistenza sociale, trasporti locali, gestione rifiuti e altri servizi pubblici essenziali erogati dagli enti locali.

[30] Come è stato sensibilmente rilevato, «non basta professare la neutralità tecnica e ideologica dell’attività occorrente per la definizione dei Lep, per riuscire a eludere la politicità effettivamente sottesa». Ed invero, l’attività istruttoria del CLEP «è stata intesa in senso tecnico, negando ogni rinvio alle ragioni costituzionali dei Lep e dunque alla politicità delle valutazioni coinvolte. E tuttavia, sebbene dichiarata inammissibile in via di principio, detta politicità ha operato in via di fatto, insinuandosi nei lavori del CLEP alla stregua dell’acqua dei fiumi carsici. Proprio perché negata in superfice, essa ha scavato all’interno delle riunioni plenarie e delle sottocommissioni, si è infiltrata negli interventi, sino a sfociare irruente nelle relative conclusioni». Così, V. Tondi della Mura, Non è Voltaire: le pagine bianche (e quelle grigie) del «Rapporto finale» del Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, in federalismi.it, fasc, n. 15/2024, rispett. 216 e 220.

[31] È chiaro che anche la scelta dei membri del CLEP (nominati con d.P.C.M.) rappresenta un atto politico-tecnico molto rilevante, in quanto gli esperti che lo compongono avranno un ruolo chiave nell’influenzare le decisioni relative all’autonomia differenziata e alla distribuzione delle risorse tra le Regioni. Tanto è vero che, nel luglio 2023, a causa di alcune preoccupazioni legate al processo di definizione dei LEP e all’impostazione complessiva della riforma Calderoli, quattro figure di grande rilievo nel panorama politico e giuridico (Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo e Alessandro Pajno) hanno rassegnato le dimissioni. Fatto che, non solo fra gli addetti ai lavori, è stato letto come una sonora bocciatura dell’intero impianto su cui si regge il disegno attuativo dell’art. 116, comma 3, Cost. (in particolare, i dimissionari hanno criticato: l’eccessiva fretta con cui si stava procedendo alla definizione dei LEP; la mancanza di un confronto serio e approfondito sulle implicazioni del d.d.l. Calderoli e, soprattutto, il rischio di una frammentazione dei servizi e di una riduzione dei livelli di tutela per i cittadini. A presiedere il CLEP è, come noto, il prof. Sabino Cassese. Peraltro, a consultare gli informati rilievi di chi ancora opera al suo interno, si apprende che i dissidi non smettono di riprodursi. Cfr. V. Tondi della Mura, “…de’ remi facemmo ali al folle volo”: i rischi dell’imprudenza nei lavori del Comitato per la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, in federalismi.itPaper – 9 agosto 2023, 3, il quale scrive: «il fronte di divisione, in realtà, non si è esaurito con le dimissioni dal Comitato Lep dei quattro autorevoli membri […], permanendo tuttora nelle valutazioni di alcuni influenti studiosi ancora in carica».

[32] A rilevarlo è V. Tondi della Mura, I LEP sulle montagne russe. Primi rilievi sul «Rapporto finale» del Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, in Nuove Autonomie, n. Speciale I/2024, 14.

[33] A rilevarlo è F. Pallante, Il ddl Calderoli in tema di regionalismo differenziato. Una lettura critica, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 2/2023, 9.

[34] Sul punto, nella stessa sentenza n. 192 del 2024 la Consulta sottolinea che, mentre «il nucleo minimo del diritto è un limiti derivante dalla Costituzione e va garantito da questa Corte, anche nei confronti della legge statale, a prescindere da considerazioni di ordine finanziario», i Lep «sono un vincolo posto dal legislatore statale, tenendo conto delle risorse disponibili, e rivolto essenzialmente al legislatore regionale e alla pubblica amministrazione; la loro determinazione origina, poi, il dovere dello stesso Stato di garantirne il finanziamento. La distinzione tra LEP e nucleo minimo del diritto consente di non svuotare di senso la competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.: infatti, se i due concetti coincidessero, tale norma attribuirebbe al legislatore statale il mero compito di esplicitare un vincolo già derivante dalle norme costituzionali sui diritti» (cons. in dir. n. 14).

