La violazione del diritto europeo come ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale
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Vincenzo Visone
Il presente lavoro opera una disamina storico-processuale del ricorso in Cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione delle sentenze del Giudice amministrativo. Tale analisi involge aspetti di sistematica processuale, avente riverberi sull’attuale predisposizione dualistica della giurisdizione, nonché interessante il rapporto con l’ordinamento comunitario ed europeo. Al contempo, si è inteso concedere ampio spazio al tema del bilanciamento tra il valore del giudicato e l’effettività del diritto europeo. In via ulteriore, è stata esaminata una recente ordinanza della Suprema Corte con la quale è stata rimessa questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia inerente all’esegesi resa in ultimo dalla Consulta dell’art. 111, comma 8 della Costituzione.
Sommario: 1. L’eccesso di potere giurisdizionale: storia ed evoluzione - 2. Il determinante discernimento tra giurisdizione e tutela giurisdizionale - 2.1. L’apparente nettezza del confine tra potere esecutivo e giurisdizionale - 3. Il diniego di giustizia - 3.1. La casistica giurisprudenziale - 3.2. Il portato assiologico e l’intima contraddittorietà della sentenza della Corte di Cassazione n. 13659 del 2009 in combinato con la discutibile arrogazione da parte del giudice della giurisdizione del ruolo di esclusivo garante dei “diritti fondamentali” - 4. Il ruolo della Consulta nella disciplina del complesso coniugio del diritto interno e ordinamento sovranazionale - 4.1. Le risultanze sistemiche e giusprocessualistiche del vaglio della Corte Costituzionale dell’ampiezza (e dei confini) del ricorso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione - 5. La recente ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19598/2020 - 5.1. Quid iuris se fosse la Cassazione ad obliare e/o violare principi e norme del diritto comunitario?- 6. Violazione del diritto europeo: il necessario discrimen da esperire tra diritto comunitario e convenzionale - 7. L’amletico dilemma tra il salvaguardare il principio di certezza del diritto oppure garantire piena effettività all’ordito normativo comunitario - 8. Conclusioni. Verso un “eccesso di giurisdizione comunitario”, il salto nel vuoto delle Sezioni Unite e il colpevole silenzio del legislatore
1. L’eccesso di potere giurisdizionale: storia ed evoluzione
Il contenuto e i limiti del sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato è una problematica che divide da sempre la dottrina, la giurisprudenza amministrativa e la giurisprudenza ordinaria, anche a cagione delle plurime fonti normative che si sono succedute nel tempo e che prima facie non appaiono pienamente sovrapponibili tra loro.
Proprio quanto appena affermato sembra essere il punto da cui muovere per condurre un’analisi che non sia orfana di referenti normativi e disancorata dal diritto positivo.
L’esegesi ermeneutica dell’eccesso di potere giurisdizionale deve confrontarsi necessariamente con le norme di rango costituzionale e di rango ordinario per pervenire ad una conclusione circa la loro medesimezza di significato o meno; ove si pervenga ad una nozione di carattere unitario della locuzione “eccesso di potere giurisdizionale”, occorre fornirne una corretta interpretazione.
Non si può non intraprendere la disamina che ci occupa se non a partire dal dato costituzionale.
L’art. 111 della Costituzione statuisce che contro le decisioni del Consiglio di Stato “il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”; in proposito, si appalesano indefettibili talune considerazioni in ordine al contesto storico-giuridico in cui tale precetto è stato formulato.
Prima dell’entrata in vigore della Costituzione è stata la legge sarda del 20 novembre 1859 ad occuparsi del cd. eccesso di potere giurisdizionale, attribuendo ad un decreto del Re, su parere del Consiglio di Stato, la decisione delle controversie tra giudice ordinario e pubblica amministrazione, tra giudice ordinario e tribunali del contenzioso amministrativo, tra giudici del contenzioso amministrativo e pubblica amministrazione, mediante un meccanismo che aveva quale scopo quello di salvaguardare il potere esecutivo dalle ingerenze nel potere giudiziario[1].
All’indomani dell’unità d’Italia la legge n. 2248 del 1865 abolì i tribunali del contenzioso amministrativo per dare vita alla giurisdizione unica; il modello sardo veniva esteso all’intero territorio italiano, ma solo per la parte relativa ai conflitti tra giudice ordinario e pubblica amministrazione, la cui risoluzione veniva demandata al Consiglio di Stato[2].
Su tale panorama normativo si è innestata la legge n. 3761 del 1877 che ha posto la Corte di Cassazione al vertice del sistema di risoluzione dei conflitti. La ragione di una tale attribuzione risiedeva nell’avvertita esigenza di garantire una maggiore imparzialità dell’organo chiamato ad esercitare predetta funzione dal potere politico e dal potere amministrativo. Tale legge è permasa cogente anche dopo l’istituzione della quarta sezione del Consiglio di Stato e del riconoscimento della sua natura giurisdizionale ad opera della legge n. 62 del 1907.
Qui si scorge il primo dato normativo interessante, in quanto la appena menzionata disposizione legislativa consentiva di proporre ricorso avverso le decisioni del supremo consesso di giustizia amministrativa nelle ipotesi di “difetto assoluto di giurisdizione”, che si aggiungeva ai conflitti positivi e negativi tra plessi giurisdizionali. La norma fu sostanzialmente recepita dall’art. 48 del r.d. n. 1054 del 1924. Quest’ultimo, infatti, stabilisce che spetta alla Corte di Cassazione “giudicare dei conflitti di giurisdizione negativi o positivi fra i tribunali ordinari ed altre giurisdizioni speciali, nonché della nullità delle sentenze di questa giurisdizione per incompetenza, (da intendersi nell’accezione di difetto di giurisdizione nel rapporto con altri giudici), od eccesso di potere, (da interpretarsi, all’epoca, quale difetto assoluto di attribuzioni)”. L’articolo 3 della legge n. 3761 del 1877 veniva recepito anche dall’art. 362 del vigente codice di procedura civile.
Dopo l’avvento della Costituzione, l’eccesso di potere giurisdizionale è stato regolamentato dall’art. 36 della legge n. 1034 del 1971, il quale utilizza una formula diversa dalle fonti normative suaccennate, stabilendo che “è ammesso ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per i motivi inerenti alla giurisdizione”; gli artt. 91 e 110 del c.p.a., viceversa, non si discostano dall’art. 111 della Costituzione[3].
Alle espressioni semantiche utilizzate dal legislatore potrebbero essere assegnati sensi differenti o un significato equivalente. In quest’ultimo senso depone, innanzitutto, una ragione di carattere storico. Il legislatore costituente difatti è intervenuto su un panorama normativo composto dall’art.3 della legge n. 3671 del 1877, dell’art. 48 del r.d. n. 1054 del 1924 e dall’art. 362 del c.p.c. La prima disposizione legislativa menzionata usa le locuzioni incompetenza ed eccesso di potere in tempi in cui sussisteva la giurisdizione unica per disciplinare i conflitti tra giudice ordinario e pubblica amministrazione; con riferimento all’atto amministrativo, il lemma incompetenza tradizionalmente sta ad indicare un difetto assoluto di attribuzione.
La seconda fonte di rango primario che viene in rilievo, l’art. 48 del r.d. n.1054 del 1924, ricorre all’espressione “difetto assoluto di giurisdizione” per sgombrare il campo da dubbi circa la possibilità di esercitare un sindacato da parte della Cassazione sull’eccesso di potere inteso come cattivo uso del potere giurisdizionale. Si deve allora concludere che anche la proposizione “difetto assoluto di giurisdizione” di cui all’art. 48 del t.u. 1054 del 1924 non abbia un significato diverso e più restrittivo dei “motivi inerenti alla giurisdizione” di cui all’art. 111 della Costituzione.
L’esegesi de qua trova un ulteriore riscontro nella formulazione degli artt. 91 e 110 del c.p.a. che ricopia fedelmente l’art. 111 Cost., dissipando alcune perplessità scaturenti da talune ambiguità terminologiche di cui si era reso autore il legislatore ordinario dopo l’emanazione della Carta costituzionale, in particolare con la legge n. 1034 del 1971 con la quale ci si riferiva ai motivi inerenti alla giurisdizione anziché ai “soli” motivi inerenti alla giurisdizione[4].
Ciò posto, occorre procedere ad un’ulteriore operazione ermeneutica, consistente nella corretta ricostruzione del contenuto dell’art. 111 Cost. e in particolare della frase idiomatica “i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.
Muovendo dalle conclusioni appena raggiunte, la dottrina ha messo in evidenza come l’aggettivo “soli” valga a differenziare l’art. 111 comma 8, rispetto all’art. 111 comma 7. Più chiaramente si costruisce un rapporto di regola-eccezione tra la possibilità di ricorrere in Cassazione per violazione di legge e facoltà di appellarsi al giudice di legittimità per il travalicamento dei confini, ad opera di un giudice speciale, delle competenze assegnategli in una data materia rispetto alle facoltà della pubblica amministrazione, di altri giudici nazionali, di giudici stranieri o sovranazionali[5].
La Costituzione, dunque, con la locuzione “i soli motivi inerenti alla giurisdizione” ha effettuato una precisa scelta di campo a favore del sindacato sui soli limiti esterni della giurisdizione, negando cittadinanza ad un controllo sul cattivo esercizio del potere giurisdizionale. Un siffatto approdo ermeneutico sembra suffragato dalla comparazione dell’art.111 comma 8 con gli altri precetti contenuti nella suddetta disposizione costituzionale, nonché dal combinato disposto degli artt. 103 e 113 della Costituzione. La norma di cui si discorre, invero, enuncia anche quelli che sono i caratteri fondamentali e i principi governanti ogni processo che possa dirsi giusto quanto alle sue modalità di estrinsecazione: contraddittorio tra le parti e parità delle armi, giudice terzo e imparziale, ragionevole durata, motivazione obbligatoria dei provvedimenti giurisdizionali. Le violazioni della legge processuale costituenti una lesione degli stessi sono annoverabili tra le violazioni di legge ex art. 111, comma sette, della Costituzione. Ciò sta a significare che il successivo comma 8 intende escludere dal sindacato della Corte di Cassazione anche la violazione dei principi processuali enunciati dal medesimo art. 111 Cost[6].
In altri termini, la contrapposizione tra sindacato in Cassazione per violazione di legge, anche processuale, e sindacato per motivi di giurisdizione sembra emergere in modo netto dalla lettura della trama complessiva della fonte di rango costituzionale. Una conferma la si ritrova sul piano ordinario, nella misura in cui l’art. 360 del c.p.c. contrappone i motivi inerenti alla giurisdizione alla erronea o falsa applicazione di norme sostanziali e alla violazione di norme processuali.
2. Il determinante discernimento tra giurisdizione e tutela giurisdizionale
Ma vi è di più. Dalla nostra Carta costituzionale, infatti, si evince una differenziazione tra il concetto di giurisdizione e di tutela giurisdizionale.
Il primo è nozione più ristretta del secondo.
L’art. 103 della Costituzione, infatti, delinea e delimita la giurisdizione del giudice amministrativo, mentre l’art. 113 Cost. sta ad indicare l’oggetto e le modalità con le quali deve essere erogata la tutela giurisdizionale ai cittadini nelle controversie in cui è coinvolta una pubblica amministrazione.
I soli motivi inerenti alla giurisdizione descrivono un sindacato della Cassazione sui soli confini tra i vari organi di giurisdizione, e non un sindacato esteso al modo di erogazione della tutela giurisdizionale, un sindacato sui limiti esterni e non interni della giurisdizione[7].
L’individuazione dei provvedimenti impugnabili ex art. 111, comma 8, Cost., tuttavia, è divenuta tematica particolarmente spinosa a seguito dell’influenza esercitata dal diritto comunitario. La Corte di Cassazione[8], infatti, accedendo ad un’esegesi estensiva ed evolutiva della disposizione costituzionale de qua, ha annoverato tra i provvedimenti impugnabili anche le statuizioni del Consiglio di Stato non conformi al diritto comunitario, nonostante le medesime si sostanzino in un error in procedendo, ove comportino “un radicale stravolgimento delle norme di rito e dei parametri europei di riferimento” integrando così la decisione un diniego di giustizia, o meglio, un diniego della giusta giurisdizione.
Tale approdo ermeneutico può essere correttamente analizzato muovendo dal contesto normativo e giurisprudenziale in cui emerge, senza poter pretermettere le dovute digressioni sulle evoluzioni che hanno interessato il diritto e il processo amministrativo.
Dottrina e giurisprudenza[9], per la verità, non hanno mai dubitato della possibilità di proporre ricorso in Cassazione quando il giudice amministrativo affermi la propria giurisdizione in materia riservata al legislatore o alla pubblica amministrazione, oppure declini l’esercizio del potere che istituzionalmente gli spetta sulla base dell’erronea convinzione che la regolamentazione della fattispecie sottoposta alla sua attenzione spetti esclusivamente alla legge o debba avvenire prima e necessariamente ad opera di una delibazione amministrativa.
