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Perché il Regno Unito non ha una costituzione?
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Pubbl. Gio, 6 Nov 2025
Sottoposto a PEER REVIEW

Perché il Regno Unito non ha una costituzione?

Lorenzo La Via
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Enna Kore



Perché il Regno Unito non ha una costituzione codificata? L’articolo sostiene che la non codificazione non è un vuoto, ma l’esito di tre forze convergenti: sovranità parlamentare, tradizione di political constitution e path dependence di riforme incrementali. Con approccio storico-istituzionale mostro come statuti, convenzioni e giurisprudenza offrano surrogati funzionali alla rigidità, riducendo gli incentivi a un “momento costituente”. Cenni comparativi con Francia, Germania e Italia spiegano perché lì la rottura abbia prodotto carte rigide.


Sommario: 1. Considerazioni introduttive; 2. Che cos’è una “costituzione codificata”: definizioni operative; 3. Sovranità parlamentare come regola di riconoscimento; 4. La political constitution; 5. Path dependence e riforme incrementali; 6. I “surrogati” della rigidità; 7. Obiezioni e contrafattuali; 8. Controluce comparativo minimo (Francia, Germania, Italia): perché lì sì; 9. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. Considerazioni introduttive; 2. Che cos’è una “costituzione codificata”: definizioni operative; 3. Sovranità parlamentare come regola di riconoscimento; 4. La political constitution; 5. Path dependence e riforme incrementali; 6. I “surrogati” della rigidità; 7. Obiezioni e contrafattuali; 8. Controluce comparativo minimo (Francia, Germania, Italia): perché lì sì; 9. Considerazioni conclusive.

1. Considerazioni introduttive

L’ordinamento britannico costituisce un caso paradigmatico nel costituzionalismo comparato per la sua assenza di una carta costituzionale scritta, contrariamente alla maggior parte delle democrazie europee. La questione centrale è perché il Regno Unito non abbia mai adottato un documento costituzionale unitario di supremazia formale e rigidità procedurale, pur possedendo norme fondamentali consolidate nel tempo. L’indagine adotta un approccio storico-istituzionale comparato, mettendo in evidenza come la continuità istituzionale britannica contrasti con le esperienze di Francia, Germania e Italia, dove rotture sistemiche (guerre mondiali, crisi autoritarie, instabilità politica) hanno portato all’adozione di costituzioni formalmente rigide [5] [6]. Da tali premesse emerge la tesi che la mancata codificazione britannica non rappresenti un vuoto, bensì l’esito coerente di forze storiche interagenti [1] [5].

Sul piano teorico, va sottolineato che ogni ordinamento possiede una costituzione formale e una costituzione materiale. La costituzione formale consiste in un testo scritto di rango superiore, dotato di procedure speciali di modifica (maggioranze aggravate, referendum, limiti di merito), mentre la costituzione materiale raccoglie i principi fondamentali (anche non codificati) derivanti da statuti, consuetudini e prassi giurisprudenziali. Secondo la teoria positivistica di H.L.A. Hart, ogni sistema giuridico è fondato su una «regola di riconoscimento» [2] che stabilisce quali norme siano riconosciute come vincolanti. Nel Regno Unito tale regola si identifica tradizionalmente con il principio di sovranità parlamentare [1], secondo cui ogni Act of Parliament è fonte ultima del diritto e nessun organo giurisdizionale può invalidarlo.

Nella tradizione costituzionale britannica si è sviluppata anche l’idea di una political constitution, secondo la quale il potere pubblico è disciplinato principalmente dai meccanismi politici anziché da un giudice costituzionale accentrato [4] [5]. Griffith osserva che Parlamento e Governo operano per mezzo di responsabilità politica continua, per cui il controllo della legalità dei poteri tende ad avvenire tramite gli organi politici piuttosto che tramite l’intervento giudiziario (Griffith 1979). Questa concezione si affianca alla regola di riconoscimento parlamentare: i giudici esercitano un ruolo attivo nell’interpretazione delle leggi, ma nessun tribunale può invalidare un atto primario del Parlamento (Allan 1993). In pratica, persino a fronte di evoluzioni come l’adesione e successiva uscita dall’Unione Europea, il Regno Unito ha privilegiato il primato del processo politico rispetto a un sindacato giurisdizionale formale (Loughlin 2010; Barber 2016).

Dal punto di vista storico-istituzionale, il Regno Unito ha seguito un percorso di gradualismo riformatore anziché una rottura costituente. Dal XVII secolo (Bill of Rights 1689, Act of Settlement 1701) fino al XX e XXI, le innovazioni costituzionali – come l’estensione del suffragio, l’introduzione di diritti attraverso statute, le riforme del Parlamento e le leggi sulla devoluzione – si sono affermate in modo incrementale, senza rifondare l’ordinamento su un nuovo testo supremo. Tale dipendenza dal percorso (path dependence) implica che le riforme istituzionali abbiano consistito nell’incorporazione progressiva di diritti e assetti istituzionali anziché in uno “shock” rivoluzionario. In quest’ottica, la mancata codificazione appare l’effetto dinamico di una tradizione evolutiva: sollecitazioni riformatrici (tutela dei diritti, esigenze di governabilità) sono state assorbite dal sistema esistente, riducendo gli incentivi politici per l’adozione di una costituzione rigida (Bogdanor 2009; Loughlin 2010).

2. Che cos’è una “costituzione codificata”: definizioni operative

Nel dibattito comparato, per costituzione codificata si intende tipicamente un testo unitario posto al vertice dell’ordinamento, dotato di supremazia formale sulla legge ordinaria e di rigidità procedurale [26] [27]. Ciò implica che la Carta costituzionale prevalga su ogni altra fonte e che le sue disposizioni possano essere modificate solo attraverso procedure aggravate (maggioranze qualificate, referendum, eventuali limiti di merito insuperabili). Ad esempio, in Germania e in Italia la Costituzione può essere modificata solo con maggioranze parlamentari rafforzate e spesso richiede più letture dilazionate del Parlamento (Bogdanor 2009; Loughlin 2010). Nei paesi con costituzioni scritte è comune affidare la verifica di compatibilità delle leggi con la costituzione a un organo giudiziario specializzato (Corte costituzionale centrale) o a un controllo diffuso esercitato dai giudici ordinari (come negli Stati Uniti).