[35] Le norme disciplinanti il calcolo dei costi e dei fabbisogni standard degli enti locali (FaS), contenute nel d.lgs. 26 novembre 2010, n. 216, attribuiscono a Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. (SOSE) il compito di elaborare il quadro metodologico di riferimento, in collaborazione e con il supporto scientifico dell’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale (IFEL), fondazione ANCI. Lo stesso decreto affida a SOSE anche la responsabilità del monitoraggio annuale dei parametri di riferimento e garantisce una revisione completa della metodologia almeno ogni tre anni. Dal 2016, l’analisi e la valutazione delle attività, delle metodologie e delle elaborazioni relative alla determinazione dei FaS sono state trasferite alla Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS). Istituita dalla Legge di stabilità 2016 (art. 1, commi 31 e 32, L. n. 208/2015), è appena il caso di rammentare che la CTFS ha sostituito la precedente Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF).

[36] Per maggiori dettagli, cfr. il documento al seguente indirizzo: https://www.sose.it/sites/default/files/2022-07/SOSE_FPA_Presentazione_Audizione%20Commissione%20parlamentare%20Federalismo%20Fiscale_2021_10_21.pdf.pdf.

[37] La citazione è tratta da Corte cost., sent. n. 192 del 2024, Considerato in diritto n. 4.

[38] A mettere opportunamente in evidenza tutto questo è stato V. Tondi della Mura, Non è Voltaire, cit., 225 ss., da cui sono tratte le citazioni.

[39] Cfr. d.P.C.M. 23 febbraio 2016, recante “Istituzione della Commissione tecnica per i fabbisogni standard”.

[40] Corte cost., sent. n. 220 del 2021, Considerato in diritto n. 5.1.

[41] Così, ancora, V. Tondi della Mura, Non è Voltaire, cit., 234.

[42] A darne conto è, tra gli altri, l’articolo di P. Frosina, apparso ne il Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2024.

[43] In dottrina, ad aver per primo segnalato tali anomalie è stato V. Tondi della Mura, Non è Voltaire, cit., 234.

[44] Come si è avuto modo di meglio argomentare in altri luoghi, quando si fa riferimento ai «soggetti della rappresentanza politica» occorre tenere conto non soltanto delle attività svolte dai gruppi politici (i partiti) e dai singoli rappresentanti, ma, anche e soprattutto, del lavoro svolto dai gruppi parlamentari dai cui poi si generano le commissioni legislative. Cfr., se si vuole, A. Gusmai, Il Gruppo parlamentare. Profili evolutivi di un soggetto della rappresentanza politica, Cacucci, Bari, 2019.

[45] Una delle «promesse non mantenute della democrazia», infatti, ossia uno di quei fattori molto grevi che sempre più insidia il futuro delle democrazie costituzionali odierne è l’«apatia politica, che coinvolge spesso la metà degli aventi diritto al voto». Le citazioni, ancora attualissime se si considera la sempre maggiore indifferenza del fluido elettorato, sono tratte dalla celebre riflessione di N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984, 8.

[46] A rilevarlo è G. Rivosecchi, Uno studio sull’Ufficio parlamentare di bilancio, preteso potere dello Stato, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. 2/2021, 2.

[47] In tal senso, P. Magrò, L’ufficio parlamentare di bilancio, in A. Giovannelli (a cura di), Aspetti della governance economica nell’Ue e in alcuni Stati dell’Unione, Giappichelli, Torino, 2015, 66. 

[48] Pertanto, i Fiscal Council si configurano come strumenti essenziali per soddisfare l’esigenza di assicurare, nel quadro del sistema euro-nazionale di governo dei conti pubblici, la piena affidabilità delle stime previsionali sottoposte all’esame dei Parlamenti nazionali, contribuendo in tal modo a consolidare la credibilità e la stabilità delle regole proprie del diritto del bilancio. Sul punto si veda, tra gli altri, C. Fasone – D. Fromage, Fiscal Councils: Threat or Opportunity for Democracy in the Post-Crisis Economic and Monetary Union?, in L. Daniele – P. Simone – R. Cisotta (eds), Democracy in the EMU in the Aftermatch of Crisis, Torino-Berlin, Springer, 2017, 165 ss.

[49] Per una migliore comprensione dell’evoluzione eurounitaria della disciplina, cfr. D. Cabras, Un Fiscal Council per l’Italia, in il Filangieri, Quad. 2011, Costituzione e pareggio di bilancio, Jovene, Napoli, spec. 178-181. 

[50] Le specifiche competenze di tali organismi dotati di autonomia funzionale sono contenute, in particolare, all’interno dell’art. 5 del regolamento (UE) n. 473/2013, intitolato “Enti indipendenti che monitorano l'osservanza delle regole di bilancio”, il quale elenca tutte le funzioni attribuite a tali organismi.

