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Pubbl. Mer, 26 Mag 2021

La responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi

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Maria Rita Maiolo
AvvocatoNessuna



Il D.lgs. n. 231/2001 introduce e contestualizza una nuova visione della responsabilità dei decisori, in quasi tutte le categorie di enti e per taluni reati, imponendo un’attenta verifica degli ambiti e degli impatti dell’applicazione dei diversi aspetti della norma. La più recente definizione dell’applicazione del D.lgs. n. 231/2001 all’ambito dell’associazionismo sportivo, anche in relazione alla evoluzione normativa che regola le stesse società sportive, desta ampia attenzione da parte dei diversi soggetti interessati alla organizzazione e alla pratica sportiva. Gli illeciti sportivi disciplinati e lo stesso reato di frode in competizione sportiva, quest’ultimo introdotto nel D.lgs. n. 231/2001 a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 39/2019, sono posti all’attenzione, non solo nell’ambito proprio della giustizia sportiva ed eventualmente di quella penale, ma anche per l’impatto mediatico e per l’attenzione che desta nell’opinione pubblica. Alcune implicazioni giuridiche del reato di frode in competizione sportiva sono trattate nel presente lavoro, anche con riferimento agli strumenti di trasparenza e di tutela, quali il Modello organizzativo e di gestione previsto dalla norma, e nella prospettiva dell’introduzione di metodologie integrate che rafforzino la consapevolezza del quadro di condotta e di responsabilità da parte dei controllori e decisori delle società sportive.


ENG Legislative Decree no. 231/2001 introduces a new vision of the responsibility of decision-makers, in almost all categories of bodies and for certain offences and through a careful verification of the scope and impact of the application of the different aspects of the law. The most recent definition of the application of Legislative Decree 231/2001 in the context of sport clubs, also after the evolution of the rules governing the sports companies, arouses great attention from the various subjects interested in the organization and practice of sport. The regulated sports offences and the offence of fraud in sporting competition, introduced into Legislative Decree 231/2001 following the entry into force of Law 39/2019, are interesting not only within the scope of sports justice and possibly criminal justice, but also for the media impact and the attention it arouses in the public opinion. In this work are discussed some legal implications of the crime of fraud in sporting competition, also with reference to the instruments of transparency and protection, such as the organizational and management model provided by the law, and in the perspective of the introduction of integrated methodologies that strengthen the awareness of the framework of conduct and responsibility by the decision-makers of sports clubs.

Sommario: 1. Premessa; 2. Attualità del D.Lgs. n. 231/2001 nella gestione delle società sportive; 3. Il reato di frode in competizioni sportive; 4. Conclusioni.

1. Premessa

La recente evoluzione normativa culminata con l’attuazione della riforma scaturita dalla legge delega 8 agosto 2019 n. 86, che ha riguardato l’ambito della promozione, diffusione e organizzazione dello sport nazionale, nelle diverse configurazioni gerarchiche e, in particolare, delle società sportive, ha determinato maggiore chiarezza normativa e consapevolezza da parte dei dirigenti, riguardo ai livelli di responsabilità cui soggiacciono.

Tale evoluzione ha coinciso, da una parte con l’incremento dei reati commessi da atleti e tesserati delle società sportive, con sempre più frequenti coinvolgimenti dei responsabili apicali delle società e, dall’altra, con ulteriori chiarimenti sulla definizione degli ambiti di applicazione del decreto legislativo n. 231/2001, con il quale è stata introdotta la disciplina riguardante la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.

In conformità con quanto previsto dalla Convenzione OSCE di Parigi del 1997[1] (OCSE, 1997) e rispetto a quanto già contemplato da altri ordinamenti giuridici, in Italia con il D.lgs. n. 231/2001 viene delineata la responsabilità diretta dell’ente – autonoma ed indipendente rispetto a quella prevista per le persone fisiche - in relazione a determinate tipologie di delitti, abbandonando il brocardo latino “societas delinquere non potest” che fino a quel momento ne assicurava l’immunità.

L’applicazione delle disposizioni contenute all’interno del succitato decreto, nei primi quindici anni dalla sua entrata in vigore sono state minime, confrontando le condanne irrogate nei riguardi delle persone fisiche per le medesime vicende giudiziarie.[2]

In prima applicazione, l’interesse verso la norma ha riguardato gli enti e gli ambiti societari che storicamente e statisticamente risultano maggiormente esposti alla possibilità di commettere reati, all’interno dei quali i soggetti perseguiti agivano nell’interesse di una precisa definizione organizzativa verso la quale orientavano le condotte oggetto di censura. Il coinvolgimento di diverse realtà societarie ha portato a riconoscere nel Modello organizzativo e di gestione previsto dal D.lgs. n. 231/2001 una opportunità di integrazione dei modelli di qualità già introdotti a garanzia dei processi produttivi e gestionali.[3]

Gli enti e le società che per la modesta esposizione a talune fattispecie delittuose non ne hanno percepito il rischio, non hanno colto le opportunità di garanzie e trasparenza offerte dagli strumenti del decreto legislativo n. 231/2001.

