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Pubbl. Sab, 27 Feb 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

Echi lombrosiani nel sistema penale: pericolosità sociale e «necessità della cura» tra superamento degli OPG e riforma delle misure di sicurezza

Francesco Schiaffo



Nel 2014, la definizione legislativa delle strategie per il «definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari» ha modificato anche la disciplina delle misure di sicurezza. È apparsa allora evidente la necessità di una revisione complessiva del sistema delle misure di sicurezza. La legge n.103/2017 ha previsto le direttive fondamentali della riforma. Il riferimento alla «necessità della cura» appare, tuttavia, ambiguo e fuorviante.


Sommario: 1. La pericolosità sociale nel sistema penale italiano. - 2. L’occasione legislativa di una esemplare distorsione funzionale: i criteri normativi per la valutazione della pericolosità sociale. - 2.1. Funzioni latenti e sostituti funzionali nei modelli sociologici. - 3. La strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni: gli «indicatori esterni» della pericolosità sociale per il superamento del «dogma somatico». - 4. Pericolosità sociale, sovranità punitiva e potere disciplinare. - 5. Pericolosità sociale e violazione di diritti fondamentali: i rilievi critici del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (2008). - 6. L’internato tra psichiatria e giustizia: la «pericolosità latente» e le «malattie infantili della criminologia». - 7. «Il fenomeno delle proroghe sistematiche della misura di sicurezza, basate su una certa dilatazione del concetto di pericolosità sociale» nei rilievi critici della Commissione Marino (2011): la evoluzione della legislazione per il superamento degli OPG. - 7.1. Le sei riforme del’art.3-ter del d.l. n.211/2011. - 8. La «vincolatività del diritto»: i limiti giuridici alla “sovranità punitiva” del diritto e al “potere disciplinare” della scienza ausiliare. - 9. Il ritorno alla ‘via maestra’ già indicata dalla Corte costituzionale: gli esiti reali di una lunga e complessa evoluzione legislativa. - 10. La necessità di una riforma dopo la legislazione per il superamento degli OPG. - 11. Tra superamento e ritorno agli OPG: le deleghe per la riforma delle misure di sicurezza (legge n.103/2017) e il rischio di nuove immissioni nel circuito della istituzionalizzazione psichiatrico-giudiziaria. - 11.1. Imputabilità e disturbi della personalità nelle deleghe della legge n.103/2017. - 11.2. Una inedita esplicitazione della medicalizzazione delle sanzioni penali: la rilevanza giuridico-penale della «necessità della cura» nelle deleghe della legge n.103/2017. - 11.3. La ‘nuova’ destinazione delle patologie psichiatriche di detenuti e imputati: il ritorno agli OPG nelle deleghe della legge n.103/2017. - 12. Un inquietante déjà-vu: la pericolosità sociale tra «malattie infantili» e malattie congenite dei poteri di internamento. 

Sommario: 1. La pericolosità sociale nel sistema penale italiano. - 2. L’occasione legislativa di una esemplare distorsione funzionale: i criteri normativi per la valutazione della pericolosità sociale. - 2.1. Funzioni latenti e sostituti funzionali nei modelli sociologici. - 3. La strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni: gli «indicatori esterni» della pericolosità sociale per il superamento del «dogma somatico». - 4. Pericolosità sociale, sovranità punitiva e potere disciplinare. - 5. Pericolosità sociale e violazione di diritti fondamentali: i rilievi critici del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (2008). - 6. L’internato tra psichiatria e giustizia: la «pericolosità latente» e le «malattie infantili della criminologia». - 7. «Il fenomeno delle proroghe sistematiche della misura di sicurezza, basate su una certa dilatazione del concetto di pericolosità sociale» nei rilievi critici della Commissione Marino (2011): la evoluzione della legislazione per il superamento degli OPG. - 7.1. Le sei riforme del’art.3-ter del d.l. n.211/2011. - 8. La «vincolatività del diritto»: i limiti giuridici alla “sovranità punitiva” del diritto e al “potere disciplinare” della scienza ausiliare. - 9. Il ritorno alla ‘via maestra’ già indicata dalla Corte costituzionale: gli esiti reali di una lunga e complessa evoluzione legislativa. - 10. La necessità di una riforma dopo la legislazione per il superamento degli OPG. - 11. Tra superamento e ritorno agli OPG: le deleghe per la riforma delle misure di sicurezza (legge n.103/2017) e il rischio di nuove immissioni nel circuito della istituzionalizzazione psichiatrico-giudiziaria. - 11.1. Imputabilità e disturbi della personalità nelle deleghe della legge n.103/2017. - 11.2. Una inedita esplicitazione della medicalizzazione delle sanzioni penali: la rilevanza giuridico-penale della «necessità della cura» nelle deleghe della legge n.103/2017. - 11.3. La ‘nuova’ destinazione delle patologie psichiatriche di detenuti e imputati: il ritorno agli OPG nelle deleghe della legge n.103/2017. - 12. Un inquietante déjà-vu: la pericolosità sociale tra «malattie infantili» e malattie congenite dei poteri di internamento. 

1. La pericolosità sociale nel sistema penale italiano. 

La pericolosità sociale è uno dei due presupposti per l’applicazione del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (OPG, art.222 c.p.), in casa di cura e custodia (CCC, art.219 c.p.) e di tutte le altre misure di sicurezza personali previste nel codice penale italiano del 1930.

Ai sensi dell’art.202 co.1 c.p. essi, come è noto, sono indicati nella realizzazione di un «fatto preveduto dalla legge come reato» e nella pericolosità sociale del suo autore.

Se, tuttavia, eccezionalmente la «legge penale» può determinare «i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato» (art.202 co.2 c.p.), non subisce, invece, alcuna eccezione la regola secondo cui «le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose» (art.202 co.1 c.p.); la stessa regola, infatti, è stata ribadita nella legge n.663 del 1986 che, all’art.31 co.2, dispone che «tutte le misure di sicurezza sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa».

La pericolosità sociale, dunque, è l’unico presupposto sempre necessario e mai derogabile per l’applicazione delle misure di sicurezza.

Ma, come è noto, non si tratta soltanto della iniziale applicazione delle misure di sicurezza personali perché, ai sensi dell’art.207 co.1 c.p., «le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose»: coerentemente, nel sistema del codice penale italiano non è previsto un limite massimo alla durata delle misure di sicurezza.

La regolare periodicità del riesame di pericolosità sociale - previsto all’art.208 c.p. e dettagliatamente disciplinato agli artt.69 co.4, 71-bis e 72 co.2 l. n.354/1975 nonché all’art.20 d.P.R. n.230/2000 - consente, infine, una costante verifica della persistenza del requisito essenziale della misura di sicurezza che, se confermato, determinerà l’ordinanza con cui, a conclusione del riesame, il magistrato di sorveglianza ne deciderà la proroga.

2. L’occasione legislativa di una esemplare distorsione funzionale: i criteri normativi per la valutazione della pericolosità sociale. 

Fino al 2014, l’assetto fondamentale della disciplina delle misure di sicurezza è stato definito in via del tutto esclusiva dalle disposizioni del codice penale del 1930.

Per oltre ottanta anni, dunque, i criteri per la valutazione di pericolosità sociale definiti all’art.203 co.2 c.p. per rinvio all’art.133 c.p. sono stati decisivi per le sorti della libertà personale degli internati in applicazione di misura di sicurezza detentiva.