Pacifica, poi, è la sindacabilità delle pronunce del giudice amministrativo concernenti l’affermazione o il diniego della propria giurisdizione a favore o in danno di altro giudice ordinario o giudice speciale. Nel primo caso si parla di difetto assoluto di giurisdizione, nel secondo di difetto relativo di giurisdizione. L’eccesso di potere giurisdizionale, locuzione con la quale si suole indicare il difetto assoluto di giurisdizione[10], denota non solo una invasione del giudice nel campo delle competenze attribuite alla pubblica amministrazione o del legislatore, bensì anche uno sconfinamento che si verifica allorquando in astratto sussista la giurisdizione del giudice amministrativo ma questi approdi in sfere di competenza altrui al confine con le proprie.
Invero, la giurisprudenza ha avuto modo di osservare che le ipotesi di usurpazione della potestà legislativa sono rare e tendenzialmente utili solo per una esemplificazione didattica. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “detto eccesso di potere potrebbe ravvisarsi solo a condizione di poter distinguere un’attività di produzione normativa inammissibilmente esercitata dal giudice, da un’attività interpretativa, attività quest’ultima certamente non contenibile in una funzione meramente euristica, ma risolventesi in un’opera creativa della volontà della legge nel caso concreto”[11].
2.1. L’apparente nettezza del confine tra potere esecutivo e giurisdizionale
I rapporti tra giudice amministrativo e pubblica amministrazione, invece, sono stati connotati da una evoluzione più interessante. Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità[12] l’autorità giurisdizionale si appropria illegittimamente di facoltà riconosciute agli organi pubblici tutte le volte in cui la sua delibazione non si limiti ad accertare la sussistenza di un vizio di legittimità di un provvedimento amministrativo, ma sebbene si limiti formalmente ad annullare quest’ultimo, in realtà sostituisce la valutazione operata dalla pubblica amministrazione oppure la censura sotto il profilo dell’opportunità.
Sul piano teorico la distinzione appare netta eppure sul versante pratico la linea di demarcazione tra ciò che è consentito all’autorità giurisdizionale e ciò che non lo è si palesa più complessa. L’ipotesi maggiormente problematica in merito è rappresentata dall’ampiezza dei poteri esercitabili dal giudice amministrativo sugli Atti delle autorità amministrative indipendenti[13]. Per il Consiglio di Stato, il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità si svolge soltanto con riguardo ai vizi dell’eccesso di potere, cagionabile dalla illogicità, irragionevolezza, dalla mancanza di motivazione e di proporzionalità del provvedimento amministrativo. Esso può tangere anche l’attendibilità delle operazioni tecniche compiute ma giammai l’autorità giurisdizionale può varcare la soglia della relatività delle valutazioni scientifiche e approdare nel campo dell’opinabilità, così sostituendosi alla pubblica amministrazione[14].
3. Il diniego di giustizia
In tale panorama normativo e giurisprudenziale s’innesta la diatriba interpretativa sorta con riferimento al cd. diniego di giustizia, causa di un eccesso di potere giurisdizionale secondo la giurisprudenza di legittimità.
Preliminarmente occorre rilevare che per l’orientamento tradizionale della Corte di Cassazione[15] non sono sindacabili aspetti afferenti ad uno scorretto esercizio della giurisdizione da parte del Consiglio di Stato, come gli errori compiuti nell’accertamento dei presupposti processuali, delle condizioni dell’azione o della fondatezza delle pretesa, nonché qualunque altro profilo riconducibile al concetto di error in judicando, consistente nella violazione della legge sostanziale, o di error in procedendo, costituente un difetto di applicazione della legge processuale.
Tuttavia, secondo l’interpretazione emersa nel tempo in seno alla giurisprudenza di legittimità, nell’ambito dei limiti esterni della giurisdizione sono annoverabili non soltanto le norme che conferiscono o attribuiscono la giurisdizione, ma anche tutte quelle disposizioni che alle medesime sono intrinsecamente correlate.
Emblematiche sul punto sono le pronunce con le quali si è stabilita l’estensione del sindacato del giudice della giurisdizione alla esatta attuazione della disciplina concernente la deducibilità su istanza di parte e il rilievo ufficioso del difetto di giurisdizione, fondate sulla assorbente ragione per cui essa non attiene alle modalità di esercizio del potere giurisdizionale bensì rappresenta una regolamentazione della vicenda processuale comune a tutti i tipi di processo, per cui essa non può non riflettersi sulla delimitazione della sfera di attribuzione del potere di ciascun plesso giudiziale.
Ancora, sono state annoverate nei limiti esterni della giurisdizione le disposizioni che regolano la costituzione e la composizione dell’organo giudicante se e nella misura in cui la loro violazione risulti particolarmente grave. A titolo esemplificativo, è possibile menzionare la totale mancanza di legittimazione o l’assoluta inidoneità di uno dei suoi componenti, l’alterazione quantitativa o qualitativa della sua struttura[16].
Sulla posizione assunta dal giudice della giurisdizione la dottrina si è divisa.
Per una parte di essa le asserzioni della Corte di Cassazione risultano condivisibili poiché ci si troverebbe al cospetto di un difetto di giurisdizione in senso soggettivo: la decisione impugnata è stata emessa da un organo giudicante in concreto inesistente, o volendo fruire di un registro linguistico più enfatico e diretto, da un “non giudice”.
Per una differente opinione interpretativa, l’ipotesi della irregolare composizione dell’organo giudicante più che una questione afferente alla giurisdizione in senso tecnico processuale, è problematica riguardante la validità-inesistenza della sentenza, che pertanto non è attratta nel campo applicativo dell’art. 111, comma 8, della Costituzione[17].
La dottrina civilistica[18] dal suo canto ha accolto e sostenuto con favore la lettura esplicativa di cui si discorre, riposante su una duplice convinzione e postulante una peculiare accezione del concetto di limite esterno.
In primo luogo, si pone in evidenza il ruolo centrale attribuito dal legislatore costituente alla giurisdizione per garantire l’effettività della tutela giudiziale ed il giusto processo, nonché per assicurare la primazia del diritto comunitario e l’unità funzionale del sistema, soprattutto alla luce del crescente numero di controversie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo e alla devoluzione a quest’ultimo della tutela risarcitoria degli interessi legittimi.
In secondo luogo, un siffatto discorrere è influenzato dall’indirizzo dottrinale che ritiene se non doverosa quantomeno opportuna l’estensione del ricorso per Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., alle decisioni del Consiglio di Stato pronunciate in materia di diritti soggettivi, al fine di garantire agli stessi, in ordine alle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, un uniforme standard di tutela.
Infine, l’esegesi ermeneutica in parola sarebbe riferibile non ad un’accezione statica del limite esterno di giurisdizione, bensì dinamica o funzionale, sulla scorta della quale in esso sono da includere non solo le disposizioni che enunciano i presupposti su cui si fonda l’esercizio del potere giurisdizionale ma anche quelle che ne disciplinano il contenuto e le modalità, o che comunque fissano la forma della tutela disposta dall’ordinamento, la cui violazione, per l’abnormità degli effetti che ne derivano si sostanzi in una denegata giustizia.
3.1. La casistica giurisprudenziale
La ricostruzione in parola ha fatto breccia nella giurisprudenza di legittimità con particolare riguardo al rapporto tra giurisdizioni, tutela delle situazioni giuridiche soggettive e diritto comunitario. Si configura, infatti, il cd. diniego di giustizia quando il giudice ritenga che in astratto la sua giurisdizione sussista ma decide di non accordare la tutela invocata dalla parte, o comunque prevista dalla legge, perché ritiene che la decisione nel merito sia impedita da una pregiudiziale questione di rito, diversa dalla giurisdizione, che rende la domanda, a vario titolo, inammissibile o improponibile.
La prima critica che viene mossa dalla dottrina giuspubblicistica prevalente consiste nel rilievo secondo cui l’error in procedendo o in judicando “estremo” o “abnorme” è un concetto fluido, sfuggente, difficilmente afferrabile, dai confini poco delimitabili, capace di dare luogo ad uno sconfinamento dall’eccezionalità dei motivi di ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione[19], come dimostrato dall’iniziale posizione di chiusura assunta sul punto dalla medesima giurisprudenza di legittimità.
Con precipuo riguardo ai rapporti con il diritto europeo, le Sezioni Unite hanno puntualizzato che il mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato alla Corte di giustizia, in violazione all'art. 267 TFUE, per la totale pretermissione della richiesta di rinvio pregiudiziale, non configuri una questione attinente allo sconfinamento dalla giurisdizione del giudice amministrativo, visto che il giudice comunitario, nell'esercizio del potere di interpretazione di cui all'art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale[20]. Peraltro, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia omesso dal Consiglio di Stato,
“non può essere disposto, sulla medesima questione, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte innanzi alle quali sia stata impugnata la corrispondente decisione, spettando ad esse solo di vagliare il rispetto, da parte del primo, dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, senza che, su tale attribuzione di controllo, siano evidenziabili norme dell'Unione Europea su cui possano ipotizzarsi quesiti interpretativi”[21] .
Altra ipotesi esclusa dal novero dei casi di “eccesso di giurisdizione” riguarda il contrasto tra una sentenza amministrativa e una norma processuale, di matrice convenzionale così come interpretata dalla Corte Edu. In specie, un contrasto tra l’arresto pretorio interno e una prescrizione giusprocessualistica sussunta ai principi della Cedu, non è stata considerata condizione sufficiente per ampliare il sindacato di cui all’art. 111 comma 8 della Corte di Cassazione, nonostante la sussistenza di un obbligo di interpretazione “convenzionalmente orientata” delle disposizioni interne in capo al giudice nazionale.
Il richiamo ai limiti istituzionali della Corte di legittimità, peraltro, è già stato ritenuto idoneo pure dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo a giustificare l'impossibilità di un più penetrante sindacato sulla sentenza del Consiglio di Stato, proprio nel caso di omesso rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione Europea[22]. Ne consegue che non sono violati i limiti esterni della giurisdizione, nemmeno sotto il profilo della compressione o violazione dell'art. 6 della CEDU[23].
Ulteriormente, la Corte di Cassazione ha asserito che deve escludersi che la violazione del diritto dell'Unione da parte del giudice amministrativo valga, di per sé, ad integrare un superamento delle attribuzioni di tale giudice. La primazia del diritto dell'Unione europea, infatti, non sovverte gli assetti procedimentali degli ordinamenti nazionali[24] e la dedotta erroneità dell'interpretazione della sentenza della Corte di Giustizia fornita dal Consiglio di Sato con la sentenza impugnata si risolve, in realtà, nella contestazione della legittimità del concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali attribuite al giudice amministrativo e, quindi, in una censura di violazione di legge, escludendosi in tal caso un’ipotesi di esorbitanza dai limiti esterni della giurisdizione. Rientra, in modo caratteristico, nel potere giurisdizionale del giudice amministrativo valutare la portata della sentenza della Corte di Giustizia incidente nel giudizio in corso (indipendentemente, come è ovvio, dalla effettiva correttezza di tale valutazione) ed applicare alla fattispecie di causa le norme unionali come interpretate dalla Corte di giustizia. In altri termini, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione- che l’art. 111 Cost., affida alla Corte di Cassazione[25]- non include anche una funzione di verifica della conformità di quelle decisioni al diritto dell'Unione europea e l'error in iudicando non si trasforma in eccesso di potere giurisdizionale sol perché venga denunciata la violazione di norme unionali[26].
3.2. Il portato assiologico e l’intima contraddittorietà della sentenza della Corte di Cassazione n. 13659 del 2009 in combinato con la discutibile arrogazione da parte del giudice della giurisdizione del ruolo di esclusivo garante dei “diritti fondamentali”
Quanto alle pronunce che hanno ritenuto sussistente il diniego di giustizia occorre menzionare la sentenza n. 13659 del 2009 concernente la cd. pregiudiziale amministrativa[27], ossia l’ammissibilità della domanda con cui un soggetto, il cui interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento amministrativo, si rivolga all’autorità giurisdizionale per conseguire la tutela risarcitoria pur non avendo previamente agito per l’annullamento dell’atto lesivo[28].
Al di là dell’esito della delibazione giudiziale de qua, tradottasi nell’asseverazione per cui è sindacabile in Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la sentenza del giudice amministrativo che neghi l’accesso alla domanda risarcitoria a causa della mancata o tardiva impugnazione della determinazione amministrativa, particolarmente rilevanti si appalesano le argomentazioni mediante le quali si perviene a simile approdo.
I cardini del sillogismo esperito dagli Ermellini, nel caso in analisi, rimandano innanzitutto alla sopravvenuta risarcibilità dell’interesse legittimo in materia di appalti, sancita a partire dalla legge n. 142 del 1992, attuativa della direttiva comunitaria n. 665 del 1989, confermata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 500 del 1999, la quale ha affermato in via generale l’assioma della risarcibilità dell’interesse legittimo, seppur in difetto di previo esperimento dell’azione di annullamento. In via ulteriore, si dà atto della necessità di apprestare una tutela effettiva dei diritti soggettivi nell’ambito della giurisdizione esclusiva, nonché dell’equi-ordinazione di interessi legittimi e diritti soggettivi in termini di garanzie apprestate dall’ordinamento, sulla scorta di una cognizione piena riconosciuta al giudice amministrativo, concepito sempre più come giudice del rapporto piuttosto che dell’atto[29].
Di tal guisa, la Suprema Corte ha riconosciuto nel caso di specie la sussistenza di un eccesso di giurisdizione del giudice amministrativo, per diniego di giustizia e violazione abnorme del diritto europeo, in cagione del negato risarcimento danni per lesione d’interessi, motivato in base al mancato previo esperimento dell’azione di annullamento del provvedimento illegittimo.