Altri contesti hanno, successivamente, verificato l’impatto dell’applicazione del decreto legislativo anche in riferimento alla evoluzione normativa del proprio settore come, ad esempio, gli enti di organizzazione dello sport e le società sportive.[4]

Con specifico riferimento al panorama sportivo si è riscontrato, inizialmente, disinteresse da parte degli enti sportivi all’applicazione dei principi e delle indicazioni contenute nel D.lgs. n. 231/2001 di cui, come si analizzerà nel prosieguo, sono destinatari.

Difatti, la maggior parte dei procedimenti giudiziari in tale ambito, sono stati incardinati sul piano del diritto sportivo, mentre dal punto di vista penale i processi hanno riguardato le persone fisiche e non le società di appartenenza.

In particolare, l’impatto mediatico che produce la notizia di reato di frode in competizione sportiva espone gli operatori e i decisori delle società sportive a un processo mediatico di notevole effetto, tanto da indurre gli organi sociali a riflessioni puntuali sul ricorso a modelli organizzativi e di controllo volti a ridurre il rischio di esposizione a tale fattispecie delittuosa, in base a quanto previsto dalla norma in esame.

Nel presente contributo, si tratterà del sistema delineato dal D.lgs. n. 231/2001 e l’importanza della sua applicazione nella gestione delle società sportive, a seguito della recente introduzione del delitto di frode in competizioni sportive nel novero dei reati-presupposto previsti dal succitato decreto.

2. Attualità del D.lgs. n. 231/2001 nella gestione delle società sportive

Il D.lgs. n. 231/2001 ha costituito una “rottura epocale[5]nel panorama penale del nostro Paese. Infatti, lo scenario internazionale aveva già dimostrato il superamento del brocardo latino “societas delinquere non potest”, in virtù delle forti esigenze politico-criminali e dell’ormai acclarata esistenza della volontà dell’ente, autonoma e indipendente rispetto a quella della persona fisica.

Per quanto concerne i destinatari del D.lgs. 231/2001, il legislatore non ha utilizzato il fine lucrativo come parametro per individuare gli enti interessati.

Invero, l’art. 1, co. 2 e 3, non indica chiaramente gli enti destinatari, individuandoli genericamente in quelli dotati di personalità giuridica ed in tutte le società ed associazioni; nel comma 3, poi, specifica che le disposizioni non vengono applicate «allo Stato, agli enti pubblici territoriali nonché agli enti pubblici non economici o che svolgono funzioni di rilevanza costituzionale»[6].

La responsabilità di cui al D.lgs. 231/2001 può ritenersi sussistente in presenza di una precisa circostanza, ossia il concretizzarsi di una delle fattispecie criminose annoverate nel testo legislativo, posta in essere da un soggetto apicale o subordinato all’interno dell’ente collettivo, nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.

Appare opportuno soffermarsi sull’evoluzione di tale tipo di responsabilità che, ad oggi, può definirsi la “parte speciale” della responsabilità da reato degli enti collettivi.[7]

Nella legge delega n. 300/2000, i reati presupposto previsti dall’art. 11 comprendevano la maggior parte delle fattispecie criminose che si sarebbero potute concretizzare nello svolgimento di un’attività imprenditoriale; vi erano, infatti, menzionati gli illeciti correlati a delitti finalizzati al conseguimento di ingiustificati profitti, gli illeciti volti a minacciare l’incolumità pubblica, nonché quella dei lavoratori e la tutela ambientale.

Il legislatore ha, poi, optato per un restringimento nel D.lgs. n. 231/2001, operando una «drastica potatura»[8] della categoria dei reati presupposto. Ciò è avvenuto in ragione della volontà, espressa dallo stesso legislatore durante la fase di redazione del testo, di procedere ad una graduale introduzione di tale tipo di responsabilità nell’ordinamento. Le successive integrazioni, però, sono state realizzate principalmente per adempiere od obblighi internazionali[9] e, solo occasionalmente, ad esempio con la L. n. 123/2007 che ha introdotto l’art. 25-septies nel D.lgs. n. 231/2001, il legislatore è intervenuto spontaneamente.

Il modello di responsabilità delineato nel D.lgs. n. 231/2001 è, in parte, un modello d’importazione, poiché «la sua radice culturale più caratteristica è rappresentata senza dubbio da quella colpevolezza di organizzazione di cui già aveva parlato Tiedemann intorno alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso»[10].

È previsto che, per l’irrogazione delle sanzioni, ricorrano dei presupposti oggettivi e soggettivi.

In primo luogo, tale responsabilità è subordinata alla circostanza che il reato sia stato commesso a “vantaggio” o “nell’interesse” dell’ente di appartenenza della persona fisica autrice del reato. Ne deriva che, la responsabilità dell’ente si riterrà configurata anche nell’ipotesi in cui non abbia tratto vantaggio ma il reato sia stato commesso nel suo interesse. L’ente, invece, non si ritiene responsabile nel caso in cui soggetti apicali o subordinati appartenenti alla compagine aziendale, abbiano agito esclusivamente nel proprio interesse o in quello di terzi.