Al contrario, una costituzione non codificata (o materiale) è distribuita fra fonti diverse, prive di un documento supremo unico. Nel Regno Unito essa comprende statuti parlamentari di particolare rilievo [15] [18] [19] [20] [23], convenzioni costituzionali non giuridicamente vincolanti (responsabilità ministeriale collettiva, Sewel Convention ecc.), prassi parlamentari consolidate e giurisprudenza costituzionale evolutiva (Allan 1993; Barber 2016). Secondo la dottrina classica, la “supremazia della legge parlamentare” stabilisce che ogni Act of Parliament è fonte ultima [1] del diritto e non può essere invalidato da alcun tribunale [2]. Tuttavia, studiosi recenti evidenziano che alcuni statuti britannici hanno natura quasi-costituzionale e richiedono modalità di abrogazione più formali (ad es. la dottrina dei constitutional statutes, caso Thoburn 2002), e che prassi come i manner and form [7] impongono vincoli politici sostanziali all’esercizio della sovranità [31] [32].

È cruciale distinguere i concetti di codificazione, rigidità e gerarchia normativa. Tutte le costituzioni scritte presentano un testo formale, ma non tutte impongono vincoli rigidi alle procedure di modifica, e viceversa. In linea teorica, è possibile scrivere una carta costituzionale senza prevedere robusti vincoli di emendamento, così come si possono creare meccanismi di entrenchment senza un unico testo supremo (per es., consentendo referendum o elevando alcune leggi ordinarie a rango quasi-costituzionale). Nel Regno Unito non esistono regole formali di revisione aggravata: ogni Parlamento può in teoria cambiare anche i principi fondamentali con la stessa facilità di una legge ordinaria (Dicey 1885; Allan 1993). Nella pratica, però, la dimensione politica esalta il valore di alcuni testi fondamentali (come il Bill of Rights 1689) e i tribunali applicano rigorosamente i principi di legalità e tutela dei diritti: si creano così surrogati funzionali di rigidità senza vincoli giuridici formali (Allan 1993; Barber 2016).

La posizione britannica si definisce dunque per la convivenza tra la sovranità parlamentare assoluta e l’assenza di un testo costituzionale unico. La classica formulazione diciana sintetizza lo schema: “Parliament can make or unmake any law”, e nessun altro organo può invalidare un atto del Parlamento (Dicey 1885). Autori contemporanei come T.R.S. Allan osservano che, benché formalmente nessun Parlamento possa vincolare i successivi, nella prassi i principi di legalità e i diritti fondamentali sono trattati come se fossero vincolanti (Allan 1993). Peter Craig (2004) sottolinea che la mancanza di rigidità formale convive con crescenti tensioni pratiche: l’applicazione delle norme europee e le riforme costituzionali recenti hanno messo in luce conflitti tra la dottrina classica della sovranità e le esigenze di protezione dei diritti e di stabilità istituzionale. Barber (2016) e Bogdanor (2009) evidenziano infine che questi conflitti sono gestiti da meccanismi politici: l’assenza di un giudice costituzionale supremo è compensata dall’ampia legittimazione di pratiche consolidate e di valori giuridici condivisi, la cui modifica impone al governo costi politici rilevanti (Barber 2016; Bogdanor 2009). In sintesi, il Regno Unito incarna una costituzione «non scritta» che si mostra flessibile nel procedimento legislativo ma sorretta da nuclei permanenti di regole e valori condivisi.

3. Sovranità parlamentare come regola di riconoscimento

Nel costituzionalismo britannico la sovranità parlamentare assume il ruolo di regola di riconoscimento dell’intero ordinamento. In base alla teoria hartiana questa regola individua la fonte ultima del diritto nel Parlamento (“whatever the Queen in Parliament enacts is law”), conferendo allo Stato la forma di una political constitution. Il quadro tradizionale diciano (Dicey 1885) ne enuncia i tratti essenziali: il Parlamento può «fare o disfare qualsiasi legge» e nessun altro organo giuridico ha il potere di invalidarla. Questo implica un ordinamento senza carta costituzionale suprema: formalmente ogni atto del Parlamento resta al vertice della gerarchia delle fonti, senza limiti di merito o vincoli rigidi salvo quelli che esso stesso decida di imporsi (e che un Parlamento futuro potrà facilmente revocare). In sintesi, l’onnipotenza legislativa e il principio di legalità coincidono: i giudici possono interpretare le norme e frenare abusi amministrativi, ma non possono dichiarare incostituzionali le leggi primarie.

Nel corso del XX‑XXI secolo la prassi ha però introdotto temperamenti moderati senza mutare il nucleo della sovranità. Sul fronte del Rule of Law, la giurisprudenza ha potenziato la revisione giudiziaria degli atti amministrativi (criteri di ultra vires, reasonableness, proportionality, tutela procedurale, ecc.), ma senza mai toccare il principio che nessuna legge del Parlamento è invalida in sé. Anzi, la corte dei Lords nel caso Thoburn (2002) ha formalizzato la dottrina dei constitutional statutes: alcune leggi fondamentali (es. Magna Carta 1297, Bill of Rights 1689, Human Rights Act 1998, European Communities Act 1972) costituiscono una gerarchia superiore alle ordinanze ordinarie. Tali statuti “costituzionali”, per Sir John Laws, “non possono essere abrogati implicitamente” mediante conflitto di legge, ma soltanto con parole esplicite in una legge successiva. Di fatto si tratta di un’entrenchment debole inserito per via ordinaria, che riflette la natura di costituzionalismo evolutivo del sistema britannico.

