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Pubbl. Gio, 25 Mar 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

Per la Corte costituzionale è illegittima l´esclusione dei richiedenti asilo dall´iscrizione anagrafica

Luana Leo
Dottorando di ricercaLUM Giuseppe Degennaro



La Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 186 del 2020, si pronuncia sul divieto di iscrizione degli stranieri richiedenti asilo contenuto nel c.d. ”Decreto Sicurezza” (d.l. n. 113/2018). Il presente lavoro analizza e commenta la citata decisione, richiamando anche la normativa francese in materia, al fine di evidenziare come il diritto di asilo non costituisca un problema esclusivamente italiano. L´ultimo intervento legislativo, il d.l. n. 130/2020, avrebbe dovuto ribaltare completamente il precedente sistema. Allo stato attuale, tuttavia, l´obiettivo annunciato sembra piuttosto difficile da raggiungere. Di fronte alla possibilità di ”rompere” con il passato, il legislatore preferisce seguire una logica meno rigida, ma non certo costruttiva.


Sommario: 1. Premessa; 2. Una vicenda controversa; 3. Le motivazioni della Consulta; 4. La tutela giuridica del richiedente asilo in Italia; 5. Il quadro normativo europeo in materia di asilo; 6. Profili comparatistici: Le droit d'asile; 7. Conclusioni.

Sommario: 1. Premessa; 2. Una vicenda controversa; 3. Le motivazioni della Consulta; 4. La tutela giuridica del richiedente asilo in Italia; 5. Il quadro normativo europeo in materia di asilo; 6. Profili comparatistici: Le droit d'asile; 7. Conclusioni.

1. Premessa

La sentenza del 31 luglio 2020, n. 186 merita di essere analizzata da vicino, in quanto con essa viene smantellato il c.d. “decreto sicurezza” intensamente delineato dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto-legge n. 113/2018[1], in seguito convertito con modificazioni nella legge n. 132/2018[2], che aveva eliminato prontamente il diritto all’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale.

La disposizione censurata aveva richiamato l’attenzione del panorama giuridico e politico, tenuto conto che dall’iscrizione anagrafica dipende l’accesso a molteplici diritti sociali, tra cui l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, la concessione di eventuali sussidi o agevolazioni, la presa in carico da parte degli assistenti sociali.

Tale disposizione, altresì, si pone in evidente contraddizione con lo spirito del decreto-legge che decanta la “sicurezza”, dato che invece di promuoverla provvede a sminuirla.

Infine, la Corte costituzionale denuncia l’irragionevole disparità di trattamento nei confronti di una certa categoria di soggetti, i richiedenti asilo, che risiedono abitualmente nel territorio nazionale.

A seguito dell’approvazione del decreto, una parte della dottrina[3], pur riscontrando taluni profili di  illegittimità e di irrazionalità delle previsioni in esso incluse in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, aveva messo in campo un’interpretazione costituzionalmente orientata, sostenendo che le modifiche introdotte non comportassero un divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, bensì la sola impossibilità di procedervi per il tramite della mera esibizione del permesso di soggiorno.

Occorre segnalare che, il decreto in discussione lasciava in vigore le previsioni generali in materia di iscrizione anagrafica degli stranieri, tra cui l’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che equipara lo straniero al cittadino italiano in ordine alle iscrizioni e variazioni anagrafiche. 

2. Una vicenda controversa

La pronuncia in analisi trae origine dai dubbi dei Tribunali di Milano, Ancona e Salerno, per i quali le disposizioni introdotte con il c.d. “decreto sicurezza” ostacolavano l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. Al fine di comprendere la suddetta sentenza, occorre tracciare il quadro completo della situazione.

Con ordinanza del 1°agosto 2019, il Tribunale ordinario di Milano, prima sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142[4], introdotto dall’art. 13, comma 1, lett. a) n. 2, del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, poi convertito, con talune modificazioni, nella legge 1°dicembre 2018, n. 132, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 77, secondo comma, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in ordine all’art. 2, par. 1, del Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché in merito agli artt. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e 26 del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici.

Il ricorrente premette di essere stato investito di un ricorso[5] presentato da un individuo, richiedente asilo, avverso il Comune di Milano ed il Ministero dell’interno, con il proposito di conseguire “la dichiarazione di invalidità e l’accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto opposto dal Comune di Milano all’iscrizione del ricorrente nell’anagrafe della popolazione residente”, per violazione del principio di parità tra cittadini italiani e stranieri[6].

Il richiedente asilo, altresì, ha chiesto di accertare l’illegittimità del rifiuto del Comune alla sua iscrizione all’anagrafe dei residenti e di invitare il Ministero dell’interno, e di conseguenza il Sindaco del Comune di Milano, a provvedere all’iscrizione.

Infine, “ove possibile”, egli ha domandato la previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, introdotto dall’art. 13, comma 1, lett. a), n. 2), del d.l. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, nella l. 132/2018, in ordine ai parametri sopraindicati.

Un dato peculiare attiene all’intervento dell’Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) e dell’Associazione per Niente Onlus, nella veste di sostenitori del ricorrente.

Il ricorrente vanterebbe “un effettivo interesse ad agire che scaturisce dall’impossibilità di vedersi iscritto all’anagrafe del Comune in cui ha stabilito la propria dimora abituale”. Nell’ottica del rimettente, la tutela del diritto soggettivo di iscrizione anagrafica garantirebbe al richiedente asilo “un’utilità ulteriore rispetto a quella derivante dall’accesso ai servizi e dall’esercizio dei diritti e delle facoltà rispetto alle quali l’iscrizione all’anagrafe è strumentale”[7].

Quest’ultima sarebbe “direttamente collegata alla dignità personale e sociale dell’individuo, alla sua capacità di identificazione, appartenenza e, in senso più ampio, integrazione con la comunità locale, che a loro volta costituiscono passaggi indispensabili per la concretizzazione del progetto fondante la nostra Costituzione, ossia assicurare all’individuo – legalmente presente nel territorio italiano – una vita libera e degna”.

Il remittente sostiene che il diniego dell’ufficiale dello Stato civile di iscrizione anagrafica condurrebbe ad uno dei presupposti per l’esercizio dell’azione antidiscriminatoria; la condotta dell’ufficiale dello Stato civile non potrebbe essere giustificata in virtù del fatto che l’omessa iscrizione anagrafica è prevista soltanto per i richiedenti asilo e non per tutti gli stranieri.

Per quanto concerne le questioni di legittimità costituzionale, il remittente tiene a rimarcare come sia l’amministrazione comunale sia il Ministero dell’interno abbiano ammesso che la norma censurata “non lasci alcun margine di discrezionalità al Sindaco, in qualità di Ufficiale dell’anagrafe”.

In merito al possibile accoglimento di un’interpretazione costituzionalmente orientata della previsione censurata, il rimettente segnala l’indirizzo seguito da taluni giudici di merito, per i quali non sarebbe preclusa l’opportunità di iscrizione anagrafica da parte dei richiedenti asilo, dal momento che la dimostrazione della regolarità del soggiorno avverrebbe mediante altri documenti[8].

Il giudice a quo non ritiene condivisibile l’interpretazione appena delineata per due ragioni.

In primo luogo, non sorgono perplessità circa il fatto che il permesso di soggiorno costituisca documento di riconoscimento e di attestazione della permanenza sul territorio nazionale del migrante.

In secondo luogo, ove si volesse reputare valida l’interpretazione sopramenzionata, la modifica compiuta dal d.l. n. 113 del 2018 risulterebbe irragionevole, dato che sarebbe bastata la mera abrogazione dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del 2015 per mettere in atto la procedura ordinaria prescritta dal combinato disposto del d.P.R. n. 223 del 1989[9] e dall’art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998[10].

La previsione censurata appare in palese contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 77, secondo comma, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in merito all’art. 2, par. 1, Prot. n. 4 CEDU, nonché in relazione agli artt. 14 CEDU e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.

In ordine alla violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., il ricorrente dichiara che, nel caso di specie non sussisterebbe “una motivazione circa la necessità e urgenza di introdurre il divieto di iscrizione all’anagrafe” per i richiedenti asilo, né troverebbero spazio le numerose ragioni avanzate dal Governo.

