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Pubbl. Sab, 17 Apr 2021

Il commissariamento della sanità regionale: il caso Calabria

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Giuseppe Romeo
Praticante AvvocatoAlma mater studiorum - Università di Bologna



Nel corso degli ultimi mesi si è acceso un fervente dibattito pubblico sulla sanità calabrese, commissariata dal lontano 2010 e ancora affetta da patologiche disfunzioni. Partendo da una concisa descrizione dei modelli di affiancamento dello Stato alla sanità regionale, il contributo ripercorre le tappe del commissariamento della sanità calabrese. In particolare, si incentra l´attenzione sul recente ”decreto Calabria bis”, provvedimento imperniato sul rafforzamento dei poteri commissariali onde affrontare le perduranti criticità di tale sistema. Da ultimo, una disamina in termini economico-finanziari della gestione commissariale suggella i modesti risultati ottenuti con l´avocazione da parte dello Stato delle prerogative regionali nella programmazione del proprio servizio sanitario.


ENG In the last few months the situation of the regional health care system in Calabria - placed under State receivership since 2010 and still in crisis - has created a heated political debate. Starting with a brief account of the ways the Italian State supported the regional health system, the essay retraces the main stages of the receivership, focusing on the recently issued act ”decreto Calabria bis”, a measure aimed at strengthening the commissioners´ authority to address the persisting criticalities of this system. Lastly, the examination of the commissioners administration on an economic and financial basis will show the modest results of the State when it arrogates the regional prerogatives of healthcare service management.

Sommario: 1. Premessa; 2. Il fondamento normativo del commissariamento del servizio sanitario regionale; 3. L’anticamera del commissariamento della sanità regionale: i cd. piani di rientro dal deficit sanitario; 4. Breve excursus del combattuto commissariamento della sanità calabrese; 5. La nuova disciplina dettata dal decreto Calabria bis; 6. Dieci anni di gestione commissariale: i numeri; 7. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Il periodo di emergenza pandemica che stiamo vivendo inevitabilmente ha acceso i riflettori sulla gestione della sanità all’interno del nostro Paese. Quest’accresciuta attenzione ha contribuito a fare luce sui punti di forza e sulle criticità insite nel nostro sistema sanitario, colto di sprovvista (non il solo nel panorama mondiale) e aggredito dalla veemenza del virus. Ma della presenza di più insufficienze non sono stupiti gli operatori del settore, le cui grida di allarme sono rimaste inascoltate nel corso degli anni da chi di dovere[1].

Invero, negli ultimi dieci anni la sanità è stata gravata da continui tagli dettati da esigenze di finanza pubblica[2]. L’ultimo rapporto Ocse “Healt at Glance Europe 2020” posiziona l’Italia come fanalino di coda per quanto riguarda la spesa sanitaria in Europa, con un gap vertiginoso rispetto ad alcuni paesi come Francia e Germania. Purtuttavia, il nostro sistema sanitario si colloca in una posizione di assoluto rispetto nelle graduatorie internazionali e da decenni viene concepito quale modello da cui trarre ispirazione. Da questa latente contraddizione si desume l’elevata professionalità del personale sanitario e un’ossatura organizzativa in grado di reggere l’urto del taglio delle risorse [3].

Alle fine dello scorso anno si è avuto modo di parlare molto della fragilità del sistema sanitario regionale calabrese, benché commissariato da oltre dieci anni. La Calabria è stata una delle prime regioni di Italia a diventare zona rossa nel mese di novembre e ciò non per l’elevato numero di contagi quanto bensì per la penuria di posti letto disponibili in terapia intensiva[4].

Ciò che fortemente rammarica è che la condizione in cui versa oggi la sanità calabrese non è unicamente frutto della contingenza, ma un annoso problema strutturale[5].

Paradossalmente, l’attuale emergenza ha sortito il positivo effetto di far balzare agli onori della cronaca i vari grattacapi che ormai cronicamente attanagliano questo particolare segmento del welfare state.

2. Il fondamento normativo del commissariamento del servizio sanitario regionale

La riforma del titolo V della Costituzione ha affidato la tutela della salute alla legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost. Compete dunque allo Stato la determinazione dei principi fondamentali della materia, nel cui rispetto le Regioni programmano e gestiscono in piena autonomia la sanità nell’ambito territoriale di loro competenza, avvalendosi delle aziende sanitarie locali (Asl) e delle aziende ospedaliere.

Il quadro operativo appare, a prima vista, abbastanza limpido, se non fosse che il diritto alla salute contemplato dall’art. 32 Cost.[6] rientri nei diritti sociali la cui determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è di esclusiva competenza legislativa dello Stato, alla luce dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost., materia trasversale e difficilmente circoscrivibile in un preciso perimetro di intervento.

Il fumoso ambito applicativo dei predetti livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali accedenti alla tutela della salute, affiancato alla necessità di coniugare il contenimento della spesa con la garanzia del soddisfacimento degli standard minimi prestazionali, ha sospinto il legislatore nazionale ad approntare interventi normativi a vasto raggio, potenzialmente lesivi delle prerogative regionali.