In relazione, invece, al criterio di imputazione soggettiva, occorre distinguere la responsabilità della persona fisica da quella ascrivibile all’ente, il quale risponde in modo autonomo del reato posto in essere dalla persona fisica, anche nel caso in cui vi sia stata remissione di querela, estinzione per prescrizione o per una causa diversa dall’amnistia. L’unico limite è previsto dall’art. 37 del D.lgs. n. 231/2001, in base al quale se l’azione penale non può essere esercitata o proseguita nei confronti dell’autore del reato a causa del difetto di una condizione di procedibilità, non verrà neanche accertata la responsabilità dell’ente.

L’accertamento dell’elemento psicologico, invece, può essere condotto solo in relazione ad una persona fisica, identificata come autore del reato.

Il D.lgs. n. 231/2001 prevede due forme di responsabilità in base alla diversa posizione, apicale o subordinata, rivestita all’interno della compagine aziendale dall’autore del reato.

Tale distinzione, risulta di notevole importanza con riferimento all’onere probatorio; infatti, nel caso in cui l’autore del reato presupposto rivesta una posizione apicale, l’ente, dimostrando l’idoneità del proprio modello organizzativo e della reale adozione dello stesso, può escludere la propria responsabilità. Diversamente, se l’autore del reato è un subordinato, l’onere della prova circa l’inidoneità e la mancata applicazione del modello organizzativo, ricade sul pubblico ministero. 

Vi è, dunque, una stretta connessione tra il tipo di responsabilità e la posizione rivestita dalle persone fisiche all’interno dell’azienda, distinguendosi due macrocategorie di soggetti, gli apicali e i subordinati, i quali qualora si rendano autori di una delle fattispecie delittuose previste dal decreto, fanno sorgere la responsabilità in capo all’ente di appartenenza[11].

I soggetti che rientrano in tali categorie, «in quanto intestatari di un qualche rapporto con la struttura organizzativa ed operativa»[12]sono dotati di un rapporto qualificato con l’ente; con riferimento agli apicali, vengono identificati nei soggetti che ricoprono all’interno della compagine aziendale, non solo funzioni di amministrazione, direzione o rappresentanza dell’ente o di una sua autonoma unità organizzativa, ma anche a coloro i quali di fatto ne esercitano la gestione e il controllo.

 L’art. 5, inoltre, al comma 1 lett. b), ricomprende anche i soggetti subordinati alla direzione o alla vigilanza degli apicali di cui alla lett. a).

Nel caso dei soggetti apicali, viene applicato il c.d. principio di identificazione, in base al quale, in virtù della qualifica rivestita dal soggetto, si ritiene che il reato sia commesso dall’ente di appartenenza; per i soggetti subordinati, invece, la disciplina prevede una fattispecie, che per connotazione e struttura, può quasi definirsi colposa[13].

Con specifico riferimento alle società sportive, occorre preliminarmente sottolineare che, quest’ultime, si pongono «come soggetti in due ordinamenti: l’ordinamento generale dello Stato nel quale operano e l’ordinamento sportivo»[14]. La coesistenza di due ordinamenti diversi e dei rapporti complessi che li contraddistingue, consente di percepire l’imponenza dell’apparato regolamentare con cui bisogna confrontarsi a cui si aggiunge anche la giurisprudenza comunitaria.

Le società sportive oggi rientrano nell’alveo dei soggetti destinatari del D.lgs. n. 231/2001, in seguito all’evoluzione normativa che le ha interessate negli ultimi decenni.

I club calcistici infatti, nel 1966, dopo aver inizialmente assunto la veste di associazioni prive di personalità giuridica, si sciolsero per diventare società di capitali senza scopo di lucro[15].

Tale evoluzione fu poi recepita dalla L. n. 91/1981, la quale obbligava le società sportive professionistiche di costituirsi come S.p.a. o S.r.l, di reinvestire gli utili con il solo fine di perseguire l’attività sportiva[16], di rimborsare il conferimento al valore nominale in sede di liquidazione[17]; veniva, dunque, limitata sia la libertà di scelta delle strutture organizzative che la facoltà di disporre del patrimonio netto[18], con l’obiettivo di adattare le forme giuridiche all’attività imprenditoriale sostanzialmente svolta dalle società sportive.

Successivamente, il D.L. 20 settembre 1996 n. 485 ha abolito dalla L. 91/1981 l’obbligo per le società sportive professionistiche di non perseguire uno scopo di lucro[19], consentendo anche lo svolgimento di attività strumentali o connesse all’attività sportiva.

Risulta quindi chiara l’inclusione tra i soggetti dell’art. 1 comma 2 D.lgs. n. 231/2001 delle società sportive professionistiche, mentre sussiste qualche dubbio circa le società dilettantistiche.

L’aspetto che non convince riguarda l’impossibilità, prevista sia per le associazioni che per le società sportive dilettantistiche costitute in società di capitali senza fine di lucro[20], di ripartire, anche indirettamente, gli utili ricavati tra gli associati.