L’interesse di chi scrive verso tale arresto pretorio si ritrova nell’assunto di fondo di cui esso è latore: considerati quali parametri di riferimento le significative e pertinenti sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006 della Corte Costituzionale, la Suprema Corte ammette che la tutela dinanzi al giudice amministrativo è piena ed effettiva, di talché configurandosi una equipollenza tra giudizio ordinario e amministrativo su tale aspetto. Dato interessante in ragione del fatto che le medesime Sezioni Unite della Corte di Cassazione[30], al contrario, hanno contestato codesta ammessa equipollenza, sulla scorta che il solo giudice ordinario potesse garantire l’effettività della primazia del diritto comunitario, l’effettività della tutela giurisdizionale, il giusto processo. Così si è intrapresa quella che parte della dottrina ha criticamente definito la lunga marcia della Cassazione verso la giurisdizione unica[31]. Ed è in virtù soprattutto del convincimento de quo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2242 del 2015, pur chiarendo che in sede di controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione non spetta al giudice della giurisdizione una funzione di verifica finale della conformità delle sentenze del giudice amministrativo al diritto dell’Unione Europea, hanno affermato che predetta regola soffre di un’eccezione allorché ricorra uno di quei casi estremi in cui l’eccesso giurisdizionale va individuato nell’errore del giudice tradottosi in un radicale stravolgimento delle norme europee di riferimento, così come interpretate dalla Corte di Giustizia[32].
Quindi, può evincersi da quanto rappresentato che il processo amministrativo è in grado di apprestare piena tutela a posizioni giuridiche di diritto e di interesse, finanche a cd. diritti fondamentali[33].
L’arresto pretorio della Cassazione in rilievo, assumendo quale dato presupposto codesta pariteticità tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, conclude contraddittoriamente affermando il diniego di giustizia, per quello che allo stato non può non considerarsi un error in iudicando, pertanto non giustiziabile dal giudice della giurisdizione, neanche se attratto nel novero dei diritti fondamentali- in cui si acclude l’effettività del diritto europeo- sulla circostanza che il giudice amministrativo ha facoltà e pienezza di cognizione per salvaguardare anche siffatte situazioni giuridiche.
Paradossalmente si evince proprio dal tenore concettuale della sentenza n. 13659 del 2009 in esame, l’inconsistenza della pretesa e del convincimento, espressione di una petizione di principio rimasta indimostrata, per cui il giudice ordinario, e in particolare il giudice della giurisdizione, sarebbe l’organo deputato ad assicurare l’unità funzionale del sistema e a garantire una tutela più idonea e adeguata ai diritti soggettivi[34], specie se fondamentali[35]. Muovendo da tale erroneo presupposto, si confonde sovente una violazione di legge con un’ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale.
4. Il ruolo della Consulta nella disciplina del complesso coniugio del diritto interno e ordinamento sovranazionale
La Corte costituzionale è intervenuta in modo prorompente sia con riguardo ai rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale, sia con riferimento alle competenze e ai poteri della giurisprudenza di legittimità rispetto alle sentenze del Consiglio di Stato non conformi alle norme eurounionali così come interpretate dal giudice comunitario.
In specie, la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 69 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
La norma appena cennata statuisce che le controversie legate al pubblico impiego privatizzato sorte prima del 30 giugno 1998, già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prima della privatizzazione, continuano a permanere nella giurisdizione di quest’ultimo, purché proposte, a pena di decadenza, entro il 25 settembre 2000.
L’equivocità del tenore letterale della disposizione ha dato luogo a perplessità e diversità di vedute in giurisprudenza.
Per un primo orientamento, emerso all’indomani del decreto legislativo n. 165 del 2001, il termine finale di decadenza da essa previsto era da intendersi quale termine di decadenza afferente al riparto di giurisdizione. Il suo inutile decorso non avrebbe avuto altra conseguenza che quella di imporre al ricorrente la proposizione delle proprie doglianze al giudice ordinario, sub specie di giudice del lavoro, soluzione prospettabile per tutte le controversie sorte successivamente al 30 giugno 1998[36].
In un secondo momento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione a più riprese[37], unitamente all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, hanno sconfessato la suddetta tesi, riconoscendo alla decadenza di cui all’art. 69 del testo unico sul pubblico impiego natura sostanziale.
La principale conseguenza di tali arresti non è di poco momento, traducendosi nella preclusione della giustiziabilità di ogni pretesa esercitata dopo il termine decadenziale statuito dalla norma esaminanda. La Consulta, peraltro, ne aveva sancito la compatibilità con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, reputando ragionevole prevedere una preclusione volta a limitare i riverberi scaturenti dal passaggio di competenze dal giudice amministrativo a quello ordinario, atteso che rientra nell’esercizio discrezionale della potestà legislativa la regolamentazione delle modalità di proposizione delle questioni da sottoporre all’attenzione dell’autorità giudiziaria, allorché ciò non arrechi un vulnus al diritto di difesa e renda eccessivamente difficoltosa la fruizione di un diritto[38].
La Corte di Strasburgo, chiamata ad intervenire in proposito[39], ha condiviso le argomentazioni appena prospettate quanto alle facoltà e ai limiti del legislatore e al contempo ha riscontrato la violazione del diritto ad un ricorso effettivo ex art. 6 della CEDU, cagionato dalla sussistenza di tesi divergenti in giurisprudenza, implicanti una preclusione illegittima alla tutela giurisdizionale per il ricorrente che avesse proposto ricorso ad un’autorità giudiziaria non competente per l’effetto di un errore scusabile e determinato- o quantomeno indotto- dalla medesima giurisprudenza.
La giurisprudenza di legittimità[40], alla luce di quanto esposto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in sede di ricorso per eccesso di potere giurisdizionale sulla principale argomentazione per cui in un siffatto panorama giurisprudenziale l’art. 69 del d.lgs. 165 del 2001 si ponesse in contrasto con una successiva sentenza della Corte Edu, cagionando “un radicale stravolgimento” delle regole convenzionali venienti in rilievo, accompagnata dalla richiesta di una pronuncia additiva con riferimento all’art. 106 del c.p.a., al fine di consentire la revocazione del giudicato anche allorquando quest’ultimo contenga delle determinazioni contrarie al diritto convenzionale.
Entrambi i quesiti, tuttavia, hanno ricevuto una risposta di segno negativo[41].
Con la sentenza n. 123 del 2017 la Consulta, infatti, ha avuto modo di chiarire che
“dalla giurisprudenza convenzionale non emerge, allo stato, l’esistenza di un obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo, e che la decisione di prevederla è rimessa agli Stati contraenti, i quali, peraltro, sono incoraggiati a provvedere in tal senso, pur con la dovuta attenzione per i vari e configgenti interessi in gioco”.
Le argomentazioni dei giudici costituzionali sono chiare e depongono inequivocabilmente a favore della discrezionalità del legislatore, il quale sarebbe coadiuvato in un eventuale novella normativa da “un adeguato coinvolgimento dei terzi nel processo”.
La Corte costituzionale, dal suo canto, in seguito ha affermato che l’art. 69 del d.lgs. n.165 del 2001 supera il vaglio di costituzionalità poiché la Corte Edu non ne ha sancito l’illegittimità sic et simpliciter, anzi l’ha ritenuto apprezzabile quanto a finalità perseguite e ragionevole rispetto ai tempi proposti per l’esercizio dell’azione posto a tutela dei diritti individuali. I giudici convenzionali hanno piuttosto censurato l’effetto sorpresa avente la sua scaturigine nell’overulling giurisprudenziale con il quale è stata attribuita natura sostanziale al termine di decadenza previsto dalla medesima rimediabile utilizzando l’art. 37 del c.p.a.
4.1. Le risultanze sistemiche e giusprocessualistiche del vaglio della Corte Costituzionale dell’ampiezza (e dei confini) del ricorso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione
Il punto che in questa sede più interessa riguarda l’inammissibile e denegata, da parte della Consulta, evoluzione interpretativa estensiva di cui si è resa autrice la giurisprudenza di legittimità concernente l’art. 111, comma 8, della Costituzione.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 6 del 2018 ha disconosciuto l’evoluzione interpretativa delle Sezioni Unite, negando all’accezione dinamica attribuita alla giurisdizione la capacità di allargare le maglie del sindacato della Corte di Cassazione.
Le ragioni della chiusura della Corte costituzionale sono di carattere storico e sistematico.
La Consulta è lapidaria circa la necessità di garantire la pienezza delle garanzie da fornire a chi si rivolge all’autorità giudiziaria, affermando che
“quanto all’effettività della tutela e al giusto processo, non c’è dubbio che essi vadano garantiti, ma a cura degli organi giurisdizionali a ciò deputati dalla Costituzione e non in sede di controllo sulla giurisdizione. Né l’allargamento del concetto di giurisdizione può essere giustificato dalla presunta eccessiva espansione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, poiché esse, come è noto, sono state da questa Corte contenute nei limiti tracciati dalla Costituzione; d’altro canto è la stessa Carta costituzionale a prevedere che siano sottratte al vaglio di legittimità della Corte di cassazione le pronunce che investono i diritti soggettivi nei confronti dei quali, nel rispetto della “particolarità” della materia nel senso sopra chiarito, il legislatore ordinario prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”[42].
Infine, la Corte chiude la questione utilizzando un registro linguistico abbastanza netto ed espressioni dal tono piuttosto severo. La sentenza n. 6 del 2018 si conclude con l’osservazione per la quale:
“il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri, non ammette soluzioni intermedie, come quella pure proposta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”. Attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”[43].
I giudici costituzionali osservano, in sostanza, che a voler avallare l’orientamento della Corte di Cassazione si legittima un ricorso per eccesso di potere giurisdizionale dietro il quale in realtà si asconde una violazione di legge. Si condividono, quindi, le doglianze di quella dottrina per la quale la giurisprudenza di legittimità, utilizzando lo scudo dell’effettività e della pienezza della tutela giurisdizionale, introduce un “sistema a giurisdizione unica”[44].
Innanzitutto, è stato rilevato che dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente emerge con palmare evidenza l’intenzione di conservare l’assetto dualistico antecedente alla Costituzione implicante la ripartizione della giurisdizione sulla scorta della consistenza della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, tradottasi poi nella stesura degli artt. 103 e 111.
Inoltre, la limitazione del ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione è finalizzata ad assicurare l’unità funzionale ma non organica tra i diversi plessi giurisdizionali, che continuano a godere di una loro autonomia ed appartenere ad ordinamenti giudiziari differenti.
In altri termini, la locuzione “motivi inerenti alla giurisdizione” non può essere interpretata, se non nel significato attribuitole correntemente, cioè quale difetto assoluto o relativo di giurisdizione per invasione, sconfinamento o arretramento, dovendosi escludere dal suo campo applicativo “l’abnormità di un error in iudicando o in procedendo, soggetto ad apprezzamenti soggettivi e contingenti dell’autorità giurisdizionale”[45].
Nella trama della motivazione della Corte Costituzionale assume particolare significatività la considerazione secondo cui
“rimane il fatto che, specialmente nell’ipotesi di sopravvenienza di una decisione contraria delle Corti sovranazionali, il problema indubbiamente esiste, ma deve trovare la sua soluzione all’interno di ciascuna giurisdizione, eventualmente anche con un caso di revocazione di cui all’art. 395 del codice di procedura civile”[46]
Come osservato da autorevole dottrina, lo stato attuale della giurisprudenza costituzionale lascia irrisolto un problema e al contempo solleva un quesito[47].
In specie, il riferimento della Consulta all’ipotesi della sopravvenienza si spiega perché allorché la pronuncia della Corte sovranazionale preceda quella del giudice amministrativo è questione perplessa l’applicabilità del rimedio della revocazione, il quale postula un vizio della sentenza dovuta ad una causa esterna alla delibazione dell’autorità giurisdizionale che ne ha generato l’inesattezza, mentre se la decisione del giudice convenzionale o comunitario già esiste l’erroneità della decisione del giudice amministrativo è legata all’ignoranza o all’intenzione di non tenere conto del precedente giurisprudenziale da rispettare.
Il problema che la Corte lascia irrisolto afferisce, in una prospettiva de jure condito, al rimedio esperibile in caso di contrasto con una successiva sentenza di una Corte sovranazionale, al momento inesistente.
Il quesito che solleva consiste nella applicabilità della revocazione alle vicende in cui la sentenza dell’autorità giudiziale nazionale segua e non preceda l’intervento del giudice comunitario o convenzionale[48].
L’autorevole dottrina menzionata osserva che nella prima ipotesi la revocazione si presenta effettivamente come il rimedio maggiormente consono per rimediare alle distonie sistematiche generate da un provvedimento del giudice amministrativo, poiché mancherebbe una regola interessata da un “radicale stravolgimento”, ciò evincendosi da un passaggio argomentativo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 2016.
La sentenza successiva del giudice europeo è paragonabile a una sopravvenienza normativa, la quale inferendo su di un procedimento ancora in corso di svolgimento, e su un tratto di interesse non coperto dal giudicato, determina non un conflitto, ma una successione cronologica di regole che disciplinano la medesima situazione giuridica. Resta esclusa, però, allo stato attuale sul versante normativo e della giurisprudenza costituzionale, la sua praticabilità e la proponibilità di un ricorso per cassazione dovuto ad eccesso di potere giurisdizionale.