Inevitabilmente, invero, questa prassi è stata foriera di un’aspra conflittualità tra Stato e Regioni e di conseguenti numerosi problemi interpretativi, della cui risoluzione è stata investita la Corte costituzionale[7], la quale, ancorché improntata ad un atteggiamento di self-restraint, ha, di regola, avallato le intrusioni della legislazione statale. La Corte sovente ha risolto questi conflitti aderendo ad un’interpretazione estensiva della materia “tutela della salute” e dei correlati principi fondamentali, ovvero, almeno agli inizi, inglobando nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in ordine ai LEA (livelli essenziali di assistenza) anche i profili più prettamente organizzativi[8].

Altresì, la Consulta ha dimostrato di valorizzare le esigenze finanziarie di contenimento della spesa sanitaria sottese all’imposizione di vincoli e limiti alle regioni[9]. Nel solco di questa impostazione, del resto, la Corte ha inserito la pretesa alle prestazioni sanitarie nel novero dei “diritti finanziariamente condizionati”, giacché «l’esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si è scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario»[10].

Ad ogni modo, rimane fermo che con la riforma del Titolo V vi è stata una netta estensione dei poteri regionali in materia, a fronte del previgente art. 117 Cost. che disegnava una competenza concorrente delle Regioni al più ristretto ambito dell’”assistenza sanitaria e ospedaliera[11]”. Questo ampio spazio in capo alle Regioni può essere esemplificato con il fatto che esse destinano alla sanità oltre l’80% del proprio budget[12].

Ciò posto, sorge un interrogativo. Visto che, alla luce degli artt. 117 e 118 Cost., esulano dalla competenza statale i profili più marcatamente organizzativi e gestionali della sanità regionale, la quale deve pur sempre rispettare i principi fondamentali posti dalla legislazione dello Stato, ove risiede il fondamento normativo che giustifica una tale ingerenza statale nella programmazione del servizio sanitario regionale?

Nulla quaestio in merito alla legittimità della sottoposizione delle regioni ai piani di rientro, la cui natura pattizia funge da schermo a qualsivoglia obiezione.

Il commissariamento, di converso, è imposto dallo Stato qualora, come testé affermato, la Regione non riesca a realizzare gli obiettivi fissati nel piano. Permane dunque l’interrogativo di come lo Stato, con questo assetto normativo, possa sostanzialmente esautorare i poteri della Regione sulla gestione del servizio sanitario regionale.

Tale potestà trae fondamento dall’art. 120 Cost., comma 2[13], norma che consente, in caso di emergenze istituzionali di particolare gravità, l’esercizio del potere sostitutivo straordinario del Governo con l’obiettivo di assicurare contemporaneamente l’unità economica della Repubblica e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute[14], di cui all’art. 32 Cost. Le concorrenti competenze regionali non risultano violate ma solo eccezionalmente e provvisoriamente contratte, a cagione della pregressa inerzia regionale.

Nondimeno, attesa la sua funzione di far progredire la spesa sanitaria in termini di efficienza, l’intervento è da ricondurre nell’ambito dei principi fondamentali della materia concorrente “coordinamento della finanza pubblica”, di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione[15].

L’avocazione delle funzioni regionali attraverso l’esercizio del potere sostitutivo, ad ogni modo, per non scadere in un’indebita intromissione, deve avvenire nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni[16].

3. L’anticamera del commissariamento della sanità regionale: i cd. piani di rientro dal deficit sanitario

L’istituzione dei piani di rientro è dovuta all’incapacità delle regioni italiane di non incorrere nell’indebitamento nella gestione del proprio servizio sanitario. Agli inizi degli anni Duemila il disavanzo complessivo accumulato era infatti pari ad oltre 40 miliardi di euro. Ad onor di cronaca, occorre evidenziare come poche responsabilità possano essere ascritte alle regioni settentrionali, dal momento che l’88% di tale passivo è stato generato dalle regioni centro-meridionali[17].

Lo Stato si è accorto tardivamente che l’indulgenza mostrata nei confronti degli sforamenti delle spese delle regioni più indisciplinate non fosse più sostenibile e che occorreva implementare degli strumenti innovativi per razionalizzare le spese e contenere il deficit[18].

L’art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha introdotto il cd. patto di stabilità interno, con cui le amministrazioni decentrate, nel quadro del federalismo fiscale, sono chiamate a prodigarsi onde realizzare gli obiettivi di finanza pubblica che il Paese ha adottato con l’adesione al patto di stabilità e crescita europeo, varato nel 1997. Per quel che più ci interessa, i commi da 10 a 12 del predetto articolo hanno iniziato a tipizzare le modalità di verifica dei disavanzi sanitari e, per la prima volta, si è cominciato a parlare di “interventi di rientro e di ripiano dal disavanzo sanitario regionale”.

In seguito, la disciplina dei piani di rientro si è evoluta in forza di disposizioni contenute nelle leggi finanziarie succedutesi nel tempo, le quali, spesso, a loro volta si limitavano a recepire ed a elevare a rango di legge patti e intese intercorsi tra Governo e Regioni[19].

La prima legge finanziaria che ha inciso sui piani di rientro è stata la legge finanziaria 2005[20] attraverso cui si è imposto alle regioni con un disavanzo pari o superiore al 7% di procedere alla ricognizione delle cause e di elaborare un programma operativo di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale (successivamente denominati piani di rientro) della durata massima di 3 anni e nel contempo di stipulare un accordo con i Ministri della salute e dell’economia concernente gli interventi necessari per riallinearsi alle esigenze della finanza pubblica. In difetto, alle regioni che non hanno sottoscritto l’accordo non sarebbe stato erogato il maggiore finanziamento per il ripianamento del disavanzo.