Tale divieto, quindi, consente di ricomprendere le società e le associazioni sportive dilettantistiche all’interno della categoria degli enti privatistici privi di finalità lucrativa, con la diretta conseguenza che parte della dottrina non ritiene debbano essere considerati soggetti destinatari del D.lgs. n. 231/2001, in ragione della convinzione che il legislatore si sia riferito ad organizzazioni dotate di carattere imprenditoriale con lo scopo di tratte utilità economica.[21]

A ciò si aggiunga che, il D.lgs. n. 231/2001 intende colpire non solo le attività d’impresa volte all’illecito conseguimento di vantaggi economici, ma anche «altri paradigmi criminali, orientati al raggiungimento di scopi ideologici: ne è un esempio l’art. 25 quater che inserisce nel catalogo dei reati-presupposto i “Delitti con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”, fattispecie potenzialmente anche estranee alla logica del profitto economico».[22]

Stesso orientamento vale per le associazioni sportive costituite in Onlus, così come confermato in una pronuncia dal Tribunale di Milano del 2011, in riferimento ad un’associazione volontaria di pubblica assistenza condannata per aver commesso il reato-presupposto ex art. 24 comma 1 D.lgs. n. 231/2001.[23]

Relativamente agli altri enti del panorama sportivo, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) promuove sul territorio nazionale la pratica sportiva e ne garantisce l’organizzazione[24]; è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali[25] e, essendo annoverato tra gli enti pubblici non economici, è estraneo all’applicazione del D.lgs. n. 231/2001.

Immediatamente successivi in scala gerarchica, per quanto concerne l’organizzazione dello sport nazionale, vi sono le FSN (Federazioni Sportive Nazionali), disciplinate dal D.lgs. n. 242/1999[26] e, le leghe che appartengono a ciascuna federazione.

Per quanto concerne le federazioni, inizialmente venivano disciplinate come organi del CONI, con conseguente dibattito circa la loro natura giuridica pubblicistica, facendo leva sulle finalità di pubblico interesse perseguite attraverso l’adozione di provvedimenti[27], o privatistica, affermando l’estraneità degli interessi perseguiti dalle Federazioni rispetto alle finalità del Coni.[28]

Sul primo orientamento, ossia sulla natura giuridica pubblicistica delle federazioni, il Consiglio di Stato confermava la natura ibrida delle stesse, affermando che le ammissioni amministrative delle federazioni sportive si identificano come provvedimenti emessi da soggetti privati nell’esercizio di attività amministrative ed, essendo organi del CONI, applicano regole aventi come fine il perseguimento di interessi pubblici del mondo sportivo;[29] accogliendo tale pensiero non si dovrebbe ritenere applicabile il D.lgs. n. 231/2001 alle federazioni, in quanto enti pubblici non economici senza scopo di lucro.

Il D.lgs. n. 242/1999 ha, però, confermato la natura giuridica privatistica delle Federazioni, con l’abrogazione dell’art 14 della L. 91/1981, stabilendo che le Federazioni si configurano come associazioni che non perseguono scopo di lucro, dotate di personalità giuridica e soggette alla disciplina del Codice civile.

Le leghe, infine, sono associazioni privatistiche che si formano all’interno delle federazioni, allo scopo di assolvere funzioni di organizzazione e rappresentanza delle società ad esse affiliate.; la maggior parte sono, oggi, dotate di un proprio modello di organizzazione, gestione e controllo.

Oltre ai reati-presupposto originariamente previsti dal D.lgs. n. 231/2001, la gestione di una società sportiva può comportare il rischio che vengano commessi anche altre tipologie di reati.

Ci si riferisce, principalmente, al delitto di frode in competizione sportive e ai reati riguardanti il doping.

La frequenza con la quale tali reati vengono commessi da soci o tesserati delle società sportive, ha reso sempre più imminente l’esigenza di inserirli nel succitato Decreto Legislativo, al fine di poter irrogare le sanzioni previste dall’art. 9 D.lgs. n. 231/2001 ai club che non si siano dotati di adeguati protocolli di gestione del rischio.[30]

Con la L. n. 39/2019[31] è stato inserito nel novero dei reati-presupposto di cui al D.lgs. n. 231/2001 il delitto di “Frode in competizioni sportive ed esercizio abusivo di attività di giuoco e scommesse”.

3. Il reato di frode in competizioni sportive

Per quanto concerne il reato di frode in competizione sportiva, ancor prima dell’introduzione nel nostro ordinamento di tale fattispecie delittuosa, il primo scandalo di corruzione del calcio italiano risale al 1927 con il noto caso che coinvolse il difensore della Juventus Allemandi e la dirigenza del Torino. Quest’ultimo dichiarò di aver accettato la proposta di un dirigente del club avversario di non impegnarsi durante il derby in cambio di cinquanta mila lire. Ciò indusse la giustizia sportiva a revocare lo scudetto vinto sul campo dal Torino nel campionato 1927/1928. La vicenda, mai chiarita fino in fondo, venne commentata anche da un editorialista del Resto del Carlino che ben inquadrò le moderne dinamiche del mondo del calcio, affermando che le società sportive cominciavano ad essere organizzate come aziende, in cui lo sport e l’interesse economico iniziavano ad assumere lo stesso grado di rilevanza[32].

La legge n. 401/1989[33], infatti, nata per arginare il fenomeno del calcio scommesse, ha introdotto il delitto di “frode in competizioni sportive”, la disciplina sanzionatoria relativa al gioco e alle scommesse clandestine[34] nonché norme relative alla prevenzione di episodi di violenza ad opera di tifosi[35].