Relativamente alla violazione dell’art. 2 Cost., il rimettente invita a tenere conto del fatto che

“il diritto all’iscrizione anagrafica ricada tra i diritti che hanno come punto di approdo ultimo quella della dignità umana, nella sua dimensione individuale e sociale”, diventando “presupposto dell’identificazione di sé stessi anche e soprattutto mediante lo sviluppo di un senso di appartenenza con la comunità locale presso cui si decide di fissare la propria stabile dimora”.

Il Tribunale di Milano, altresì, esalta il valore simbolico della previsione censurata, giacché il rigetto dell’iscrizione anagrafica si tradurrebbe nel “lasciare l’individuo al margine della collettività stessa, confinandolo in un “non luogo” giuridico e sociale”, che rappresenta una restrizione alla libera e dignitosa crescita della sua personalità e che risulta incompatibile con la sua partecipazione alla vita economica, sociale e culturale del Paese in cui vive.

Quanto alla violazione dell’art. 3 Cost., il remittente reputa la previsione censurata in netta contraddizione rispetto alle finalità perseguite dal legislatore con il d.l. n. 113 del 2018, poiché la negazione dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo abbasserebbe il livello di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica su una categoria di soggetti.

L’irrazionalità della norma censurata è avallata anche dal d.lgs. n. 142 del 2015, che ha attuato la direttiva (CE) 2013/33[11] del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013.

Quest’ultima avrebbe come scopo quello di favorire l’accoglienza e di garantire un livello di vita dignitoso a codesta categoria.

Un’ulteriore prova dell’irragionevolezza della norma censurata è data dal confronto tra essa e l’art. 9 del d.lgs. 6 febbraio 2017, n. 30[12], il quale richiede al cittadino europeo, avente l’intento di soggiornare per più di tre mesi sul territorio italiano, proprio l’iscrizione anagrafica.

Infine, il Tribunale di Milano sostiene l’irrazionalità della disposizione censurata, sulla base del fatto che essa, da una parte, identifica espressamente il permesso di soggiorno come documento di riconoscimento (art. 13, comma 1, lett. a), n. 1, del d.l. n. 113 del 2018), dall’altra, disconosce il suddetto titolo ai fini dell’accertamento del soggetto straniero nella procedura di iscrizione anagrafica (art. 13, comma 1, lett. a), n. 2, del d.l. n. 113 del 2018).

Il contrasto tra la norma censurata e l’art. 10 Cost., darebbe vita, secondo il remittente,

“a un trattamento diversificato soltanto nei confronti di una categoria di stranieri regolarmente soggiornanti, ossia proprio quelli che hanno esercitato il diritto di asilo ex art. 10, comma 3, Cost.”.

I richiedenti asilo, autorizzati all’ingresso e alla permanenza nel territorio nazionale, sarebbero titolari di un diritto soggettivo perfetto al soggiorno.

In merito alle fonti sovranazionali, il rigetto dell’iscrizione provocherebbe una lesione del diritto a scegliere liberamente la propria residenza, e di conseguenza, violerebbe la previsione contemplante il suddetto principio, nonché l’art. 2 Prot. n. 4 CEDU.

Da tale rifiuto, indotto da ragioni discriminatorie, ne scaturirebbe la violazione dell’art. 14 CEDU e dell’art. 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.

Con ordinanza del 29 luglio 2019, il Tribunale ordinario di Ancona, prima sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, lett. a), n. 2, del d.l. 113/2018, che immette il comma 1-bis all’art. 4 del d.lgs. n. 142 del 2015, per violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 2 Prot. n. 4 CEDU e all’art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Il Tribunale di Ancona riferisce di essere stato adito da un cittadino straniero chiamante in causa il Comune con un’azione cautelare ai sensi dell’art. 700 c.p.c., reclamando l’iscrizione dello stesso nel registro anagrafico della popolazione residente.

Il remittente segnala la sussistenza di un periculum in mora, consistente nell’impossibilità di esercitare taluni diritti (ad es. accettazione di un’offerta lavorativa, decorrenza del termine di dieci giorni per l’ottenimento della cittadinanza italiana) per un determinato lasso di tempo.

Il giudice a quo lamenta la violazione dell’art. 2 Cost., sulla base del fatto che il mancato conseguimento della certificazione anagrafica relativa alla sua dimora abituale implicherebbe “una condizione di minorazione generale della sua persona, la quale si vede impossibilitata a dare prova di una condizione di fatto esistente (la dimora abituale)”.

La violazione dell’art. 3 Cost., invece, avverrebbe sia sotto il profilo della ragionevolezza sia sotto quello dell’uguaglianza.

Circa il primo aspetto, la disposizione censurata, al solo fine di precludere l’iscrizione anagrafica, avrebbe “spogliato” il permesso di soggiorno “della sua ontologica natura ovvero della sua capacità di provare la legittima permanenza sul territorio nazionale”.

Quanto al secondo aspetto, la previsione censurata discriminerebbe, senza alcuna giustificazione, il richiedente asilo rispetto al cittadino italiano e allo straniero regolarmente soggiornante con altro titolo.

Con due ordinanze del 9 agosto 2019, il Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile feriale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. 142/2015, introdotto dall’art. 13, comma 1, lett. a), n. 2, del d.l. n. 113/2018, per violazione degli artt. 2, 3 e 16 Cost.

Il Tribunale di Salerno, interpellato da due cittadini stranieri chiamanti in causa il Comune di Capaccio Paestum a seguito del diniego dell’iscrizione anagrafica, evoca la Cassazione[13], secondo la quale le controversie in materia rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.

Di conseguenza, il potere dell’ufficiale d’anagrafe sarebbe limitato all’analisi dei presupposti dell’iscrizione.

Il remittente ravvisa il diritto dello straniero all’iscrizione anagrafica nell’art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998.

A fronte di ciò, i presupposti del diritto dello straniero all’iscrizione anagrafica sarebbero due: la regolarità del soggiorno e la dimora abituale nel Comune.

Secondo il giudice a quo, la previsione censurata dovrebbe essere concepita nel senso che, giacché il permesso di soggiorno non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica, viene meno il primo presupposto di essa, ossia la regolarità del soggiorno.

Un’interpretazione del genere produrrebbe una violazione dei diritti umani fondamentali protetti dall’art. 2, il principio di uguaglianza (art. 3) e la libertà di soggiorno (art. 16).

Infine, il Tribunale di Salerno, non potendo invitare il Comune a provvedere all’iscrizione anagrafica, data la presenza del divieto di cui all’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248[14], “dichiara, in via provvisoria e fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l’incidente di legittimità costituzionale, la sussistenza del diritto” dei due ricorrenti all’iscrizione anagrafica presso il Comune convenuto.

3. Le motivazioni della Consulta

Innanzitutto, la Corte marca come solo formalmente le ordinanze di rimessione censurano disposizioni diverse.

Da qui, la necessità di riunire i suddetti giudizi, in modo tale da adottare un’unica sentenza.

Prima di addentrarsi nella vicenda, il Giudice delle Leggi dichiara l’inammissibilità delle deduzioni elaborate dalla difesa delle Associazioni ASGI-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e Avvocati per Niente Onlus, volte ad ampliare il thema decidendum – nei termini in cui appare citato nell’ordinanza di rimessione – in violazione dell’art. 8 CEDU e degli artt. 1, 7, 18, 20, 29, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

La Corte ricorda come l’oggetto del giudizio costituzionale in via incidentale debba essere limitato alle disposizioni e ai parametri riportati nell’ordinanza di rimessione.

Al fine di specificare il significato della norma censurata, la Consulta reputa opportuna una ricostruzione del quadro normativo.

Oggetto della questio è l’art. 13 del d.l. 113/2018, il c.d. decreto sicurezza.

Tale normativa, che include le previsioni in materia di iscrizione anagrafica, ha apportato una serie di incisive modifiche agli artt. 4 e 5 del d.lgs. 142/2015 e ha disposto l’abrogazione dell’art. 5-bis.