Questa impostazione contrasta radicalmente con un’eventuale costituzione codificata di stampo continentale. In una carta suprema la legge fondamentale avrebbe supremazia testuale sugli atti legislativi ordinari, e procedure di revisione aggravate (maggioranze qualificate, referendum, limiti di merito). Ciò sposterebbe de jure la fonte ultima di validità dal Parlamento al testo scritto, e de facto dal politico al giudice costituzionale. In altre parole, l’introduzione di un testo gerarchicamente superiore imporrebbe un cambio di paradigma: dalla political constitution basata sull’accountability parlamentare a una “legal constitution” dominata dal sindacato giurisdizionale. Per questo motivo – come rilevato da vari studiosi (Hart 1961) – la scelta di non scrivere la costituzione appare coerente con la tradizione britannica: non un vuoto giuridico, ma l’esito di un equilibrio istituzionale che conserva la flessibilità evolutiva senza rotture radicali.

Tale logica emerge chiaramente anche dall’esperienza dell’adesione all’Unione europea e del suo superamento (Brexit). L’European Communities Act 1972 fu un atto parlamentare che recepì il diritto comunitario, creando una limitazione di fatto della sovranità [18]. Tuttavia, qualora il Parlamento esercitasse pienamente la propria sovranità (come accaduto con il European Union Withdrawal Act 2018), ogni vincolo europeo decade: la supremazia del diritto UE sussiste “finché e perché” un atto interno così prevede. In sostanza, l’uscita dall’Unione è avvenuta sempre attraverso leggi interne: il Parlamento si è autolimitato, ma ha anche mantenuto intatto il potere di sciogliere ogni impegno con un nuovo atto legislativo.

Analogamente, il Human Rights Act 1998 è stato accolto nel quadro del sistema politico-giuridico senza sostituirne i presupposti. Esso ha introdotto strumenti innovativi – l’obbligo di interpretazione conforme e la declaration of incompatibility – che rafforzano la tutela dei diritti all’interno della legislazione ordinaria. Tuttavia, una dichiarazione di incompatibilità non abbatte la legge contrastante, ma avvia un dialogo tra giudici e legislatore, spingendo politicamente governo e Parlamento a risolvere le discrepanze. In sostanza l’autorità formale della legge parlamentare resta pienamente integra; la protezione dei diritti si realizza con un meccanismo dialogico e politico piuttosto che con la supremazia giuridica del testo scritto.

Nel complesso, il principio di sovranità parlamentare innalza i costi di una transizione verso una costituzione rigida su più piani. Dottrinalmente bisognerebbe sostituire la regola di riconoscimento incentrata sul Parlamento con quella centrata sul testo, ridefinendo chi decide in ultima istanza. Sul piano politico, una carta rigida assegna nuovi poteri di veto a istituzioni terze, riducendo gli incentivi delle élite a limitare volontariamente il proprio potere. Infine, il percorso storico britannico ha preferito path dependence e riforme incrementaliste, creando surrogati funzionali della rigidità. Ogni successo incrementale indebolisce la domanda politica di un “momento costituente” rivoluzionario, rendendo stabile il meccanismo esistente.

4. La political constitution

Il secondo pilastro del sistema costituzionale britannico è la nozione di political constitution, secondo la quale i controlli sui poteri pubblici passano prioritariamente attraverso canali politici anziché giurisdizionali. In questo modello la “costituzione” è definita dal funzionamento concreto del sistema politico: come ha riassunto Griffith (1979), in UK la costituzione “è non più e non meno che quel che succede”. I diritti fondamentali e l’equilibrio dei poteri vengono garantiti tramite l’accountability del governo di fronte al Parlamento e, in ultima istanza, agli elettori. Il governo (cabinet) è individualmente e collettivamente responsabile davanti alla House of Commons; l’opposizione dispone di poteri di agenda (giornate d’opposizione, Prime Minister’s Questions) e di controllo (Select Committees). Altri strumenti politici includono la disciplina di partito (whips) e il costo elettorale di decisioni impopolari, nonché il ruolo della House of Lords come camera di revisione capace di scrutinio indipendente. Infine la sfera pubblica (media, società civile) esercita pressione permanente sull’esecutivo in un sistema maggioritario competitivo. La garanzia dei valori costituzionali, in questo schema, non si affida a controlli giudiziari ex ante, ma al fatto che il governo è politicamente “ricattabile”: se viola i principi fondamentali, rischia sanzione elettorale o sfiducia parlamentare.

Questo non significa che i giudici siano deboli nel diritto. La judicial review britannica è solida nel tutelare la legalità dell’azione amministrativa (canoni ultra vires, ragionevolezza, proporzionalità) e nel garantire trasparenza e motivazione degli atti pubblici. Tuttavia, in mancanza di una carta costituzionale, essa non può annullare un Act of Parliament per incostituzionalità nel senso classico. In pratica, il giudice si limita a controllare la procedura e i limiti formali, senza potere di bloccare le scelte legislative primarie. L’intervento giurisdizionale è dunque condotto entro la cornice fissata dal Parlamento, che rimane la fonte ultima di validità. Come sottolineato da Loughlin e altri teorici, ciò sottende una scelta consapevole: mantenere il baricentro del sistema nell’ambito politico piuttosto che trasferirlo alla magistratura.

Lo Human Rights Act, da questo punto di vista, non ha rovesciato il modello politico, ma lo ha solo potenziato. Dal 1998 i tribunali possono emettere declarations of incompatibility per leggi che contravvengono alla Convenzione europea, ma, come ricordato, tale dichiarazione non invalida l’atto legislativo [19]. Anzi, essa crea un dialogo istituzionale: spinge il governo e il Parlamento a correggere la legge sbilanciata, pur senza sottrarre formalmente alla volontà parlamentare la decisione definitiva. In sostanza, anche dopo l’HRA la tutela dei diritti resta affidata ad un circuito politico-giudiziario: i giudici interpretano le leggi nell’ottica convenzionale e segnalano problemi, ma è sempre il legislatore a decidere se e come intervenire.