L’introduzione di tale normativa ha fatto sì che le frodi sportive, fino a quel momento previste solo nell’ordinamento sportivo, assumessero rilevanza anche nell’ordinamento statale.

Sul punto, parte della dottrina,[36] ha posto in risalto la scelta operata dal nostro legislatore, il quale, a differenza di quanto accaduto in altri Stati in cui l’intervento penale risulta generalizzato ed esteso, ha optato per una diversificazione tra i vari atti volti a falsare il corretto e leale svolgimento della gara. Vengono, infatti, configurate come fattispecie criminose, esclusivamente le condotte delittuose poste in essere in relazione a competizioni organizzate da enti sportivi riconosciuti dallo Stato (come, ad esempio, il CONI o l’UNIRE).

L’art. 1 della L. n. 401/1989, disciplina due condotte penalmente rilevanti.[37]

Al primo comma,[38] viene delineata una fattispecie consistente in una forma di corruzione, che si realizza con l’offerta o la promessa di “denaro o altre utilità o vantaggio”; la fattispecie prevista dal secondo comma[39], invece, si configura con il compimento di “altri atti fraudolenti”.

Nel concetto di “altri atti fraudolenti” non sono ricomprese, però, le violazioni delle regole del gioco, le quali sono soggette a sanzioni appartenenti unicamente all’ordinamento sportivo, mentre possono assumere rilevanza penale soltanto nel caso in cui contengano un quid pluris che tenda a modificare in maniera fraudolenta la realtà, comportando alterazioni del corretto e leale andamento della competizione.[40]

L’interesse tutelato dalla norma non può rinvenirsi né nella fiducia degli scommettitori né nel pubblico che assista alle competizioni, bensì nel corretto e leale svolgimento delle competizioni stesse.

Per quanto concerne l’elemento materiale, si ritiene sufficiente la formulazione di una promessa o di una offerta eseguita ad opera del soggetto agente attraverso un qualsiasi mezzo.

La frode in competizioni sportive, sia per quanto concerne la condotta prevista dal comma 1 che dal comma 2 dell’art. 1 L. n. 401/1989, esige quale elemento soggettivo il dolo specifico, che si concretizza nella coscienza e volontà dell’agente di influire in maniera illecita sull’esito della competizione.

Il delitto in esame viene spesso contestato in forma associativa, anche transnazionale,[41] rievocando quanto previsto sia dall’art. 10 comma 2 L. n. 146/06, il quale prevede la responsabilità dell’ente qualora i reati ex artt. 416 e 416 bis c.p. siano dotati del carattere della transnazionalità, sia l’art. 24 ter del D.lgs. n. 231/2001[42] il quale contempla la responsabilità dell’ente per i reati associativi sopracitati. 

Orbene, sul punto, parte della dottrina ha ritenuto di particolare importanza l’effetto estensivo assunto da tale richiamo rispetto a quanto immaginato dal legislatore,[43] che potrebbe permettere l’ascrizione alle società sportive della commissione di ogni reato-fine posto in essere dagli apicali o sottoposti inseriti nella compagine associativa criminosa.[44]

Da ciò, ne deriverebbe, la conversione di tutti i possibili reati-fine di un’associazione criminosa in reati-presupposto, compresi i delitti tipicamente commessi dalle società sportive.

Sotto il profilo giurisprudenziale, particolarmente rilevante in materia è stato il cosiddetto caso Calciopoli, la cui sentenza emessa dalla Suprema Corte ha cristallizzato i margini del reato di frode in competizioni sportive. Tale fattispecie penale, infatti, ha caratterizzato il fulcro del processo e ciò ha portato la Corte ad esprimersi con particolare puntualità su diversi aspetti.

Innanzitutto, è stata ribadita la genericità della condotta che, inevitabilmente, diventa suscettibile di applicazione a condotte eterogenee tra loro.[45]

Come già anticipato, il delitto di frode in competizione sportiva si ritiene integrato nel momento in cui l’offerta o il vantaggio indebito vengano posti in essere, sicché la Suprema Corte ha ritenuto di qualificare tale delitto quale reato di pericolo per il quale non si può ipotizzare il tentativo. Ne deriva, dunque, l’anticipazione della soglia di punibilità al compimento di un’azione volta ad alterare lo svolgimento della competizione e la conseguente irrilevante circostanza dell’accertamento del momento i cui le parti abbiano raggiunto l’accordo fraudolento.[46]

Al termine “atto fraudolento”, la Corte, attribuisce un significato di ampio respiro, volto a ricomprendere una pluralità di comportamenti, facendolo coincidere con una qualsiasi condotta volta ad alterare il contesto del gioco, considerandolo fraudolento quando il suo intento sia quello di influire sui meccanismi organizzativi e disciplinari della gara, potenzialmente incidendo sul suo risultato.[47]

La vasta gamma di comportamenti che possono configurare un’ipotesi di atto fraudolento, pur assumendo connotati tra loro molto differenti, risultano accomunati dall’artificiosità della condotta «senza che possa parlarsi di violazione del principio di legalità per indeterminatezza della norma i cui confini in termini di oggetto materiale, elemento psicologico e nesso di causalità sono certamente presenti ed adeguatamente definiti.».[48]

L’interpretazione estensiva del concetto di “atto fraudolento” è, senza dubbio, destinata ad incidere sulla valutazione di comportamenti considerati non leciti in ambito penale con impatto, anche indiretto, sulla corretta e leale competizione sportiva.