Una peculiarità della disposizione sopraindicata consiste nell’essere “monocomma”: essa si compone di un solo comma, articolato, al suo interno, in tre lettere (a, b e c). Da una prima lettura della suddetta disposizione, si comprende l’intento di svilire il permesso di soggiorno, il quale non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica.

La Consulta ricorda come la norma censurata, in base alla quale “il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica […]” sia stata oggetto di due eterogenee interpretazioni.

All’indirizzo del remittente, la Corte accosta un secondo orientamento interpretativo[15], teso ad escludere che la previsione censurata costituisca uno “scoglio” all’iscrizione anagrafica del richiedente asilo, dal momento che la stessa si limiterebbe a specificare che il solo permesso non risulti sufficiente ai fini del conseguimento dell’iscrizione all’anagrafe.

Tuttavia, la Consulta si scaglia contro l’interpretazione sopracitata, ritenendo che l’art. 13, comma 1, n. 2, del d.l. 113/2018 precluda l’iscrizione anagrafica di una determinata categoria di soggetti, i richiedenti asilo.

La Corte costituzionale motiva la sua decisione affidandosi alla relazione illustrativa al decreto e a numerose circolari[16] del Ministero dell’Interno, dalle quali emerge l’esclusione dell’iscrizione anagrafica.

L’intento preclusivo del legislatore è ricavabile anche nell’interpretazione sistematica della previsione censurata. In tale senso, il richiamo all’art. 6, comma 7, del d.lgs. 286/1998 avviene per evidenziare l’espressa deroga introdotta.

L’art. 13, comma 1, lett. a), n. 1, del d.l. 113/2018 valuta il permesso di soggiorno quale documento di riconoscimento, in quanto i richiedenti asilo non possono beneficiare della carta di identità che presuppone la residenza anagrafica.

Allo stesso modo l’art. 13, comma a, lett. b), nn. 1 e 2, del d.l. 113/2018 sostituendo il “luogo di residenza con quello di domicilio[17] come sede di erogazione dei servizi, convalida la scelta del legislatore di escludere la categoria di soggetti in discussione dal riconoscimento giuridico dell’iscrizione anagrafica.

La Consulta giudica fondata la questione di costituzionalità sollevata dai giudici a quibus circa la violazione dell’art. 3 Cost., per l’irrazionalità intrinseca della disposizione censurata, in ragione della sua incoerenza rispetto alle finalità perseguite dal d.l. 113/2018.

Il suddetto decreto, infatti, puntava ad alleggerire le amministrazioni comunali in cui sono ubicati i centri di accoglienza dall’enorme mole di lavoro relativa all’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo.

A tal proposito, la Consulta sottolinea come il legislatore non tenga fede alla ratio complessiva del decreto-legge consistente nell’incrementare la sicurezza pubblica, visto che

finisce con il limitare le capacità di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, escludendo da essa una categoria di persone, gli stranieri richiedenti asilo, regolarmente soggiornanti nel territorio italiano. E ciò senza che questa esclusione possa ragionevolmente giustificarsi alla luce degli obblighi di registrazione della popolazione residente”.

La Corte nega la condizione di precarietà della permanenza legale dei richiedenti asilo sul territorio posta a giustificazione della disposta esclusione, invocando il dato normativo della durata legale dei permessi di soggiorni pari a sei mesi, rinnovabile sino alla decisione della domanda, ed evidenziando come i richiedenti asilo permangano sul territorio per un periodo non inferiore ad un anno e mezzo.

In tale scenario, si colloca anche l’art. 9 del d.lgs. 30/2007, che richiede al cittadino europeo avente intenzione di soggiornare nel territorio dello stato per un periodo superiore a tre mesi, l’iscrizione anagrafica.

D’altro canto, lo stesso art. 6, comma 7, del d.lgs. 286/1998 reputa la permanenza protratta per tre mesi presso un centro di accoglienza come “il periodo di tempo necessario per considerare abituale la dimora dello straniero”.

Infine, l’iscrizione anagrafica assume spessore anche in ambito sanitario, dal momento che il Sindaco è in grado di adottare le misure opportune in casi di emergenze sanitarie circoscritte al territorio comunale solo sulla base della situazione anagrafica dei residenti[18].

La Consulta poi accoglie le censure sollevate per l’irragionevole disparità di trattamento dei richiedenti asilo, determinata dalla norma rispetto ad altre categorie di stranieri e agli stessi cittadini italiani.

A tal proposito, la Corte[19] ricorda di aver già escluso che il termine “cittadini” adottato dall’art. 3 Cost. non si riferisca esclusivamente ai cittadini italiani, ma possa invece estendersi agli stranieri[20].

Occorre comunque segnalare che, un trattamento differenziato tra cittadino e straniero non sempre si scontra con il principio di ragionevolezza[21].

Tuttavia, nel caso di specie, privando i richiedenti asilo dell’iscrizione anagrafica, la norma censurata riserva ad essi un trattamento differenziato e peggiorativo, in mancanza di una ragionevole giustificazione.

Analogamente, la deroga irragionevolmente operata dalla norma rispetto a quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo, preclude l’iscrizione anagrafica per la categoria in discussione, senza una causa giustificatrice valida.

La Corte costituzionale afferma che, in tale contesto, la lesione dell’art. 3, comma 1, Cost. – oltre alla generica violazione del principio di eguaglianza – assume la valenza di una lesione della “pari dignità sociale”.

Occorre precisare che, un trattamento differenziato nei confronti dello straniero è ammesso soltanto in presenza di una “causa normativa” razionale; l’elemento della cittadinanza non può essere considerato alla stregua di un “parametro preliminare di accesso” al beneficio[22]

In tale scenario, trova terreno fertile la riflessione di una parte della dottrina, secondo cui

“per il semplice fatto di essere straniero collocato nella stessa comunità di vita del cittadino, attribuire un vantaggio (non importa quanto lontano dal “cuore” dei diritti dell’uomo, dal “nucleo” duro di questo o quel diritto fondamentale) soltanto al secondo e non al primo è per ciò stesso in grado di ledere tale “pari dignità”[23].

4. La tutela giuridica del richiedente asilo in Italia

L’ordinamento giuridico italiano risulta sprovvisto di una normativa organica in materia di asilo.

Tuttavia, l’assenza di un’apposita disciplina non scredita le diverse e numerose fonti del diritto presenti al riguardo.

Il punto di partenza è dato dal dettato costituzionale.

L’art. 10, comma 3, riconosce il diritto d’asilo nel territorio italiano allo straniero “al quale sia impedito” nel suo Paese “l'effettivo esercizio delle libertà democratiche”.

Tale riconoscimento trova una spiegazione storica nel periodo in cui la Costituzione è stata redatta.

Verso la fine degli anni Quaranta del XX secolo, si registrarono in Europa 40 milioni di sfollati a causa del secondo conflitto mondiale; in talune aree, altresì, affiorarono regimi di stampo antidemocratico.

Il Costituente, cosciente dei numerosi danni provocati dal regime fascista, decise di aprirsi all’ordinamento internazionale e alla protezione internazionale dei diritti dell’uomo.

L’art. 10 Cost., dunque, segna una netta rottura con il passato e soprattutto con gli orrori del nazismo[24]. In origine, la giurisprudenza amministrativa[25] aveva inquadrato la norma costituzionale tra quelle di natura programmatica, in ragione della mancata integrazione della riserva di legge prevista dall’ultima parte dell’art. 10, comma 3.

Nonostante le iniziali resistenze, grazie a talune cruciali sentenze di merito[26] e della Corte di Cassazione[27] in sede di regolamento di giurisdizione, si giunse all’accettazione della natura precettiva della norma costituzionale.

Il diritto d’asilo, dunque, è un diritto soggettivo perfetto, rientrante nella categoria degli status, di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Tuttavia, la natura precettiva della norma costituzionale è rimasta inattuata.

L’ordinamento, infatti, si è munito di altre forme di protezione, in parte allineandosi ai trattati e recependo la normativa di rango sovranazionale, in parte adottando strumenti interni di tutela umanitaria, con l’intento di rispondere alle richieste di tutela e di protezione degli stranieri alla ricerca di asilo sul territorio nazionale.