Tra le «circostanze indicate nell’art.133» - da cui, ai sensi dell’art.203 co.2 c.p., si «desume» «la qualità di persona socialmente pericolosa» - gli indici della «capacità a delinquere» di cui all.art.133 co.2 c.p. diventano evidentemente preponderanti su quelli relativi alla «gravità del reato» di cui al co.1 dello stesso articolo, posto che lo stesso art.203 c.p., al primo comma, in via prioritaria definisce «socialmente pericolosa la persona […] quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati».

Tuttavia, tra gli indici di cui all’art.133 co.2 c.p. ricorre, al n.4, anche il riferimento alle «condizioni di vita individuale, familiare e sociale».

In sede di riesame della pericolosità sociale, esse sono chiaramente dedotte dalle indicazioni degli «uffici locali di esecuzione penale esterna» - che, ai sensi dell’art.72 l. n.354/1975, «svolgono, su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza» - e, soprattutto, del «servizio sanitario territorialmente competente», che, ai sensi delle «disposizioni particolari per gli infermi e i seminfermi di mente» di cui all’art.20 del D.P.R. n.230/2000, «accede all’istituto per rilevare le condizioni e le esigenze degli interessati e concordare con gli operatori penitenziari l’individuazione delle risorse esterne utili per la loro presa in carico da parte del servizio pubblico e per il successivo reinserimento sociale».

Se, dunque, non risulta alcun “dato” utile alla modificazione o alla revoca della misura di sicurezza del ricovero in OPG o in CCC o non risultano contesti familiari o «risorse esterne utili» per la presa in carico dell’internato (che, sotto ogni altro profilo, potrebbe essere invece dimesso), per lui ricorrono comunque le condizioni per affermare la persistenza della pericolosità sociale ai sensi dell’art.133 co.2 n.4 c.p. e, quindi, per prorogare la misura di sicurezza.

È evidente, tuttavia, che, in casi del genere, OPG e CCC hanno svolto, fino al 2014, funzioni reali molto diverse dalle loro funzioni manifeste e troppo simili alle funzioni che avrebbero dovuto svolgere, invece, le strutture del servizio socio-sanitario e socio-assistenziale[1].

2.1. Funzioni latenti e sostituti funzionali nei modelli sociologici. 

Il modello teorico di riferimento per l’analisi delle funzioni reali svolte da OPG e CCC è, innanzitutto, la distinzione tra funzioni latenti e funzioni manifeste di una struttura sociale.

Nella evoluzione del pensiero sociologico, essa trova una nota ed efficacissima rappresentazione nell’opera di Robert K. Merton, che, nel 1949, ritenne di poterla esemplificare nelle danze per la pioggia praticate dalle tribù degli indiani d’America. 

La funzione manifesta di quel cerimoniale lo riduceva a danze utili a favorire la pioggia in tempo di siccità e, ben più dell’interesse dei sociologi, avrebbe dovuto suscitare quello dei meteorologi che, meglio di altri, avrebbero potuto verificarne la reale efficacia; per i sociologi, invece, sarebbero state interessanti le funzioni latenti e reali di quei riti che, nella prospettiva specifica delle loro indagini, si risolvevano in occasioni periodiche per riunire la tribù e favorirne, quindi, la coesione sociale di fronte al comune pericolo, rappresentato, in quel caso, dalla siccità[2].

Il corollario di quella distinzione teoretica era rappresentato dalla definizione di “sostituto (o equivalente) funzionale”, assunta come riduzione concettuale del rimedio alle deficienze funzionali della struttura ufficiale[3]. Oltre le sue funzioni manifeste, una struttura sociale può svolgere, secondo modalità latenti, le funzioni proprie di altre strutture sociali che non funzionano come dovrebbero o, addirittura, non esistono: la danza per la pioggia potrebbe essere preziosa per la coesione sociale se la tribù non ha altre occasioni di aggregazione e condivisione. 

Un esempio più vicino ai nostri contesti sociali potrebbe essere rappresentato dal volontariato. Nei settori in cui opera, esso potrebbe essere considerato sostituto funzionale delle istituzioni di assistenza sociale che, dato il paradigma di «solidarietà politica, economica e sociale» esplicitamente condiviso all’art.2 della Costituzione italiana, uno stato sociale dovrebbe prevedere, organizzare e, innanzitutto, finanziare.

3. La strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni: gli «indicatori esterni» della pericolosità sociale per il superamento del «dogma somatico». 

Sebbene costituiscano l’evidente occasione di una inquietante distorsione funzionale, si è ritenuto che il criterio di cui all’art.133 co.2 n.4 c.p. per la valutazione della pericolosità sociale sia conforme all’acquisizione secondo cui la pericolosità sociale «non è un dato biologico o psicologico esclusivamente legato alle caratteristiche personali dell’autore, ma va accertata attraverso l’interazione di questi elementi con il complesso dei fattori ambientali» e «va, dunque, intesa in una accezione situazionale, perché il soggetto non è una monade, ma va calato nel contesto sociale e familiare di riferimento»[4].

Si tratta di una acquisizione che, in quanto opportunamente limitata al fondamento giuridico del sistema delle misure personali di sicurezza, ne tradisce evidentemente la matrice positivista del determinismo non solo biologico, ma anche sociale.

Nella specifica prospettiva della valutazione della pericolosità sociale dell’infermo di mente autore di reato, tuttavia, essa corrisponde anche alla distinzione tra indicatori interni ed esterni che la più autorevole psichiatria forense ha definito in tempi relativamente recenti e, comunque, quale esito evidente di una consolidata evoluzione scientifica.

Infatti, l’autonoma rilevanza attribuita agli indicatori esterni - e, in particolare, alle «caratteristiche dell'ambiente familiare e sociale di appartenenza»[5] -, sembra corrispondere pienamente agli indirizzi della psichiatria che hanno determinato il superamento del «dualismo cartesiano di anima e corpo che tanto aveva condizionato e ancora condiziona la psichiatria organicista»[6].

Nella nuova prospettiva, infatti, appariva evidente che «la contrapposizione di psiche e soma è una semplice astrazione, atta a disturbare piuttosto che a favorire qualsivoglia comprensione»[7], perché legittima e reitera il «dogma somatico» e dimentica che «oggetto […] della psichiatria è l'uomo, e non solo il suo corpo» ovvero l’uomo che, «nella sua totalità, sta fuori e oltre ogni possibile e afferrabile oggettivazione» e comprende, invece, «la sua anima, la sua personalità»[8] e, quindi, evidentemente anche l'ambiente in cui si svolge la sua esistenza.

Si tratta dei fondamentali postulati dell'indirizzo fenomenologico della psichiatria, ma, generalizzando il riferimento alla rilevanza diagnostica e terapeutica dei fattori ambientali in tutte le moderne scienze psicologiche ha contribuito in modo determinante al definitivo superamento del modello organicista, efficacemente rappresentato, in materia penale, dalla assunto lombrosiano della «statistica antropometrica ed ezio-patologica» quali fondamentali indici criminogenetici[9].

Tale scienze hanno determinato il superamento dell'«impostazione meramente naturalistica della psicopatologia»[10], il quale risulta evidentemente condiviso anche da chi postula la rilevanza di «indicatori esterni» per la valutazione della pericolosità sociale dell'infermo di mente autore di un fatto di reato.

4. Pericolosità sociale, sovranità punitiva e potere disciplinare. 

Anche per le migliori acquisizioni della psichiatria resta, tuttavia, assolutamente necessaria l’attenta considerazione delle relative condizioni di rilevanza giuridica per impedire che sia «snaturato» il potere di chi deve valutare la pericolosità sociale dell’infermo psichico autore di reato.