Un breve inciso. Finora nella narrazione sono state enucleate le ragioni più prettamente finanziarie che hanno portato alla nascita di questo peculiare strumento, ma, non si deve obliare che l’adozione dei piani di rientro è altresì sorretta dalla ratio di incentivare un razionale utilizzo delle risorse sì da offrire delle prestazioni quanto più soddisfacenti e garantire, in tal maniera, il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza.

Nel 2006 venne siglato il primo Patto per la salute tra il Governo e le Regioni e da allora il sostegno finanziario alle regioni in difficoltà è stato effettivamente subordinato alla previa sottoscrizione di un piano di rientro.

Nel 2007 furono ben sette le regioni (Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Molise, Sardegna, Sicilia) che siglarono i predetti accordi e furono sottoposte ai piani di rientro (la Calabria è entrata in questa cerchia solo nel 2009). Liguria e Sardegna sono riuscite ad uscire dal piano di rientro nel 2010, mentre il Piemonte lo è stato dal 2010 al 2017. Nel momento in cui si scrive sono in piano di rientro Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia, Sicilia. Tra queste, la sanità della Calabria e del Molise è attualmente commissariata.

Dai dati sopra riportati si può agevolmente desumere che, come nella migliore tradizione italiana, nonostante i piani di rientri siano stati concepiti come una soluzione temporanea ed eccezionale, vi sono regioni che soggiacciono a tale perdita di sovranità da oltre un decennio[21].

In ragione dell’ultimo assunto si spiega la ritrosia di alcune Regioni nei confronti di suddetti piani e, in risposta, il progressivo irrigidimento della disciplina positiva da parte del legislatore per evitare che le resistenze dell’amministrazioni territoriali potessero minare il proficuo esperimento dell’istituto[22].

La legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), conformemente a quanto previsto nel patto per la salute 2010, ha stabilito nuove importanti regole per i piani di rientro. Ha ridotto al 5% il livello di squilibrio economico (in precedenza fissato al 7%) oltre cui la regione interessata è tenuta a presentare un piano di rientro di durata non superiore al triennio, elaborato con l’ausilio di AIFA e AGENAS[23]. Successivamente l’approvazione regionale, il piano è valutato dai tavoli tecnici di monitoraggio (Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e Comitato LEA), a cui partecipano rappresentanti dei ministeri competenti (rispettivamente MEF e Ministero della salute), delle regioni e della Conferenza Stato - Regioni. Il Governo, ricevuto il parere del Comitato (o anche in mancanza di esso), esamina e approva definitivamente il piano, che acquista immediatamente efficacia ed è esecutivo per la Regione.

4. Breve excursus del combattuto commissariamento della sanità calabrese

Il commissariamento della sanità è una tappa meramente eventuale, introdotta dal legislatore con la legge finanziaria 2007, laddove gli adempimenti previsti dal piano non fossero stati sufficientemente rispettati dalle Regioni ovvero qualora la Regione non fosse riuscita a presentare il piano. L’operato del commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del piano di rientro previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all’esito di una protratta inerzia degli organi regionali, sottrattasi ad un’attività imposta dalle esigenze di finanza pubblica. Più precisamente, ove all'esito delle verifiche dei tavoli di monitoraggio emerga il perdurare dell’inadempienza di una regione al piano di rientro sia sotto il profilo economico-finanziario che di erogazione dei livelli essenziali di assistenza, il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro dell’economia e delle finanze (di concerto con il Ministero della salute e sentito il ministro per i rapporti con le Regioni), in attuazione del secondo comma dell’art. 120 della Costituzione, nomina un commissario "ad acta" per l’intera durata del piano di rientro. Alla luce di quanto testé riportato, traspare chiaramente la natura sanzionatoria del commissariamento in questione[24].

La Regione viene privata della sua potestà, sancita nella nostra Carta costituzionale, in ordine agli obbiettivi enucleati esplicitamente nel mandato commissariale e in ciò si estrinseca, pertanto, l’extrema solutio attivabile dallo Stato a presidio dell’equilibrio di bilancio sanitario[25].

La storia del commissariamento in Calabria ha radici profonde. Come poc’anzi accennato, la Calabria ha concluso l’accordo con i Ministri della salute e dell’economia nel lontano dicembre 2009 e, dopo neanche otto mesi, nel mese di luglio 2010, è stata attivata la procedura per il commissariamento.

Il primo commissario nominato fu l’allora governatore della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti. Questa confluenza di cariche tra commissario ad acta e presidente della Giunta regionale è stata oggetto di più ripensamenti per il legislatore, il quale ne ha dapprima sancito l’incompatibilità nel 2015, susseguentemente abrogata nel 2016 e ripristinata nel 2018. Da ultimo, sulla norma si è abbattuta la scure della Corte costituzionale con la pronuncia n. 247/2019[26].

Nel marzo 2015 è divenuto commissario l’ing. Massimo Scura, dopo una breve parentesi di qualche mese con al comando il generale Luciano Pezzi. All’ing. Massimo Scura è succeduto nel 2018 il generale Saverio Cotticelli, recentemente dimessosi. Attualmente al vertice della sanità calabrese si trova il prefetto Guido Longo, nominato pochi mesi fa a conclusione del “valzer dei commissari della sanità calabrese[27]”. Nell’assolvimento delle sue funzioni il commissario ad acta si avvale del supporto di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), del Corpo della Guardia di finanza e di altri soggetti ed istituzioni. Si suole affiancare al Commissario uno o più sub-commissari.

