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Pubbl. Gio, 27 Ago 2015

Jeremy Bentham (1748-1832)

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Editoriale a cura di


I grandi giuristi del passato


Filosofo e giurista inglese, ha promosso lo sviluppo dei diritti degli animali e dell'ideale utilitarista: secondo Benthan infatti, è bene tutto ciò che aumenta la felicità di qualsiasi essere sensibile.  

« Preoccupazione del legislatore deve essere il bene della collettività: “l’utilità generale” deve costituire il criterio orientativo in materia di legislazione. Conoscere il bene che giovi agli interessi della comunità, è scienza; ricercare i mezzi per realizzare questo bene, è arte. » (Jeremy Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, 1789)

Il pensiero

(fonte WIKIPEDIA)

La consapevolezza degli squilibri socio-economici, causati dallo sviluppo industriale dell'Inghilterra della seconda metà del settecento, trovò espressione in Bentham come in altri nella dottrina dell'utilitarismo. Bentham è considerato l'iniziatore di questa corrente di pensiero proprio per le sue riforme alla legislazione britannica. Nel 1789 pubblica la sua opera principale Introduzione ai princìpi della morale e della legislazione. Bentham riformula il principio della «massima felicità per il massimo numero di persone» degli illuministi (Cesare Beccaria, Helvétius, Hutcheson). Se la morale vuole diventare una scienza deve basarsi sui fatti (come nel positivismo) e non su astratti valori, infatti la felicità, di cui sopra, non è altro che il piacere. Nell'etica utilitaristica la "felicità pubblica" si pone quale valore sommo. Piacere e dolore sono fatti quantificabili così da poter essere assunti come criterio dell'agire. Bentham formula un'algebra morale cioè un calcolo quantitativo che ci permetta di conoscere le conseguenze dell'agire quantificando la felicità prodotta indirizzandoci verso azioni che massimizzino il piacere e minimizzino il dolore. Le buone azioni saranno quindi le azioni che promuovono la felicità non solo per il singolo ma anche per la collettività, viceversa le cattive azioni ostacolano la felicità. Se quindi la ricerca del piacere, del singolo, è ben indirizzata promuoverà la felicità di tutti, per cui egoismo e altruismo tendono a confondersi.

Forte di questa teoria, Bentham, non ritiene valida l'ipotesi contrattualistica del giusnaturalismo, alla base dello Stato non vi è alcun contratto sociale ma una necessità utilitaria di promuovere collettivamente la felicità, il piacere di tutti. Le leggi avranno così il compito di incoraggiare le azioni buone (cioè che promuovono l'utile) e di impedire e sanzionare quelle che ostacolano il bene comune.

Dopo un'affermazione filosofica dei diritti umani nel settecento, essi subiscono alcuni attacchi teorici, tra cui le tesi portate avanti da Jeremy Bentham che sviluppa una duplice critica, sul piano politico e giuridico. Sul piano politico, il giurista inglese sostiene che i diritti umani nascono come strumento di tutela per le libertà individuali nei confronti del potere politico, ma allo stesso tempo, limitano così l'azione di quest'ultimo, finendo per indebolirlo e lasciando l'individuo privo di sicurezza, una sicurezza che solo il potere politico è in grado di garantire. Sul piano giuridico Bentham va sostenendo l'infondatezza giuridica dei diritti umani; secondo la sua visione, essendo i diritti naturali intrinsecamente collegati alla natura dell'uomo, essi non posseggono dignità giuridica, ma esprimono esclusivamente pretese morali.