È decisiva, sotto questo profilo, la magistrale lezione di Michel Foucault.

Si tratta, infatti, di evitare che assuma le funzioni del potere sovrano e punitivo dello Stato – un potere che, in alternativa alla «macrofisica della sovranità», Foucault definì «disciplinare»[11].

Nel “Corso sul potere psichiatrico” Foucault offrì una efficacissima rappresentazione storica di quella che, immediatamente dopo, sarebbe diventata la sua esplicita proposta di «una filosofia politica che non sia costruita intorno al problema della sovranità, dunque della legge, dunque dell’interdizione», sintetizzata, nello stesso testo, nella efficacissima metafora della affermazione della necessità di «tagliare la testa del re»[12].

Nel corso sul potere psichiatrico Foucault propone, in particolare, la scena dell’internamento di Giorgio III descritta da Pinel nel “Traité médico-philosophique” del 1800, per rappresentare chiaramente il potere sovrano del re «in preda alla mania» che soccombe a quello della psichiatria, ovvero per rappresentare «lo scontro, la sottomissione, la cerniera tra un potere sovrano e un potere disciplinare»: «ci troviamo dunque di fronte ad un atto di destituzione, di caduta del re[…] qualcosa di nuovo, di diverso, per esempio, rispetto a quel che potremmo trovare in un dramma shakespeariano. Non abbiamo qui a che fare né con Riccardo III minacciato di cadere sotto il potere di un altro sovrano, né con re Lear che, spogliato della sua regalità, erra per il mondo immerso nella solitudine, nella miseria, nella follia», ma con «un potere di genere affatto diverso da quello della sovranità, e che anzi, […] vi si oppone in tutto e per tutto» perché «anonimo, senza nome, senza volto, un potere che risulta suddiviso tra diverse persone e che si manifesta attraverso l’implacabilità di un regolamento che non viene nemmeno formulato».

Infatti, «mentre il potere sovrano si manifesta essenzialmente attraverso i simboli della forza sfolgorante dell’individuo che lo detiene, il potere disciplinare è un potere discreto, ripartito» che «funziona solo attraverso un reticolo di relazioni, e che diventa visibile solo mediante la docilità e la sottomissione di coloro sui quali, in silenzio, esso si esercita»[13].

«A seguirne le tracce», Foucault ritrova gli stessi «dispositivi disciplinari […] nelle comunità religiose», «regolari» o «spontanee», del Medioevo, «isolotti» di «ricerche disciplinari»[14], poi applicate nelle «colonizzazioni» disciplinari, fino al «terzo tipo di colonizzazione», ovvero alla «colonizzazione interna dei vagabondi, dei mendicanti, dei nomadi, dei delinquenti, delle prostitute e così via che ha dato origine all’intero sistema di internamento»[15].

Ad esso sarebbe stato specificamente dedicato “Sorvegliare e punire”, pubblicato poco più di un anno dopo il corso al Collège de France sul potere psichiatrico.

Nelle pagine conclusive del lavoro, Foucault, riferendosi ai «giudici», afferma che «il loro immenso “appetito di medicina” che si manifesta incessantemente - dall’appello agli esperti psichiatri fino all’attenzione alle chiacchiere della criminologia – esprime il fatto più importante: il potere che essi esercitano è stato “snaturato”»[16].

La valutazione, evidentemente critica, posta in termini di «chiacchiere» è riferita da Foucault alla criminologia che si afferma «nel secolo XIX» quando l’«“uomo”, scoperto nel criminale» in occasione della «protesta contro i supplizi» che «troviamo ovunque, nella seconda metà del secolo XVIII», diventa «il bersaglio dell’intervento penale, l’oggetto ch’esso pretende di correggere e di trasformare, il campo di tutta una serie di scienze pratiche e specifiche – “penitenziarie”, “criminologiche”»[17].

Sulla premessa, assolutamente condivisibile, della «protesta contro i supplizi», ad essa, dunque, è stato attribuito un potere «“snaturato”».

5. Pericolosità sociale e violazione di diritti fondamentali: i rilievi critici del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (2008). 

Avrebbe, tuttavia, un esito del tutto analogo il potere punitivo fondato sulla integrazione del «discorso dei giuristi» con la psichiatria o qualsiasi altra scienza che, contrariamente a quanto proponeva Alessandro Baratta nel generico riferimento alla «scienza sociale», non sia limitata entro l’«ambito della correttezza logico-argomentativa e della discrezionalità valutativa al giurista attribuita […] dal sistema giuridico-politico»[18], ovvero che sia realizzata senza considerare la «vincolatività del diritto», chiaramente affermata da Claus Roxin per la riduzione ad «unità dialettica» di diritto penale e politica criminale[19].

Infatti, l’inquietante distorsione funzionale del ricovero in OPG e in CCC prorogato esclusivamente in ragione della mancanza di «risorse esterne utili» per la presa in carico dell’internato (art.20 d.P.R. 230/2000) si risolve nella palese violazione del principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art.27 co.1 Cost.: le ragioni della permanenza dell’internato in OPG o CCC non hanno nulla a che fare con la sua persona o con le sue scelte comportamentali.

Si tratta, peraltro, di un esito della disciplina codicistica che fu rilevato già nel 2009 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT), nel report pubblicato nel 2010 sulla visita avvenuta nel 2008 presso l’OPG di Aversa[20].

In particolare, ai sensi dell’art.8 co.5 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti del 1987 e successivi protocolli di integrazione, ratificata dall’Italia con le leggi n.7/1989 e n.467/1998, il CPT segnalava all’Italia che, «come riconoscono gli stessi psichiatri, solo a causa della mancanza di cure adeguate e sistemazioni nella comunità esterna rimane nell’ospedale psichiatrico giudiziario il 20-30% dei pazienti internati che non rappresenta più alcun pericolo per la società e le cui condizioni psichiche non sono più tali da rendere necessaria la permanenza in un istituto psichiatrico». Con particolare «enfasi», inoltre, il CPT sottolineava che «essere privati della propria libertà personale solo a causa della mancanza di appropriate soluzioni esterne rappresenta una situazione altamente problematica».

Il CPT, pertanto, chiedeva alle autorità italiane di prendere soluzioni adeguate «affinché i pazienti non siano trattenuti in OPG più di quanto sia necessario per le loro condizioni psichiche».

In particolare – si legge ancora nella relazione - «la delegazione del CPT nota che i vari concetti di “pericolosità sociale” (espressamente menzionato nella legislazione), pericolosità criminale (rischio di recidiva) e pericolosità psichiatrica (riferita a patologia psichiche) influenzano e interagiscono con le decisioni del magistrato di sorveglianza in sede di riesame della posizione del paziente in OPG. Finché non saranno ben definiti, questi concetti si prestano ad interpretazioni troppo ampie e soggettive». 

6. L’internato tra psichiatria e giustizia: la «pericolosità latente» e le «malattie infantili della criminologia». Il problema potrebbe avere dimensioni ben più ampie se davvero la pericolosità è una «malattia infantile della criminologia»[21] e, quindi, è «indispensabile lavorare per il superamento dell’equivoco, riduttivo e non scientifico concetto di “socialmente pericoloso”»[22].

Il CPT, tuttavia, si limitava a rilevare la mancata precisazione nell’ordinamento italiano dei criteri per la valutazione della pericolosità sociale e ad essa riconduceva anche la deplorevole «necessità di introdurre nel processo perizie di psichiatri indipendenti che non hanno un rapporto terapeutico con il paziente».