L’eventuale introduzione di una costituzione rigida ribaltarebbe questo assetto, spostando il fulcro della garanzia sul giudice costituzionale e sulla supremazia testuale. Nel Regno Unito, invece, la protezione passa essenzialmente per la responsabilità politica e lo scrutinio continuo. Poiché l’assetto esistente ha offerto nel tempo stabilità e adattabilità, non esiste un forte incentivo politico a trasferire potere ad un giudice costituzionale o ad un iter di revisione aggravato. Questa coerenza istituzionale spiega perché, a differenza dei casi francese, tedesco o italiano, nel contesto britannico la continuità e i meccanismi politici abbiano prevalso sulle rotture rivoluzionarie con cui altrove sono nate carte rigide.

Anche le principali obiezioni avanzate contro la political constitution trovano risposta nel sistema stesso. Ad esempio, il rischio di “elective dictatorship” – cioè di maggioranze parlamentari troppo coese che monopolizzino l’agenda – viene significativamente attenuato da un scrutinio parlamentare severo (via Select Committees), dal controllo mediatico, da dinamiche intrapartitiche critiche e dal ruolo revisore dei Lords. Quando la giurisdizione interviene, come nel diritto amministrativo o nell’applicazione dell’HRA, lo fa senza sovvertire la supremazia formale del Parlamento. Allo stesso modo, la preoccupazione che senza carta scritta i diritti possano risultare fragili è contrastata dal circuito dialogico introdotto dall’HRA e dallo sviluppo del diritto amministrativo, che rendono politicamente oneroso per l’esecutivo eludere le garanzie di legalità. In definitiva, si tratta di un modello funzionale alla cultura britannica della responsabilità politica: una carta costituzionale rigida muterebbe non solo l’intensità ma soprattutto la legittimazione e l’architettura del controllo.

Quanto alla pluralizzazione territoriale (devolution), va osservato che anche questo processo è avvenuto tramite statuti parlamentari dettagliati e convenzioni operative, anziché attraverso una carta federale rigida. Ad esempio, pur essendo le leggi di devolution normative scritte, il Regno Unito ne ha gestito i rapporti con accordi informali (come la pratica Sewel) senza ricorrere a limiti di supremazia rigida. Anche qui il presidio primario sulla disciplina istituzionale è rimasto politico, confermando che la political constitution si intreccia strettamente sia con la sovranità parlamentare sia con la path dependence delle riforme. Essa condivide con la sovranità parlamentare l’idea che il Parlamento sia la fonte ultima di validità e, alimentando il percorso incrementale, riduce la domanda di un momento costituente generale. In altri termini, poiché i problemi vengono risolti per via incrementale – mediante statuti, convenzioni e giurisprudenza – diminuisce la spinta sociale e politica verso una riforma costituzionale complessiva. Questo spiega l’adattabilità del sistema britannico in contrapposizione alle rotture che hanno guidato l’esperienza costituzionale di Francia, Germania e Italia.

5. Path dependence e riforme incrementali 

Nel dibattito di diritto pubblico il concetto di path dependence indica l’effetto vincolante esercitato dalle scelte istituzionali del passato sulle opzioni future. In Gran Bretagna questo principio si traduce nella tendenza a sviluppare la costituzione per percorsi graduali, senza mai infrangere radicalmente il quadro di fondo storico. Le riforme costituzionali del XX e XXI secolo – dai Parliament Acts del 1911 e 1949 [16][17]fino al Human Rights Act 1998, dalle devolution del 1998 al Constitutional Reform Act 2005, sino agli esiti del referendum sulla Brexit – sono state introdotte in sequenza, integrando e modificando il sistema esistente piuttosto che sostituirlo [6]. Come osservato da autorevoli fonti, la costituzione britannica non è mai stata “scritta in un unico documento”: al contrario è un «complesso intreccio di istituzioni, procedimenti e responsabilità» costruito per stratificazioni. Grazie a questa struttura flessibile, il Regno Unito può oggi adattarsi a circostanze nuove senza porre in discussione i principi fondamentali: la mancanza di un testo supremo consente infatti una modifica agevole della legge costituzionale da parte del Parlamento, resasi possibile dalla dottrina tradizionale della sovranità parlamentare.

La sedimentazione di norme costituzionali è confermata dall’esperienza storica: ad esempio, i Parliament Acts del 1911 e 1949 sancirono la preminenza in via ordinaria della Camera dei Comuni, riducendo fortemente il potere veto dei Lords. In seguito, senza rivoluzioni, si sono susseguite misure quali l’abolizione della maggior parte dei pari ereditari nel 1999, l’incorporazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel 1998 (HRA 1998) e la creazione di una Corte Suprema indipendente nel 2009 – tutte tappe che Bogdanor (2009) interpreta come elementi di una «nuova Costituzione» britannica graduale [20]. L’effetto di tale processo è un assetto istituzionale «pragmatico, spezzettato», caratterizzato da riforme avvenute «a singhiozzo» attraverso aggiustamenti progressivi.

Questo percorso incrementale riflette la capacità autopoietica del sistema costituzionale britannico: come sottolineano Loughlin (2010) e Barber (2016), gli istituti giuridici si autoreproducono adattandosi alle trasformazioni politiche interne e internazionali. La flessibilità strutturale – descritta come una delle sue «forze chiave» – consente di sperimentare riforme e perfezionarle nel tempo. In tal modo il Regno Unito ha affrontato guerre mondiali, integrazioni sovranazionali (NATO, UE) e tensioni interne senza mai convocare assemblee costituenti o introdurre un patto fondamentale scritto. Alla prova dei fatti, ogni nuova norma costituzionale è stata inserita in continuità con la tradizione giuridica vigente, e persino i cambiamenti più radicali – come il ritorno alla piena sovranità legislativa con il Brexit.