Negli ultimi due anni sono stati approvati due decreti-legge, pubblicizzati giornalisticamente decreto Calabria[28] e decreto Calabria Bis[29], quest’ultimo emanato lo scorso 10 novembre. Ambedue i decreti sono volti ad un’estensione dei poteri commissariali e all’irrigidimento, di conseguenza, del modello commissariale, ragion per cui autorevole dottrina ha coniato a riguardo l’espressione “commissariamento di seconda generazione[30]”.

Ancorché le esperienze commissariali delle altre regioni ci abbiano fatto sovente assistere a conflittualità tra Regione commissariata e Stato[31], mai fino ad ora tali ostilità si erano innescate nei rapporti tra gli organi politici territoriali e commissario. Questa litigiosità delle istituzioni, senza ombra di dubbio, è il tratto caratteristico del commissariamento della sanità calabrese[32], conflittualità che si pone agli antipodi con la cooperazione tra le distinte amministrazioni pubbliche perorata dal principio di leale collaborazione.

Paradigmatico di questo conflitto è il tentativo, arrestato in sede giurisdizionale[33], del Commissario di esautorare il Dipartimento regionale competente.

Il legislatore, riconoscendo poteri ancora più forti al commissario, si è dimostrato sensibile alle sollecitazioni provenienti dal giudice delle leggi. 

La Consulta ha costantemente presidiato il perimetro applicativo del Commissario dalle ingerenze delle Regioni[34]. Sulla scia di tale impostazione, la Corte costituzionale postula che la Regione debba esimersi non solo da disposizioni direttamente lesive delle prerogative commissariali ma che debba ritenersi anticipata la soglia di protezione financo alle interferenze meramente potenziali dei poteri del Commissario[35].

Tali impostazioni sono già di per sé sintomatiche del favor della giurisprudenza costituzionale per il riconoscimento di un ampio e libero spazio d’azione della struttura commissariale[36]. Ma la Corte si è spinta anche oltre. Nella pronuncia n. 118 del 2018, stigmatizzando l’insoddisfacente andamento a rilento del commissariamento campano, la Corte ha velatamente caldeggiato una più netta demarcazione delle competenze a favore del commissario ad acta. Indirizzo accolto l’anno seguente, però nell’ambito del commissariamento della sanità calabrese.

5. La nuova disciplina dettata dal decreto Calabria bis

Da quanto esaminato finora sono emerse le direttrici su cui si è mosso il legislatore nella stesura dei recenti decreti Calabria.

Ora, entrando più nel dettaglio, analizziamo le più stringenti misure approntate dal recente d.l. 150/2020 (convertito, con modificazioni, dalla L. 181/2020) per porre rimedio, nel prossimo biennio, alla situazione di grave criticità determinata dal prolungato mancato riequilibrio economico-finanziario del sistema sanitario calabrese. Decreto che si è reso necessario in virtù dello scadere dei 18 mesi di efficacia del d.l. 35/2019.

Preme specificare che il secondo ed ultimo capo (artt. 8-10) del decreto in esame non attiene al commissariamento della sanità calabrese, bensì detta “disposizioni urgenti per il rinnovo degli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario”. Chiaramente non sarà oggetto di trattazione nel presente elaborato.

Il primo articolo, rubricato “Commissario ad acta e supporto alla struttura commissariale”, si preoccupa di allestire una squadra che possa adeguatamente coadiuvare il commissario nello svolgimento del suo gravoso compito. Nello specifico, si prevede: un contingente minimo di personale di 25 unità, dotato di adeguata esperienza professionale, messo a disposizione da parte della regione Calabria; uno o più sub-commissari, nel numero massimo di tre; il supporto dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), la quale fornisce supporto tecnico e operativo; che in via eccezionale, anche in relazione all’emergenza epidemiologica da covid-19, il commissario possa attuare un piano straordinario per l’assunzione di personale medico, nei limiti della spesa di € 12 milioni annui.

Anche il decreto Calabria bis, come il previgente d.l. 35/2019, attribuisce al commissario la facoltà di nominare dei commissari straordinari da insediare alla guida delle aziende sanitarie e ospedaliere calabresi. Mentre nel primo decreto Calabria tale nomina richiedeva una preventiva verifica straordinaria sui direttori generali, terminata con esito negativo, alla luce dell’art. 2 dell’ultimo decreto la sostituzione degli apicali in oggetto è totalmente affidata alla discrezionalità del Commissario ad acta e deve essere effettuata entro il termine di 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, previa intesa con la Regione riguardo l’individuazione del soggetto da nominare. Inoltre, il succitato art. 2 ha tratteggiato un procedimento alternativo che conduce alla nomina dei commissari straordinari individuati dal Commissario ad acta in forza di un decreto del ministro della sanità, laddove, appunto, non si riesca ad addivenire ad un accordo sui nomi con la Regione entro il termine di 10 giorni.

Permane in capo al commissario ad acta la possibilità di poter revocare l’incarico ai commissari straordinari, salvo che intervenga una valutazione negativa ad esito delle verifiche periodicamente disposte (almeno ogni tre mesi) sul loro operato[37].