Si tratta, sotto questo profilo, di esiti del tutto conformi alle valutazioni di chi, in passato, aveva già ritenuto che, nelle previsioni di pericolosità, «troppo spesso i tribunali si adeguano semplicemente all'opinione di psichiatri e psicologi» e che «i clinici assumono troppa responsabilità e troppo poca ne assumono i tribunali. Ma è con i tribunali e con il legislatore che la responsabilità deve restare» perché «bilanciare ordine e libertà è un problema sociopolitico e non clinico ed è un dovere dei tribunali e dei legislatori»[23].

Appare esemplare, in proposito, la inquietante elaborazione giurisprudenziale del concetto di «pericolosità latente».

Nelle ordinanze degli uffici di sorveglianza in cui ricorre, infatti, esso tradisce chiaramente la funzione di evitare, per chi lo usa, una chiara ed esclusiva assunzione della responsabilità di «bilanciare ordine e libertà» in applicazione di criteri rigorosamente giuridici per la valutazione della pericolosità sociale.

In termini giuridico-penali, l’esito è una palese ed inquietante violazione del principio di legalità (e di altri fondamentali principi che rappresentano secolari conquiste di civiltà giuridica).

Infatti, in luogo dei criteri espressamente previsti al combinato disposto degli artt.203 e 133 c.p., si è proposta la «pericolosità latente» come libera elaborazione e raccapricciante sintesi delle relazioni sull’internato comunicate al magistrato di sorveglianza dai competenti uffici sanitari e penitenziari: dipartimento di salute mentale della azienda sanitaria locale del territorio di residenza dell’internato, ufficio locale di esecuzione penale esterna, psichiatri e tecnici del gruppo di osservazione e trattamento dell’OPG di internamento.

Ciò è evidentemente accaduto quando si è affermato, per esempio, che «l’internato non ha creato particolari problemi, ha partecipato al corso di yoga e al laboratorio teatrale, ha frequentato il corso per giardiniere, ha fruito di licenze con i familiari» e quando, contestualmente, si dava conferma che «gli operatori del servizio territoriale competente hanno partecipato alla riunione d’equipe, concludendo per la sperimentabilità del soggetto in idonea struttura esterna, poiché i familiari, pur molto affezionati e disponibili, non sono in grado di gestirlo nel quotidiano».

In tal caso, «non disponendo la ASL di […omissis…] di strutture adeguate e disponibili al caso concreto», è stata ritenuta «necessaria una ulteriore proroga» della misura di sicurezza applicata all’internato «in quanto la patologia psichiatrica che lo affligge potrebbe peggiorare, riacutizzandone la pericolosità latente, qualora […omissis…] non seguisse la terapia che gli viene attualmente garantita dall’OPG»[24].

Evidentemente si tratta di una rielaborazione del concetto di pericolosità sociale – già sufficientemente indeterminato! – che, in quanto fondata esclusivamente su dati ipotetici di possibilità e dunque non verificabile, si risolve, sotto il profilo sostanziale, in una palese violazione del principio di determinatezza in quanto suscettibilità di accertamento probatorio secondo la storica reinterpretazione della Corte costituzionale nella sentenza n.96 del 1981 e, sotto il profilo processuale in  manifesta elusione dell'obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali stabilito all'art.111 co.6 Cost..

Per queste ragioni essa appare del tutto analoga alle presunzioni di durata e di sussistenza della pericolosità sociale che, nella originaria disciplina codicistica delle misure di sicurezza, erano previste, rispettivamente, agli artt.204 co.2 e 207 co.2 e 3, nonché, in riferimento specifico all’infermo totale di mente autore di un fatto di reato, all’art.222 c.p..

Si tratta, come è note, di disposizioni che furono dichiarate costituzionalmente illegittime con le sentenze della Corte costituzionale n.110/1974 e n.139/1982, per poi essere in parte espressamente abrogate all’art.89 co.1 l. n.354/1975 e all’art.31 co.1 l. n.663/1986.

7. «Il fenomeno delle proroghe sistematiche della misura di sicurezza, basate su una certa dilatazione del concetto di pericolosità sociale» nei rilievi critici della Commissione Marino (2011): la evoluzione della legislazione per il superamento degli OPG. 

Era stato approvato, invece, nello stesso anno in cui il CPT visitava l’OPG di Aversa, il d.P.C.M. del 1 aprile 2008 che trasferì al SSN le funzioni e le strutture della sanità penitenziaria e comportò la piena equiparazione della assistenza sanitaria per cittadini liberi e cittadini ristretti e, quindi, anche la netta distinzione di funzioni penitenziarie e funzioni sanitarie nella gestione degli OOPPGG.

Di questi ultimi, peraltro, per la prima volta era espressamente previsto (e delineato in tre fasi) un «programma di superamento graduale», in esplicito riferimento alla scelta di perseguire la tutela della salute mentale in modo di «eliminare ogni forma di discriminazione e segregazione», affermata nella legge n.833/1978 (allegato C, d.P.C.M. 1.4.2008).

Nello stesso anno, infine, con deliberazione del Senato del 30 luglio 2008, fu istituita la Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale che, nella seduta del 20 luglio 2011, approvò la “Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari”, dove, confermando implicitamente i rilievi del CPT, si affermava la necessità di «porre un argine al fenomeno delle proroghe sistematiche della misura di sicurezza, basate su una certa dilatazione del concetto di pericolosità sociale: sovente la proroga risulta disposta non già in ragione di una condizione soggettiva di persistente pericolosità, ma bensì per la carenza di un’adeguata offerta di strutture residenziali e riabilitative esterne»[25].

Era ormai chiara, sull’orizzonte della evoluzione politica e sociale, la necessità di completare e chiudere un percorso di riforme legislative iniziato trent’anni prima con la legge n.180/1978.

L’esito fu l’introduzione dell’art.3-ter nel d.l. n.211/2011 con la legge di conversione n.9/2012.

Rubricato «disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari», il testo originario dell’art.3-ter stabiliva, innanzitutto, al 1° febbraio 2013 il «termine per il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari già previsto all’allegato C del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008» e programmava, nello stesso co.2, la definizione ministeriale dei requisiti delle «strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia».

Nell’economia complessiva del testo originario dell’art.3-ter del d.l. n.211/2011, la soluzione residenziale ed intramuraria era assolutamente prevalente.

Solo nella possibilità concessa a regioni e province autonome, ai sensi del co.5, di «assumere personale qualificato da dedicare anche ai percorsi terapeutico-riabilitativi finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti internati provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari» era possibile intravedere un riferimento implicito, estremamente vago e comunque meramente eventuale a soluzioni alternative all’internamento in OPG.

7.1. Le sei riforme del’art.3-ter del d.l. n.211/2011. 

Non solo per l’impossibilità di rispettare i termini stabiliti nel percorso di superamento, ma anche e soprattutto per le soluzioni proposte per il superamento, il testo originario dell’art.3-ter inserito nel d.l. n.211/2011 con la legge di conversione n.9/2012 fu rivisto sei volte in meno di due anni (d.l. n.158/2012, legge n.189/2012, d.l. n.24/2013, legge n.57/2013, d.l. n.52/2014, legge n.81/2014)[26].

Anche nel testo definitivo di cui alla legge n.81/2014 è rimasta, al co.4 dell’art.3-ter d.l. n.211/2011, la disposizione secondo cui, dopo la chiusura degli OOPPGG, «le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell'assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all'interno delle strutture sanitarie di cui al comma 2».