A pochi anni di distanza dall’entrata in vigore della Carta costituzionale, l’Italia sottoscrive un documento, ritenuto ancora oggi il pilastro del sistema di asilo negli ordinamenti degli Stati firmatari: la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.

Una corrente di pensiero ritiene che la stesura della suddetta Convenzione sia avvenuta in tre fasi[28].

La prima (1920-1935) è definita giuridica per il tentativo di sistematizzare la materia a livello internazionale.

La seconda (1922-1935) è detta sociale, dal momento che gli accordi internazionali concentrano l’attenzione su aspetti sociopolitici.

Infine, la terza fase è definita individualistica, poiché non riconosce il rifugiato come parte di un gruppo, ma come singola persona che evade da situazioni di ingiustizia e di incompatibilità con il proprio Stato.

L’Italia aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 con la legge 24 luglio 1954, n. 722, che limita però il riconoscimento dello status rifugiato ai soli individui di provenienza europea e introduce una riserva temporale, in base alla quale la richiesta avrebbe potuto essere avanzata in ordine agli avvenimenti verificatesi prima del 1° gennaio 1951[29].

La nozione di rifugiato[30], così come tracciata nella predetta Convenzione, presenta evidenti differenze di tipo strutturale rispetto a quella di asilo costituzionale, e pertanto richiede diversi presupposti per il riconoscimento dello status.

Lo status di rifugiato è riconosciuto quando l’individuo subisce la violazione di quei diritti umani fondamentali sanciti da documenti internazionali che riportino apertamente l’omissione di protezione da parte del proprio Paese; il carattere della persecuzione, in atto o temuta, deve risultare personale e diretta.

L’inciso “temere a ragione di essere perseguitato” per uno dei motivi indicati nella predetta Convenzione, prova come non basti un elemento soggettivo di timore, ma debba sussistere un elemento oggettivo determinato dal caso concreto[31].

La Convenzione di Ginevra non contempla disposizioni di ordine procedurale in relazione all’ingresso del richiedente sul territorio dello Stato.

Tuttavia, essa include una fondamentale previsione circa il divieto di “espellere o respingere – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate[32].

Alla legge 28 febbraio 1990, n. 39[33], nota come legge Martelli, si perviene solo a seguito di lunghe vivaci discussioni all’interno delle aule parlamentari[34].

Sebbene essa dedicasse ai richiedenti asilo e ai rifugiati unicamente il primo articolo, fu presentata come un’esclusiva, in quanto introdusse il concetto di programmazione annuale dell’immigrazione.

Per la prima volta, una legge italiana menziona l’espressione “asilo politico”.

Essa abolisce la riserva geografica per i richiedenti asilo non europei, “abbattendo” così la discriminazione tra rifugiati europei e non europei.

A differenza della Convenzione di Ginevra del 1951, la legge Martelli include la disciplina dell’accesso alla procedura (cause ostative all’ingresso)[35] e le modalità di presentazione della domanda di asilo[36].

Con la legge in questione, l’Italia compie un passo in avanti in materia di asilo.

Di fronte alle prime difficoltà, però, l’impianto normativo rivela i suoi deficit. In particolare, affiora la necessità di implementare un sistema di accoglienza strutturato in vista dell’afflusso crescente di migranti alla ricerca di protezione sul territorio nazionale[37].

Essa è poi sostituita dalla legge 6 marzo 1998, n. 40 [38], c.d. legge Turco-Napolitano, avente il fine di regolare organicamente il fenomeno dell’immigrazione in Italia.

Tale legge, tradotta nel Testo unico sull’immigrazione [39], accorda allo straniero una serie di diritti civili e sociali.

Al contempo, la legge in discussione manifesta non poche ombre, tra cui il respingimento alla frontiera, che autorizza le forze pubbliche a respingere gli stranieri privi dei requisiti richiesti dal Testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato.

Il nuovo quadro normativo contiene rilevanti disposizioni in tema di protezione umanitaria e temporanea.

La suddetta legge prevede la possibilità di rilasciare allo straniero un permesso di soggiorno, in presenza di “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.

Tale legge, tesa a “equiparare gli immigrati ai cittadini italiani[40], è posta in discussione in ragione della mancata regolamentazione del diritto d’asilo[41]. Un’assenza di peso che induce ad approvare un intervento legislativo volto a inasprire la condizione giuridica dello straniero in Italia.

La legge 30 luglio 2002, n. 189, c.d. legge Bossi-Fini, riduce i canali di ingresso regolare, inficia il ricongiungimento familiare, enfatizza la precarizzazione del soggiorno, instaura una dipendenza del lavoratore dal datore di lavoro.

Un’importante novità introdotta dalla predetta legge consiste nel trattamento dei richiedenti asilo presso i centri di identificazione (CID)[42].

Esso costituisce “un’ulteriore applicazione del principio della ritenzione delle persone con privazione della loro libertà in assenza di fatto costituente reato”[43].

La disposizione relativa ai centri di identificazione presenta evidenti profili di illegittimità costituzionale, in quanto il trattamento dei richiedenti asilo nei centri sopramenzionati risulta sprovvisto di una tutela giurisdizionale.

5. Il quadro normativo europeo in materia di asilo

La normativa europea in materia di asilo è stata protagonista di una sostanziale evoluzione.

Verso la fine degli anni ’80 del XX secolo, l’Italia aderisce a due trattati intraeuropei, nonché l’Accordo di Schengen (1985) e la Convenzione di Dublino.

Il primo intende superare le difficoltà che, sul versante comunitario, ostacolano la libera circolazione delle persone.

Esso, altresì, sancisce l’abolizione delle frontiere interne degli Stati firmatari, mettendo a punto un’unica frontiera esterna, nella quale rafforzare i controlli.

A differenza dell’Accordo di Schengen, la Convenzione di Dublino prende una posizione in materia di asilo, delineando i criteri idonei a individuare lo Stato competente nell’esaminare la domanda di asilo avanzata in un Paese dell’Unione Europea.

La medesima Convenzione si propone di concedere una risposta ad altri due estesi fenomeni: le “richieste multiple”, ossia la contemporanea presentazione della stessa domanda di asilo a due Stati distinti, ed il “forum shopping”, vale a dire la scelta dello Stato a cui rivolgersi adottata sulla base di valutazioni soggettive.

Con il Trattato di Maastricht si compie il primo rilevante cambiamento in direzione di una politica comune degli Stati Membri nell’ambito in discussione: il c.d. Terzo pilastro, inerente ai settori della giustizia e degli affari interni, comprendente la politica di asilo.

Un passo significativo in tale contesto avviene con il Trattato di Amsterdam del 1997, che introduce ingenti modifiche alla politica europea sull’immigrazione e l’asilo.

Esso provvede alla “comunitarizzazione” della stessa materia, spostandola nel primo pilastro[44] e ponendosi il proposito di adottare norme minime comuni.

Gli obiettivi prefissati dall’Unione Europea con il Trattato di Amsterdam si riscontrano nel Programma di Tampere del 1999[45].

Quest’ultimo evidenzia l’esigenza di definire una politica comune in materia di asilo e confida nella costituzione di un regime europeo adempiente alla Convenzione di Ginevra del 1951, con particolare attenzione al principio di non refoulement[46].

In occasione di tale evento, si perviene al concetto di Common European System (CEAS)[47].

Da tale momento in poi, si persegue l’obiettivo di predisporre un regime comune europeo in materia di asilo, mediante l’adozione di quattro regolamenti e altrettante direttive[48].

Nel 2007, con la redazione del Green Paper sul futuro regime comune in materia di asilo, si apre la seconda fase di implementazione del Sistema Comune.

In tale documento, si rilevano i tre pilastri su cui la Commissione europea intende instaurare il nuovo Sistema: incrementare l’armonizzazione degli standard di protezione allineando la legislazione in materia di asilo degli Stati membri; assicurare e supportare una cooperazione concreta tra gli stessi; rafforzare la solidarietà ed il senso di responsabilità tra gli Stati europei ed extra-europei.