[51] Secondo alcuni, potrebbe trattarsi financo di legge “organica”. Invero, stando ai rilievi di una parte autorevole della dottrina, sarebbe possibile ravvisare, nella legge prevista dall’art. 81, comma 6, della Costituzione, una prima, seppur implicita, manifestazione del concetto di legge organica nel sistema giuridico italiano. Il riferimento è a M. Luciani, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalità, Relazione al Convegno “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012, Palazzo della Consulta 22 novembre 2013, 20 ss. Dello stesso avviso sembra essere, anche, N. Lupo, Il nuovo articolo 81 della Costituzione e la legge “rinforzata” o “organica, in Aa.Vv., Dalla crisi economica al pareggio di bilancio: prospettive, percorsi e responsabilità: atti del 58° Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna 20-22 settembre 2012, Giuffrè, Milano, 2013, 425 ss.

[52] Un’ampia ricostruzione, anche critica, delle problematiche che investono tale organo è possibile rinvenirla nel contributo monografico di A. Vernata, L’ufficio parlamentare di bilancio. Il nuovo organo ausiliare alla prova del primo mandato e della forma di governo, Jovene, Napoli, 2020.

[53] Per alcuni puntuali riferimenti al funzionamento di organismi simili in altri ordinamenti, si veda Y. Guerra, Alcuni spunti di riflessione sull’ufficio parlamentare di bilancio, in Forum di Quaderni costituzionali, 3 maggio 2016, 4 ss.

[54] In merito, cfr. F. Guella, Il ruolo degli organi tecnici nelle decisioni politico-finanziarie. L’Ufficio parlamentare di bilancio come autorità indipendente e come apparato strumentale, in P. Bonetti – A. Cardone – A. Cassatella – F. Cortese – A. Deffenu – A. Guazzarotti, Spazio della tecnica e spazio del potere nella tutela dei diritti sociali, Aracne, Roma, 2014, 871-896. 

[55] Per maggiori ragguagli sulla composizione e, soprattutto, per un’analisi che tenga conto delle possibili relazioni che l’UPB può instaurare con altre istituzioni, si rinvia a M.T. Salvemini, Poteri di bilancio e sistema istituzionale italiano. L’organismo indipendente per l’analisi e la verifica degli andamenti dei conti pubblici, in Aa.Vv., Dalla crisi economica al pareggio di bilancio: prospettive, percorsi e responsabilità. Atti del Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Giuffrè, Milano, 2012, 370-380. 

[56] Sul punto, si vedano, almeno, i contributi di L. Gianniti, Prime note sulla costituzione dell'Ufficio parlamentare di bilancio, in Astrid-online,14 marzo 2013, e di E. Griglio, Il “nuovo” controllo parlamentare sulla finanza pubblica: una sfida per i “nuovi” regolamenti parlamentari, in Nuove Autonomie, n. 1/2013, 1 ss.

[57] Si rievochi quanto visto supra, a proposito della c.d. “lobby veneta”.

[58] E tanto, come puntualizza il terzo comma dell’art. 16 della legge n. 243 del 2012, a pena di decadenza. Non solo. Per gravi violazioni, si legge nella stessa allinea, con le stesse modalità e le medesime maggioranze richieste per la nomina, i membri del Consiglio possono essere con decreto revocati dall’incarico.

[59] Secondo l’art. 17 della medesima legge, invero, «L’Ufficio seleziona il proprio personale in piena autonomia, unicamente sulla base di criteri di merito e di competenza, con esclusivo riferimento alle esigenze funzionali» (comma 1). Il personale dell’Ufficio è poi composto da: «a) personale assunto dall’Ufficio attraverso pubblico concorso con contratto di lavoro a tempo indeterminato; b)personale delle amministrazioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché di amministrazioni pubbliche o di diritto pubblico, collocato fuori ruolo; c) personale selezionato attraverso procedure comparative pubbliche, per lo svolgimento di incarichi a tempo determinato, di durata non superiore a tre anni, rinnovabili per una sola volta» (comma 2). Non da ultimo, è previsto che «I Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, d’intesa tra loro, mettono a disposizione dell’Ufficio locali da destinare a sede del medesimo e le necessarie risorse strumentali» (comma 6).

[60] Per maggiori ragguagli, cfr. R. Loiero, La nuova governance europea di finanza pubblica e il ruolo dell’Ufficio parlamentare di bilancio (31 luglio 2013), in federalismi.it, 1 ss. 