Tuttavia, con il d.l. n.158/2012 il timido riferimento del co.5 alla possibilità di «percorsi terapeutico-riabilitativi» era già diventato l’obbligo imposto alle regioni di un programma di utilizzo delle risorse che «deve consentire la realizzabilità di progetti terapeutico-riabilitativi individuali», successivamente esplicitata nella disposizione secondo cui «il programma, oltre agli interventi strutturali, prevede attività volte progressivamente a incrementare la realizzazione dei percorsi terapeutico riabilitativi di cui al comma 5 e comunque a favorire l'adozione di misure alternative all'internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari ovvero anche nelle nuove strutture di cui al comma 2, potenziando i servizi di salute mentale sul territorio», introdotta al co.6 dell’art.3-ter con il d.l. n.24/2013.

Le ulteriori modifiche di cui alla legge n.57/2013 riconducono implicitamente ma evidentemente le disposizioni di cui al co.6 dell’art.3-ter all’affermazione di un ricorso assolutamente residuale all’internamento in OPG.

Si dispone, infatti, che il programma regionale di utilizzo delle risorse, ai sensi del riformato co.6 dell’art.3-ter, avrebbe dovuto definire «prioritariamente tempi certi e impegni precisi per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, prevedendo la dimissione di tutte le persone internate per le quali l'autorità giudiziaria abbia già escluso o escluda la sussistenza della pericolosità sociale, con l'obbligo per le aziende sanitarie locali di presa in carico all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, nonché a favorire l'esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o all'assegnazione a casa di cura e custodia».

Nonostante l’implicito, ma chiarissimo riferimento alle indicazioni della Corte costituzionale, nel testo del co.6 riformato con la legge n.57/2013 restava, tuttavia, il prioritario riferimento al vincolo di una valutazione di pericolosità sociale che, orientata al criterio delle «condizioni di vita individuale, familiare e sociale» - o, altrimenti, della «pericolosità latente»! -, in assenza di «risorse esterne» utili alla presa in carico dell’internato altrimenti dimissibile, avrebbe precluso l’accesso a qualsiasi progetto terapeutico-riabilitativo individuale ed eluso, quindi, il relativo obbligo delle aziende sanitarie locali.

Non sarebbe stata superata, dunque, la distorsione funzionale degli OOPPGG.

Il rimedio è stato introdotto con la legge n.81/2014 che ha chiuso la tormentata vicenda legislativa del superamento degli OOPPGG e, in particolare, dell’art.3-ter d.l. n.211/2011, proponendone il testo al momento definitivo e vigente.

Con una soluzione confermata anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n.186/2015, la legge n.81/2014 ha riformato, in particolare, il co.4 dell’art.3-ter d.l. n.211/2011, disponendo espressamente nel senso che l’accertamento della pericolosità sociale dell’infermo e seminfermo di mente sia effettuato «senza tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale» e che «non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali».

Mai più, dunque, i «doveri di solidarietà politica economica e sociale» nei confronti dell’infermo e seminfermo di mente potranno essere adempiuti con la privazione della libertà personale e rappresentare l’unica ragione del loro internamento in ospedali psichiatrici giudiziari e case di cura e custodia.

8. La «vincolatività del diritto»: i limiti giuridici alla “sovranità punitiva” del diritto e al “potere disciplinare” della scienza ausiliare.

Rappresentata in questi termini, appare evidente che, escludendo la rilevanza delle condizioni di cui all’art.133 co.2 n.4 c.p., la disposizione di cui al co.4 dell’art.3-ter d.l. n.211/2011 riformato con la legge n.81/2014 contribuisce alla netta definizione dell’«ambito della correttezza logico-argomentativa e della discrezionalità valutativa al giurista attribuita […] dal sistema giuridico-politico», ovvero della riaffermazione della «vincolatività del diritto»[27] in specifico riferimento alla integrazione tra diritto penale e psichiatria, evidentemente ritenuta necessaria in funzione preventiva.

Un ruolo del tutto analogo è svolto, nell’ordinamento giuridico-penale, dai divieti fondamentali e dalla loro eventuale specificazione in altre disposizioni di legislazione ordinaria.

Nelle disposizioni costituzionali, l’esempio più efficace potrebbe rappresentato, essere questo profilo, dal divieto di pena di morte di cui all’art.27 co.4 Cost.: anche qualora ne fosse prevedibile con certezza pressoché assoluta l’efficacia politico-criminale per la prevenzione di forme, anche particolarissime, gravissime ed eccezionali, di criminalità, essa resterebbe comunque illegittima.

Nella legislazione ordinaria, invece, un esempio è rappresentato dai limiti stabiliti alla perizia psicologica dall'art.220 co.2 c.p.p. 

Contro ogni acquisizione delle relative scienze di riferimento, la disposizione stabilisce il divieto di perizia volta a stabilire, nel procedimento di cognizione per la sentenza di assoluzione o condanna, «l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche».

Nel caso del divieto di pena di morte si tratta, evidentemente, di una disposizione caratterizzata dalla assoluta prevalenza di uno spessore etico che, secondo i noti corollari del falsificazionismo, le sottrae ad ogni ipotesi di falsificazione e valutazione scientifica[28].

La stessa esclusione della rilevanza di qualsiasi fondamento scientifico caratterizza, tuttavia, anche i limiti giuridici alla perizia psicologica di cui è agevolmente riconoscibile la matrice costituzionale nei principi di materialità, offensività e certezza che definiscono i caratteri fondamentali del “diritto penale del fatto” (artt.25 co.2 Cost.)[29]

9. Il ritorno alla ‘via maestra’ già indicata dalla Corte costituzionale: gli esiti reali di una lunga e complessa evoluzione legislativa. 

La continua ma rapida revisione della disposizione di cui all’art.3-ter del d.l. n.211/2011 può essere agevolmente sintetizzata e rappresentata come un percorso di riforme necessario a ricondurne il testo originario ad una coerente applicazione del principio di extrema ratio o sussidiarietà delle soluzioni intramurarie che la corte costituzionale aveva esplicitamente affermato nella n.253/2003[30].

Con quella pronuncia, infatti, la Corte costituzionale dichiarò la illegittimità dell’art.222 c.p. «nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale» e proporre espressamente, in alternativa al ricovero in OPG, «una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice, di contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica)»[31].

L’argomento di maggiore evidenza utilizzato dalla Corte fu la disparità tra il trattamento dell’infermo totale di mente necessariamente ed inevitabilmente destinato al ricovero in OPG ai sensi dell’art.222 c.p. e quello del seminfermo di mente e del minore non imputabile per i quali, rispettivamente gli artt.224 e 232 c.p., da un lato, e l’art.219 co.3, dall’altro, prevedono la possibilità della applicazione della diversa misura di sicurezza della libertà vigilata quale soluzione alternativa al riformatorio giudiziario per i minori ed al ricovero in una casa di cura e custodia per i seminfermi di mente.

In particolare, la Corte aveva evidenziato come le disposizioni di cui all’art.228 co.2 e 3 c.p. prevedono che alle persone in stato di libertà vigilata possono essere imposte «dal giudice prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati», che «tali prescrizioni possono essere dal giudice successivamente modificate o limitate» (art.228 c.p.) e che tali prescrizioni possono avere «anche valenza terapeutica» e consistere, quindi, nell’affidamento o ricovero in strutture che non comportano segregazione in istituzioni totali.