In tale contesto si colloca anche il recente “caso Suarez” sul quale è ancora in corso un’indagine avviata circa l’ipotesi di reati commessi nel tentativo di far ottenere la cittadinanza italiana all’attaccante uruguaiano Luis Suarez, attraverso il preliminare conseguimento dell’attestato di conoscenza della lingua italiana, al fine di aggirare il previsto limite di calciatori stranieri in forza ad una società sportiva.

La fattispecie prefigurata è quella di corruzione ed emergerebbe in seguito ad un aspetto fondamentale del filone d’inchiesta sul quale si sono concentrati gli inquirenti, ossia l'accordo che sarebbe stato sancito tra un avvocato incaricato da una società sportiva e il direttore generale di un ateneo italiano per il conseguimento del titolo di conoscenza della lingua italiana da parte del calciatore uruguaiano non in possesso della necessaria preparazione per sostenere l’esame con esito positivo.

Il patteggiamento della pena da parte dell’esaminatore del calciatore, inevitabile in virtù della dichiarazione del calciatore che ha ammesso di aver ricevuto vantaggi per il superamento della prova di italiano, non implica una diretta responsabilità penale dei presunti mediatori, tra i quali risulterebbe un professionista incaricato dalla società sportiva.

Lo sviluppo della vicenda giudiziaria fornirà elementi di sicuro interesse per una riflessione più puntuale riguardo l’estensione dell’interpretazione degli “altri atti fraudolenti” e sulle implicazioni della responsabilità delle società sportive anche per azioni poste in essere da soggetti esterni alla società, ma incaricati di servizi professionali.

Dal punto di vista sportivo tale iniziativa risulterebbe a rischio di punibilità, con la sospensione per un periodo non inferiore a due anni, per il presunto mancato rispetto dell’articolo 32 del codice di giustizia sportiva della Figc che recita: «È punibile chiunque provi direttamente o tenti di compiere o consenta che altri compiano atti volti a ottenere attestazioni o documenti di cittadinanza falsi o alterati per eludere le norme in materia di ingresso in Italia e di tesseramento di extracomunitari».

Oltre alle implicazioni giudiziarie, sia in ambito penale sia in ambito sportivo, il “caso Suarez” senz’altro pone l’attenzione sulla specificazione del modello organizzativo, ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, in tema di indipendenza della società sportiva rispetto alle azioni commesse dai soggetti incaricati di attività di servizio a vantaggio della società ma che non risultino avere all’interno la qualifica di dirigente o di tesserato.

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della L. n. 39/2019, il delitto di frode in competizioni sportive ed esercizio abusivo di attività di giuoco o scommesse[49] è stato inserito nell’elenco dei reati-presupposto previsti dal D.lgs. n. 231/2001, con la diretta conseguenza che gli enti sportivi saranno gravati dall’obbligo di implementare un modello organizzativo basato sulle peculiarità dell’attività svolta, al fine di vedersi garantita una linea difensiva autonoma nel caso in cui soggetti intranei alla Società si rendano responsabili della commissione di illeciti sia sportivi che di natura penale.

Il legislatore, con tale recente introduzione, ha accolto l’auspicio che da tempo avevano espresso gli operatori del settore e, rinviando a quanto previsto dalla L. n. 401/2009[50], ha esteso la responsabilità diretta dell’ente relativamente alla commissione dei reati previsti dagli artt. 1 e 4 della succitata legge, qualora soggetti apicali o sottoposti alla loro direzione commettano tali delitti nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Le fattispecie disciplinate dall’art. 25-quaterdecies del D.lgs. n. 231/2001[51] inducono a ritenere che si tratti di uno schema punitivo ampio, sia per quanto concerne le condotte incriminate sia in relazione ai soggetti identificati come possibili responsabili degli illeciti. Tale scelta, sembra essere stata operata dal legislatore, al fine di responsabilizzare quanto più possibile le società sportive nei confronti della collettività.

L’incisività che emerge già da una prima lettura della novella normativa viene, altresì, corroborata sul piano delle previsioni sanzionatorie, le quali possono essere sia pecuniarie che interdittive per l’ente che non si sia dotato di un modello organizzativo tale da prevenire la possibile commissione degli illeciti penali.

4. Conclusioni

L’evoluzione normativa sulla gestione delle società sportive e l’attuale definizione dei campi di applicazione della legge n. 231/200, nonché la prevedibile evoluzione estensiva, impone uno specifico approfondimento a supporto della definizione di modelli di responsabilità consapevole. L’entrata in vigore dell’art. 25 quaterdecies del D.lgs. n.  231/2001 impone a tutti gli enti un’attenta verifica circa l’astratta applicabilità dello stesso relativamente all’attività svolta.