[61] In tema di autonomia differenziata, si veda, già, la Risposta dell’Ufficio parlamentare di bilancio alla richiesta di approfondimenti– Commissione Prima del Senato della Repubblica (Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell’Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione), 20 giugno 2023, reperibile al seguente indirizzo: https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2023/06/Risposte-UPB-quesiti_autonomia-differenziata.pdf. Sin da subito, infatti, L’UPB sottolinea l’importanza di definire metodologie e criteri chiari per assicurare l’equità e la sostenibilità del processo di autonomia differenziata. Da ultimo, si veda anche l’Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla determinazione e sull’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali– Intervento del Consigliere Giampaolo Arachi del 1 febbraio 2024 nella Commissione parlamentare per le questioni regionali. In particolare, l’UPB ha evidenziato che la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, anche in relazione al disegno di legge sull’autonomia differenziata, risulta attualmente disorganica e incompleta. È stata quindi ribadita l’importanza di una stretta collaborazione tra strutture tecniche e organi politici per la definizione dei LEP e dei fabbisogni, processi che devono necessariamente procedere in modo integrato. L’UPB ha altresì sottolineato la necessità di riattivare e potenziare il monitoraggio infrastrutturale, al fine di valutare adeguatamente le perequazioni e garantire un uso efficace delle risorse finanziarie. Ha inoltre evidenziato l’importanza di disporre di indicatori affidabili per misurare l’efficacia degli interventi nelle aree più carenti di servizi, le cui condizioni di arretratezza spesso impediscono il raggiungimento dei criteri e degli obiettivi necessari per accedere ai fondi. L’organismo indipendente ha poi osservato che, nell’ambito dell’autonomia differenziata (federalismo asimmetrico), l’introduzione di nuovi LEP per servizi attualmente non garantiti in modo uniforme sul territorio comporterà un aumento di spesa nelle Regioni con maggiori carenze. Per giunta, ha evidenziato come la corsia preferenziale prevista per la definizione dei LEP nelle materie statali interessate dall’autonomia differenziata potrebbe rallentare la riforma del finanziamento delle Regioni a statuto ordinario, un elemento cruciale per l’attuazione del PNRR. L’UPB ha poi rimarcato che, nell’ambito del federalismo regionale, la definizione delle materie incluse nei LEP influenzerà sia l’entità complessiva dei fondi disponibili, sia le modalità della loro distribuzione. Si auspica, pertanto, l’individuazione di una sede istituzionale unica in cui definire i livelli di compartecipazione, evitando un processo frammentato attraverso le varie commissioni paritetiche. L’UPB ha inoltre sottolineato che la fiscalizzazione comporta sfide significative sia per le Amministrazioni centrali che per le Regioni, determinando un cambiamento nei rispettivi ruoli e nell’ambito delle competenze e deleghe. Ha infine rimarcato l’importanza di adottare efficaci meccanismi di monitoraggio per tutti i LEP, accompagnati da un sistema incisivo di misure correttive.

[62] Si veda il successivo art. 18, il quale peraltro annovera stringenti regole di trasparenza (comma 4) e l’ulteriore possibilità, da parte del Consiglio, di avvalersi di un Comitato scientifico con «il compito di fornire indicazioni metodologiche in merito all’attività dell’Ufficio» (comma 5). Come sostiene G. Rivosecchi, Uno studio sull’Ufficio parlamentare di bilancio, cit., 11, in fondo «il rendimento delle prestazioni dei Fiscal Council è questione che attiene alla legittimazione di tali organi, in quanto funzionali ad assicurare la trasparenza e la controllabilità delle decisioni di bilancio degli organi politici anzitutto di fronte al corpo elettorale».

[63] Cfr. A. Razza, L’ufficio parlamentare di bilancio nella nuova governance della finanza pubblica, in Riv. Giur. Mezzogiorno, n. 4/2013, 893 ss.

[64] Si veda, M.P. Chiti, L’Ufficio parlamentare di bilancio e la nuova governance della finanza pubblica, in Astrid Rassegna, n. 1/2014 (reperibile al sito www.astrid-online.it).

[65] Da ultimo, per ciò che qui rileva, si veda il Focus tematico n. 3 del 27 marzo 2024, dedicato a Il riparto del fabbisogno sanitario nazionale tra nuovi criteri e attuazioni incompiute, reperibile all’indirizzo che segue: https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2024/03/Focus_3_2024_Riparto-fabb_san.pdf.

[66] E tanto, in ossequio al comma terzo dell’art. 18, il quale prevede che se l’Ufficio «esprima valutazioni significativamente divergenti rispetto a quelle del Governo, su richiesta di almeno un terzo dei componenti di una Commissione parlamentare competente in materia di finanza pubblica, quest’ultimo illustra i motivi per i quali ritiene di confermare le proprie valutazioni ovvero ritiene di conformarle a quelle dell’Ufficio».