Infatti, nel testo vigente dell’art.3-ter d.l. n.211/2011 definito con la legge n.81/2014 e nei successivi atti di attuazione, la soluzione residenziale delle «strutture» di cui ai co.2 e 4 - che, in origine, era assolutamente preponderante nell’assetto complessivo della disposizione - è diventata, invece, meramente residuale rispetto alla progettazione di percorsi terapeutico-riabilitativi individuali da realizzare in libertà.

In particolare, se rapportato ai 1500 internati che rappresenta il dato stabilizzato delle presenze in OPG negli anni intorno al 2010[32], il numero limitato di posti letto oggi disponibili nelle strutture subentrate agli OPG (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, REMS) lascia immaginare in termini assolutamente temporanei la soluzione residenziale e, al tempo stesso, tempi di permanenza che la necessità di un continuo turn-over rende inevitabilmente brevi.

Infatti, al fine evidente di evitare un percorso di istituzionalizzazione per i pazienti, l’allegato A del decreto Ministero della salute del 1.10.2012 - che, in ottemperanza del co.2 dell’art.3-ter d.l. n.211/2011, definisce i requisiti delle «strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza» del ricovero in OPG e CCC – indica per ciascuna di esse una capienza massima in 20 posti letto.

Appare, dunque, assolutamente conseguenziale il numero di 609 posti letto che, nella “Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017)”, sono calcolati nelle R.E.M.S. attualmente funzionanti sul territorio nazionale, in via provvisoria o definitiva[33].

Il dato di 569 pazienti a fronte di una disponibilità di 609 posti letto riportato nella stessa relazione indica, invece, chiaramente che la strada maestra del trattamento terapeutico in condizioni di libertà, già indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.253/2003, è preferita e praticata dagli operatori di settore anche indipendentemente da qualsiasi esigenza di turn-over.

10. La necessità di una riforma dopo la legislazione per il superamento degli OPG. 

Senza modificare il codice penale, la legislazione per il superamento degli OPG ha decisamente compromesso l’assetto fondamentale della originaria disciplina delle misure di sicurezza personali, di cui, quindi, appare ormai evidente la necessità di una riforma che ne riordini e ridefinisca il sistema.

Dopo ottantaquattro anni, infatti, la esclusione del criterio per la valutazione della pericolosità sociale di cui all’art.133 co.2 n.4 c.p. stabilita al co.4 dell’art.3-ter d.l. n.211/2011 modifica uno dei due presupposti – l’unico sempre necessario! – per l’applicazione delle misure di sicurezza. Anche se la nuova disposizione riguarda esclusivamente la pericolosità sociale dell’infermo di mente autore di reato[34], ne risultano comunque messi in discussione i fondamentali postulati teorici del sistema delle misure di sicurezza.

In termini ancora più evidenti, la legislazione per il superamento degli OPG ha compromesso, inoltre, la coerenza della disciplina delle misure di sicurezza anche con l’altra fondamentale caratteristica dell’originario sistema codicistico delle misure di sicurezza.

La disposizione di cui al co.1-quater dell’art.1 del d.l. n.52/2014 convertito con la legge n.81/2014 stabilisce, infatti, che tutte le «misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso»; finalmente, dunque, ne risulta esclusa la possibilità che l’applicazione di una misura di sicurezza personale e detentiva duri per l’intera vita dell’internato.

11. Tra superamento e ritorno agli OPG: le deleghe per la riforma delle misure di sicurezza (legge n.103/2017) e il rischio di nuove immissioni nel circuito della istituzionalizzazione psichiatrico-giudiziaria. 

La necessità della previsione di una durata massima delle misure di sicurezza personali è espressamente ribadita alla lettera c) del co.16 dell’art.1 delle “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario” di cui alla legge n.103/2017.

Sotto altri profili, però, non sembra che la stessa legge presegua con decisione e coerenza l’ulteriore miglioramento  o, almeno, il consolidamento dei risultati già faticosamente raggiunti.

Alle lettere c) e d) del co.16 dell’art.1 della legge n.103/2017, infatti, erano conferite al Governo una serie di deleghe per l’adozione, entro un anno dalla approvazione della legge, di decreti legislativi che avrebbero dovuto riformare la disciplina delle misure di sicurezza personali e che, tuttavia, potrebbero segnare una chiara inversione di tendenza rispetto all’obiettivo perseguito con le numerose modifiche dell’art.3-ter d.l. n.211/2011 per adeguarne la disciplina ai principi affermati ed applicati con le riforme di cui alle leggi n.180 e 833 del 1978.

In particolare, ancora una volta potrebbe esserne significativamente alimentato il circuito di istituzionalizzazione psichiatrico-giudiziaria.

11.1. Imputabilità e disturbi della personalità nelle deleghe della legge n.103/2017. Risulta evidente, infatti, che questo avrebbe potuto essere, innanzitutto, l’esito della delega conferita al Governo per la «previsione del modello definitorio dell'infermità, mediante la previsione di clausole in grado di attribuire rilevanza, in conformità a consolidate posizioni scientifiche, ai disturbi della personalità» (art.1 co.16 lett. c) legge n.103/2017).

La disposizione si colloca chiaramente nel solco tracciato dalla nota giurisprudenza di legittimità che, nel 2005, aveva riconosciuto la possibile rilevanza giuridica in termini di infermità mentale dei disturbi della personalità[35]: a seguito della riforma le persone che ne soffrono e commettono un fatto preveduto dalla legge come reato non sarebbero più condannate esclusivamente ad una pena come qualsiasi altro autore di reato capace di intendere e di volere, ma potrebbero essere destinatarie di un provvedimento di ricovero in CCC o OPG ai sensi degli artt.219 o 222 c.p.

La relativa esecuzione potrebbe avvenire in REMS e, comunque, sarebbe affidata al Dipartimento di salute mentale (DSM) dell’ASL territorialmente competente.

Sotto questo profilo, alla ulteriore concretizzazione del rischio di tornare ad alimentare il circuito di istituzionalizzazione psichiatrico-giudiziaria potrebbe contribuire anche la nuova edizione del “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” (DSM-V) recentemente pubblicata dalla American Psychiatric Association che, anche in Italia, rappresenta per gli psichiatri un fondamentale strumento di lavoro e che, come è noto - e ampiamente discusso -[36], ha ampliato il catalogo dei disturbi della personalità ritenuti di rilevanza patologica.

11.2. Una inedita esplicitazione della medicalizzazione delle sanzioni penali: la rilevanza giuridico-penale della «necessità della cura» nelle deleghe della legge n.103/2017. 

Il riferimento «a consolidate posizioni scientifiche» previsto nella delega legislativa per la rilevanza dei disturbi della personalità condivide evidentemente lo stesso «immenso “appetito di medicina”» dei giudici che Foucault aveva biasimato e considerato all’origine dello “snaturamento” del relativo potere[37].

Nelle deleghe legislative di cui alla lettera c) del co.16 dell’art.1 della legge n.103/2016 esso emerge ancora più evidente laddove i presupposti delle nuove «misure terapeutiche e di controllo» per i non imputabili sono definiti «tenendo conto della necessità della cura» e stabilendo l’«accertamento periodico della persistenza della pericolosità sociale e della necessità di cura e la revoca delle misure quando la necessità della cura o la pericolosità sociale siano venute meno».

In alternativa alla pericolosità sociale, dunque, anche la semplice «necessità della cura» rischia di avere rilevanza penale e di determinare la proroga della misura terapeutica e di controllo, ovvero la limitazione della libertà personale che, evidentemente, sarà realizzata coinvolgendo, anche in questo caso, i dipartimenti di salute mentale[38].

