Pubbl. Mer, 7 Apr 2021
Il comportamento del conduttore che molesta i vicini integra un inadempimento per abuso della cosa locata
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Jacopo Alcini
Le molestie arrecate ai vicini dal conduttore, legittima il locatore alla risoluzione del contratto. In particolare, l´osservanza della diligenza del buon padre di famiglia nell´adempimento delle obbligazioni si pone come canone imprescindibile per vagliare non solo le modalità di utilizzo del bene, ma anche il comportamento del locatario nel corso del rapporto. Commento a Cass. civ. Sez. III Ord., 20 ottobre 2020, n. 22860
Sommario: 1. La fattispecie; 2. Diligenza nell’uso del bene locato e nel comportamento del conduttore; 3. L’abuso del godimento; 4. Conclusioni.
1. La fattispecie
Prima di analizzare le questioni giuridiche sottese all’ordinanza in commento, pare opportuno soffermarsi sullo svolgimento della vicenda processuale.
Il Tribunale di Genova dichiarava la risoluzione di un contratto di locazione ad uso abitativo a causa dell’inadempimento della parte conduttrice e condannava quest’ultima a lasciare libero il locale. Il presupposto di tale pronuncia si fondava sull’art. 2 del contratto, che vietava al conduttore di porre in essere comportamenti molesti nei confronti dei vicini, nonché sull’art. 1587 c.c., il quale, come noto, prescrive l’osservanza della basilare regola della diligenza nell’utilizzo del bene locato. In particolare, la soccombente avrebbe tenuto un comportamento del tutto inopportuno ed offensivo, in spregio alle più elementari regole di civile convivenza (insulti diretti, imbrattamenti, affissione di cartelli con ingiurie), come risultante dalle testimonianze al riguardo.
Impugnata la sentenza di primo grado in appello, la conduttrice veniva di nuovo smentita, poiché la Corte di Genova rigettava il gravame. Conseguentemente, la stessa riteneva di proporre ricorso in Cassazione.
In primo luogo, denunciava la errata applicazione dell’art. 1587 c.c., fondata, tra l’altro, su una citazione giurisprudenziale contraddittoria rispetto alla lettura estensiva della norma (vale a dire l’inadempimento del conduttore sotto il profilo comportamentale), poiché il locatore verrebbe investito di una responsabilità indiretta per il contegno molesto del conduttore. Sotto questo profilo, il locatore non avrebbe potuto essere imputato per i reati contestati alla parte conduttrice, risultanti da sentenza penale di condanna, non richiamata dai giudici di merito. Adduceva, la ricorrente l’insussistenza di fatti implicanti usi diversi dell’immobile o pregiudizievoli per il valore locativo, riducendosi le presunte molestie a mere vicende private limitate ad una sola vicina.
A giudizio della conduttrice, inoltre, i giudici di merito si erano pronunciati in maniera discorde rispetto alla rilevanza dell’inadempimento. Contestava poi le testimonianze riguardanti la propria asserita malattia mentale, evidenziando la mancata allegazione probatoria della sentenza penale di condanna a suo carico.
La Suprema Corte riteneva infondate le argomentazioni della ricorrente e pertanto respingeva il ricorso, ritenendolo anche in alcuni passaggi eccessivamente afferente al profilo della ricostruzione fattuale.
2. Diligenza nell’uso del bene locato e nel comportamento del conduttore
L’ordinanza in questione si sofferma su un istituto cardine facente parte della disciplina codicistica del contratto di locazione (art. 1587 c.c.): la diligenza del buon padre di famiglia. Il concetto rinvia a quello di cui all’art. 1176 c. 1 c.c. in tema di obbligazioni in generale e più volte richiamato nella struttura sistematica del Codice civile (artt. 382, 1001, 1710, 1768, 1804, 2148 e 2167 c.c.), fortemente ispirato alla dottrina germanica[1]. Si tratta del contegno normativamente presunto a cui deve conformarsi un debitore consapevole e retto nell’adempimento della propria obbligazione[2]. Adempimento che viene misurato tenendo in considerazione un modello astratto[3] e ideale di ragionevolezza, che costituisce anche un canone oggettivo di condotta[4] secondo l’id quod plerumque accidit.
In riferimento precipuo alla locazione, questo obbligo si estrinseca nel mantenere la destinazione economica imposta alla cosa, a cui si connette il conseguente dovere di custodia[5]. In tal senso l’obbligo di diligenza fa strettamente riferimento all’uso del bene locato, da ritenersi limitato al tempo e per le finalità indicate nel contratto[6].