Nel secondo caso richiamato, si rileva che la violazione o l’ignoranza delle statuizioni rese dal giudice convenzionale e comunitario si risolverebbe in un diniego di giustizia per la giurisprudenza di legittimità, non più configurabile a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018.
Come ovviare al seguente dilemma, fonte di incertezze applicative e di dubbi sul piano interpretativo- sistematico?
5. La recente ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19598/2020
Quesito irrisolto che ha spinto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[49] con una recente ordinanza a sollevare una questione pregiudiziale interpretativa ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea[50].
La terza sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 7 agosto n. 5606 del 2019, invero, rigettava l’appello proposto con ricorso principale da un ricorrente che contestava l'attribuzione alla propria offerta tecnica di un punteggio insufficiente per il superamento della soglia di sbarramento prevista dalla stazione appaltante per la partecipazione alla gara ad evidenza pubblica espletata dalla stessa al fine di individuare una Agenzia per il lavoro, cui affidare per tre anni la somministrazione temporanea di personale a tempo determinato.
In accoglimento dei ricorsi incidentali, il massimo organo di giustizia amministrativa riformava parzialmente la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di primo grado aveva esaminato nel merito gli altri motivi del ricorso principale che non avrebbero dovuto essere oggetto di esame in quanto inammissibili, essendo la ricorrente principale priva di legittimazione a proporli perché esclusa dalla gara e perciò portatrice di un interesse di mero fatto, analogo a quello di qualunque altro operatore economico del settore che non ha partecipato alla gara. Ciò in ossequio all’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, per il quale nel caso in cui l'Amministrazione abbia escluso dalla gara un concorrente[51], quest’ultimo non ha la legittimazione ad impugnare gli atti di gara, a meno che non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità della propria esclusione[52].
A dire della giurisprudenza di legittimità un simile arresto giurisprudenziale si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia[53], interpellata in merito ripetutamente dai giudici amministrativi e ai quali ha avuto modo di chiarire a più riprese che il ricorso incidentale dell'aggiudicatario di una gara di appalto, al fine di ottenere l'esclusione dalla gara, o la conferma dell'esclusione, di un altro partecipante alla gara, non possa essere esaminato prioritariamente con effetti paralizzanti del ricorso principale, privando conseguentemente il concorrente escluso dell'interesse al ricorso (principale) e della legittimazione a contestare l'esito della gara per qualsiasi ragione, qualunque sia il numero dei concorrenti, anche al fine di ottenere il travolgimento e la ripetizione della gara stessa.
Per la Corte di Cassazione la pronuncia de qua darebbe luogo ad un eccesso di potere giurisdizionale sindacabile ex art. 111, comma 8, Cost., in quanto fonte di un “radicale stravolgimento” delle regole europee di riferimento ed in particolare degli artt. 1 e 2 della direttiva n. 665 del 1989, del terzo, quarto e diciassettesimo considerando della direttiva n. 66 del 2007, nonché dell’art. 2 della direttiva n. 18 del 2004 così come interpretati dalla Corte di Giustizia.
In proposito, richiama i propri precedenti con i quali sono state cassate le sentenze del Consiglio di Stato che, avendo esaminato prioritariamente il ricorso incidentale dell'aggiudicataria deducente la presenza di cause ostative alla partecipazione alla gara del concorrente escluso, ricorrente principale, avevano omesso di esaminare le censure di quest'ultimo dirette a contestare la propria esclusione e l'aggiudicazione all'impresa concorrente, in contrasto con i principi enunciati dalla Corte di giustizia UE 4 luglio 2013, C-100/12 nella pronuncia Fastweb, nonché le statuizioni del Consiglio di Stato che, in accoglimento del ricorso incidentale dell'aggiudicatario, avevano dichiarato improcedibili i motivi aggiunti al ricorso principale con cui il concorrente escluso contestava l'ammissione alla gara dell'aggiudicatario. Secondo il Consiglio di Stato l'interesse finale alla ripetizione della gara per effetto dell'esclusione di entrambi i concorrenti non trovava corrispondenza in un dovere giuridico della stazione appaltante. Le Sezioni Unite, viceversa, rilevando il contrasto del suddetto orientamento con la giurisprudenza della Corte di giustizia, hanno osservato che "basta la mera eventualità del rinnovo della gara a radicare l'interesse del ricorrente a contestare l'aggiudicazione"[54].
I giudici di legittimità, allo stato, ritengono di non poter più delibare in tal senso e rimediare alla violazione del diritto europeo a seguito del docet della Corte Costituzione, di cui alla sentenza n. 6 del 2018. La vincolatività per gli Ermellini dell’esegesi esperita dalla Consulta, scaturigine di molteplici perplessità, renderebbe necessario un intervento chiarificatore della Corte di giustizia.
Il primo motivo che sorregge la decisione delle Sezioni Unite consiste nella constatata e conclamata irrimediabilità di una violazione grave del diritto dell’Unione Europea, se non attraverso l’insoddisfacente tutela del risarcimento del danno da parte dello Stato cui l’organo giurisdizionale appartiene. Ancora una volta, poi, la particolare esegesi ermeneutica di segno estensivo della giurisprudenza di legittimità viene reputata necessaria e indefettibile per garantire la primazia e l’effettività del diritto comunitario in materie in cui, per la avvenuta cessione di sovranità ex art. 11 della Costituzione, il giudice amministrativo deve ritenersi legittimato ad esercitare la propria potestas iudicandi solo per dare attuazione al diritto dell’Unione Europea, che si avvale di esso a tal fine[55].
Per un secondo profilo, il giudice della giurisdizione non reputa il principio comunitario di autonomia procedurale e processuale un ostacolo alla tesi esplicativa esaminanda. Detto assioma, anzi, è ritenuto ulteriore fonte di dubbio circa la compatibilità della prassi giurisprudenziale formatasi a seguito della sentenza della Consulta n. 6 del 2018 con le regole comunitarie.
Infatti, l’affermata autonomia procedurale è riconosciuta purché siano rispettate le condizioni dell’equivalenza e della non discriminazione tra modalità di esercizio dei diritti e delle regole di rango nazionale e sovranazionale, violate dall’orientamento interpretativo contestato in quanto
“per le controversie aventi ad oggetto l'applicazione del diritto nazionale, ammette il ricorso per cassazione per difetto di potere giurisdizionale avverso le sentenze del Consiglio di Stato, cui si imputi di avere svolto un'attività di produzione normativa invasiva delle attribuzioni del legislatore, mentre, nelle controversie aventi ad oggetto l'applicazione del diritto dell'Unione, dichiara pregiudizialmente inammissibili i ricorsi per cassazione volti a denunciare il difetto di potere giurisdizionale del giudice che, elaborando ed applicando regole processuali di diritto nazionale, eserciti poteri di produzione normativa preclusi allo stesso legislatore nazionale, essendo esclusivamente riservati al legislatore comunitario sotto il controllo della Corte di giustizia”[56].
Quanto al principio di effettività, si ricorda che gli artt. 19, par. 1, comma 2, TUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea impongono agli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione.
In terzo luogo, si pone in evidenza il diverso trattamento cui sarebbero sottoposti i ricorsi proposti dopo la sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, da ritenersi inammissibili a differenza di quelli antecedenti alla appena ricordata statuizione della Consulta.
Ancora, si esclude che l’art. 111, comma 8, Cost. possa assumere una portata dirimente.
E’ inammissibile che norme di diritto nazionale, quand'anche di rango costituzionale, possano menomare l'unità e l'efficacia del diritto dell'Unione.
Nella seconda parte motivazionale dell’ordinanza, le Sezioni Unite si interrogano invece su una differente e correlata questione.
Viene osservato che nella fattispecie sottoposta all’attenzione del Consiglio di Stato, il ricorrente non si è limitato a contestare la valutazione della sua offerta economica che non ha consentito al medesimo poi di partecipare alla gara indetta dalla stazione appaltante, bensì ha censurato la determinazione della pubblica amministrazione sotto altri e diversi profili, afferenti ai criteri di valutazione delle offerte, alla nomina e composizione della commissione di gara e alla mancata suddivisione della gara in lotti, contestando in radice le operazioni e l'esito della gara, al fine di provocare il travolgimento e la ripetizione della stessa, motivi giudicati inammissibili dal Consiglio di Stato, in accoglimento in via prioritaria dell'eccezione di inammissibilità e del ricorso incidentale dell'aggiudicatario basati sul difetto di interesse del ricorrente principale a coltivare l'impugnativa.
Pertanto, concernendo una controversia quantomeno parzialmente differente, si dubita che a quest’ultima sia possibile estendere pedissequamente i principi contenuti nelle sentenze Fastweb e Puligienica. In altri termini, si tratterebbe di questione sotto certi aspetti nuova sulla quale il Consiglio di Stato avrebbe dovuto interpellare, essendo giudice di ultima istanza, la Corte di giustizia allo scopo di ottenere un intervento chiarificatore circa la corretta interpretazione, applicazione e portata del diritto comunitario.
Il giudice di legittimità - si ponga attenzione sul punto in virtù delle osservazioni che si proporranno in seguito - rileva che tuttavia, il suo attuale orientamento[57] è nel senso di escludere sia la censurabilità mediante ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione dell'omissione immotivata del rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato in materie disciplinate dal diritto dell'Unione; lo stesso dicasi per la stessa possibilità per le Sezioni Unite, dinanzi alle quali sia stata impugnata la decisione del Consiglio di Stato, di operare il rinvio pregiudiziale[58], orientamento il quale susciterebbe dubbi di compatibilità con il diritto dell'Unione. Infatti, al mancato rinvio pregiudiziale afferente ad una controversia nuova o già sottoposta al vaglio del giudice comunitario ma ancora foriera di dubbi, conseguirebbe il consolidarsi di un approdo ermeneutico collidente con le regole comunitarie attualmente privo di rimedio nel nostro ordinamento e ciò non risulterebbe accettabile. In siffatto modo, difatti, verrebbe tollerata un’illegittima invadenza del giudice comune della sfera di attribuzioni della Corte di Giustizia, unico organo che ai sensi dell’art. 267 del TFUE è deputato a dirimere incertezze e perplessità in ordine all’esatto significato delle disposizioni eurounionali.
Infine, le Sezioni Unite interpellano il giudice comunitario al fine di assoggettare alla sua valutazione la compatibilità di una prassi giurisprudenziale secondo la quale l'impresa che sia stata esclusa da una gara di appalto non sarebbe legittimata a proporre censure miranti a contestare l'aggiudicazione all'impresa concorrente. Tale esegesi, infatti, ha quale riverbero, per l'impresa-ricorrente, la preclusione del diritto di sottoporre all'esame del giudice ogni ragione di contestazione dell'esito della gara, in una situazione in cui la sua esclusione non sia stata definitivamente accertata e in cui ciascun concorrente può far valere un analogo interesse legittimo all'esclusione dell'offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell'impossibilità per l'amministrazione appaltante di procedere alla scelta di un'offerta regolare e all'avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, alla quale ciascuno degli offerenti potrebbe partecipare.
Interrogativo che a parere del giudice della giurisdizione dovrebbe ricevere risposta negativa, dovendosi reputare bastevole per la proposizione del ricorso e della sua ammissibilità la possibilità di annullare la procedura e di avviare una nuova procedura di affidamento, giacché le restanti offerte regolari non corrispondono sufficientemente alle attese dell'amministrazione: in siffatto modo, si evidenzierebbe la sussistenza di un interesse legittimo in capo al ricorrente all'esclusione dell'offerta dell'aggiudicatario e alla ripetizione della gara[59].
5.1. Quid iuris se fosse la Cassazione ad obliare e/o violare principi, norme e principi del diritto comunitario?
L’analisi meticolosa e l’esposizione puntuale dei contenuti della recente ordinanza delle Sezioni Unite si è resa necessaria per rendere chiare e comprensibili le criticità logico giuridiche che perplimono chi scrive.
Come è stato osservato in uno dei primi commenti al rinvio pregiudiziale effettuato dalla Corte di Cassazione nella controversia sottoposta al Consiglio di Stato, viene in rilievo il differente problema della legittimazione dell’escluso, depurata dalla presenza di un ricorso incidentale “paralizzante” del contro interessato[60], come peraltro pone in evidenza la medesima giurisprudenza di legittimità.
La proponibilità e l’ammissibilità di un ricorso con il quale il ricorrente esprime le proprie doglianze in ordine alla sua legittima esclusione nonché in merito ai vizi che affliggono la gara in modo tale da obbligare la stazione appaltante a ripeterla sono pacifiche.
Il nostro ordinamento già da tempo, e non con poca fatica, ha riconosciuto cittadinanza al cd. interesse strumentale[61].
L’apparato argomentativo del giudice della giurisdizione si appalesa contraddittorio nella misura in cui richiama precedenti della Corte di Giustizia che in realtà non si attagliano perfettamente o quantomeno compiutamente al caso di specie, connotato da una erronea applicazione del diritto interno.
Le asserzioni della Suprema Corte non risultano condivisibili nella parte in cui asseriscono che la sentenza del Consiglio di Stato, rispetto alla dubbia compatibilità di una norma interna con il diritto comunitario o l’esatta portata applicativa di una regola europea, sarebbe connotata da un difetto assoluto di giurisdizione perché invaderebbe una sfera di competenza riservata ex art. 267 del TFUE alla Corte di Giustizia, il cui intervento è da invocarsi obbligatoriamente per i giudici di ultima istanza.