Nella delega per la riforma, quindi, ancora una volta il riferimento alle «misure terapeutiche» ed alla «necessità della cura» realizza evidentemente il rischio della stessa distorsione funzionale che, prima della legge n.81/2014, era nascosto nella rilevanza, ai sensi dell’art.133 co.2 n.4 c.p., delle «condizioni di vita individuale, familiare e sociale» ai fini della valutazione della pericolosità sociale dell’autore del fatto reato infermo di mente.

Ne risultano palesemente contraddetti i principi fondamentali della storica riforma sanitaria di cui alle leggi nn.180 e 833 del 1978 che, esplicitamente, avevano inteso «eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione pur nella specificità delle misure terapeutiche, e […] favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei disturbati psichici» (art.2 co.2 lett. G l. n.833/1978).

11.3. La ‘nuova’ destinazione delle patologie psichiatriche di detenuti e imputati: il ritorno agli OPG nelle deleghe della legge n.103/2017. 

Anche in ragione della delega legislativa conferita al Governo per la rilevanza giuridico-penale della mera «necessità della cura» è prevedibile, dunque, l’immissione di nuovi profili psicopatologici nel circuito psichiatrico-giudiziario.

Nella legge n.103/2017, un ulteriore e decisivo contributo nella stessa direzione è dato dalla delega di cui alla lettera d) del co.1 dell’art 1 che prevede «la destinazione alle REMS» non solo dei «soggetti [sic!] per i quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale», ma anche «dei soggetti [sic!] per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisorie e di tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto, a garantire i trattamenti terapeutico-riabilitativi». 

Le «strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia» di cui all’art.3-ter co.2 d.l. n.211/2011 tornerebbero, dunque, a svolgere le funzioni che, ai sensi degli artt.148 e 206 c.p., hanno sempre svolto gli OPG e che ne hanno determinato il sovraffollamento contribuendo, così, a definirne anche il carattere di istituzione totale: si concentrerebbero nelle REMS varie tipologie di situazioni giudiziarie e di problemi psichici e psichiatrici che sarebbe impossibile gestire senza trasformarle nei vecchi manicomi.

Se, infatti, fossero confermate le cifre pubblicizzate a Roma nel 2013 in occasione del Secondo incontro dei Giovani Psichiatri organizzato nell’ambito della Società Italiana di Psichiatria, circa 1/3 dei detenuti negli istituti penitenziari italiani soffrirebbe di patologie psichiatriche[39] e, quindi, dovrebbe essere destinato alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

In termini assoluti, secondo i dati recentemente pubblicati dal Ministero della giustizia[40], si tratterebbe di 17788 pazienti che dovrebbero essere sistemati nei 609 posti letto che sono attualmente disponibili nelle REMS e di cui, quindi, è agevolmente prevedibile un vertiginoso aumento.

12. Un inquietante déjà-vu: la pericolosità sociale tra «malattie infantili» e malattie congenite dei poteri di internamento. 

In definitiva, le sorprendenti e discutibilissime disposizioni delle deleghe legislative di cui alla legge n.103/2017 hanno rischiato di compromettere radicalmente i risultati finora raggiunti nel superamento degli OPG e comunque hanno segnato un momento di instabilità ed incertezza nella recente evoluzione legislativa, politica, sociale e culturale in materia.

Anche per la recente e imminente evoluzione della situazione italiana dei tassi di istituzionalizzazione carceraria e psichiatrica è sempre reale e concreto, infatti, il rischio che si materializzi lo spettro che accompagna ogni mutamento legislativo per la definizione di politiche sociali per la gestione della salute mentale fondate su nuovi protocolli terapeutici.

Non è accaduto in Italia dopo la storica legge Basaglia e la riforma sanitaria che, nel 1978, hanno voluto «eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione», ma le deleghe legislative di cui alla legge n.103/2017 hanno rischiato di confermare, anche nel caso italiano, l’esito efficacemente rappresentato negli studi di Bernard Harcourt sui flussi di istituzionalizzazione psichiatrica e carceraria negli USA tra il 1928 e il 2000[41].

Negli USA, infatti, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta i dati della istituzionalizzazione psichiatrica iniziano una rapida e costante flessione proseguita fino a livelli minimi del 2000, mentre nello stesso periodo fanno registrare una costante e vertiginosa ascesa i dati sulla istituzionalizzazione penitenziaria fino ai livelli massimi del 2000. Le due curve si incrociano negli anni Settanta quando il tasso complessivo di istituzionalizzazione tocca il minimo per poi tornare nel 2000, a posizioni invertite tra istituzionalizzazione psichiatrica e istituzionalizzazione penitenziaria, agli stessi livelli massimi toccati negli anni Trenta.

Un destino ineludibile che, in un arco temporale molto più breve, rischia ancora di ripetersi in Italia per i dati relativi all’istituzionalizzazione psichiatrica che, dopo la ancora attuale ma, probabilmente, breve stagione del superamento degli OPG e dei progetti terapeutici e riabilitativi extramurari, rischiano di ritrovarsi confermati nelle nuove strutture di cui all’art.3-ter co.2 d.l. n.211/2011, qualora ne fosse aumentato il numero, complessivo o locale, dei posti letto.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul punto sia consentito il rinvio a Schiaffo, La pericolosità sociale tra «sottigliezze empiriche» e ‘spessori normativi’: la riforma di cui alla legge n.81/2014, in www.penalecontemporaneo.it (11 dicembre 2014), 11 ss.

[2] R.K. MERTON, Social Theory and Social Structure (1949), III ed., New York (New York) 1968, 118 ss.

[3] R.K. MERTON, Social Theory, cit., 123.

[4] Pelissero, Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza, in Diritto penale e processo, 2014, 917 ss., 923 (l’evidenziazione grafica è dell’A.).

[5] FORNARI, Trattato di psichiatria forense (1989), V ed., Torino 2013, 219.

[6] Così GALIMBERTI, Psichiatria e fenomenologia (1979), VII ed., Milano, 2011, 184.

[7] JASPERS, Psicopatologia generale (1913), Roma, 2000, 243.

[8] JASPERS, Autobiografia filosofica (1956), Napoli, 1969, 29 e 32.

[9] LOMBROSO, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie (1876), V ed., Torino, 1896, 126 ss.

[10] GALIMBERTI, Psichiatria, cit., 184.

[11] FOUCAULT, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974) (2003), Milano 2010, 29 ss. 

[12] FOUCAULT, Microfisica del potere. Interventi politici (1971-1977), Torino 1977, 15 s. Secondo Foucault, si tratta, in particolare, di superare un contesto teorico «legato all’istituzione della monarchia. Essa si è instaurata nel Medioevo sullo sfondo delle lotte permanenti fra i poteri feudali preesistenti. Si è presentata come arbitro, come potere di far cessare la guerra, di porre termine alle violenze, alle esazioni, di dire “no” alle lotte e alle liti private. Si è resa accettabile dandosi un ruolo giuridico e negativo, che ha beninteso sopravanzato subito. Il sovrano, la legge, l’interdizione tutto ciò ha costituito un sistema di rappresentazioni del potere che è stato in seguito trasmesso dalle teorie del diritto: la teoria politica è rimasta ossessionata dal personaggio del sovrano. Queste teorie pongono tutte ancora il problema della sovranità» (15); in realtà, infatti, «lo Stato è sovrastrutturale in rapporto a tutt’una serie di reti di potere che passano attraverso i corpi, la sessualità, la famiglia, gli atteggiamenti, i saperi, le tecniche, ecc., e questi rapporti sono in una relazione di condizionante-condizionato nei confronti di una specie di metapotere che è strutturato per l’essenziale intorno ad un certo numero di grandi funzioni d’interdizione» (16). 