6. I “surrogati” della rigidità

Sebbene il sistema costituzionale britannico non disponga di una carta rigida, esistono meccanismi che ne imitano gli effetti stabilizzanti. In Gran Bretagna la cosiddetta rigidità giuridica – ossia procedure di modifica aggravate o limiti al legislatore ordinario – è formalmente assente [30]. Il Parlamento resta teoricamente libero di modificare o abolire qualsiasi legge con maggioranza semplice. Tuttavia, si distingue una resistenza politica e interpretativa che funge da freno implicito: d’intesa con Dicey (1885) e Allan (1993), si può affermare che vincoli non codificati tengano conto di «norme sovrastanti» nel sistema.

Statuti costituzionali. La giurisprudenza di grado elevato ha identificato una categoria di leggi «costituzionali» a cui applicare un regime diverso. Nel celebre caso Thoburn v Sunderland (2002), la Common Law ha riconosciuto che alcuni atti formano una «gerarchia» speciale e non sono soggetti a revoca implicita [28]. In pratica, leggi fondamentali [18] [19] si considerano inviolabili a meno di espressa abrogazione, attenuando così la disposizione rigorosa del principio di sovranità assoluta.

Convenzioni costituzionali. Vi è un nucleo di consuetudini politiche che plasma le prassi istituzionali nonostante la loro non applicabilità forzosa. Ad esempio, la cosiddetta convenzione di Sewel stabilisce che il Parlamento di Westminster «normalmente non legifera» in materia devoluta senza il consenso delle assemblee regionali. Pur non essendo giuridicamente vincolante [23] [29], essa ha storicamente guidato le relazioni interparlamentari in tema di devolution. Analogamente, convenzioni come quella di Salisbury [10] e la regola per cui il Primo Ministro deve essere membro della Camera dei Comuni conferiscono continuità alla prassi parlamentare.

Prassi parlamentari consolidate. Molti aspetti procedurali non scritti offrono stabilità: dalle regole sulle agende legislative alla tradizione della neutralità del Speaker, passando per i Parlamenti fixed-term [24]. Queste pratiche, descrivibili come «norme non scritte», orientano l’azione politica oltre i meri vincoli legali. Si tratta di convenzioni d’uso che, pur risolvibili da maggioranze parlamentari ordinarie, sono per lo più rispettate per ragioni di legittimità politica e di coerenza istituzionale.

Giurisdizione giudiziaria e controllo politico. I giudici esercitano un controllo di legittimità sulle decisioni del governo, frenando eccessi amministrativi. Dopo il Human Rights Act 1998 è cresciuta la portata del judicial review, con i magistrati che valutano legittimità procedurali e ragionevolezza delle decisioni esecutive. Questo schema di “controllo giurisdizionale” garantisce che l’esecutivo operi entro i limiti fissati dal Parlamento, senza però poter mai annullare direttamente una legge primaria (rimasta esclusivamente prerogativa parlamentare). In un certo senso, anche il dibattito giudiziario opera stabilizzando il sistema: molti autori ritengono che l’accumulazione di decisioni vincolanti, benché frutto del diritto comune o della Convenzione, crei di fatto principi costituzionali non scritti (Dicey 1885; Allan 1993).

Referendum e partecipazione popolare. Ultima forma di vincolo è la consultazione popolare: sebbene i referendum in UK – come quello sullo Scottish independence o su Brexit – non siano legalmente obbligatori, il suo esito è di norma rispettato dalla politica. La consultazione in sé genera un consenso politico che funge da vincolo morale alle scelte parlamentari; al punto che la stessa formulazione dei quesiti e le attese di risultato assumono rilevanza costituzionale nell’ordinamento (Bogdanor 2009; Craig 2004).

Questi strumenti producono effetti analoghi a quelli di una rigidità costituzionale formale. Dal punto di vista giuridico ogni legislatore resta libero di operare cambiamenti radicali, ma in prospettiva reale esiste una resilienza politica e culturale alle trasformazioni troppo brusche. I meccanismi non codificati – statuti “costituzionali”, convenzioni e prassi, review giudiziaria – costituiscono così un freno informale che stabilizza l’assetto nel suo complesso senza pregiudicare la sovranità parlamentare. In questo equilibrio delicato il sistema britannico manifesta quelle caratteristiche autoproduttive osservate da Loughlin (2010) e Barber (2016): un ordinamento che sopravvive sulla base di regole condivise (anche non scritte) e della reciproca fiducia fra poteri, anziché su una carta rigida.

7. Obiezioni e contrafattuali

Le critiche principali all’assenza di una costituzione scritta nel Regno Unito riguardano la presunta fragilità della tutela dei diritti, l’eccessivo accentramento del potere politico nell’esecutivo, le tensioni centro–periferia (tra Westminster e governi devoluti), e le incertezze emergenti dalla Brexit. In particolare, senza un testo supremo vincolante, i diritti fondamentali possono dipendere da leggi ordinarie o da consuetudini parlamentari, esponendosi al rischio di rapidi ribaltamenti legislativi. I sostenitori di una carta unica fanno leva anche sull’idea che una costituzione rigida renda più trasparente e prevedibile la struttura del potere, rispetto a un sistema dove de facto l’ordine costituzionale dipende dalla “voglia politica” di non piegare il modello. Al tempo stesso, alcuni autori avvertono che un eccesso di flessibilità può tradursi in inefficienza normativa e in leggi vaghe o incoerenti (Craig 2004; Allan 2013). Per contro, è stato osservato che la codificazione non garantirebbe automaticamente esiti migliori (Jones 2020): essa potrebbe addirittura accrescere il ruolo attivo dei giudici, creando un costituzionalismo giudiziario dai possibili effetti perversi sull’effettiva vita democratica. In questo contesto si inseriscono alcune proposte di “redazione ordinante” della costituzione esistente: ad esempio, la Law Commission ha ipotizzato di consolidare in un unico testo legislativo le norme statutarie e le convenzioni costituzionali vigenti. Tuttavia, anche tali iniziative riconoscono che senza un forte impulso politico o un drammatico evento-esterno difficilmente si giungerà a un consenso sulla codificazione vera e propria.