L’insufficienza degli strumenti legislativi, confermata dalla stessa Commissione, induce al Programma di Stoccolma del 2009, il quale si pone lo scopo di “stabilire uno spazio comune di protezione e solidarietà basato su una procedura comune in materia d'asilo e su uno status   uniforme per coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale”[49].

Nel corso di tale fase, si sviluppa una fiorente e complessa attività normativa[50], dalla quale ne scaturisce l’istituzione di un Sistema comune europeo di asilo, in grado di gestire, in modo adeguato, i flussi migratori, prevenire e contrastare quelli clandestini verso le frontiere esterne.

Occorre soffermare l’attenzione sul Sistema europeo di asilo, dato il riscontro di numerose e profonde carenze.

Come noto, il Regolamento 604/2013/UE (c.d. Regolamento Dublino III) fissa i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente ad esaminare una domanda di protezione presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide.

La ratio del Sistema Dublino consiste nel garantire l’accesso rapido alle procedure da parte dei richiedenti protezione internazionale mediante l’individuazione di un unico Stato membro competente, scongiurando così i c.d. movimenti secondari.

In presenza di un massiccio flusso migratorio, soltanto un numero esiguo di Stati membri, nonché quelli alle frontiere esterne di primo ingresso, si sono trovati a dover gestire la maggior parte delle richieste[51].

Il suddetto Sistema soffre, poi, di un deficit di solidarietà.

Sebbene l’art. 80 TFUE stabilisca che le politiche dell’Unione Europea “sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri”, i profili di tale disposizione rimangono vaghi, dal momento che da tale disposizione non si traggono obblighi precisi e giustiziabili[52].

Con l’intento di appianare la crisi dell’asilo in Europa, la Commissione ha adottato svariate iniziative, con scarsi risultati.

Oltre alla pubblicazione di un Agenda europea sulla migrazione, la Commissione ha avanzato due proposte, entrambe fortemente criticate[53].

In via definitiva, appare evidente come la normativa europea risulti disorganica e lacunosa.

Allo stato attuale, è impensabile parlare di un vero e proprio sistema di accoglienza: si invoca, a gran voce, la stesura di un corpus normativo organico che disciplini il diritto di asilo.

6. Profili comparatistici: Le droit d'asile

Il diritto d’asilo si manifesta, per la prima volta, nella Costituzione francese del 1793.

Essa, infatti, statuisce che il popolo francese “dà asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la causa della libertà[54].

Tuttavia, la comparsa del diritto in esame non attira l’attenzione del panorama giuridico e politico, a causa della mancata entrata in vigore della Costituzione del 1973.

Il diritto d’asilo, altresì, risulta assente anche nelle Costituzioni della Seconda e della Terza Repubblica.

Esso riaffiora nel paragrafo 4 del Preambolo della Costituzione del 1946, in base al quale gode del diritto stesso sul territorio della Repubblica francese “chiunque sia perseguitato a causa delle sue azioni in favore della libertà”.

Tale diritto trova terreno fertile nell’attuale Costituzione del 1958, che riconosce il valore costituzionale[55] del Preambolo della Costituzione del 1946, e di conseguenza, colloca il diritto d’asilo nel c.d. “bloc de constitutionnalité”.  

Occorre precisare che, all’inquadramento concettuale del diritto d’asilo in termini di diritto fondamentale di rango costituzionale si è giunti solo in seguito ad un iter travagliato, simile a quello italiano, poiché caratterizzato da intense accelerazioni ed improvvise regressioni.

In Francia, il diritto de quo è stato oggetto di un periodico intervento di “neutralizzazione”, ossia di negazione della sua natura di diritto fondamentale dell’individuo, e di concomitante sovrapposizione allo status di rifugiato.

Quanto appena sostenuto trova diretta conferma nella decisione del Conseil d’État del 27 settembre 1985 (caso France Terre d'asile et a.), ritenuta maggiormente deleteria rispetto alla precedente sentenza del Conseil constitutionnel n. 79-109, del 9 gennaio 1980 inerente alla legge del 1980 sulla prevenzione dell’immigrazione clandestina.

In quest’ultima occasione, il Conseil constitutionnel si limita ad affermare che la legge sopraindicata non modifica l’art. 2 dell’ordinanza del 1945, nella parte in cui mette a punto una riserva internazionale in materia di diritto di asilo.

A livello giurisprudenziale, un passo in avanti è compiuto dalla già menzionata pronuncia del 1985, con la quale il Conseil d’État ammette il valore costituzionale del diritto d’asilo, sebbene confessi che, in assenza di appropriata implementazione ad opera di fonte interna o internazionale, consista in un diritto inidoneo a fungere da parametro per negare la legittimità di regolamenti o provvedimenti emanati dalle autorità amministrative[56].

Data l’omissione di norme interne appositamente riservate all’asilo, la giurisprudenza del periodo individua le disposizioni attuative del disposto costituzionale in quelle relative allo status di rifugiato, finendo così per creare un caos terminologico destinato a durare per anni.

Per la prima volta, il Conseil constitutionnel, con la sentenza del 25 luglio 1991, n. 294, –avente ad oggetto la legittimità costituzionale della legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Schengen – scinde l’istituto dell’asilo dalla Convenzione di Ginevra del 1957, richiamando la Costituzione e preferendo una lettura opposta a quella compiuta nel 1986, ossia separando la norma costituzionale dalla fonte internazionale, conferendo alla prima assoluto “valeur positive” in termini di immediata precettività[57].

Nella sentenza del 25 febbraio 1992, il Conseil constitutionnel si pronuncia sulle condizioni per l’ammissione nel territorio francese dei richiedenti asilo al fine di dare piena attuazione al principio del non refoulement: incombe sul Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli esteri, la decisione di diniego di soggiorno per manifesta infondatezza della richiesta di asilo. In concreto, l’assenza di documenti e del visto previsti dalla legge non basta a negare all’individuo l’accesso alla frontiera.

Una nuova prospettiva è assunta dal Conseil constitutionnel con la decisione del 13 agosto 1993, n. 325.

In tale scenario, il Giudice delle leggi non solo ribadisce il valore costituzionale e l’autonomia del diritto in oggetto, ma – per la prima volta – riconosce la sua natura di diritto fondamentale, rispetto al quale l’intervento del legislatore viene considerato legittimo solo ed esclusivamente se destinato a renderlo più effettivo o a coniugarlo con altre regole e principi.

Si giunge al c.d. effet cliquet, ossia una tecnica interpretativa volta a “blindare” la coerenza interna del sistema delle garanzie costituzionali; di conseguenza, è ritenuta intollerabile una riduzione del livello di protezione di determinati diritti[58]

Alla sentenza del 1993 segue la decisione del 22 aprile 1997, n. 389, nella quale il Conseil constitutionnel si pronuncia sulla legge n. 97/396 recante “Misure relative all’immigrazione” diretta a fronteggiare l’immigrazione irregolare con l’inasprimento del sistema sanzionatorio.

Con tale sentenza, il Giudice delle leggi dichiara che il quarto paragrafo del Preambolo del 1946 costituisce una “exigence constitutionnelle” e che “il incombe au législateur d'assurer en toutes circonstances l'ensemble des garanties légales” derivanti dall’asilo costituzionale.

Il legislatore francese ritorna a esprimersi sulla materia dell’asilo con la legge n. 349/1998, il cui art. 29 consacra la confusione tra asilo e rifugio, affermando quanto segue: “la qualità di rifugiato è riconosciuta [...] a chiunque venga perseguitato in ragione della propria azione in favore della libertà, così come a chiunque [...] rientri nella definizione di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra [...] sullo status dei rifugiati”.

Tale disordine è convalidato dalla giurisprudenza costituzionale che nella sentenza n. 399 del 1998 reputa inidonea una disciplina dell’asilo costituzionale distinta da quella del rifugio convenzionale, in quanto le domande di riconoscimento della qualità di rifugiato incentrate sull’art. 1 della Convenzione di Ginevra e quelle fondate sul 4° paragrafo del Preambolo della Convenzione del 1946 presentano uno stretto legame e, pur poggiando su fondamenti giuridici distinti, esigono l’esame delle medesime circostanze di fatto, tendendo alla concessione di una protezione identica.