Entro 90 giorni dalla nomina, alla luce del predetto art. 2, quarto comma, i commissari straordinari sono tenuti ad adottare gli atti aziendali di organizzazione e funzionamento delle strutture operative e ad approvare i bilanci aziendali relativi agli esercizi già conclusi. Allorché non riescano a soddisfare questi adempimenti, tale incombenza spetta dapprima al commissario ad acta e, in caso di ulteriore inadempimento, al ministro della Salute.

L’art. 3 del d.l. in questione ripropone disposizioni transitorie in materia di appalti, servizi e forniture per gli enti del servizio sanitario e di edilizia sanitaria. È devoluto in via esclusiva l’espletamento delle procedure di approvvigionamento, tramite l’affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alla soglia di rilevanza comunitaria, al commissario ad acta, il quale a tal fine si avvale degli strumenti messi a disposizione da Consip Spa. Agli appalti di valore inferiore alla soglia comunitaria provvedono i commissari straordinari, restando fermo il potere di avocazione o sostituzione in capo al commissario ad acta in ordine al singolo affidamento.

Il comma 2 del medesimo articolo pone il termine di 60 giorni per la predisposizione del piano triennale straordinario di edilizia sanitaria e di 30 giorni per l’adozione del programma operativo per la gestione dell’emergenza da covid-19. Nonostante i succitati termini risultano abbondantemente spirati, entrambi i provvedimenti allo stato attuale non sono stati ancora emanati, sicché la Calabria, a più di un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, ancora non dispone di un apposito piano organico per affrontare l’emergenza sanitaria in corso.

Il d.l. 150/2020, così come il primo decreto Calabria, cerca di fronteggiare il fenomeno mafioso con l’istituto dello scioglimento per infiltrazione mafiosa, mutuato dagli artt. 143, 144, 145, 146 del d. lgs. n. 267/2000 (TUEL), attivabile nei confronti di singoli enti o aziende del servizio sanitario della Regione Calabria e disposto con decreto del Presidente della Repubblica.

Lo scioglimento contemplato dai suddetti articoli, richiamato nell’art. 4 dell’esaminato decreto, ricorre laddove emergano concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti, diretti o indiretti, con la criminalità organizzata degli amministratori, o comunque delle forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni.

Contestualmente al decreto di scioglimento viene nominata una commissione straordinaria (composta da tre membri) per la gestione dell’ente o dell’azienda, la quale esercita le attribuzioni conferite con lo stesso decreto.

Attualmente sono commissariate per infiltrazioni mafiose le aziende sanitarie provinciali di Reggio Calabria e di Catanzaro. Le relazioni del ministero degli Interni e della prefettura di Reggio Calabria[38], propedeutiche allo scioglimento dell’Asp di Reggio Calabria, attestano il vero e proprio “caos organizzativo e gestionale” nel quale versa l’ente, in cui non si approva il bilancio dal lontano 2013[39].

Oltre al personale che la regione Calabria è tenuta a mettere a disposizione del commissario ad acta, quest’ultimo, per lo svolgimento delle proprie funzioni, può avvalersi del Corpo della Guardia di finanza, al fine di espletare attività volte alla prevenzione, ricerca e denunzia delle violazioni finanziarie lesive dell’attuazione del piano di rientro. Altresì, può servirsi della collaborazione dell’Agenzia delle entrate[40].

Onde poter sostenere economicamente il processo di potenziamento del servizio sanitario calabrese, l’art. 6 dispone l’accontamento della cifra di € 60 milioni, previa approvazione del programma operativo di prosecuzione del piano di rientro per il periodo 2022-2023 e la sottoscrizione di uno specifico accordo, tra lo Stato e le Regioni, inerente alle modalità di erogazione della predetta somma.

Infine, l’arco temporale di vigenza delle predette disposizioni è fissato, da parte dell’art. 7, nel massimo di 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a meno che si riescano a raggiungere gli obiettivi fissati nel piano di rientro in minor tempo ovvero che l’atto normativo venga prima caducato dalla Corte costituzionale.

Invero, la regione Calabria ha impugnato in via principale dinnanzi alla Consulta il d.l. 150/2020 e la relativa legge di conversione n. 181/2020. Secondo l’ente territoriale, da quasi tutte le norme del provvedimento legislativo gravato emergono dei patenti “profili di lesività in pregiudizio della sfera di attribuzioni legislative, finanziarie ed amministrative della Regione Calabria costituzionalmente garantite[41]”. Vedremo se la Consulta ravviserà la fondatezza di tali doglianze o se darà seguito al suo orientamento protettivo del commissariamento della sanità regionale. Senza voler avventurarci in un’improvvida previsione, occorre solamente dare il giusto rilievo al fatto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 233/2019, abbia già salvato il primo decreto Calabria dalle obiezioni sollevate dall’amministrazione regionale.

6. Dieci anni di gestione commissariale: i numeri

Non resta che esaminare i risultati della prolungata gestione statale della sanità calabrese in termini economico-finanziari[42].

La Calabria è l’unica regione sottoposta a piano di rientro che non abbia ottenuto sensibili miglioramenti tanto nella somministrazione dei LEA quanto in termini di riduzione del deficit sanitario, sebbene da oramai un decennio sia stata financo assoggettata al più stringente regime di affiancamento statale. Pertanto, questa Regione è l’unica nota dolente in un panorama di generale razionalizzazione della spesa e di accresciuta appropriatezza dei servizi conseguita a fronte dell’implementazione dei piani di rientro[43].