Nel Regno Unito la sovranità parlamentare è il principio cardine: come insegnò A.V. Dicey (1885), il Parlamento ha il «diritto di emanare o abrogare qualsiasi legge». Da ciò deriva che le Corti non possono annullare una legge ordinaria contrastante con i diritti fondamentali; al massimo, possono dichiararne l’incompatibilità (sotto l’HRA 1998) o sospenderla se contrasta con l’ordinamento europeo (ai tempi dell’UE). In pratica, il sistema giuridico britannico lascia la protezione dei diritti alle leggi ordinarie o al common law, senza garanzie costituzionali supreme: come evidenzia un’analisi parlamentare, «i tribunali non hanno alcun potere di annullare una legge primaria che violi diritti fondamentali; al massimo dichiarano un’«incompatibilità» con la Convenzione, ma la legge resta in vigore». In assenza di limiti legalmente vincolanti al Parlamento, l’esecutivo resta formalmente libero di legiferare senza particolari freni interni.

Il rischio di un’«elettiva dittatura» si aggrava quando il governo gode di una forte maggioranza in Parlamento: come notato da Hailsham, governi disciplinati dal “whip” di partito possono dominare facilmente il processo legislativo. Recentemente, lo scioglimento unilaterale del Parlamento con l’abrogazione del Fixed-Term Parliaments Act (2022) e l’uso crescente di disegni di legge «scheletro» che demandano gran parte dei dettagli ai regolamenti ministeriali hanno indebolito i controlli parlamentari [21] [22]. Mancando un’istanza costituzionale superiore, la responsabilità politica e le consuetudini sono finora state l’unica difesa contro un eccesso di potere dell’esecutivo. In tale quadro, la giurisprudenza (soprattutto dalla Corte Suprema) ha talvolta tentato di affermare principi costituzionali impliciti, ma senza mai arrogarsi la possibilità di invalidare la volontà del Parlamento.

Altre critiche riguardano il decentramento: secondo alcuni osservatori, l’assetto costituzionale britannico appare fragile nei confronti delle rivendicazioni autonomistiche. In assenza di clausole rigide, Westminster può interferire con i poteri devoluti di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, come dimostrato dall’Internal Market Act del 2020 (che permette al governo centrale di derogare a regolamenti regionali) e dall’uso della clausola S35 del Scotland Act per bloccare una legge scozzese sulla GRA. La Brexit stessa ha alimentato la tensione, ponendo fine al principio del supremacy comunitario ma lasciando intatti i primati di Westminster: solo decisioni politiche hanno evitato veri contrasti legali. Queste dinamiche hanno esacerbato i timori che, in uno scenario di forte “urto sistemico” (come un nuovo shock economico, un’esasperazione dei conflitti identitari o un’improvvisa crisi di legittimità), il Regno Unito possa venire spinto verso una rifondazione costituzionale più esplicita. Al momento, tuttavia, prevale l’idea che la sovranità parlamentare, sebbene ormai incorniciata in un contesto multinazionale e multicamerale, resti resiliente: come ha osservato Mark Elliott, il fatto che il Parlamento abbia «immenso potere» è bilanciato dal fatto che i parlamentari hanno finora esercitato una significativa moderazione nell’uso di tale potere [11]. In tal senso, l’«architettura politica» del Regno Unito [10] funge da vincolo debolmente giuridificato ma tradizionale [24]. Solo un evento di portata eccezionale potrebbe, secondo il dibattito parlamentare contemporaneo, giustificare un vero passaggio a una costituzione rigida.

8. Controluce comparativo minimo (Francia, Germania, Italia): perché lì sì

L’esperienza costituzionale di Francia, Germania e Italia mostra come shock di diversa natura abbiano dato luogo a costituzioni rigide che vincolano severamente il legislatore. In Francia l’elemento fondativo più simile è stato la Crisi del 1958: il IV° repubblica (1946–58), inefficace e tormentata dall’instabilità politica (fuga del governo nel 1958 a causa della guerra d’Algeria), fu sostituita dalla Costituzione della Vª Repubblica (4 ottobre 1958) voluta da de Gaulle [25]. Questo documento è rigidamente codificato: definisce una divisione chiara dei poteri – con un forte Presidente della Repubblica dotato di poteri straordinari in casi di crisi – e un testo costituzionale superiore alle leggi ordinarie. Vi si afferma la supremazia della «Costituzione e delle leggi che la attuano», mentre il giudice ordinario non può dichiarare l’illegittimità di una legge rispetto alla Costituzione. La Corte Costituzionale francese (Conseil constitutionnel, istituita nel 1958) agisce invece come guardiano formale della costituzione, pronunciando in via astratta sulla legittimità delle leggi prima della loro promulgazione. Francia possiede inoltre un «blocco costituzionale» (bloc de constitutionnalité) che include il testo stesso del 1958, la Dichiarazione dei Diritti del 1789, il principio della sovranità popolare e altre leggi fondamentali; nessuna norma ordinaria può contraddirli. In sintesi, dopo la crisi del 1958 si è innescato un autolimitazione strutturale: i nuovi parlamenti non possono semplicemente abrogare il cuore del sistema repubblicano senza passare per un iter aggravato (referendum o maggioranze particolari), né sfidare apertamente il giudizio del Conseil constitutionnel. La dottrina francese (Vedel 1971, ad es.) sottolinea come il nuovo assetto fosse pensato per evitare il precedente caos politico, esercitando al contempo una forte garanzia sui diritti individuali e sull’equilibrio dei poteri.