Spinto da un intento “deflattivo”, il legislatore francese, con la legge del 10 dicembre 2003, n. 1176, sostituisce l’asilo territoriale con la “protection subsidiaire”, riconosciuta a chiunque risulti priva delle condizioni necessarie ad ottenere lo status di rifugiato, per la quale si provi che sarebbe esposta, nel suo Paese, al rischio di persecuzione, a tortura, trattamenti disumani e degradanti, o a una minaccia grave ed individuale contro la propria vita o la propria persona a causa di violenze che derivino da vicende di conflitto armato interno o internazionale.

Al contrario, la protection subsidiaire è negata ove si ritenga che il richiedente asilo abbia commesso un crimine contro la pace, di guerra o contro l’umanità, o un grave reato di diritto comune, ovvero azioni contrarie agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite, o infine se la sua presenza costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato[59].

Con la legge n. 926/2015, si intende recepire nell’ordinamento interno le direttive relative al Sistema europeo comune di asilo[60], al fine di sveltire le procedure per l’esame delle richieste d’asilo e soprattutto contenere il continuo incremento delle stesse.

Particolare attenzione merita l’organo competente per il rilascio del titolo di rifugiato e per la concessione della protezione internazionale, l’OFPRA (Office français de protection des réfugiés et apatrides), un ente pubblico incardinato presso il Ministero dell’interno, ma dotato di autonomia finanziaria ed amministrativa.

L’OFPRA vaglia le domande di asilo. In caso di diniego, il richiedente ha la possibilità di presentare, entro un mese, un ricorso presso la “Corte nazionale del diritto di asilo” (CNDA).

Nell’ipotesi di giudizio positivo, l’individuo, oltre al riconoscimento della qualità di rifugiato, consegue da parte dell’autorità amministrativa competente una carta di residenza valida per dieci anni e rinnovabile[61].

In caso di giudizio favorevole dell’OFPRA nei confronti di un richiedente asilo che ottiene la protection subsidiaire, egli ha diritto al rilascio di una carta di soggiorno temporaneo, valida per un anno, con possibilità di rinnovo.

L’ultimo intervento legislativo in materia di asilo è rappresentato dalla legge n. 778/2018, con la quale si è provveduto a modificare vari articoli del Codice francese inerenti all’accesso ed il soggiorno degli stranieri, e il diritto di asilo.

La nuova normativa intende ridurre la durata media di elaborazione delle richieste di asilo da undici a sei mesi.

Una novità consiste nella possibilità per i richiedenti asilo di accedere al mercato del lavoro dopo sei mesi; i diritti connessi allo status della protezione internazionale risultano invece effettivi dal momento di ottenimento della protezione stessa.

In materia di asilo, un cenno merita senz’altro il c.d. delitto di solidarietà, teso a sanzionare chi, sia pure per fini umanitari, soccorre i richiedenti asilo e anche i migranti irregolari.

In tale contesto, assume spessore la sentenza[62] del Conseil Constitutionnel n. 2018-717/718 del 6 luglio 2018, che riconosce il valore costituzionale del principio di fraternità, dal quale il legislatore fa scaturire la non punibilità di chi presta aiuto per fini di solidarietà, a prescindere dalla regolarità o meno dello straniero.

7. Conclusioni

Con il decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130[63], convertito in legge 18 dicembre 2020, n. 173, il legislatore è intervenuto nuovamente sulla disciplina dell’iscrizione anagrafica dei cittadini richiedenti asilo.

In particolare, l’art. 3, comma 2, lett. a), del d.l. n. 130/2020 ha reintrodotto, pur impiegando una formulazione diversa, l’art. 5-bis del d.lgs. n. 142/2015[64].

In base al primo comma dell’art. 5-bis, il richiedente, al quale sia stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo o la ricevuta della presentazione della domanda di protezione internazionale, è iscritto all’anagrafe della popolazione residente (D.P.R. n. 223/1989).

Il secondo comma del suddetto articolo prevede che i richiedenti ospitati nei centri di prima accoglienza e di accoglienza straordinaria (artt. 9 e 11 del d.lgs. n. 142/2015) siano registrati all’anagrafe, nonché alla convivenza anagrafica.

Il terzo comma di tale articolo stabilisce che la comunicazione, ad opera del responsabile della convivenza anagrafica, della revoca delle misure di accoglienza o dell’allontanamento non giustificato del richiedente asilo implica l’immediata cancellazione anagrafica.

Occorre segnalare che, per richiedenti si intendono i soggetti ospitati nelle strutture di accoglienza ed integrazione, di cui all’art. 1-sexies del d.l. n. 416/1989, convertito dalla legge n. 39/1990. 

Infine, il quarto comma dell’art. 5-bis prescrive che ai richiedenti protezione internazionale iscritti in anagrafe sia rilasciata una carta di identità, valida per tre anni.

Tale ultima previsione è stata oggetto di discussione, dal momento che introduce un trattamento differenziato rispetto agli stranieri non richiedenti asilo, nei confronti dei quali è consegnata una carta di identità di durata pari a quella dei cittadini italiani.

Il decreto-legge n. 130/2020 si pone l’obiettivo di attenuare l’acceso dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, culminato proprio con la sentenza in commento della Corte costituzionale.

Il decreto in esame merita considerazione, in ragione delle critiche avanzate dalla dottrina.

Una corrente di pensiero osserva come il richiamo alle strutture di accoglienza e integrazione avvenga esclusivamente nel terzo comma.

Tale differenziazione potrebbe indurre a pensare che i richiedenti asilo ammessi nelle strutture sopramenzionate non possano essere iscritti in convivenza anagrafica[65].

Il suddetto decreto avrebbe dovuto sganciarsi dai precedenti interventi legislativi, ma nella realtà dei fatti si rinvengono non pochi elementi di continuità.

Uno dei tanti è il ricorso alla decretazione d’urgenza.

È vero che, sin dall’entrata in vigore dei “decreti sicurezza” e già dalla loro prima applicazione[66]

“si è manifestata la straordinaria necessità e urgenza di chiarirne alcuni profili, tramite una loro rimodulazione che tenga conto dei princìpi costituzionali e di diritto internazionale vigenti in materia e di porre rimedio ad alcuni aspetti funzionali che avevano generato difficoltà applicative”.

Tuttavia, come marcato in dottrina,

non si può neppure non stigmatizzare che siamo di fronte all’ennesimo “decreto immigrazione sicurezza[67].

Un altro elemento di discontinuità consiste nella decisione di porre la questione di fiducia per l’approvazione della legge di conversione.

L’intromissione della classe politica in materia vanifica ogni tentativo di pervenire ad un dialogo proficuo in Parlamento[68].

Con il decreto in questione, il legislatore avrebbe potuto abrogare la nozione di “Paese di origine sicuro”, introdotta nell’ordinamento italiano ad opera del d.l. n. 113/2018, fortemente discussa in ambito giuridico[69].

Un ulteriore aspetto critico attiene alla scelta di non modificare la disciplina delle procedure accelerate per l’esame delle domande di protezione internazionale nelle zone di transito e di frontiera, introdotte con il d.l. n. 113/2018.

Tale omissione avalla la mortificazione del diritto d’asilo: il richiedente asilo si ritrova in una situazione di isolamento sociale[70].Alla luce di tale scenario, sembra che il legislatore abbia timore di “risvegliare” un passato oscuro e inquietante.

Con la sentenza n. 186/2020, la Consulta restituisce ai richiedenti asilo dignità umana, rende visibile il disagio sociale, esalta la solidarietà. Un intento nobile teso a costruire una realtà migliore rispetto a quella attuale.

Si concorda, dunque, con quanto osservato da una parte della dottrina:

“l’immagine che si forma davanti agli occhi è quella di una società del (non-) pensiero unico, che espelle il diverso: chi pensa e agisce diversamente, chi proviene da un luogo diverso, chi vive in modo diverso”[71].

È tempo di voltare pagina. 