In dieci anni di sottoposizione al piano di rientro, il deficit sanitario è stato ridotto di soli € 6,2 milioni. Difatti, da un disavanzo che nel 2009 ammontava a circa € 104,304 mln si è passati ad un debito di € 98,013 mln. Questo amaro dato è stato svelato dalla sezione di controllo per la Regione Calabria nella relazione per il rendiconto generale per l’esercizio finanziario 2019, nella quale i giudici contabili hanno utilizzato toni molti duri per stigmatizzare l’operato congiunto della Regione e dello Stato.

Ad eccezione della Azienda ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria, tutte le ASP e le AO chiudono il 2019 in perdita. Complessivamente, le perdite di esercizio degli enti del SSR superano, prima delle coperture regionali, i € 223 mln.

In aggiunta, cospicua è la quantificazione dei debiti scaduti verso i fornitori degli enti del servizio sanitario regionale, approssimativamente sui € 604 mln, a cui andranno aggiunti gli interessi di mora che con il tempo matureranno[44]. Tutte le aziende del servizio sanitario non rispettano le tempistiche della direttiva europea sui tempi di pagamento[45], andando dai due giorni di ritardo, di media, dell’azienda ospedaliera di Cosenza agli 822 giorni dell’azienda ospedaliera universitaria Mater Domini di Catanzaro.

A ciò vanno sommate le spese correnti: benché gli enti siano sottoposti ai vincoli economici del piano, i costi per l’acquisto di beni e servizi continuano irrefrenabilmente a crescere e, a fine 2019, ammontano ad € 1,247 mld, in aumento ogni anno di circa € 21 mln.

Ultima voce che influisce pesantemente sulle casse regionali è la cd. mobilità passiva. Con tale locuzione si intende la cifra, pari nel 2018 a € 286,575 mln, da corrispondere in compensazione di prestazioni erogate in favore dei propri abitanti dai sistemi sanitari di altre regioni.

Peraltro, ancorché il SSR ancora stenti ad offrire uno standard prestazionale adeguato, i cittadini calabresi durante l’arco di questi dieci anni sono stati assoggettati ad una pesante tassazione per finanziare la propria sanità, con aumento dell’IRAP e dell’IRPEF, né tale oppressione fiscale sembra destinata a cessare nell’immediato. Dai dati emersi dai tavoli di monitoraggio[46] emerge che anche per il 2020 si profila un disavanzo all’incirca di € 113 milioni, non coerente con le coperture previste dal piano di rientro (approssimativamente sui € 100 milioni), con il corollario che, ai sensi dell’assetto normativo vigente, scatterebbero pure nel 2021 gli aumenti di imposta delle aliquote fiscali dello 0,15% e dello 0,30%, rispettivamente di Irap e addizionale regionale all’Irpef, oltreché il blocco del bilancio regionale fino all’anno successivo a quello di verifica.

7. Considerazioni conclusive

I dati testé riportati asseverano gli scarsi risultati ottenuti tramite l’esercizio del potere sostitutivo statale nell’ambito del commissariamento della sanità calabrese. Dal lungo periodo di commissariamento non hanno tratto grande beneficio né le casse del servizio sanitario né i cittadini calabresi in termini di ricezione dei livelli essenziali di assistenza[47].

Solo il tempo ci dirà se il rafforzamento dei poteri della struttura commissariale prodotto dal recente decreto riuscirà concretamente ad imprimere una svolta qualitativa nella gestione del sistema sanitario della Regione Calabria.

A tal fine, si auspica che il neo commissario e la Regione riescano ad instaurare una cordiale e proficua collaborazione, improntata al reciproco riconoscimento istituzionale, capace in prima battuta di fronteggiare nel migliore dei modi l’emergenza pandemica in corso e, altresì, di gettare solide basi per la rinascita della sanità calabrese.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Tra le varie voci contrarie ai massicci tagli governativi perpetrati a scapito del Servizio sanitario nazionale si è distinta l’ostinata opposizione effettuata dalla fondazione Gimbe, ente senza fini di lucro avente lo scopo di favorire la diffusione e l’applicazione delle migliori evidenze scientifiche con attività indipendenti di ricerca, formazione e informazione scientifica.

[2] Per approfondimenti sul tema v. Fondazione Gimbe, Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale, Report Osservatorio Gimbe n. 7 / 2019.

[3] Per una fotografia dello stato di salute del nostro Servizio sanitario nazionale prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, v. Ufficio parlamentare di bilancio, Lo stato della sanità in Italia, Focus tematico n. 6 / 2 dicembre 2019.

[4] Come si evince dal "Documento di riordino della Rete Ospedaliera in Emergenza Covid-19”, allegato al DCA n. 91 del 18 giugno 2020, emanato in attuazione dell’art. 2 del d.l. 34/2020, la regione Calabria aveva in dotazione, fino a quella data, 146 posti letto di terapia intensiva. Con detto provvedimento si era disposto l’incremento di 134 posti letto in terapia intensiva. In realtà, un’indagine del quotidiano il “Sole 24 Ore”, ha svelato che al 26.10.2020 erano stati realizzati solamente altri 6 posti letto di terapia intensiva in tutta la regione.