Pertanto, in base all’interpretazione letterale delle norme codicistiche, si può evincere un canone di condotta rapportato all’uso della res piuttosto che alle modalità di relazionarsi con coloro che vivono nelle adiacenze della stessa. Da questo punto di vista, per ricondurre la questione in oggetto alla dogmatica della locazione, è indispensabile premettere che l’obbligo di diligenza deve investire non solo le obbligazioni aventi ad oggetto il locus, ma anche i profili attinenti al comportamento del conduttore.
Si tratta di una interpretazione estensiva dell’art. 1587, peraltro fatta propria dalla Suprema Corte nell’ordinanza in questione, che prende in considerazione tutte le condotte di esorbitanza rispetto all’uso consentito[7]. Vieppiù, le norme codicistiche assumono una valenza suppletiva rispetto alle leggi speciali ed alle pattuizioni, in deroga alla disciplina generale. Nella specie, proprio una clausola contrattuale recava l’espressa intimazione al conduttore di non tenere comportamenti molesti nei confronti degli altri abitanti dello stabile. Del resto, quest’ultima regola di condotta pare in linea con le obbligazioni di non fare, lecitamente ascrivibili all’autonomia negoziale[8].
Sebbene il contratto in questione non sia intuitu personae, poiché prescinde dalle qualità personali del locatario[9], è innegabile che il locatore prenda in considerazione le stesse fin dal momento delle trattative precontrattuali. Infatti, nella prassi il proprietario di un immobile destinato ad uso abitativo tende in ogni caso a vagliare gli atteggiamenti della controparte interessata, preoccupandosi di conoscerne la situazione economica, la solvibilità e le relative abitudini di vita. Dunque, la condotta del locatario, quand’anche non espressamente preordinata per iscritto, viene costantemente monitorata nel corso del rapporto e fino allo scioglimento del contratto.
A partire dalle considerazioni che precedono, pare opportuno distinguere le obbligazioni inerenti all’uso del bene, da quelle riguardanti il comportamento del conduttore. Queste ultime convergono in una ambulatorietà sui generis, secondo cui la condotta del titolare pro tempore del diritto personale di godimento, affinché si conformi alla destinazione abitativa del bene, deve costituirsi e protrarsi civiliter. Di qui, l’ulteriore spunto per configurare la condotta in parola come socialmente esigibile[10] e giuridicamente accertabile secondo le logiche del contatto sociale.
Anche per la giurisprudenza, la diligenza del buon padre di famiglia deve intendersi operante per tutta la durata della locazione[11], talché la mancata osservanza di questa regola di condotta legittima il locatore a risolvere il contratto per inadempimento.
In riferimento precipuo alla conservazione del bene, vi sono pronunce che rimarcano l’obbligo di riconsegnare la cosa nello stato in cui si trova al momento della costituzione del rapporto, senza possibilità di apportare modifiche non consentite. Al conduttore spettano gli interventi di piccola manutenzione, tuttavia egli, al di fuori delle ipotesi in cui faccia un uso improprio del bene tale da renderlo inutilizzabile, non esulerebbe dall’obbligo di condurre la cosa locata con la diligenza richiesta, ove il mancato intervento manutentivo non implichi un’alterazione delle caratteristiche fisiche dell’immobile ovvero un degrado dello stesso[12].
Nel solco della condotta, invece, si riscontra un orientamento che legittima la risoluzione del rapporto ogniqualvolta innovazioni ovvero modifiche sostanziali incidenti sulla struttura del bene, nonostante l’insussistenza di danni materiali, si traducano in condotte abusive e lesive degli interessi del locatore, comportando per tale via la compromissione dell’equilibrio economico-giuridico del contratto[13]. Del pari, costituisce inadempimento l’ipotesi in cui il locatario abbia consentito l’esercizio del meretricio nei propri locali[14], venendo così a compromettere il rapporto di fiducia con il locatore, che ne aveva destinato l’uso ad attività alberghiere.
Da questo angolo visuale, la pronuncia in commento si pone sulla scia dei precedenti arresti, laddove dichiara "indiscutibile" la violazione all’art. 1587 c.c., spingendosi a definire inadempiente, in base all’accertamento spettante al giudice di merito, non solo la pluralità di gesti molesti, ma anche un singolo grave episodio di disturbo nei confronti dei vicini.