In Germania la “rottura fondativa” della fine della Seconda Guerra Mondiale ha portato alla Costituzione (Legge Fondamentale 1949) che vincola severamente il legislatore. Analogamente, la Germania postbellica ha elaborato la Grundgesetz (Legge Fondamentale del 1949) in risposta all’eredità nazista e alla perdita di guerra [26]. La funzione primaria della nuova Costituzione era evitarne il ritorno: vi si innesta perciò un’“eternalita” giuridica (Art. 79, comma 3) che proibisce modifiche alla struttura federale e ai diritti fondamentali. La rigidità costituzionale tedesca è massima: ogni legge ordinaria deve conformarsi alla Legge Fondamentale, la cui supremazia è esplicita sin dal primo articolo. In questo sistema la Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgericht, istituita nel 1951) possiede un potere robusto di revisione astratta e incidentale, potendo annullare atti legislativi che violino la Costituzione o i diritti fondamentali (come è accaduto in numerosi casi di diritto europeo ed economico). L’architettura tedesca prevede anche principi supremi (“Wesensgehalt”) inviolabili, e garanzie difensive come il principio democratico e lo Staatsziel di tutela della dignità umana. Così, il progetto costituzionale tedesco vincola gli stessi legislatori futuri a rispettare lo spirito della democrazia per non tornare agli errori del passato.

In Italia la svolta costituzionale avviene anch’essa nel secondo dopoguerra. La fine del fascismo e la monarchia («guerra civile fra italiani», 1943–45) portarono al referendum costituzionale del 1946 e alla convocazione di un’Assemblea Costituente. Il frutto è la Costituzione repubblicana in vigore dal 1º gennaio 1948. Anch’essa è fortemente codificata: ogni modifica fondamentale richiede due deliberazioni di ciascuna Camera a maggioranza assoluta, con scrutinio pubblico (Art. 138), e talune materie (forma repubblicana) sono fuori discussione (Art. 139). La Corte Costituzionale italiana, istituita nel 1956, svolge un ruolo chiave di garante: essa può censurare leggi parlamentari che contrastino i principi della Costituzione o i diritti inviolabili [27]. In questo sistema, lo Stato ha stabilito con forza di non potersi dare nuovamente un assetto liberale (autolimiti derivanti dall’esperienza del fascismo), mentre i cittadini godevano di una lista ampia di garanzie: non a caso la Carta del 1948 ricompone l’intero vetusto ordinamento (dal famigerato Codice Rocco alla Costituzione del 1948 stessa) in un blocco unico. Dottrina ha spesso sottolineato il nesso esistente in Italia fra trauma storico e «autolimitazione»: la Carta italiana si pone esplicitamente come il giuramento collettivo post-bellico contro l’autoritarismo [13] [14]. Infine, se confrontiamo con il modello britannico emerge un legame stringente fra shock e vincolo costituzionale: dove c’è stata una cesura radicale (guerre mondiali, dittature), si è scelto di vincolare oltre la legislatura, con costituzioni rigide e giudici dotati di supremazia; dove invece la continuità è stata percepita (Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda), si è preferito affidarsi a una costituzione politica informale e flessibile.

9. Considerazioni conclusive

L’assenza nel Regno Unito di una costituzione codificata non corrisponde affatto a un vuoto normativo, bensì all’emergere di un equilibrio istituzionale dinamico e storicamente consolidato. Gli ordinamenti giuridici si fondano su una regola di riconoscimento che definisce le fonti del diritto. Nel sistema britannico questa regola identifica saldamente la sovranità parlamentare come fonte ultima: «solo gli atti della Regina in Parlamento, l’autorità legislativa tripartita, costituiscono una fonte insita di cambiamento legale». Qualsiasi decisione priva di forma legislativa formale (ad esempio una semplice risoluzione parlamentare) non ha efficacia legale perché non rientra nell’ambito del Parlamento «agente». In tal modo, pur senza un testo costituzionale unico, ogni norma fondamentale gode di legittimità attraverso la procedura ordinaria del Parlamento. Come rileva l’Institute for Government, proprio «l’assenza di codificazione e il principio della sovranità parlamentare» impongono che norme e convenzioni costituzionali siano i meccanismi primari di bilanciamento del potere. In altre parole, gli statuti e le consuetudini consolidate (supportati dalla pratica politica) svolgono la funzione di «surrogati» della rigidità formale, assicurando continuità e coerenza istituzionale [9].

Connessa alla sovranità parlamentare è la concezione di political constitution propria della tradizione giuridica britannica. Secondo questa prospettiva, il diritto non è un ambito separato dalla politica ma ne è parte integrante. J. A. G. Griffith spiegò che il diritto «non è e non può essere un sostituto della politica»: esso è piuttosto «un mezzo» per proseguire o risolvere conflitti politici [4]. Di conseguenza, i meccanismi di controllo del potere pubblico passano prevalentemente attraverso canali politici (responsabilità ministeriale, opposizione parlamentare, dibattito pubblico) piuttosto che tramite la censura giudiziaria. In quest’ottica, i giudici hanno un ruolo attivo nell’interpretazione delle leggi, ma non possono annullare gli atti primari del Parlamento. L’idea di Griffith, anche ribadita da altri costituzionalisti, enfatizza che il complesso giuridico-politico inglese privilegia il processo rappresentativo: la «political constitution» attesta che la legge è la politica «con altri mezzi», e spiega perché riforme quali l’entrata/uscita dall’UE sono state gestite con atti parlamentari piuttosto che con pronunciamenti costituzionali.

Storicamente, il sistema britannico ha seguito un percorso graduale («path dependence») anziché un rottura costituente. Sin dal Bill of Rights del 1689 [15] [23] fino alla recente devolution e all’Human Rights Act 1998 [19], le innovazioni fondamentali sono state introdotte tramite interventi incrementali e stratificati. Il principio del precedente vincolante (stare decisis) imprime a questo processo una forte dipendenza dal percorso: come osserva Oona Hathaway, ogni nuova decisione giuridica «aumenta la probabilità che la successiva segua un determinato modello» [12], configurando nel common law una chiara evoluzione per “rendimenti crescenti”. In pratica, ogni modifica istituzionale si innesta su quelle pregresse, creando un mosaico di soluzioni che si adattano alle esigenze mutevoli. Questa dinamica spiega perché, a differenza di ordinamenti segnati da cesure radicali, nel Regno Unito non si è sentita la spinta per un “momento costituente”: i bisogni di tutela dei diritti o di governabilità sono stati assorbiti dall’architettura esistente senza bisogno di riscrivere la costituzione in un colpo solo.