Orbene, già la semplice circostanza che sia stato adito il giudice amministrativo, al fine di ottenere l’erogazione della tutela che si ritiene spettante all’attore in giudizio, è manifestazione di un dato inequivocabile, consistente nella sua competenza a giudicare. La statuizione del giudice amministrativo con la quale si ometta di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia o ci si discosti da un suo precedente può essere considerata o essere effettivamente contestabile poiché integra un errore di diritto. In altri termini, esso poteva esercitare il proprio potere giurisdizionale ma ne ha fatto un cattivo uso dando luogo ad una violazione di legge a causa di una errata interpretazione o di una deliberata ignoranza del diritto eurounionale.
La disamina dell’ordinanza consente di espletare ulteriori considerazioni.
Non può essere revocato in dubbio che se si afferma la competenza del giudice amministrativo e non il suo difetto di attribuzione si muove dalla premessa che la giurisdizione è governata da un sistema dualistico previsto direttamente dalla Costituzione. Pare necessario notare che quest’ultima non contiene nessuna disposizione attributiva alle Sezioni Unite di un ruolo di garanzia e di custodia del diritto convenzionale e comunitario, la cui attuazione e il cui rispetto pertanto competono a differenti plessi giurisdizionali.
Verrebbe da chiedersi perché, dunque, la Corte di Cassazione tende ad assegnarsi da sé un simile ruolo, non potendosi escludere aprioristicamente che anch’essa si renda autrice di un errore nella determinazione di una causa, sia sul versante del diritto processuale sia sul versante del diritto sostanziale, sia quando esercita la propria potestà giurisdizionale sia quando usurpa illegittimamente quella altrui[62].
Il giudice della giurisdizione omette di chiedersi e di interpellare la Corte di Giustizia circa le conseguenze di un’esegesi ermeneutica non conforme alle regole di diritto comunitario resa in sede di ricorso alle Sezioni Unite ex art. 111, comma 8, della Costituzione. L’omissione non è di poco momento perché tutte le volte in cui dovesse essere confermata una sentenza del Consiglio di Stato non consentanea al diritto europeo, la proponibilità di una censura per eccesso di potere giurisdizionale non farebbe altro che posticipare il momento della irrimediabilità alle violazioni, anche gravi, delle regole comunitarie, senza appagare le asserite ragioni di tutela per i singoli.
Cosicché pare fondato il timore di chi scorge nelle interpretazioni estensive della Corte di Cassazione il tentativo di revisionare i confini della giurisdizione, appropriandosi di competenze e attribuzioni spettanti al giudice amministrativo Apprensione legata d’altronde ad un dato storico ove si ricordi che la natura giurisdizionale della quarta sezione del Consiglio è stata riconosciuta con la legge n. 602 del 1907 a seguito delle pressioni esercitate dal giudice di legittimità per estendere il suo sindacato sulle determinazioni di quest’ultimo. Eppure, ora come allora, la rimodulazione delle potestà e del loro contenuto spettanti all’uno all’altro necessita di una riforma legislativa. A Costituzione invariata né le Sezioni Unite né l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, al di là del proponimento da cui muovono, possono ridefinire il contenuto e il senso della locuzione “motivi inerenti alla giurisdizione”, neanche per fronteggiare l’inerzia biasimevole e prolungata del nostro legislatore, primigenia causa del cortocircuito istituzionale che si sta venendo a creare tra le Corti.
6. Violazione del diritto europeo: il necessario discrimen da esperire tra diritto comunitario e convenzionale
Resta ferma l’esigenza non disconoscibile da qualsiasi interprete che decida di soffermarsi sulla tematica esaminanda di interrogarsi su possibili soluzioni alternative, nei meandri dell’attuale panorama giurisprudenziale e normativo, alla mera irrimediabilità di una infrazione seria del diritto europeo.
Le soluzioni proponibili differiscono rispetto al diritto europeo e al diritto convenzionale a cui in questa sede s’intende dedicare precipua e differenziata attenzione.
Per quanto riguarda la necessità di attendere il rispetto delle regole comunitarie e di espungere, in via consequenziale, dall’ordinamento i provvedimenti amministrativi e giurisprudenziali contrari ad esso è possibile osservare quanto segue.
In primis, occorre rilevare che -sebbene sia difficilmente ipotizzabile una siffatta ipotesi- il Consiglio di Stato potrebbe essere incorso in una mera disavvertenza consistente nella mancata considerazione di un precedente della Corte di Giustizia; detta disattenzione si tradurrebbe o sarebbe quantomeno assimilabile all’errore di fatto di cui all’art. 395 del c.p.c. La giurisprudenza amministrativa è pressoché costante nell’asserire che la violazione di disposizioni processuali serventi al giusto processo debba essere ricondotta alla revocazione, poiché nel sistema della giustizia amministrativa, la rilevanza dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n.4, c.p.c., può essere estesa non solo a circostanze fattuali inerenti alla materia controversa, cioè propriamente alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, ma altresì al fatto processuale, laddove rifletta la violazione di fondamentali regole procedurali poste a tutela dell’effettività del contraddittorio[63].
Si tratta a ben vedere di un’esplicazione che ben si attaglia alla pura e semplice inconsiderazione di una disciplina di fonte sovranazionale nella corretta esegesi fornitane dall’organo giurisdizionale a ciò istituzionalmente preposto[64].
Invertendo l’ordine delle questioni esaminande per ragioni di comodità e continuità espositiva, l’attenzione dell’esegeta può spostarsi sui rapporti tra strumenti di tutela interni e diritto convenzionale. Ed anche qui l’operatore del diritto è tenuto necessariamente ad operare un distinguo.
Infatti, ove la Corte di Strasburgo accerti una lesione del diritto di difesa e la violazione di un canone del giusto processo non può far altro che constatare l’irritualità del processo svoltosi e l’illegittimità della sentenza sfavorevole per il ricorrente pronunciata dal giudice nazionale. Per ovviare alle conseguenze di una simile vicenda si dovrebbe svolgere un nuovo processo e ciò è possibile soltanto mediante l’istituto della revocazione[65]: tertium non datur.
Conclusioni parzialmente differenti sono in potenza raggiungibili allorché ci si trovi al cospetto di un pregiudizio sostanziale arrecato ad un diritto fondamentale del ricorrente appurato dal giudice convenzionale, le cui statuizioni siano difformi da quanto stabilito dall’autorità giurisdizionale interna.
La Corte Edu in una siffatta circostanza vaglia nel merito la controversia sottoposta al suo giudizio e pertanto la sua attuazione nel diritto interno non necessita di una revocazione del giudicato. Ciò che impedisce di erogare la dovuta tutela al soggetto leso dalla delibazione errata dell’autorità giurisdizionale interna è la ritenuta inammissibilità del ricorso al giudizio d’ottemperanza sulla base di ragioni però stimate non suscettibili di approvazione.
È stato posto in rilievo, infatti, che se è vero che nessuna norma della CEDU prevede l’obbligo per gli Stati membri di predisporre strumenti di diritto interno per l’esecuzione della pronuncia della Corte EDU, è indubbio che la predetta circostanza non impedisce agli ordinamenti nazionali di implementare efficaci strumenti processuali esecutivi, attivabili dalle parti interessate, così come la competenza attribuita al Comitato dei Ministri per la verifica della corretta esecuzione della sentenza della Corte non esclude tale possibilità e tale potestà in capo ad altri soggetti istituzionali esercitanti la funzione giurisdizionale o amministrativa preposti all’attuazione del diritto convenzionale[66].
Inoltre, il legislatore indubbiamente ha delineato con ampiezza i potenziali contenuti della sentenza resa dal giudice dell’ottemperanza ma una tale scelta di politica legislativa non è espressione dell’intento di tassativizzare le fattispecie che consentono di attivare lo strumento processuale in parola.
La non decisività del tenore letterale dell’art. 112 del c.p.a. è attestata dall’interpretazione evolutiva afferente ai rapporti tra il giudizio di ottemperanza e il ricorso straordinario al Capo dello Stato, prima escluso, poi annoverato tra le fattispecie sussumibili nel campo applicativo della disposizione legislativa esaminanda una volta assunta la sua natura giurisdizionale. La dizione codicistica attiene a tutte le sentenze passate in giudicato, non solo quelle di provenienza nazionale, né un ostacolo in tal senso può essere rappresentato dalla necessaria competenza territoriale del giudice dell’ottemperanza, atteso che è proprio il diritto internazionale a dimostrare la possibile produzione di effetti di provvedimenti giurisdizionali sovranazionali o comunque stranieri nell’ordinamento interno non implicanti, però, un indebito stravolgimento dei rapporti tra fonti[67].
Le uniche due situazioni davvero irrimediabili nell’attuale panorama normativo, quindi, sono rappresentate dal discostamento più o meno ampio e/o intenzionale del giudice nazionale dalle regole enucleate dalla Corte di Giustizia e dalla violazione di un principio fondamentale sul versante processuale cristallizzato dalla CEDU.
Considerazione comune per entrambe le ipotesi è la conclamata portata valoriale del giudicato.
La certezza del diritto è una garanzia di carattere trasversale perseguita e assicurata sia dalle fonti interne sia da quelle sovranazionali. Con precipuo riferimento al diritto comunitario non si può trascurare un importante interrogativo postosi dalla dottrina con riferimento ai rapporti tra accertamenti definitivi dell’autorità giurisdizionale, la loro incontrovertibilità e il principio dell’autonomia processuale.
7. L’amletico dilemma tra il salvaguardare il principio di certezza del diritto oppure garantire piena effettività all’ordito normativo comunitario
Rispetto al fenomeno dell’erosione dell’intangibilità del giudicato, infatti, vi sono delle perplessità circa la possibilità di estrarre un principio suscettibile di generalizzazione dai casi Lucchini e Olimpiclub, apparentemente da escludersi ad una attenta lettura di quanto affermato nella pronuncia Pizzarotti, dalla successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia.
E’ noto innanzitutto che la prima delle decisioni appena menzionate verteva su un’area particolarmente delicata e importante, cioè quella degli aiuti di Stato. Inoltre, essa era contrassegnata da un’ulteriore peculiarità, consistente nella circostanza per cui l’azione dello Stato membro coinvolto interferiva con una competenza demandata in via esclusiva alla Commissione europea.
Nella seconda controversia richiamata, l’argomentazione volta a giustificare la cedevolezza del giudicato è costituita dall’esigenza di assicurare l’effettività del diritto comunitario. Anche qui non si possono non porre in evidenza i tratti specializzanti del caso concreto concernente la scorretta applicazione delle norme europee in materia di I.V.A. regolanti il rapporto annuale tra amministrazione finanziaria e contribuente, rispetto al quale si rammentava la non estendibilità, a dire della Corte di Giustizia, del giudicato a uno anno finanziario differente da quello oggetto di vaglio giudiziale, potenzialmente suscettibile di un successivo accertamento allorché il privato intenda impugnare il provvedimento dell’autorità amministrativa. Ciò per superare l’orientamento della Cassazione secondo cui anche la controversia susseguente era assorbita dal giudicato ed evitare il perpetuarsi di un errore nella non corretta attuazione del diritto europeo.
Nella pronunzia Pizzarotti la Corte di Giustizia asserisce esplicitamente che il diritto dell’Unione Europea non esige che, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione offerta dalla Corte posteriormente alla decisione di un organo giurisdizionale avente autorità di cosa giudicata, quest’ultimo ritorni su tale decisione. Il caso Lucchini viene definito dal giudice comunitario un giudizio atipico: tra intangibilità del giudicato e cedevolezza delle statuizioni giurisdizionali divenute definitive, dunque, sussiste un rapporto di regola ed eccezione o almeno questa è l’interpretazione che è stata data a questa opinione connotata da cautela e prudenza[68].
Giova rilevare, peraltro, che la Corte di Giustizia[69] ha avuto modo di ribadire in plurime occasioni il carattere eccezionale dell’erosione del giudicato a fronte della sua tendenziale e ordinaria intangibilità.
Il grimaldello per una giusta lettura delle osservazioni che si proporranno è l’aggettivazione usata dalla Corte di Giustizia con riferimento al caso Lucchini, ovvero la sua definizione quale giudizio atipico. Si sostiene in altri termini che il giudicato, in casi eccezionali, può essere caducato al sussistere di altri e prevalenti interessi.
Tale opinione, soprattutto con riferimento alla tematica che ci occupa, risulta accettabile con molta fatica.
In primo luogo perché il giudice comune di uno Stato membro, al fine di evitare una simile evenienza, sarebbe costretto pressoché costantemente a rivolgersi alla Corte di Giustizia con il rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE.
In secondo luogo, ed è questo l’aspetto saliente cui prestare attenzione, non è dato comprendere- id est predeterminare- quando la violazione assume una tale gravità e salvaguardi un interesse tale da inficiare anche la portata valoriale della certezza del diritto. Pertanto, le situazioni giuridiche soggettive di rilevanza europea sarebbero oggetto di accertamenti giurisdizionali la cui incontrovertibilità resterebbe sempre dubbia, vanificando così anche il faticoso lavorio della giurisprudenza interna e sovranazionale teso a conciliare e modellare il regime d’invalidità dell’atto amministrativo con il diritto europeo, pur nelle diverse difficoltà create dalla differente concezione dei rapporti tra ordinamenti avallate dalla Corte di Giustizia e dalla Corte Costituzionale.