3. L’abuso del godimento
Altra questione rilevante, affrontata per incidens dagli Ermellini, riguarda l’abuso del diritto di godimento da parte del conduttore, che si verifica nell’ipotesi di reiterate molestie nei confronti dei vicini. Certamente, tale abuso deve avere il carattere dell’attualità, non essendo sufficiente soltanto un generico e potenziale atteggiamento di “antipatia” nei confronti degli altri abitanti dell'edificio. E’, inoltre, indispensabile che la turbativa coinvolga la totalità dei condomini, anche se non possono escludersi discussioni private ovvero alterchi tra gli stessi. Qualora si concretizzi nelle dette modalità, l’abuso si trasmette de plano in capo al locatario, qualora lo stesso non si attivi chiedendo la risoluzione del contratto. Quest’ultima conseguenza induce a ritenere l’abuso del godimento di un diritto personale su cosa altrui[15] una declinazione della discussa figura denominata abuso del diritto[16], in quanto il proprietario resta comunque il pieno titolare dei diritti reali sul bene concesso in locazione, sebbene ne abbia trasferito la disponibilità e la detenzione[17].
In altri termini, l’abuso del godimento posto in essere dal locatario viene ad essere introiettato anche sul proprietario in virtù del principio di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.[18], inteso a tutelare i canoni di ragionevolezza, correttezza e diligenza nell’adempimento delle obbligazioni, riprodotti sul versante del "buon vicinato". Sulla base di questa linea ermeneutica, per la giurisprudenza, l’abuso del diritto deve trovare necessario argine nella regola di buona fede oggettiva[19], che impone a ciascun contraente il divieto di ricorrere ad un uso distorto dei diritti che agli essi sono attribuiti[20].
L’ordinanza de quo non menziona espressamente l’abuso del diritto, probabilmente ritenendo superfluo entrare nel merito dell’ancor vivace diatriba sul punto. In particolare, risulta ancora ampiamente dibattuta la sussistenza di un discrimen tra buona fede oggettiva (art. 1175 c.c.) ed abuso del diritto[21]. Parte della dottrina tende ad includere entrambe le figure nell’ambito dell’exceptio doli generalis[22], mentre, secondo altri autori[23], in caso di interferenza, la buona fede dovrebbe considerarsi una species del più ampio genus dell’abuso. Tuttavia, spesso i due concetti sono sovrapposti e reciprocamente scambiati sul piano gerarchico, tanto da non poterli ricondurre ad una sistematizzazione definita[24].
In altra prospettiva, invece, buona fede ed abuso del diritto devono essere ricondotti nei rispettivi settori di appartenenza, vale a dire la sfera contrattuale e quella extracontrattuale[25]. Altra autorevole dottrina inquadra entrambi nelle clausole generali e nei principi dell’ordinamento giuridico, afferendo però l’abuso alla sfera della ragionevolezza e la buona fede a quella della solidarietà[26].
Ancora, vi è chi[27] non riconosce alla distinzione una effettiva utilità pratica, ma anche coloro che non rinunciano ad intravedere una importante differenziazione, riconducendola a due differenti tecniche di controllo sull’autonomia negoziale (fase esecutiva per la buona fede e deviazione dallo scopo attribuito per l’abuso del diritto)[28].
A fronte delle copiose incertezze in materia, la Corte avrebbe potuto effettuare un richiamo alla sola regola di correttezza ex art. 1175 c.c., in quanto norma di applicazione generale e funzionale trait d'union tra i due istituti. A partire dalla lettera dell’enunciato, infatti, si è indotti a qualificare la buona fede come criterio legislativo espresso declinato in senso precettivo (dovere di condotta) ed a considerare l’abuso del diritto un principio implicito negativo (divieto di danneggiare gli interessi altrui esorbitando dai propri). Ciononostante, la buona fede, astrattamente delineata dal legislatore, potrebbe operare in concreto anche assumendo le vesti patologiche dell’abuso, qualora il diritto esercitato sia teleologicamente deviato rispetto alle finalità consentite.
4. Conclusioni
In definitiva, le argomentazioni spese dai giudici di piazza Cavour paiono del tutto condivisibili. La condotta spregevole del conduttore legittima certamente il locatore a risolvere il contratto per inadempimento, in ossequio alle regole di buon vicinato e del vivere civile.