[5] In base al “Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA”, documento relativo all’anno 2018 e realizzato dall’Ufficio VI della Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute, la regione Calabria si è attestata dal 2010 al 2017 al di sotto dei valori accettabili nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Solamente nel 2018, con un notevole balzo in avanti rispetto all’anno precedente, si è raggiunto un punteggio adeguato, seppur una successiva analisi, effettuata con l’innovativo metodo CORE-NSG, abbia riqualificato il risultato in termini negativi. Al versante delle criticità finanziarie è dedicato un apposito paragrafo nel prosieguo dell’elaborato.

[6] Il primo comma dell’art. 32 Cost. testualmente recita «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».

[7] Per un approfondimento sull’atteggiamento della Corte cost. nei conflitti di attribuzione Stato-Regioni C. TUBERTINI., La giurisprudenza costituzionale in materia di tutela della salute di fronte alla nuova delimitazione delle competenze statali e regionali, (Intervento all’Incontro del Gruppo S. Martino su: «L’immagine ed il luogo dell’Amministrazione nelle sentenze della Corte Costituzionale successive alla riforma del Titolo V», Perugia, 10-11 novembre 2005), in www.astrid-online.it, 21 ss.

[8] F. SAITTA, Autonomie territoriali e governo della sanità, in Ist. Federalismo, 2018, 3-4, 806.

[9] Ex multis Corte cost. sent. n. 36 del 2005.

[10] Corte cost. sent. n. 111 del 2005.

[11] Sul punto, si veda Corte cost. sent. n. 270 del 2005.

[12] Corte dei Conti (2017), Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni, Roma, Corte dei Conti – Sezione delle autonomie. 

[13] Per un approfondimento del potere sostitutivo straordinario del Governo si rinvia, tra i tanti, a A. DE MICHELE, L’art. 120 della Costituzione e il suo ruolo nella riforma del Titolo V, in Ist. Federalismo, 5, 2008, 623-696; C. AMATO, Poteri sostitutivi ex art. 120 Cost: presupposti, titolarità, forme e modalità d’esercizio, in Studium iuris, 2009, 1, 14-22.

[14] Cfr. Corte cost. sent. n. 14 del 2017.

[15] Corte cost. sent. n. 233 del 2019.

[16] A. DE MICHELE, op.cit, 627.

[17] F. TOTH, Le politiche sanitarie: un gioco strategico, in G. Capano – A. Natalini (a cura di), Le politiche pubbliche in Italia, Bologna, il Mulino, 2018, 147 – 162.

[18] F. TOTH, op.cit

[19] Per una disamina analitica in merito alla gestione su base pattizia, tra i diversi livelli di governo coinvolti, che ha portato all’adozione in campo sanitario del metodo di regolazione e di governance definito intergovernmental method si rinvia a F. PALUMBO, La storia dei Patti per la Salute. La via italiana all’intergovernmental method (Prima e Seconda parte), in quotidianosanità.it, 2018.

[20] L. 30 dicembre 2004, n. 311.

[21] Così F. TOTH, op.cit.

[22] Sul punto si consiglia la lettura di D. Paris, Il Titolo V alla prova dei piani di rientro: delegificazione dei principi fondamentali e asimmetria fra Stato e Regioni nel rispetto delle procedure di leale collaborazione, in Le Regioni, 2014, 203-226.

[23] Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS).

[24] D. D’AMICO, Il commissariamento della sanità regionale, in www.ildirittoamministrativo.it, STUDI 2020.

[25] La fonte normativa del commissariamento della sanità regionale è, precisamente, l’art. 4, comma 2, del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, nella L. 29 novembre 2007, n. 222.

[26] La Corte ha censurato la norma impugnata poiché del tutto eccentrica rispetto alla materia del decreto che stava convertendo, sicché il vaglio della Corte non ha involto le ragioni più prettamente inerenti al riparto delle competenze tra Stato e Regioni.

[27] Ha del grottesco quello che è accaduto lo scorso novembre nel pieno della “seconda ondata” di contagi da Covid-19. Si riporta una sintetica cronistoria:

-        6 novembre: la trasmissione televisiva di Rai 3 “Titolo Quinto” manda in onda l’intervista all’allora commissario della sanità calabrese Saverio Cotticelli, in cui sembra che il Commissario non avesse contezza di essere il soggetto preposto alla predisposizione del piano operativo Covid;

-        7 novembre: dopo aver avuto un confronto con il ministro della Salute Roberto Speranza, il generale Cotticelli rassegna le dimissioni. Nel medesimo giorno, con una decisione lampo, in CdM viene nominato il dott. Giuseppe Zuccatelli come nuovo commissario;

-        11 novembre: comincia a circolare incessantemente la voce che Gino Strada, medico e fondatore di Emergency, prenderà il posto del neonominato Zuccatelli. Quest’ultimo pagherebbe lo scetticismo pubblico ingenerato dalla diffusione di un antico video in cui manifesta la sua contrarietà sull’efficacia protettiva delle mascherine;

-        16 novembre: Zuccatelli si dimette dall’incarico; nel pomeriggio viene affidato l’incarico al professor Eugenio Gaudio, magnifico rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma;

-        17 novembre: anche Gaudio lascia l’incarico, adducendo contrarietà della moglie a trasferirsi a Catanzaro.

-        27 novembre: finalmente si colma la vacanza del posto con la nomina a capo dell’ufficio commissariale del prefetto Guido Longo.