L’inammissibilità di una simile conseguenza, poi, emerge con evidenza qualora si tenga conto del legame tra giudicato e principio di legalità, messo ben in evidenza dalla nostra giurisprudenza amministrativa per spiegare l’efficacia ultra partes del primo allorquando la determinazione dell’autorità amministrativa si sostanzi in un atto generale e collettivo oppure allorché sia la stessa pubblica amministrazione, nei limiti della sua discrezionalità, ad estendere la regolamentazione contenuta nella delibazione giudiziale anche a coloro che non hanno preso parte al giudizio e perciò non ne sarebbero attratti. La portata a geometrie variabili del giudicato amministrativo e il potere della pubblica amministrazione rinvengono il proprio fondamento nel principio di legalità. Il contenuto inscindibile degli atti generali e collettivi è la ragione che spiega l’estensione della statuizione dell’organo giurisdizionale nella prima ipotesi e il ritorno alle regole generali quanto agli atti plurimi, salvo diversa determinazione dell’organo pubblico esercente la funzione amministrativa[70].
Quanto rappresentato lascia emergere l’ineludibile esigenza di sapere prima e con puntualità le ragioni alla base delle deroghe di cui soffre un principio di carattere generale. L’assenza, e al contempo, la necessità, di un referente normativo traspare dalla pronuncia del Tribunale di Roma seguente alla sentenza Lucchini con la quale si è evidenziato che
“non pare ci sia nell’ordinamento italiano una qualche regola che consenta alla pubblica amministrazione di non tenere conto delle sentenza passate in giudicato, quando queste risultino in contrasto con il diritto comunitario, né questa può essere considerata come implicita nella cosiddetta supremazia del diritto dell’Unione rispetto al diritto interno, che è rapporto tra fonti del diritto, e non intacca la regola per la quale il giudicato formale costituisce accertamento definitivo di una situazione giuridica, anche quando tale accertamento sia errato, per l’errata applicazione del diritto interno come di quello sovranazionale”[71].
8. Conclusioni. Verso un “eccesso di giurisdizione comunitario”, il salto nel vuoto delle Sezioni Unite e il colpevole silenzio del legislatore
Sulla scorta di questi apprezzamenti, l’approdo ermeneutico della Sezioni Unite della Corte di Cassazione è passibile di critica sotto diversi aspetti.
Primieramente perché sia per l’errata applicazione del diritto interno che di quello sovranazionale vale comunque la stabilità del giudicato e, pertanto, l’equivalenza delle condizioni tra rimedi nazionali ed europei non risulta infranta. Inoltre, correlando la primazia e l’effettività delle regole sostanziali di diritto comunitario all’autonomia procedurale degli Stati membri, si compie una indebita funzionalizzazione delle regole processuali per loro natura estranee al bilanciamento di interessi intrinseco alle norme di carattere sostanziale[72].
In secundis perché, nelle maglie della nostra giurisprudenza costituzionale e della stessa giurisprudenza europea, la predeterminazione delle regole alla base dell’azione amministrativa[73] e dell’esercizio dei poteri giurisdizionali è reputata sempre più elemento indefettibile di uno Stato di diritto in cui sono sempre più estese le garanzie proprie del principio di legalità e i riverberi applicativi dei suoi corollari.
Sul punto basta rammentare le pronunce della Corte Edu con cui sono stati elaborati i cd. Engel criteria e la consequenziale equiparazione delle sanzioni amministrative alle pene, la sentenza n. 63 del 2019 della Corte Costituzionale, mediante la quale la Consulta ha mutato il proprio orientamento circa l’applicazione del principio della retroattività della lex mitior in ordine al diritto amministrativo, nonché l’attivazione dell’istituto dei cd. controlimiti all’esito della ormai nota vicenda Taricco con la pronuncia n. 115 del 2018.
Richiamare in questa sede tali referenti giurisprudenziali potrebbe apparire contraddittorio o al più inconferente, ma ciò solo in ragione di una lettura superficiale delle vicende citate. In particolare, a seguito della pronuncia n. 63 del 2019, la dottrina[74] ha avuto modo di evidenziare che per rendere effettive le statuizioni della Consulta anche ai casi precedenti, secondo quanto prospettato dallo stesso giudice costituzionale, vi sono due solo due e differenti soluzioni: sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981 nella parte in cui non prevede l’applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative a carattere punitivo oppure, e preferibilmente, un intervento legislativo che generalizzasse, nel testo dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981, la previsione di retroattività favorevole delle sanzioni amministrative[75].
Ancora più significativa si appalesa la vicenda Taricco nella parte in cui l’attivazione dell’istituto dei contro limiti è correlata all’indeterminatezza del concetto di “un numero considerevole di casi di frode grave”. Il puntuctum dolens di tale asserzione, secondo la Consulta, è da ritrovarsi nel difetto di parametri legislativi puntuali per comprendere e stabilire quando sussistano le condizioni e i presupposti di una frode grave.
Si evince da questo quadro giurisprudenziale l’indiscutibile prevalenza del principio di legalità e della certezza del diritto[76].
Le asserzioni de qua ben si attagliano alla nozione fluida e sfuggente di “abnormità di un error in iudicando o in procedendo, la quale è soggetta ad apprezzamenti soggettivi e contingenti dell’autorità giurisdizionale”, a voler fruire dal registro linguistico della stessa Corte costituzionale utilizzato nella sentenza n. 6 del 2018.
E’, dunque, un pilastro dello Stato del diritto- qual è il principio di legalità- a lasciar prevedere e auspicare una soluzione prudente della Corte di Giustizia, volta a sconfessare le posizioni assunte dalla giurisprudenza di legittimità, così da evitare decisioni capaci di porre la stura ad una diatriba interpretativa con la Corte costituzionale, non disposta a cedere il passo quanto alla tenuta dei principi fondamentali della Costituzione.
Ciò per altre due e ultime ragioni.
Innanzitutto, perché una risposta di segno positivo ai quesiti sollevati dalle Sezioni Unite, secondo la Consulta e la dottrina, minerebbe il sistema dualistico della giurisdizione voluto dal legislatore costituente, lederebbe l’autonomia dei giudici speciali e, parimenti, comprometterebbe l’esatta perimetrazione delle competenze dei differenti plessi giurisdizionali, confondendo i concetti di tutela giurisdizionale e giurisdizione che, come visto, la nostra Carta costituzionale non rende sovrapponibili.
Inoltre, riconoscere un’ampiezza eccessiva alla tutela del cd. interesse strumentale collide con la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, preposta in via eccezionale alla tutela dei diritti soggettivi e di regola a quella degli interessi legittimi, il cui anelito sostanziale ad un bene della vita ed al relativo ed effettivo conseguimento peraltro non è da ritenersi elemento immancabile e coessenziale ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva; indi, resta indispensabile per legittimare l’azione dei ricorrenti la sussistenza delle condizioni di interesse e legittimazione a ricorrere, come chiarito recentemente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in più di una occasione, puntuazione da tenersi in maggiore considerazione dal giudice comunitario, propenso talvolta a porre l’accento esclusivamente al ripristino della mera legalità dell’azione amministrativa[77].
Infine, secondo l’opinione di chi scrive, le Sezioni Unite invocano l’intervento della Corte di Giustizia per porre in discussione l’interpretazione resa dalla Consulta e chiedere- consequenzialmente- la disapplicazione dell’art. 111, Cost., comma 8. Tale profilo è stato considerato da autorevole dottrina
“il punto cruciale, che speriamo non costituisca un modello di comportamento dei giudici italiani e europei, è che una questione domestica -sia per il rango esclusivamente nazionale, sia per la portata tutta interna al sistema degli organi di vertice degli apparati giudiziari italiani -ha condotto „l‘organo supremo della giustizia, (che) assicura l’esatto osservanza e l‘uniforme interpretazione della legge, l‘unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto delle diverse giurisdizioni, regola i conflitti di competenza“ (art. 65, comma 1, O.G.), a chiedere al giudice europeo di valutare la compatibilità della Costituzione italiana, così come interpretata dalla Corte costituzionale, con il diritto europeo. Certo, qui l’effetto sarebbe solo quello della disapplicazione dell‘interpretazione datane dalla Corte costituzionale: ma si è aperta la strada (finora solo teorizzata, ma mai praticata in concreto) alla verifica della compatibilità comunitaria della Costituzione Italiana”[78].
In sostanza, il riattualizzarsi del dibattito pretorio riguardo all’eterno ritorno della disputa sull’eccesso di giurisdizione può condurre a risultanze inaugurate e impronosticabili nei loro riverberi, verso un noumeno[79] scaturigine di una crisi profonda di rapporti tra ordinamenti, in grado di scalfire i delicati equilibri della struttura multilivello delle tutele e della giurisdizione.
Al di là della ribadita e ripetuta dubbia compatibilità di siffatta esegesi ermeneutica con principi di carattere fondamentale, in tal modo si rischia di incappare e di far incorrere il giudice comunitario nel medesimo vizio che s’intende censurare al Consiglio di Stato, cioè quello di invadere una sfera di competenza attribuita esclusivamente alla Consulta, con un tentativo inammissibile e malcelato di eludere l’ultimo comma dell’art. 137 della Costituzione, a mente del quale contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.
In tesi, sul punto, è dato preconizzare una paradossale e inaugurata ipotesi di “eccesso di potere giurisdizionale comunitario”.
Concludendo, non si può non auspicare un intervento del legislatore, colpevolmente inerte per un arco temporale lungo, volto a specificare i presupposti applicativi e le violazioni di carattere processuale e sostanziale passibili di revocazione, in ossequio al principio di legalità e tenendo conto del valore, imprescindibile in ambito giuspubblicistico, della certezza del diritto, che giustifica nella regolarità dei casi la stabilità di un accertamento giurisprudenziale pur se fondato su un’interpretazione o applicazione del diritto interno errata. Nel frattempo si dovrebbero evitare usurpazioni illegittime della giurisdizione altrui, indebite appropriazioni delle potestà del Giudice delle leggi e porre in essere una riforma della struttura del giudice della giurisdizione, realizzandone una composizione mista atta a salvaguardarne l’imparzialità e la funzione nomofilattica nel pieno rispetto dell’autonomia di ciascun plesso giurisdizionale.
[1] Cfr. MAZZAMUTO, L’eccesso di potere giurisdizionale del giudice della giurisdizione, in Diritto processuale amministrativo, n.4/2012, pp. 1677-1714.
[2] Cfr. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1994, quarta edizione, a cura di E. CARDI- A. NIGRO, p. 177; VERRIENTI, Commento all’art. 48 r.d. n.1054/1924, in (a cura di) A. ROMANO, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova 2001.
[3] Per la ricostruzione storica del panorama normativo afferente all’eccesso di potere giurisdizionale cfr. R. DE NICTOLIS, L’eccesso di potere giurisdizionale (tra ricorso per “i soli motivi inerenti alla giurisdizione” e ricorso per “violazione di legge”, in F. FRANCARIO E M. A. SANDULLI (a cura di), La Sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi, p. 274.
[4] Cfr. V. CAIANIELLO, Diritto processuale amministrativo, II ed. Torino 1994, p. 299; M. BRACCI, Le questioni e i conflitti di giurisdizione e di attribuzione nel nuovo cod.proc.civ., in Riv.dir.proc., 1941, I parte, p.165; P. SIRACUSANO, Commento all’art. 48 t.u. n. 1054 del 1924, in B. MATTARELLA- M.A. SANDULLI- S. BATTINI- G. VESPERINI (a cura di), Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007.
[5] F. BASSI, Il principio della separazione dei poteri, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1965, p. 17; I. M. MARINO, Corte di Cassazione, e giudici “speciali”, in AA.VV. Studi in onore di Vittorio Ottaviano, II, Milano Giuffré, 1992, p. 173.
[6] Cfr. R. VILLATA, Sui motivi inerenti alla giurisdizione, in Dir. proc., n.3/2015, p. 632; A. CORPACI, Note per un dibattito in tema di sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, in Dir. Pubb., n.1/2013, pp. 341-358; G. VERDE, La Corte di Cassazione e i conflitti di giurisdizione (appunti per un dibattito), in Dir. proc. amm., n.2/2013 pp. 367-384; G. TROPEA, La specialità del giudice amministrativo tra antiche criticità e persistenti insidie, in Diritto processuale amministrativo, n.3/2018, p. 889.
[7] Cfr. R. DE NICTOLIS, L’eccesso di potere giurisdizionale (tra ricorso per “i soli motivi inerenti alla giurisdizione” e ricorso per “violazione di legge”, op. cit., p. 280.
[8] Cass. civ. Sez. Unite Ord., 13 giugno 2006, n. 13659; Cass. civ. Sez. Unite Ord., 13 giugno 2006, n. 13660; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 23 dicembre 2008, n. 30254.
[9] Cass. civ. Sez. Unite Ord., 08 aprile 2010, n. 8325; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 22 maggio 2012, n. 8071; Cass. civ. Sez. Unite, 17 febbraio 2012, n. 2312. Cfr. V. FANTI, in Giustizia Amministrativa, a cura di P. VIPIANA-V. FANTI-M. TRIMARCHI, Cedam, Milano, 2019, p. 445; A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2016, p. 344; C.E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, ottava ed., Torino p. 352.