È necessario, dunque, che le società sportive pongano una meticolosa attenzione, atteso che le nuove introduzioni normative implicano che le stesse si dotino o implementino un Modello che si rivolga non solo ai reati-presupposto previsti dal D.lgs. n. 231/2001, ed in particolar modo al reato di frode sportiva, ma anche agli illeciti sportivi disciplinari[52].

Si rende sempre più utile adottare un metodo integrato per far fronte alle diverse normative di settore che devono essere attuate dalle organizzazioni aziendali.

Relativamente alla prevenzione degli illeciti sportivi, un sistema di compliance integrato può essere costruito prendendo in considerazione, per come trattato, non soltanto le aree di rischio di reati ex D.lgs. n. 231/2001, ma anche quelle rilevanti per gli illeciti sportivi[53]; inserendo la previsione che l’Organismo di Vigilanza sia destinatario di verifiche mirate; prevedendo in sede di redazione del modello organizzativo specifiche procedure tese a contrastare il compimento di condotte “antisportive”; introducendo all’interno del modello dei Codici di Condotta e di Etica, contenenti principi volti ad implementare l’evoluzione della cultura sportiva.


Note e riferimenti bibliografici

[1]OCSE, Convenzione sulla lotta alla Corruzione dei Pubblici Ufficiali stranieri nelle transazioni internazionali, Parigi, 1997.

[2]C. SANTORIELLO, Vent’anni di giurisprudenza in tema di responsabilità degli enti collettivi. Le pronunce più importanti, i dubbi risolti e le questioni ancora aperte, in Resp. amm. delle società e degli enti, 2018, 4.

[3] E. LAGHI, Il modello organizzativo e di gestione ex d.lgs. 231/2001: un approccio integrato ai sistemi di controllo interno in una logica di risk management, in Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, a cura di M. IRRERA, Dottrina Casi Sistemi, Bologna, 2016; A.F. TRIPODI, V. MANES, L'idoneità del modello organizzativo, in La responsabilità “penale” degli enti, a cura di F. CENTONZE, M. MANTOVANI, Il Mulino, 2016.

[4] S. BENINI HEMMELER, La natura giuridica delle Federazioni Sportive Nazionali alla luce del D.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, Studi urbinati di scienze giuridiche, politiche ed economiche. Nuova serie A, edita dall'Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, 2001, 53, 3.

[5]G. MARINUCCI, Relazione di sintesi, in AA.VV., La responsabilità da reato degli enti collettivi. Atti del convegno organizzato dalla Facoltà di giurisprudenza e da dipartimento di diritto penale comparato e penale (15 -16 marzo 2002), Padova, 2003, 320.

[6] Art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 231/2001.

[7] G. DE VERO, La Responsabilità penale delle persone giuridiche, in C.F. GROSSO- T. PADOVANI – A. PAGLIARO, Trattato di diritto penale. Parte generale, Milano, 2008.

[8] C. PIERGALLINI, I reati presupposto della responsabilità dell’ente e l’apparato sanzionatorio, in G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti, Milano, 2010.

[9] G. DE VERO, La Responsabilità penale delle persone giuridiche, in C.F. GROSSO- T. PADOVANI – A. PAGLIARO, Trattato di diritto penale. Parte generale, Milano, 2008.

[10] G. DE SIMONE, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri oggettivi di imputazione, www.penalecontemporaneo.it, 2010.

[11] G. LASCO – V. LORIA – M. MORGANTE, Enti e responsabilità da reato, Torino, 2017.

[12] G. DE VERO, La Responsabilità penale delle persone giuridiche, in C.F. GROSSO- T. PADOVANI – A. PAGLIARO, Trattato di diritto penale. Parte generale, Milano, 2008.

[13]Art. 7, co. 2, d.lgs. N. 231/2001, che recita: «Nel caso previsto dall'articolo 5, comma

1, lettera b), l'ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza»

[14]M.T. CIRENEI, Società sportive, Noviss. Di.it., App., Torino, 1987, p.389.

[15] in ottemperanza al comunicato ufficiale della Figc n. 51 del 16 settembre 1966.

[16] Art. 10 comma 2 L. 23 marzo 1981, n.91

[17] Art. 13 comma 2 L. 23 marzo 1981, n.91

[18] A. BUCCELLI, Le forme organizzative dello sport postmoderno, Rassegna di diritto ed economia dello sport, Anno III – N. 1/08

[19] Permane l’obbligo di destinare almeno il 10% degli utili a scuole giovanili per la formazione e l’addestramento sportivo.

[20] Art. 90 L. 27 dicembre 2002 n. 289.

[21] O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. LATTANZI, Milano, 2010.

[22] M. SCOLETTA, In tema di responsabilità ex D.lgs. 231/2001 ed enti privatistici senza fine di lucro (Onlus), Nota a Tribunale di Milano, 22 marzo 2011, giudice Arnaldi, pubblicato il 27 luglio 2011 in Diritto Penale Contemporaneo.

[23] Ibidem.

[24] Cfr. Art. 2 Statuto del Coni in D.Lgs. 23 luglio 1999 n.242.

[25] Art. 1 Statuto del CONI.