Note e riferimenti bibliografici

[1] D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata”).

[2] L. 1 dicembre 2018, n. 132 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate”).

[3] A. BUZZI, F.CONTE, Ma cosa prevede davvero il “decreto Salvini” sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, in laCostituzione.info, 2019.

[4] D.lgs. 18 agosto 2015, 142 (“Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”).

[5] Ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (“Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69”), dell’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”) e dell’art. 702-bis del codice di procedura civile.

[6] Ai sensi dell’art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dell’art. 15 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

[7] Del resto, l’iscrizione anagrafica non sarebbe solo un diritto avente dimora abituale in un Comune italiano, ma anche un obbligo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, (“Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente”).

[8] Si pensi al Modulo C/3 o al documento con cui la questura certifica l’avvio della formalizzazione dell’istanza di protezione internazionale.  

[9] D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (“Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”).

[10] Ai sensi dell’art. 6, comma 7, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286: “Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell'avvenuta iscrizione o variazione l'ufficio dà comunicazione alla questura territorialmente competente”.

[11] Direttiva 2013/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (“recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”).

[12] D.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 (“Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”).

[13] Cassazione, Sez. Unite Civili, n. 449 del 19 giugno 2000. In tale occasione, la Cassazione ha ribadito che il diritto alla residenza, ovvero il diritto ad essere iscritti alle liste anagrafiche dei Comuni, è un diritto soggettivo e non un interesse legittimo. In senso contrario, si veda L. FERRI, Degli atti dello stato civile, in Commentario dello Stato civile a cura di A. SCIALOJA, B. GRANCA, Zanichelli, Bologna, 1973.

[14] Ai sensi dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 (“Legge sul contenzioso amministrativo. All. E”): “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'Autorita' amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio”.

[15] Tale interpretazione è promossa da Tribunale di Firenze, sezione quarta civile, ordinanza 18 marzo 2019; Tribunale di Bologna, protezione internazionale civile, ordinanza 2 maggio 2019; Tribunale di Genova, sezione undicesima civile, ordinanza 20 maggio 2019; Tribunale di Firenze, sezione specializzata per l’immigrazione, la protezione internazionale e la libera circolazione dei cittadini UE, ordinanza 27 maggio 2019; Tribunale di Lecce, sezione prima civile, ordinanza 4 luglio 2019; Tribunale di Parma, sezione prima civile, ordinanza 2 agosto 2019; Tribunale di Bologna, sezione specializzata per l’immigrazione, la protezione internazionale e la libera circolazione dei cittadini UE, ordinanza 23 settembre 2019; Tribunale di Firenze, sezione quarta civile, ordinanza 22 novembre 2019; Tribunale di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione civile, ordinanza 25 novembre 2019. Per un commento su tale indirizzo sostenuto dal Tribunale di Firenze, si veda g. serra, L’iscrizione anagrafica e i richiedenti asilo dopo il dl 113/2018, in Questione Giustizia, 2019.

[16] Circolare del Ministero dell’Interno del 18 ottobre 2018 recante “D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 (G.U. n. 231 del 4/10/2018). Art. 13 (Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica)” e la circolare del 18 dicembre 2018 (Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante “Disposizioni urgenti in  materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia  nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132).

[17] Sulla sostituzione attuata, si veda a. pera, L’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo. Prime riflessioni sui profili di (in)costituzionalità del “Decreto Sicurezza”, in Migrazioni in Sicilia 2018, a cura di G. TUMMINELLI, S. GRECO, Mimesis, Milano, 2019, 237-241.

[18] Art. 32, legge 23 dicembre 1978, n. 833 (“Istituzione del servizio sanitario nazionale”).

[19] C. Cost. 23 novembre 1967, n. 120.

[20] D’altra parte, nella sentenza 2 dicembre 2005, n. 432, la Consulta sottolinea che “al legislatore non è consentito introdurre regimi differenziati circa il trattamento da riservare ai singoli consociati se non in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria”. Per un commento su tale sentenza, si veda M. CUNIBERTI, L'illegittimità costituzionale dell'esclusione dello straniero alle prestazioni sociali previste dalla legislazione regionale, in Le Regioni, n. 2, 2006; F. GIRELLI, Gli stranieri residenti in Lombardia totalmente invalidi per cause civili hanno diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea nel territorio regionale, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2006. 

[21] C. Cost. 26 giugno 1969, n. 104. Tale sentenza è richiamata dalle pronunce successive, sentenze n. 144 del 1970, n. 177 e n. 244 del 1974, n. 62 del 1994, n. 245 del 2011, e ordinanze n. 503 del 1987, n. 490 del 1988.

[22] C. Cost. 8 luglio 2010, n. 249. Per un commento su tale sentenza, si veda F. RINALDI, Con il “discriminante” (dell’aggravante di clandestinità) l’“equazione”(di costituzionalità) risulta impossibile. Un dispositivo retto da una motivazione quasi “matematica”, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2010. In tali termini, le sentenze n. 166 del 2018, n. 230, n. 119 e n. 22 del 2015, n. 309, n. 202, n. 172, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 172 del 2012, n. 245 e n. 61 del 2011, n. 187 del 2010, n. 306 e n. 148 del 2008, n. 324 del 2006, n. 432 del 2005, n. 252 e n. 105 del 2001, n. 203 del 1997, n. 62 del 1994, n. 54 del 1979, n. 244 e n. 177 del 1974, n. 144 del 1970, n. 104 del 1969, n. 120 del 1967.

[23] A. GUAZZAROTTI Lo straniero, i diritti, l’eguaglianza, in Questione giustizia, 2009, cit., 96.

[24] L. MINNITI, La Costituzione italiana come limite alla regressione e spinta al rafforzamento della protezione dello straniero in Europa, in Questione Giustizia, Fasc. 2, 2018.

[25] Cass. Pen. Sez. Un., sent. 7 febbraio 1948.

[26] Corte App. di Milano, sent. 27 novembre 1964.

[27] Cass. Sez. Un. 25 maggio 1997, n. 4674.

[28] J. HATHAWAY, The Law of Refugee Status, Butterworths, Toronto, 1991, 4.

[29] Si ricordi che, la limitazione sarà abolita con la ratifica del Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, avvenuta con la legge 14 febbraio 1970, n. 95, mentre la riserva geografica verrà superata alla fine degli anni '80 del XX secolo, con il D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella nota legge Martelli (L. 28 febbraio 1990, n. 39).

[30] Ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Convenzione di Ginevra del 1951: “Il termine rifugiato è applicabile [...] a  chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”.  

[31] M. GIOIOSA, Riferimenti storici e legislativi, in Per una vita diversa. La nuova disciplina italiana dell'asilo: La nuova disciplina italiana dell’asilo, a cura di E. CODINI, M. D'ODORICO, M. GIOIOSA, FrancoAngeli, Milano, 2009, 25.

[32] Art. 33 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.

[33]  Legge 28 febbraio 1990, n. 39 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, recante norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi gia' presenti nel territorio dello Stato. Disposizioni in materia di asilo).

[34] Per una ricostruzione storica sul periodo precedente alla legge Martelli, si veda N. PETROVIC, Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d'asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, FrancoAngeli, Milano, 2011, 26-31.

[35] Art. 1, comma 4, l. 39/1990.

[36] Art. 1, comma 5, l. 39/1990.

[37] Sul tema, si veda E. GHIZZI GOLA, Il quadro normativo del sistema di accoglienza dei richiedenti e titolari protezione internazionale, in ADIR – L’altro diritto, 2015.

[38] Legge 6 marzo 1998, n. 40 ("Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero").

[39] D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 ("Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero").

[40] R. MIELE, Il Quadro della Disciplina Italiana dell’Immigrazione e della Condizione dello Straniero in Flussi Migratori e Fruizione dei Diritti Fondamentali, a cura di P. BENVENUTI, Il Sirente, Roma 2008, cit., p. 149.

[41] Si ricordi che, il Governo aveva presentato un apposito disegno di legge sul diritto d’asilo che però non venne approvato dal Parlamento. Il d.d.l. conteneva “Norme di protezione umanitaria e di diritto d’asilo” e venne presentato dal Governo al Senato il 3 maggio 1997.