[10] Sul punto si vedano i recenti contributi di M. CONDORELLI, In tema di ricorso per Cassazione avverso sentenza del Consiglio di Stato, in Il Foro italiano, n.1/2020, pp. 253-255; A. CASSATELLA, L'eccesso di potere giurisdizionale e la sua rilevanza nel sistema di giustizia amministrativa, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n.2/2018, pp. 635-691; A. GUANTARIO, L'eccesso di potere nel sindacato di legittimità ed esigenza di effettività della tutela giurisdizionale, in GiustAmm.it, n.7/2018, p. 28; A. LAMORGESE, Eccesso di potere giurisdizionale e sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, in federalismi.it, n. 1/2018, pp. 17.
[11] Così Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 21 novembre 2011, n. 24411.
[12] Cass. civ. Sez. Unite, 27 dicembre 2017, n. 30974; Cass. civ. Sez. Unite, 20 gennaio 2014, n. 1013.
[13] Per una panoramica sul tema si v. V. PARISIO, Contrôle juridictionnel des actes des Autorités indépendantes Italiennes: un bref aperçu, in federalismi.it, n.19/2018, pp. 23.
[14] Cons. Stato Sez. VI Sent., 11 settembre 2014, n. 4629, Cons. Stato Sez. V Sent., 27 aprile 2011, n. 2521. In dottrina cfr. F. CARINGELLA, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Dike Editore, Roma 2019, p.94; M. SAVINO, La tutela giurisdizionale nei confronti degli atti delle Autorità indipendenti, Wolters Kluwer, p. 219, Milano, 2019; C. CONTESSA, Forme e metodi del sindacato giurisdizionale sugli atti delle Autorità indipendenti, in www. giustizia amministrativa.it, 24 luglio 2018.
[15] Cass. civ. Sez. Unite, 27 luglio 1998, n. 7350; Cass. civ. Sez. II, Sent., 22 febbraio 2018, n. 4321; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 30 marzo 2017, n. 8245; Cass. civ. Sez. Unite, 16 gennaio 2014, n. 771.
[16] Cass. civ. Sez. Unite Ord., 05 novembre 1998, n. 973; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 06 maggio 2015, n. 9099; Cass. civ. Sez. Unite, 16 gennaio 2007, n. 753.
[17] Cfr. C. FERRI, Limiti del controllo della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato, in Riv. dir. proc., 1968, p. 365.
[18] Cfr. A.P. PISANI, L’importanza dell’articolo 113, 3° comma Costituzione, per una giustizia effettiva del cittadino contro atti della Pubblica amministrazione, in Questione Giustizia, n.3/2015; A. CORPACI, Note per un dibattito in dibattito in tema di sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, op.cit.; I. ZINGALES, La "giustiziabilità della pretesa": natura della questione e deducibilità in Cassazione attraverso i mezzi di verifica della giurisdizione, in Diritto e giurisprudenza commentata, n. 4/2014, pp. 56-65. In giurisprudenza cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 06 febbraio 2015, n. 2242.
[19] Cfr. F. PATRONI GRIFFI, Eccesso o rifiuto di giurisdizione e sindacato della Corte di cassazione ex articolo 111 della Costituzione, in www. giustiziaamministrativa.it.
[20] Così Cass. Sez. Un., 05 luglio 2013, n. 16886. Del medesimo avviso Cass. civ. Sez. Unite Sent., 04 febbraio 2014, n. 2403; Cass. civ. Sez. Unite, 06 febbraio 2015, n. 2242; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 17 novembre 2015, n. 23460; Cass. civ. Sez. Unite, 17 novembre 2015, n. 23461; Cass. civ. Sez. Unite, 20 maggio 2016, n. 10501; Cass. civ. Sez. Unite, 08 luglio 2016, n. 14043.
[21] Così Cass. civ. Sez. Unite, 17 gennaio 2017, n. 956. Alla stessa stregua Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08 luglio 2016, n. 14042.
[22] Corte eur. dir. Uomo, 4^ sez., 8 settembre 2015, Wind Telecomunicazioni spa c/ Italia, ric. n. 5159/14; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08 luglio 2016, n. 14042.
[23] Cass. civ. Sez. Unite, 14 dicembre 2016, n. 25629.
[24] Cass. civ. Sez. Unite Sent., 01 marzo 2012, n. 3236.
[25] Cass. civ. Sez. Unite, 08 luglio 2016, n. 14043; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08 luglio 2016, n. 14042; Cass. civ. Sez. Unite, 20 maggio 2016, n. 10501.
[26] Ex plurimis, Cass. civ. Sez. Unite, 29 febbraio 2016, n. 3915; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 04 febbraio 2014, n. 2403; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 05 luglio 2013, n. 16886.
[27] Sul tema della “pregiudizialità amministrativa”, il confronto e l’approfondimento della dottrina, non solo amministrativistica, sono sconfinati. Senza pretesa di esaustività si segnalano i contributi, recenti e più risalenti, di R. NICOLA, La pregiudizialità amministrativa e il concorso di colpa del danneggiato di cui all’art. 1227, comma 2, cod. civ.: una relazione biunivoca., in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n.2/2019, pp. 364-375; F. CORTESE, Autonomia dell'azione di condanna e termine di decadenza, in Giornale di diritto amministrativo, n.5/2017, pp. 662-668; M. INTERLANDI, La pregiudiziale amministrativa tra modelli processuali ed effettività della tutela, in federalismi.it, n.22/2013; G.A. PRIMERANO, L'autonomia "disincentivata" dell'azione risarcitoria nel Codice del processo: una conferma del difficile equilibrio tra buon andamento dell'azione amministrativa ed effettività della tutela giurisdizionale, in Il Foro Amministrativo C.d.S., n.10/2012, pp. 2566-2590; A. DE CHIARA, Danno derivante da lesione di interesse legittimo e situazioni giuridiche soggettive, in federalismi.it, n. 8/2012; E. MORLINO, La via semplificata verso il risarcimento: i confini di una conquista, in Giornale di diritto amministrativo, n.2/2012 , pp. 168-180; C. E. GALLO, Le azioni ammissibili nel processo amministrativo ed il superamento della pregiudizialità anche per le controversie ante codice, in Urbanistica e appalti, n. 6/2011, pp. 694 – 700; F. CINTIOLI, Il processo amministrativo risarcitorio senza la pregiudizialità. Ovverossia "della specialità perduta"?, in Diritto processuale amministrativo, n.4/2009, pp. 933-977; M. CLARICH, La pregiudizialità amministrativa: una nuova smentita da parte della Cassazione alla vigilia di un chiarimento legislativo, in Danno e responsabilità, n.7/2009, pp. 731 – 735; D. SORACE, La responsabilità risarcitoria delle pubbliche amministrazioni per lesione di interessi legittimi dopo 10 anni, in Diritto amministrativo, n.2/2009, pp. 379 – 411; F. CORTESE, Corte di cassazione e Consiglio di Stato sul risarcimento del danno da provvedimento illegittimo: motivi ulteriori contro e per la c.d. "pregiudizialità amministrativa", in Diritto processuale amministrativo, n.2/2009, pp. 511 – 551; L. TORCHIA, La pregiudizialità amministrativa dieci anni dopo la sentenza 500/99: effettività della tutela e natura della giurisdizione, in Giornale di diritto amministrativo, n.4/2009, pp. 385 – 393; G. VERDE, Ancora su pregiudizialità amministrativa e riparto di giurisdizione, in Rivista di diritto processuale, n.2/2009, pp. 463-473; M. CLARICH, La pregiudizialità amministrativa riaffermata dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato: linea del Piave o effetto boomerang?, in Giornale di diritto amministrativo, n.1/2008, pp. 55-62; A. TRAVI, Pregiudizialità amministrativa e confronto fra le giurisdizioni, in Il Foro italiano, n.1/2008, pp. 3-9; F. CARINGELLA, La pregiudiziale amministrativa: una soluzione antica per un problema attuale, in Il Corriere del Merito, n.12/2007, pp. 1471-1474; F. FRANCARIO, Degradazione e pregiudizialità quali limiti dell'autonomia dell'azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo, n.3/2007, pp. 441-457; M.A. SANDULLI, Finalmente "definitiva" certezza sul riparto di giurisdizione in tema di "comportamenti" e sulla c.d. "pregiudiziale"amministrativa? Tra i due litiganti vince la "garanzia di piena tutela" (a primissima lettura in margine a Cass. Sez. Un., 13659, 13660 e 13661 del 2006), in Giustizia amministrativa, n.3/2006, pp. 569-574.
[28] Cfr. V. FANTI, La “rivoluzione operata dalla Corte di Cassazione sulla giurisdizione del giudice amministrativo in tema di pregiudizialità amministrativa, in Diritto e processo amministrativo, n.1/2007, p. 184.
[29] Su tale profilo, concernente l’ontologia del giudizio amministrativo, se esso avente ad oggetto meramente l’atto oppure comprensivo dell’intero rapporto giuridico dedotto in giudizio, si richiama uno scritto di autorevole dottrina che con chiarezza ha spiegato pregevole rappresentazione in merito, si v. G. GRECO, Giudizio sull'atto, giudizio sul rapporto: un aggiornamento sul tema (Relazione al convegno "Giornate di studio sulla giustizia amministrativa (profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa), Certosa di Pontignano, 13-14 maggio 2016), in Diritto e società, n.2/2016 pp. 203-254. Tale contributo, in via successiva, è confluito nel contributo in collettanea G. GRECO, Giudizio sull'atto, giudizio sul rapporto: un aggiornamento sul tema (Relazione al convegno "Giornate di studio sulla giustizia amministrativa, in M. SANDULLI-F. FRANCARIO (a cura di), Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa, Editoriale scientifica, 2017.
[30] Cass. civ. Sez. Unite Sent., 23 dicembre 2008, n. 30254.
[31] Cfr. R. VILLATA, "Lunga marcia" della Cassazione verso la giurisdizione unica ("dimenticando" l'art. 103 della Costituzione?, in Diritto processuale amministrativo, n.1/2013, pp. 324-356.
[32] Sulla base di queste premesse, è stata cassata con rinvio una pronuncia del Consiglio di Stato con la quale quest’ultimo aveva dichiarato inammissibile un ricorso fruendo di argomentazioni antitetiche a quelle poste alla base della sentenza Fastweb; secondo tale arresto del giudice comunitario, infatti, qualora il partecipante ad una gara d’appalto pubblico abbia impugnato l’aggiudicazione intervenuta in favore di un concorrente, il giudice amministrativo non può omettere l’esame delle proposte doglianze solo perché sia stato fondatamente eccepito che il ricorrente a propria volta non era legittimato a partecipare alla gara. Tale approdo ermeneutico (sebbene nelle controversie specifiche sottoposte all’attenzione della giurisprudenza di legittimità sia stata ravvisata l’insussistenza del c.d. “radicale stravolgimento” delle disposizioni comunitarie) è stato ribadito con le sentenze delle Sez. Unite nn. 3915 del 2016 e 953 del 2017, nonché dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato mercé la sentenza n. 11 del 2016. In merito alla convergenza esegetica tra le due giurisdizioni, si veda anche Memorandum sul dialogo tra le giurisdizioni, con nota di presentazione di B. CARAVITA, in www.federalismii.it, 31.5.2017; si vedano anche G. AMOROSO, Le Sezioni uniti civili della Corte di Cassazione a composizione allargata: considerazioni a margine del memorandum sulle tre giurisdizioni, in Il Foro italiano, n.2/2018, pt. 5, pp. 90-96; G.CANZIO, Le buone ragioni di un Memorandum, in AA.VV., La nomofilachia nelle tre giurisdizioni: Corte Suprema di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti, in ITALIADECIDE (a cura di), Bologna, 2018; F.PATRONI GRIFFI, Per un "dialogo tra le corti" al servizio del cittadino e non di giudici e giuristi, in Il Foro italiano, n.2/2018, pt.5, pp. 96-99. [32] Vedi anche Memorandum sul dialogo tra le giurisdizioni, con nota di presentazione di B. CARAVITA, in www.federalismii.it, 31.5.2017; si vedano anche G. AMOROSO, Le Sezioni uniti civili della Corte di Cassazione a composizione allargata: considerazioni a margine del memorandum sulle tre giurisdizioni, in Il Foro italiano, n.2/2018, pt. 5, pp. 90-96; G.CANZIO, Le buone ragioni di un Memorandum, in AA.VV., La nomofilachia nelle tre giurisdizioni: Corte Suprema di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti, in ITALIADECIDE (a cura di), Bologna, 2018; F.PATRONI GRIFFI, Per un "dialogo tra le corti" al servizio del cittadino e non di giudici e giuristi, in Il Foro italiano, n.2/2018, pt.5, pp. 96-99.