Tuttavia, a meri fini tuzioristici, si evidenzia la necessità di attenuare la eventuale responsabilità del locatore per un accadimento posto in essere dal conduttore, nell’ipotesi peculiare in cui la vicenda assuma, come nella specie, anche connotazioni penalistiche. In quest’ultimo caso, infatti, l’intera fattispecie dovrebbe essere permeata dal principio della personalità dell’imputazione penale (art. 27 c. 1 Cost.), secondo cui, come noto, l’autore dell’illecito deve rispondere della propria azione solo se sia accertata la relativa colpevolezza, non essendo ammissibile una incriminazione per fatto altrui, se non in ipotesi definite (ad esempio art. 40 c. 2 c.p.[29]).
Questo assunto evita, del resto, incoerenze sistematiche in seno all’ordinamento giuridico nel suo complesso, scongiurando soprattutto che forme più o meno larvate di responsabilità indiretta ovvero oggettiva, bandite dalla “porta penale”, possano rientrare per la “finestra civile” del medesimo fatto storico.
[1] B. WINDSCHEID, Diritto delle pandette, I, Torino, 1902, p. 407 ss.
[2] M. GIORGIANNI, Buon padre di famiglia, in Noviss. dig. it., II, Torino, 1968, p. 597 ss..
[3] A. DI MAJO, Obbligazioni in generale, Bologna, 1985, p. 415.
[4] F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 260 ss.
[5] C. MIRABELLI, La locazione, VII, Torino, 1972, p. 508.
[6] R. MICCIO, La locazione, Torino, 1980, p. 131.
[7] G. GABRIELLI, F. Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005, p. 220 ss.
[8] G. PROVERA, Locazione, Bologna-Roma, 1980, p. 273 ss.
[9] M. P. SUPPA, Art. 1587, in V. CUFFARO, F. PADOVINI (a cura di), Codice ipertestuale di locazione e condominio, Milano, 2006, p. 50.
[10] F. GAMBINO, Le obbligazioni. Il rapporto obbligatorio, Torino, 2015, p. 113 ss.
[11] Cass., 7 marzo 2001, n. 3343, in Giust. civ. Mass., 2001, p. 431.
[12] Cass., 28 luglio 2006, n. 17066, in Imm. propr., 2014, p. 600.
[13] Cass., 11 maggio 2007, n. 10838, in Arch loc., 2007, p. 519.
[14] Cass., 14 novembre 2006, n. 24206, in Imm. dir., 2007, p. 56 ss.
[15] Diversamente dall’abuso del diritto reale su cosa altrui, a cui si applica l’art. 1015 c.c. Cfr. A. LAMANUZZI, L’abuso del diritto nei rapporti di godimento su cosa altrui, Bari, 2005, p. 121 ss.
[16] P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, Bologna, 1998, p. 13. A. GENTILI, Abuso del diritto come argomentazione, in Riv. dir. civ., 2012, p. 297 ss.
[17] Cfr. F. GIGLIOTTI, I diritti personali di godimento, Napoli, 2018, p. 156 ss.
[18] C. NIGRO, Brevi note in tema di abuso del diritto (anche per un tentativo di emancipazione dalla nozione di buona fede), in Giust. civ., 2010, p. 2547 ss.
[19] F. BENATTI, La clausola generale di buona fede, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, p. 241 ss.
[20] Cass., 31 maggio 2010, in Contr. impr., 2011, p. 297 ss.
[21] Cfr. L. CRUCIANI, Clausole generali e principi elastici in Europa: il caso della buona fede e dell'abuso del diritto, in Riv. crit. dir. priv., 2011, p. 473 ss.
[22] G. LEVI, L’abuso del diritto, Milano, 1993, p. 13 ss.
[23] M. R. MORELLI, In margine ad un'ipotesi di collegamento tra buona fede obiettiva ed abuso del diritto, in Giust. civ., 1975, p. 1705 ss.
[24] M. BARALDI, Il recesso ad nutum non è dunque, recesso ad libitum. La Cassazione di nuovo sull’abuso del diritto, in Contr. impr., 2010, p. 60.
[25] F. DI CIOMMO, Recesso dal contratto di apertura di credito e abuso del diritto, in Contratti, 2000, p. 1115 ss.
[26] C. SCOGNAMIGLIO, L'abuso del diritto, in Contratti, 2012, p. 14.
[27] F. GALGANO, Qui suo iure abutitur neminem laedit, in Contr. impr., 2011, p. 319.
[28] G. D’AMICO, Ancora su buona fede e abuso del diritto. Una replica a Galgano, in Contratti, 2011, p. 653 ss. Cfr. anche U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell'abuso del diritto nell'ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 18 ss.
[29] A. MASSARO, La responsabilità colposa per omesso impedimento di un fatto illecito altrui, Napoli, 2013, p. 257 ss.