Tutto ciò determina un ordine costituzionale non codificato ma coerente e funzionante. Il Regno Unito “ha una costituzione” – benché dispersa – fatta di leggi, convenzioni e pronunce giudiziarie. Come ricorda la Constitutional Society, il testo di sintesi tipico di altre democrazie viene sostituito da una pluralità di fonti: statue legislative, consuetudini condivise e giurisprudenza cooperano stabilmente nell’ordinare i poteri. In questo equilibrio dinamico, punti di forza e limiti si compensano. Da un lato la flessibilità e l’adattabilità del sistema consentono cambiamenti rapidi e non traumatici: «la costituzione non scritta del Regno Unito è estremamente flessibile», come dimostrano le riforme succedutesi senza crisi esplosive. Dall’altro, l’opacità del modello uncodificato pone rischi di incertezza e abuso: i critici notano che ci sono «pochi freni al potere di un governo maggioritario» e pochi ostacoli a modifiche frettolose dello status quo. In definitiva, sinora i benefici (pragmatismo, tempestività nelle riforme, primato della volontà democratica parlamentare) hanno largamente superato i costi, e i contrappesi politici (incluse convenzioni non scritte e l’esercizio della “soft power” da parte dei parlamentari) si sono dimostrati sufficienti a prevenire abusi seri.

Anche dal punto di vista comparato il modello britannico risulta ragionevole: laddove Francia, Germania, Italia hanno conosciuto rotture storico-politiche (rivoluzioni, guerre mondiali, crisi autoritarie) che hanno legittimato costituzioni rigide con controlli giudiziari forti, il Regno Unito non ha vissuto un analogo trauma costituente. Come evidenziano fonti costituzionali, «a differenza di Francia, Italia e molti altri Paesi, il Regno Unito non ha sperimentato una rivoluzione o un momento di cesura politica» nelle epoche in cui si affermavano costituzioni scritte. Questa continuità ha consolidato nel tempo un impianto elastico: anziché creare una carta rigida ex novo, il sistema britannico ha incorporato per via ordinaria diritti e assetti istituzionali nuovi, sviluppando gradualmente controlli bilanciati sui poteri.

L’ordinamento britannico possiede una forma materiale di costituzione ricca di principi e garanzie, anche se mai racchiusa in un testo unico. L’«equilibrio dinamico» così generato (tra sovranità parlamentare, accountability politica e dipendenza storica) ha finora prodotto un funzionamento robusto e autonomamente autocorrettivo. Un cambiamento radicale del paradigma costituzionale richiederebbe condizioni eccezionali (una crisi fondativa o una spinta fortissima verso la giuridificazione) e un ampio consenso politico. Fino ad allora, l’assenza di codificazione rimane la conseguenza logica di un’evoluzione graduale – non un difetto – e il Regno Unito conferma di fatto una coerenza istituzionale che trascende la forma scritta della costituzione.


Note e riferimenti bibliografici

Bibliografia

[1] A.V. DICEY, An Introduction to the Study of the Law of the Constitution, Liberty Fund, rist., 1982 (1885).

[2] H.L.A. HART, The Concept of Law, 3ª ed., Oxford University Press, 2012 (1961).

[4] J.A.G. GRIFFITH, “The Political Constitution”, Modern Law Review, 42(1), 1–21, 1979.

[5] MARTIN LOUGHLIN, Foundations of Public Law, Oxford University Press, 2010.

[6] VERNON BOGDANOR, The New British Constitution, Hart Publishing, 2009.

[7] A.W. BRADLEY, “The Sovereignty of Parliament — Form or Substance?”, in J. JOWELL & D. OLIVER (eds.), The Changing Constitution, 5ª ed., OUP, 2004.

[9] INSTITUTE FOR GOVERNMENT, “The UK constitution (explainer)”, 2024.

[10] Erskine May: Parliamentary Practice (ed. online/25ª), sezioni su convenzioni (es. Salisbury-Addison).

[11] MARK ELLIOTT, “1000 words: Parliamentary sovereignty”, Public Law for Everyone (blog), 2014.

[12] OONA A. HATHAWAY, “Path Dependence in the Law: The Course and Pattern of Legal Change in a Common Law System”, Iowa Law Review (versioni SSRN/Academia), 2001.

[13] MORTATI C., La Costituzione in senso materiale, ed. varie.

[14] ZAGREBELSKY G., Il diritto mite, Einaudi, 1992.

Fonti normative

[15] Bill of Rights 1689 (UK).
[16] Parliament Act 1911 (UK).
[17] Parliament Act 1949 (UK).
[18] European Communities Act 1972 (UK).
[19] Human Rights Act 1998 (UK).
[20] Constitutional Reform Act 2005 (UK).
[21] Fixed–term Parliaments Act 2011 (UK) (abrogato).
[22] Dissolution and Calling of Parliament Act 2022 (UK).
[23] Scotland Act 1998, s.28(8) (Sewel Convention, come inserita/rafforzata nel 2016).
[24] The Cabinet Manual (Cabinet Office), 2011.
[25] Costituzione della V Repubblica francese, 4 ottobre 1958 (testo/EN).
[26] Basic Law for the Federal Republic of Germany (1949) (EN).
[27] Costituzione della Repubblica Italiana, artt. 138–139 (fonti ufficiali). 

Giurisprudenza

[28] Thoburn v Sunderland City Council [2002] EWHC 195 (Admin) — “constitutional statutes”.
[29] R (Miller) v Secretary of State for Exiting the EU [2017] UKSC 5 — Sewel non giustiziabile.
[30] R (Miller) v The Prime Minister [2019] UKSC 41 — prorogation.
[31] R (Jackson) v Attorney General [2005] UKHL 56 — Parliament Acts e (obiter) limiti alla sovranità.
[32] R v Secretary of State for Transport, ex p Factortame (No 2) [1991] 1 AC 603 — primato UE (all’epoca).