[67] In argomento, si vedano le caustiche considerazioni di S. Curreri, Forza della maggioranza e tutela delle minoranze, in laCostituzione.info, 29 dicembre 2018, da cui sono tratte le citazioni riportate nel testo (pp. 2-3), spese a proposito della clamorosa violazione delle attribuzioni costituzionali spettanti alle minoranze parlamentari a seguito del mancato effettivo esame in commissione e in Aula della legge di bilancio.

[68] Per evitare di citare l’incontenibile letteratura che si è negli anni susseguita sul tema, basti qui ricordare che, ad occuparsi del fenomeno, ormai più di un secolo fa, è stato il massimo teorico della democrazia del Novecento. Il riferimento è, come intuibile, ad H. Kelsen, Il problema del parlamentarismo, in Id., La democrazia, il Mulino, 1981, 145 ss.

[69] In fondo, l’«efficacia di queste istituzioni [dei fiscal councils] richiede la condivisione, politica ma in ultima istanza dell’opinione pubblica, delle funzioni che sono chiamate a svolgere». A sostenerlo è C. Goretti, Una valutazione dell’attività dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio nell’ambito della revisione costituzionale sul pareggio di bilancio, in C. Bergonzini (a cura di), Costituzione e bilancio, FrancoAngeli, Milano, 2019, 190.

[70] In tal senso, N. Lupo, La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti, in Il Filangeri – Quaderno 2011 – Costituzione e pareggio di bilancio, a cura di V. Lippolis – N. Lupo – G.M. Salerno – G. Scaccia, Jovene, Napoli, 122.

[71] Che avrebbe una «configurazione sui generis», ossia «non riconducibile a pieno né alla categoria delle autorità amministrative indipendenti, né a quella di mero organo interno del Parlamento». Così, A. Vernata, L’ufficio parlamentare di bilancio, op. cit., 84 ss., il quale sottolinea che l’assimilazione alle autorità amministrative indipendenti avrebbe potuto costituire una possibile limitazione dei poteri discrezionali del Parlamento.

[72] L. Landi, Fiscal Council: una comparazione internazionale e il caso italiano, in www.archivioceradi.luiss.it, 6.

[73] E tanto, nei commi 1 e 3 dell’art. 2, ossia di quella disposizione espressamente diretta a dettare «principi e criteri generali di delega».

[74] Come si può, infatti, leggere nel comma 2 dell’art. 2 del d.d.l. approvato in C.d.M. lo scorso 19 maggio, «relativamente a ciascun LEP ovvero a gruppi di LEP quantificabili, determinati nei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 1, i costi e fabbisogni standard, come definiti dall’articolo 2, comma 2, lettera f), della legge 5 maggio 2009, n. 42, sono contestualmente determinati e successivamente aggiornati, a norma dell’articolo 3, comma 8, della legge 26 giugno 2024, n. 86, con uno o più decreti del Presidenti del Consiglio dei ministri, adottati con le modalità e la metodologia previste dalla normativa vigente, con particolare riferimento al decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216».

[75] V. Tondi della Mura, La necessaria terzietà degli organismi tecnico-economici, cit., 27, il quale, a tal proposito, richiama il cons. in dir. n. 9.2 della sentenza n. 192 del 2024.

[76] Corte cost., sent. n. 192 del 2024, cons. in dir. n. 4.

[77] Come ha messo in evidenza F. Pallante, Spezzare l’Italia, cit., 96-97, «la verità è che, lungi dall’essere disposte a rinunciare qualcosa, le regioni più ricche pretendono sempre di più. A muovere le fila di tutta la vicenda del regionalismo è, infatti, il convitato di pietra del residuo fiscale (…). Il punto, tuttavia, è che la nozione di residuo fiscale è logicamente errata e giuridicamente insostenibile. È logicamente errata perché le regioni non pagano imposte né ricevono servizi pubblici: a farlo sono le persone e, in un caso e nell’altro, a nulla rileva che siano residenti in questo o quel territorio regionale. (…) Attribuire alle regioni ciò che è proprio delle persone è una fallacia argomentativa insuperabile. Ed è anche una pretesa giuridicamente insostenibile perché la Costituzione, agli articoli 2 e 53, impone doveri di solidarietà economica, politica e sociale ai cittadini in quanto tali, e non ai veneti nei confronti dei veneti, ai lombardi nei confronti dei lombardi e agli emiliano-romagnoli nei confronti degli emiliano-romagnoli».

[78] V. Tondi della Mura, La necessaria terzietà degli organismi tecnico-economici, cit., 25, il quale rimarca come sia stata la stessa Consulta a chiarire tali aspetti nella sentenza n. 192 del 2024. Aspetti di cui «è urgente», dunque, tener «conto»