[42] Art. 32 della l. n. 189/2002.

[43] L. TRUCCO, Le modifiche della legge n. 189/2002 in tema di asilo, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 3, 2002, cit., 103.

[44] L. ZAGATO, Verso una disciplina comune europea del diritto d’asilo, Cedam, Padova, 2006, p. 133.

[45] Sul tema, si veda M. SAVINO, La chimera di Tampere, in Diritto pubblico, n. 1, Il Mulino, 2020, 3-14.

[46] Sul tema, si veda F. SALERNO, L’obbligo internazionale di non-refoulement dei richiedenti asilo, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, 487-515; e. massa, Il principio di non-refoulement nell’Unione europea: tra principi internazionali, prassi attuale e prospettive future, in La politica dell’Unione in tema di immigrazione. Recenti sviluppi e prospettive future, a cura di P. DE PASQUALE, F. FERRARO, A. CIRCOLO, Legal Research Groups - ELSA Italia, 2018,  154-171; M. STARITA, Il principio del non-refoulement tra controllo dell’accesso al territorio dell'Unione europea e protezione dei diritti umani, in Diritto pubblico, Il Mulino, 2020,  141-1963.   

[47] “Il Consiglio europeo ribadisce l'importanza che l'Unione e gli Stati membri riconoscono al rispetto assoluto del diritto di chiedere asilo. Esso ha convenuto di lavorare all'istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, basato sull'applicazione della Convenzione di Ginevra in ogni sua componente, garantendo in tal modo che nessuno venga esposto nuovamente alla persecuzione, ossia mantenendo il principio di non-refoulement” (Consiglio Europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, conclusione della Presidenza, par. 13).

[48] Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (c.d. Regolamento Dublino II); Regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno  degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (c.d. Regolamento di applicazione di Dublino II); Regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio, dell’11 dicembre 2000, che istituisce l’Eurodac per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino (c.d. Regolamento “Eurodac”); Regolamento (CE) n. 407/2002 del Consiglio, del 28 febbraio 2002, che stabilisce talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 2725/2000 che istituisce l’“Eurodac” per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino (c.d. Regolamento di applicazione di Eurodac); Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme  minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio  degli  sforzi  tra  gli  Stati  membri  che  ricevono  gli  sfollati e  subiscono le conseguenze dell’accoglienza  degli stessi (c.d. Direttiva protezione temporanea); Direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante  norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (c.d. Direttiva accoglienza); Direttiva  2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante  norme  minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale (c.d. Direttiva qualifiche);  Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (c.d. Direttiva procedure).

[49] Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C 115, Programma di Stoccolma. Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, 4 maggio 2010.

[50] Regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , che istituisce l’Eurodac  per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE)  n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (c.d. regolamento nuovo Eurodac); regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (c.d. regolamento Dublino III); regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014 che modifica il regolamento (CE) n. 1560/2003 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo; direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione  sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (c.d. direttiva nuova qualifiche); direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (c.d. direttiva nuova procedure); direttiva 2013/33/UE del Parlamento  europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione  internazionale  (c.d. direttiva nuova accoglienza).

[51] Come affermato da P. MORI, La proposta di riforma del sistema europeo comune d’asilo: verso Dublino IV?, in Eurojus.it, 2016. Sul tema, si veda L. RIZZA, La riforma del sistema Dublino: laboratorio per esperimenti di solidarietà, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1, 2018.

[52] D. THYM, La crisi dei rifugiati come sfida per il sistema giuridico e la legittimità costituzionale, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1, 2017.

[53] Su tali proposte, si veda N. RUCCIA, Crisi dell’asilo, Integrazione europea e metodo intergovernativo: osservazioni critiche, in Ordine Internazionale e diritti umani, n. 2, 2019, 369-372.

[54] Art. 120 della Costituzione francese del 1789.

[55] Ai sensi del par. 1 del Preambolo della Costituzione francese: “Il Popolo francese proclama solennemente la sua fedeltà ai diritti dell’uomo e ai principi della sovranità nazionale definiti dalla Dichiarazione del 1789, confermata ed integrata dal preambolo della Costituzione del 1946, e ai diritti e doveri definiti nella Carta dell’ambiente del 2004”.

[56] Tale considerazione è avallata dal Conseil constitutionnel nella sentenza del 3 settembre 1986, n. 216.

[57] Così, F. RESCIGNO, Il diritto di asilo e la sua multiforme (non attuazione), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 3, 2020, 136-137.

[58] Così, M. CALAMO SPECCHIA, “Il Conseil constitutionnel “svincola” il legislatore: l’abbandono dell’effet cliquet non esclude una tutela rafforzata del droit d’asile”, in Diritto Pubblico Comparato ed europeo, n. 1, 2004, 230.

[59] Si ricordi che, la suddetta misura ha suscitato dubbi di legittimità in ragione del configurarsi di un vero e proprio “paradosso costituzionale”. Nella sentenza del 4 dicembre 2003, n. 485, il Conseil Constitutionnel ha ritenuto la misura conforme a Costituzione, pur condizionando tale liceità ad una riserva di interpretazione, specificando che l’applicazione della stessa è legittima solo se adottata “tenendo conto delle condizioni generali sussistenti nella parte di territorio in questione e della situazione personale del richiedente” (considerando n. 17 della sent. n. 485/2003).

[60] Si tratta delle direttive n. 2013/32/UE del 26 giugno 2013 (recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e   della revoca dello status di protezione internazionale) e n. 2013/33/UE del 26 giugno 2013 (recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale).

[61] C. LA PECCERELLA, L’istituto dell’asilo: evoluzione e cenni comparativi, in Instrumenta, 2001, p. 1053.

[62] Per una ricostruzione della vicenda, si veda M. GIACOBINI, Il diritto d’asilo al bivio tra il delitto di solidarietà e il principio di fratellanza, in Osservatorio AIC, n. 1-2, pp. 38-45; C. SEVERINO, Uno sguardo Oltralpe. Aspetti problematici della disciplina dell’immigrazione in Francia, in Federalismi, n. 2, 2019, pp. 95-98; A. M. LECIS, Principio di fraternità e aiuto umanitario ai migranti irregolari: dal Conseil Constitutionnel un’importante pronuncia sul “reato di solidarietà, in Diritti comparati, n. 2, 2018.

[63] Decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (“Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonche' misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”.

[64] Ai sensi dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 142/2015: “Il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9, 11 e 14 è iscritto nell'anagrafe della popolazione residente ai sensi dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente”.

[65] A. BUZZI, F, CONTE, L’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo prima e dopo il “Decreto Lamorgese”, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 1, 2021, 118.

[66] Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130.

[67] C. CORSI, Il decreto legge n. 130/2020 tra continuità e cambiamento. Cenni introduttivi sui profili dell’immigrazione e dell’asilo, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 1, 2021, 69.

[68] Sul punto, N. ROSSI, Immigrazione e protezione internazionale e umanitaria nel tempo dell’epidemia? Scegliere la ragionevolezza o alimentare risentimenti?, in Questione Giustizia, n. 3, 2020, 5, sostiene che si debba “sottrarre a ogni forma di razionalità politica e giuridica il grumo di problemi reali connessi ai fenomeni migratori, occultando il bilancio fallimentare delle politiche sperimentate nel recente passato”.

[69] Sul tema, si veda C. PITEA, La nozione di “Paese di origine sicuro” e il suo impatto sulle garanzie per i richiedenti protezione internazionale in Italia, in Rivista di diritto internazionale, n. 3, 2019, 627-662.

[70] Così, S. FACHILE, A. MASSINI, L. LEO, Le nuove procedure accelerate: lo svilimento del diritto di asilo, in Questione Giustizia, 2019.

[71] A. AGOSTINO, Il decreto “Sicurezza e immigrazione” (decreto legge n. 113 del 2018): estinzione del diritto di asilo, repressione del dissenso e disuguaglianza, in Costituzionalismo.it, n. 2, 2018, 198.

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