[28] D. l. 30 aprile 2019, n. 35, poi convertito in legge dalla L. n. 60/2019.

[29] D.l. 10 novembre 2020, n.150, convertito in legge dalla L. 30 dicembre 2020, n. 181.

[30]S. Villamena, Il Commissariamento della sanità regionale. Conflittualità ed approdi recenti anche con riferimento al c.d. decreto Calabria, in Federalismi.it. 2019, Osservatorio di diritto sanitario, 6.

[31] Ultimo esempio è la dura lettera, resa pubblica postuma, con cui Jole Santelli, già Presidente della Regione deceduta lo scorso 15 ottobre per le conseguenze di un tumore, ha esternato il suo dissenso all’allora Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, in merito al nuovo commissariamento della sanità calabrese. Si riporta un breve ed eloquente passaggio: «Siamo vittime da anni di un commissariamento governativo che, improntato esclusivamente a logiche meramente ragionieristiche, ha distrutto la Sanità calabrese. In questo le responsabilità politiche devono essere chiare e nette. Tutte le scelte sanitarie competono in Calabria al governo ed ai suoi commissari. Sono stata attenta ad evitare lo scontro istituzionale, non credo faccia bene a nessuno, ma chi decide di commissariare e di effettuare le scelte, poi deve avere il coraggio di assumersi la responsabilità che ne conseguono».

[32] S. Villamena, op. cit., 13.

[33] Con la sent. n. 1009 del 2018 il TAR Calabria ha annullato un provvedimento del commissario che, di fatto, esautorava dai propri compiti istituzionali il Dipartimento regionale competente a favore dell’AGENAS. Il Tribunale ha reputato illegittimo questo conferimento di funzioni in quanto aveva devoluto all’AGENAS, dietro corrispettivo, un’attività che era già istituzionalmente tenuta a esplicare, talché si era ingenerata un’inutile duplicazione di spese.

[34] Ad es. si veda Corte cost. n. 78 del 2011; Corte cost. n. 110 del 2014.

[35] Ex plurimis Corte cost. sent. n. 190 del 2017.

[36] S. Villamena, op.cit, 7.

[37] Art. 2, comma 6, d.l. 10 novembre 2020, n. 150.

[38]Relazione del ministro dell’Interno e del prefetto di Reggio Calabria allegate al decreto del Presidente della Repubblica 11 marzo 2018 (recante “Scioglimento dell’organo di direzione generale dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria”).

[39] Al fine di verificare la sussistenza di fenomeni di condizionamento e di infiltrazione delle consorterie locali nelle attività gestionali dell’Azienda sanitaria provinciale, il prefetto di Reggio Calabria ha disposto l’accesso di una commissione investigativa, ai sensi degli articoli 143 e 146 del d.lgs n.267/2000, per gli accertamenti di rito. Nel corso di tali indagini, come riportato nelle predette relazioni del prefetto di Reggio Calabria e del ministro degli Interni, la commissione investigativa ha appurato la disinvoltura con cui l’organizzazione criminale riesce a collocare propri uomini all’interno degli apparati istituzionali, soprattutto nei ruoli connotati dalla diretta gestione di risorse finanziarie, testimoniata dalla fitta ed intricata rete di rapporti di parentela, affinità o frequentazione che legano persone affiliate alle cosche a numerosi soggetti che lavorano alle dipendenze dell’azienda. Per quanto concerne la concreta distrazione di denaro pubblico, le attività investigative hanno disvelato la costante incuranza della azienda nell’esigere le prescritte certificazioni antimafia prima di stipulare contratti con imprese, poi effettivamente rivelatesi in stato di amministrazione giudiziaria o già destinatarie di informative interdittive, nonché l’inflazionato (e il più delle volte illegittimo) ricorso allo strumento dell’affidamento diretto.

[40] Art. 5 del d.l. 10 novembre 2020, n. 150.

[41] Ricorso per legittimità costituzionale n.9 del 26 febbraio 2021.

[42] I seguenti dati sono stati raccolti dalla Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Calabria nell’ambito del giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Calabria per l’esercizio finanziario 2019.

[43] L’analisi compiuta da M. BORDIGNON, S. CORETTI, G. TURATI, I Piani di Rientro della sanità regionale: quali risultati finora?, Osservatorio CPI, 2019, certifica la storia di successo dei piani di rientro. Secondo lo studio condotto dai predetti autori, appunto, tra le regioni sottoposte ai piani di rientro solo la regione Calabria ha ottenuto dei modesti risultati.

[44] Più precisamente, le aziende sanitarie calabresi hanno corrisposto per interessi e spese legali, negli esercizi 2018 e 2019, rispettivamente la somma di oltre € 23 mln e di oltre € 32 mln.

[45] Direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

[46] Nello specifico, dal verbale della riunione congiunta del 8-9 Ottobre 2020 del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza.

[47] In base all’ultimo monitoraggio dei LEA secondo l’innovativo sistema CORE-NSG (introdotto dal D.M. 12 marzo 2019), la regione Calabria anche nel 2018, (ultimo anno di rilevazione) ha raggiunto punteggi inferiori al valore soglia su due indicatori su tre, ossia l’area distrettuale e l’area ospedaliera, mentre ha ottenuto la sufficienza in merito all’area prevenzione. Per ulteriori approfondimenti si consulti il portale LEA sul sito istituzionale del Ministero della Salute.