[26] “Riordino del Comitato Olimpico Nazionale Italiano” c.d. Decreto Melandri.

[27] M. CATTADORI, Società sportive e 231 un connubio indissolubile. La responsabilità degli enti nel diritto sportivo e l’adeguamento delle società sportive alla 231 quale necessità ed opportunità. L’esigenza di un modello bicefalo, La responsabilità amministrative delle società e degli enti, 2014, 2.

[28] G. NICOLELLA, L’ordinamento sportivo e le organizzazioni collettive: le Federazioni, le Leghe, le società e le associazioni sportive.

[29] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. N. 527, 9 febbraio 2006.

[30] G. AMARELLI, Il catalogo dei reati presupposto del D.Lgs. 231/2001 quindici anni dopo. Tracce di una razionalità inesistente, www.legislazionepenale.eu.

[31] Recante la ratifica “Convenzione del Consiglio d’Europa sulle manipolazioni sportive, fatta a Magglingen il 18 settembre 2014”

[32] Articolo in www.storiedicalcio.altervista.org

[33] La cui principale finalità era quella di salvaguardare, in ambito sportivo, la correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche

[34] Artt. 4 e 5 L. n. 401/1989.

[35] Artt. 6,7 e 8 L. n. 401/1989.

[36] A. DI MARTINO, Giuoco corrotto, giuoco corruttore: due problemi penali dell’homo ludens, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 137.

[37] "L'articolo 1, comma primo, L. 13 dicembre 1989, n. 401, che tutela la genuinità del risultato delle competizioni sportive da essa disciplinate, nel rispetto dell'alea che alle predette competizioni è correlata, è norma a più fattispecie che incrimina due distinte condotte, consistenti, la prima in una forma di corruzione in ambito sportivo e la seconda in una generica frode, entrambe a dolo specifico, consistente nel fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al leale e corretto svolgimento della competizione". Corte di Cassazione, Sez. II n. 21324/2007

[38] Art. 1 comma 1 L. n. 401/1989 “Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), dall'Unione Italiana per l'Incremento delle Razze Equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da lire cinquecentomila a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa”

[39] Art. 1 comma 2 L. n. 401/1989 “Le stesse pene si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio, o ne accoglie la promessa”

[40] Corte di Cassazione, Sez. II n. 21324/2007

[41] C. CUPELLI, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, in Diritto Penale contemporaneo, 2013.

[42] Articolo che è stato inserito nel D.Lgs. 231/2001 dall’art. 2 comma 29, L. 94/09.

[43] C. CUPELLI, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, in Diritto Penale contemporaneo, 2013.

[44] M. SCOLETTA, In tema di responsabilità ex D.lgs. 231/2001 ed enti privatistici senza fine di lucro (Onlus), Nota a Tribunale di Milano, 22 marzo 2011, giudice Arnaldi, pubblicato il 27 luglio 2011 in Diritto Penale Contemporaneo.

[45] Il delitto in questione, infatti, sembra strutturato sulla base del reato di istigazione alla corruzione previsto dall’art 322 c.p., la cui consumazione si concretizza non appena la condotta venga posta in essere, ossia nel momento stesso in cui l’offerta o la promessa vengano formulate. Corte di Cassazione, Sez. III n. 36350 /2015

[46] Corte di Cassazione, Sez. III n. 36350 /2015; vds. Corte di Cassazione, Sez. III n. 12526/2010

[47] “Nè il concetto di atto fraudolento deve per forza di cose evocare comportamenti ingannevoli o caratterizzati da artifici o raggiri, in quanto l'espressione "atti fraudolenti" intende riferirsi a condotte al di fuori della regolarità e lealtà (principi che la norma penale speciale intende porre al centro della tutela) e, in quanto tali, pienamente idonee a turbare - proprio perchè non previste dal sistema - la regolarità della competizione sportiva improntata a principi di lealtà meritevoli di una tutela generalizzata nei confronti di tutti i consociati e non soltanto degli appartenenti alla comunità sportiva.” Corte di Cassazione, Sez. III n. 36350 /2015.

[48] Corte di Cassazione, Sez. III n. 36350 /2015.

[49] Art. 25 quaterdecies D.Lgs. 231/2001.

[50] “Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”

[51] “In relazione alla commissione dei reati di cui agli articoli 1 e 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per i delitti, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; b) per le contravvenzioni, la sanzione pecuniaria fino a duecentosessanta quote. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera a), del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.”

[52] Previsti dal nuovo Codice di Giustizia Sportiva della FIGC.

[53] Ad esempio, scommesse su eventi organizzati dalla UEFA, dalla FIFA e dalla FIGC; atti di violenza avvenuti durante (ma anche prima e dopo) lo svolgimento della competizione; presenza di sostanze dopanti all’interno dei locali della società; dichiarazioni rese da dirigenti o tesserati della società ed, infine, rapporti con i componenti degli organi di giustizia sportiva o con arbitri.

Bibliografia

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LEGGE 3 MAGGIO 2019, N.39“Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla manipolazione di competizioni sportive, fatta a Magglingen il 18 settembre 2014. (19G00046) (GU Serie Generale n.113 del 16-05-2019)

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