[13] FOUCAULT, Il potere, cit., 30-32.

[14] FOUCAULT, Il potere, cit., 68-70.

[15] FOUCAULT, Il potere, cit., 75.

[16] FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975), Torino 1993, 336.

[17] FOUCAULT, Sorvegliare, cit., 79 s.

[18] BARATTA, Criminologia liberale e ideologia della difesa sociale, in Quest. crim. 1975, 7 ss., 55 s.

[19] ROXIN, Politica criminale e sistema del diritto penale (1970), in Id., Politica criminale e sistema del diritto penale. Saggi di teoria del reato, a cura di S. Moccia, Napoli 1998, 21 ss., 46.

[20] Italy: Visit 2008
CPT/Inf (2010) 12 | Section: 45/48 | Date: 09/04/2009
D. Psychiatric establishments / 1. Filippo Saporito Judicial Psychiatric Hospital, Aversa / g. safeguards, in http://hudoc.cpt.coe.int/eng#{"fulltext":["aversa"],"CPTSectionID":["p-ita-20080914-en-45"]} (consultato il 13.2.2021), n.159 s. 

[21] DEBUYST, La notion de dangerosité, maladie infantile de la criminologie, in Criminologie 1984, 7 ss. che considerava la pericolosità sociale un «costrutto criminologico riconducibile alla affermazione di uno schema causale» (7 ss.) contrapposto al carattere multidisciplinare della criminologia (14 ss.). In senso analogo critiche autorevolissime erano state già sollevate nell’ambito del contesto italiano: sul punto cfr. Bertolino, Il “crimine” della pericolosità sociale: riflessioni da una riforma in corso, in Riv. it. med. leg. 2016, 1371 ss.; ritengono che «sul rifiuto della nozione stessa di pericolosità da parte degli psicopatologi forse vi è un accordo quasi plebiscitario» MERZAGORA BETSOS - MARTELLI, I cascami del Positivismo: ancora su ospedali psichiatrici giudiziari e pericolosità sociale, in Riv. it. med. leg. 2003, 1149 ss., 1152.

[22] Così, per tutti, FORNARI, Trattato, cit., 223. Nelle precedenti edizioni del trattato le considerazioni critiche dell’Autore erano limitate alla «nozione di pericolosità sociale psichiatrica», di cui era ritenuta «auspicabile» l’abolizione: cfr. Fornari, Trattato di psichiatria forense (1989), II ed., Torino, 1997, 158.

[23] COHEN, GROTH, SIEGEL, The Clinical Prediction of Dangerousness, in Crime and Delinquency, 1978, 28 ss., 38 s.

[24] Ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, proc. n.71/2010 R.G.M.S.D., ordinanza del 1.3.2012; in senso analogo cfr., tra le altre, Ufficio di sorveglianza di Messina, proc. n.2909/10 Reg. Es. Mis. Sic., ordinanza del 10.11.2011; Ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, proc. n.97/2009 R.G.M.S.D., ordinanza del 18.1.2012.

[25] Senato della Repubblica, XVI legislatura, Doc.XXII-bis n.4, Commissione Parlamentale di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale, Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, approvata dalla Commissione nella seduta del 20 luglio 2011, 6, in https://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/servizio_sanitario16/Relazione_OOPPGG_doc_XXII-bis_4.pdf (consultato il 13.2.2021).

[26] Sul punto SCHIAFFO, La riforma continua del «definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari: la tormentata vicenda legislativa dell’art.3-ter del d.l. n.211/2011, in Crit. dir. 2013, 44 ss.

[27] Cfr. supra paragrafo 5. 

[28] Esclude espressamente che la morale possa avere una «base scientifica razionale» POPPER, La società aperta e i suoi nemici. II. Hegel e Marx falsi profeti (1943, V ed. 1966), trad. it. di R. PAVETTO a cura di D. ANTISERI, Roma 1974, 313.

[29] Per tutti, sul punto, cfr. MOCCIA, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale (1995), II ed., Napoli, 1997, 15.

[30] In tal senso cfr., per tutti, PUGIOTTO, Dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari alla (possibile) eclissi della pena manicomiale, in www.costituzionalismo.it (3 luglio 2015), par.6 e Pelissero, Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza, cit., 921.

[31] Cfr. Corte costituzionale, sentenza 2-18 luglio 2003 n.253, punto 3 del “considerato in diritto”; sulla sentenza cfr., per tutti, MERZAGORA BETSOS - MARTELLI, I cascami, cit., 1149 ss.

[32] Cfr. http://www.ristretti.it/commenti/2013/luglio/pdf3/opg_statistiche.pdf (consultato il 13.2.2021) (elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica).

[33] Cfr. Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017), in http://www.camera.it/temiap/2017/02/28/OCD177-2763.pdf (consultato il 13.2.2021), 25.

[34] In tal senso cfr. anche Corte costituzionale, sentenza 24 giugno – 23 luglio 2015, n.186. 

[35] Sulla sentenza n.9163 dell’8.3.2005 delle SSUU penali della Corte suprema di Cassazione cfr. tra gli altri, FORNARI, I disturbi gravi di personalità rientrano nel concetto di infermità, in Cass. pen. 2006, 274 ss.; BERTOLINO, L’infermità mentale al vaglio delle Sezioni Unite, in Dir. pen. proc. 2005, 853 ss.; COLLICA, Anche i “disturbi della personalità” sono infermità, in Riv. it. dir. proc. pen. 2005, 420 ss.; sulla evoluzione giurisprudenziale precedente alla sentenza n.9163/2005 delle SS.UU. della Corte di Cassazione cfr. BERTOLINO, Dall’infermità di mente ai disturbi della personalità: evoluzione e/o involuzione della prassi giurisprudenziale in tema di vizio di mente, in Riv. it. med. leg. 2004, 508 ss., 511 ss. Aveva sostenuto un «modello riformista» della disciplina dell’imputabilità utile ad «ampliare le cause di esclusione, sino a ricomprendervi anche le nevrosi, le psicopatie, e, in genere, tutti quei disturbi della personalità senza una reale o supposta base organica» MANNA, L’imputabilità e nuovi modelli di sanzione. Dalle “finzioni giuridiche” alla “terapia sociale”, Torino 1997, 203

[36] Per tutti, cfr. FRANCES, Saving normal. An insider’s revolt against out-of-control psychiatric diagnosis, DSM-5, Big Pharma, and the medicalization of ordinary life, New York 2013, 77 ss., 138 ss. 

[37] V. supra paragrafo 4.

[38] Più in generale, in una prospettiva di riforma il «bisogno di terapia» era stato proposto quale presupposto per l’applicabilità di tutte le misure di sicurezza personali in luogo della pericolosità sociale da Manna, L’imputabilità, cit., 228 ss.

[39] Cfr. http://www.psichiatria.it/wp-content/uploads/2013/04/Ansa2.pdf (consultato il 13.2.2021)

[40] I dati aggiornati al 31 dicembre 2020 riferiscono di 53364 detenuti presenti: cfr. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST314822&previsiousPage=mg_1_14 (consultato il 13.2.2021)

[41] HARCOURT, From the asylum to the prison: rethinking the incarceration revolution, in Texas Law Review 2006, 1751 ss., 1755; Id., Reducing mass incarceration: lessons from the deinstitutionalization of mental hospitals in the 1960s, in Ohio State Journal of Criminal Law 2011, 53 ss., 58.