[33] L’asserita corrispondenza biunivoca tra diritti fondamentali e diritti soggettivi in realtà è il frutto dell’ormai superata tesi dell’affievolimento, in virtù della quale gli interessi legittimi costituirebbero una mera degradazione dei diritti soggettivi. Sul punto, nonostante sia risalente nel tempo, permane attuale e pertinente l’analisi di F. LEDDA, Polemichetta breve intorno all'interesse legittimo, in Giurisprudenza italiana, n. 11/1999, pp. 2212-2219, in cui l’A. analizza la figura degli interessi, i procedimenti di astrazione, e la assegnazione delle utilità in via autoritativa, partendo dalla teoria dell'affievolimento. Riguardo alla teoria dell’affievolimento, autorevole dottrina ha riflettuto sul dimensionamento del vaglio delle situazioni giuridiche, siano esse di diritto ovvero di interesse, per radicare o negare la competenza del giudice amministrativo, esaltando al contempo la dissertazione in merito alla sussistenza di poteri discrezionali della pubblica amministrazione In tal senso, v. F.G. SCOCA, Osservazioni eccentriche, forse stravaganti, sul processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, n. 3/2015, pp. 847-872. In tempo risalente, si era già posta in evidenza la debolezza di fondo della “degradazione”, in tal senso si veda A. SCHREIBER, E' mai esistita la degradazione dei diritti? Osservazioni sull' art. 2 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, in Il Foro amministrativo, n.3/1985, pp. 669-688. La teorica de qua inizialmente riferita al diritto alla salute e successivamente estesa ad altre situazioni giuridiche soggettive, si fonda su un equivoco, ravvisabile, appunto, nella ritenuta indegradabilità dei diritti fondamentali; in tal senso cfr. N. PIGNATELLI, La dimensione fisica della libertà religiosa diritto costituzionale ad un edificio di culto, in www. federalismi.it, n. 24/2015; P. VIRGA, Diritto amministrativo-atti e ricorsi, II, Milano, 2000, p. 163; L. CORAGGIO, La teoria dei diritti indegradabili: origini e attuali tendenze, in Dir. proc. amm., n.2/2010, pp. 483-509
[34] Per tutti e con impareggiabile chiarezza e lucidità M. CLARICH, Quello sterile pressing sulla giustizia amministrativa che elude la sfida di far funzionare meglio i processi, in Guida al Dir., n. 21/2014.
[35] Cfr. F. SAITTA, Giustizia amministrativa: un dualismo da perfezionare (Intervento al Congresso nazionale A.N.M.A. su: «Giustizia amministrativa per i cittadini» - Catania, 16 novembre 2018), in www.lexitalia.it, n. 11/2018.; R. VILLATA, Giustizia amministrativa e giurisdizione unica, in Riv. dir. proc., n.2/2014, 287; R. GAROFOLI, Unicità della giurisdizione ed indipendenza del giudice: principi costituzionali ed effettivo sviluppo del sistema giurisdizionale, in Dir. proc. amm., n.1/1998, p.165.
[36] Cass. civ. Sez. Unite, 24 febbraio 2000, n. 41, n. 353 del 2000; Cass. civ. Sez. Unite, 07 novembre 2000, n. 1154; Cass. civ. Sez. Unite, 21 dicembre 2000, n. 1323, Cass. civ. Sez. Unite, 07 marzo 2001, n. 89, Cass. civ. Sez. Unite, 11 giugno 2001, n. 7866.
[37] Cass. civ. Sez. Unite, 30 gennaio 2003, n. 1511; Cass. civ. Sez. Unite, 03 maggio 2005, n. 9101.
[38] Corte cost. Ord., 11/05/2006, n. 197; Corte cost. Ord., 07 ottobre 2005, n. 382.
[39] Corte Edu, Causa Mottola e altri c. Italia – Prima Sezione – sentenza 6 settembre 2018 (ricorso n. 29932/07); Corte Edu, Causa Staibano e altri c. Italia – Prima Sezione – sentenza 6 settembre 2018 (ricorso n. 29907/07).
[40] Cass. civ. Sez. Unite Ord., 08 aprile 2016, n. 6891.
[41] Cfr. V.A. PETRALIA, Conflitto tra giudicato nazionale e sentenze delle Corti Europee: nota a margine di Corte Costituzionale n. 123 del 2017, in AIC, n.4/2017; F. DEODATO, I limiti “esterni” della giurisdizione interpretati dalla più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione (nota a Corte Cost. 6 del 2018 e a Corte di Cassazione - Sezioni Unite civili sentenza 29 dicembre 2017 n. 31226), in www.ildirittoamministrativo.it; R. G. CONTI, L’esecuzione delle sentenze della Corte edu nei processi non penali dopo Corte cost. n. 123 del 2017 in Consultaonline, n. 2/2017; P.PIRONE, Obbligo di conformazione alla pronuncia della Corte di Strasburgo e revocazione della sentenza amministrativa: la sentenza n. 123/2017 della Corte costituzionale, in Rivista di diritto internazionale, n.2/2018, pp.515-54; G.SISGIMONDI, Questioni di legittimità costituzionale per contrasto con le sentenze della Corte EDU e ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione contro le sentenze dei giudici speciali: la Corte costituzionale pone altri punti fermi, in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2018, pp. 122-133.
[42] Punto 14 della decisione.
[43] Punto 16 della decisione.
[44] R. VILLATA, "Lunga marcia" della Cassazione verso la giurisdizione unica ("dimenticando" l'art. 103 della Costituzione?, op.cit.
[45] Cfr. F. DAL CANTO, Il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione dinanzi alla Corte Costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, n.3/2018, p. 1537; P. TOMAIUOLI, L’altolà della Corte costituzionale alla giurisdizione dinamica (a margine della sentenza n. 6 del 2018), in Consultaonline, n. 2/2018; M. PALMA, Le Sezioni Unite ridefiniscono le ipotesi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato, ex art.111 Cost, in Il Processo, n.2/2019, p. 443. Per le ragioni storiche della specialità (necessaria) del giudice amministrativo cfr. V. FALZONE-F. PALERMO-F. COSENTINO, La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori e corredata da note di riferimenti, Milano, Giuffrè, 1976, pp. 357- 359.
[46] Punto 14.1. della decisione.
[47] Cfr. A. SANDULLI, Giudicato amministrativo nazionale e sentenza sovranazionale, in Rivista Trimestrale di Diritto pubblico, n.4/2018, p. 1169.
[48] Cfr. A. POLICE, Giudicato amministrativo e sentenza di Corti Sovranazionali. Il rimedio della revocazione in un’analisi costi benefici, in Dir. proc. amm., n.2/2018, pp. 646-665; A. TRAVI, Pronunce della Corte di Strasburgo e revocazione delle sentenze: un punto fermo della Corte costituzionale, in Giur. cost., n.3/2017, pp. 1260-1272; I. ROSSETTI, Stabilità giuridica contro revocazione: la Corte costituzionale chiude la partita, in Dir. proc. amm., n.2/2018, pp. 665-685.
[49] Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 18 settembre 2020, n. 19598.
[50] I primi commenti della dottrina, riguardo a codesta ordinanza di remissione per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, a prima lettura del provvedimento delle Sez. Unite, sono sintomatici di quanto la questione dell’eccesso di potere giurisdizionale e le relative implicazioni suscitino un interesse rilevante dei commentatori. Per tal motivo, si vedano B. DE SANTIS, Considerazioni di prima lettura sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia di Cass. S.U. n. 19598/2020, in Judicium.it, 12 ottobre 2020; M. CLARICH, Giurisdizione: partita a poker tra Cassazione e Consulta sulle sentenze del Consiglio di Stato, in Norme e Tributi, Il sole 24ore, 14 ottobre 2020; B. CARAVITA DI TORITTO, La Cassazione pone in discussione la Costituzione davanti al giudice europeo? – Postilla a S. BARBARESCHI – L.A. CARUSO, La recente giurisprudenza costituzionale e la Corte di Cassazione “fuori contesto”: considerazioni a prima lettura di ord. Cass. SS.UU. 18 settembre 2020 n. 19598, in federalismi.it, paper 4 novembre 2020; G. TROPEA, ll Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione», in Giustiziainsieme.it, 7 ottobre 2020; F. FRANCARIO, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in Giustiziainsieme.it, 11 novembre 2020; R. BIN, È scoppiata la terza 'guerra tra le Corti'? A proposito del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione, in federalismi.it, paper 18 novembre 2020; M. MAZZAMUTO, Le Sezioni Unite della Cassazione garanti del diritto UE?, in corso di pubblicazione in Riv.it.dir pubbl.com.
[51] Sia per difetto delle condizioni soggettive di partecipazione alla gara intese in senso ampio, sia per altre cause derivanti da carenze oggettive delle offerte e, dunque, anche per inidoneità dell'offerta tecnica o mancato superamento della soglia di punteggio minimo attribuibile all'offerta medesima.
[52] Cons. Stato (Ad. Plen.), 07 aprile 2011, n. 4; Cons. Stato (Ad. Plen.), 25 febbraio 2014, n. 9.
[53]Corte Giu Eu., 5 settembre 2019, C-333/18, Lombardi; Corte Giu Eu., 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica; Corte Giu Eu., 4 luglio 2013, C-100/12, Fastweb.
[54] Punto 25 dell’ordinanza.
[55] Tale approdo interpretativo è corroborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, si cfr. Corte Giu Eu., 14 dicembre 1991, Parere n. 1/91, p. 21; 3 aprile 1968, C-28-67, Westfalen/Lippe GmbH; Corte Giu Eu., 15 luglio 1964, C-6/64, Costa. In tal senso, la CGUE ha affermato che "il trasferimento, effettuato dagli Stati a favore dell'ordinamento giuridico comunitario, dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica quindi una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile con sistema della Comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia. Il giudice nazionale è vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, dall'interpretazione fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell'organo giudiziario di grado superiore qualora esso ritenga che queste ultime non siano conformi al diritto dell'Unione. L'effetto utile dell'art. 267 TFUE sarebbe attenuato se al giudice nazionale fosse impedito di applicare, immediatamente, il diritto dell'Unione in modo conforme ad una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte”.
[56] Punto 41 dell’ordinanza.
[57] Cass. civ. Sez. Unite Sent., 15 novembre 2018, n. 29391; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 18 dicembre 2017, n. 30301; Cass. civ. Sez. Unite Ord., 17 dicembre 2018, n. 32622; Cass. civ. Sez. Unite, 14 dicembre 2016, n. 25629; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 04 febbraio 2014, n. 2403.
[58] Cass. civ. Sez. Unite Ord., 06 marzo 2020, n. 6460; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08 luglio 2016, n. 14042.
[59] Corte di giustizia, Lombardi, cit., pp. 24, 28, 29; cfr. Puligienica, cit., p. 28; Fastweb, cit., p. 33; Cass. civ. Sez. Unite Sent., 29 dicembre 2017, n. 31226.
[60] G. TROPEA, Il Golem Europeo e <> Nota a Cass. Sez. Unite, ordinanza. 19598 18 settembre 2020, cit.
[61] L’interesse strumentale e il più volte contestualmente discusso “ricorso escludente”, sono stati oggetto di precipua attenzione della giurisprudenza nazionale ed europea. Si veda Cons. Stato Sez. IV Sent., 13 dicembre 2017, n. 5871; Cons. Stato Sez. III, 07 luglio 2016, n. 3708; Cons. Stato Sez. V Sent., 09 marzo 2010, n. 1373; Cons. Stato Sez. V Sent., 15 ottobre 2010, n. 7515. In dottrina, si vedano i recenti contributi di F. G. SCOCA, Sul c.d. interesse strumentale nelle procedure selettive (il contrasto tra giudice amministrativo e giudice europeo), in GiustAmm.it, n.11/2019, p. 13; S. MONZANI, La tutela giurisdizionale dei concorrenti a un procedimento ad evidenza pubblica: l'interesse all'aggiudicazione e quello ad un corretto svolgimento della procedura secondo canoni pienamente concorrenziali, in Il Diritto dell'economia, n.3/2018, p. 25; C. NAPOLITANO, Tutela giurisdizionale (processo amministrativo - rito appalti - ricorso incidentale escludente - rapporto con ricorso principale - pluralità di concorrenti non evocati in giudizio o le cui offerte non sono censurate - esame di entrambi i ricorsi - autonomia di valutazione del giudice - rimessione alla Corte di giustizia UE), in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, n.2/2018, pp. 487-490.
[62] Cfr. A. SANDULLI, Giudicato amministrativo nazionale e sentenza sovranazionale, in Rivista Trimestrale di Diritto pubblico, n.4/2018, p. 1190; N. PAPPALARDO, L’eccesso di potere amministrativo nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, in AAVV p. 461, in www.iurisprudentia.it; F. PATRONI GRIFFI, Il metodo di decisione del giudice amministrativo, in www. giustiziaammministrativa.it, 2017.
[63] Cons. Stato Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 6185; Cons. Stato Sez. V Sent., 05 maggio 2016, n. 1824; Cons. Stato Sez. IV Sent., 14 maggio 2015, n. 2431; Cons. Stato Sez. IV Sent., 13 dicembre 2013, n. 6006.
[64] Vedi sul punto F. BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Scritti e pensieri giuridici, II, Milano, Vita e pensiero, 2006, p. 991.
[65] Attualmente, soprattutto all’indomani della lautamente commentata sentenza della Corte Costituzionale n. 123 del 2017, il giudicato amministrativo ha superato la prova dello “stress test” del vaglio della Corte di Strasburgo, non avendosi nel nostro ordinamento un’ipotesi normativa di revocazione (né introducibile ex iudice) del giudicato in contrasto col diritto convenzionale. In tema si vedano F. DE SANTIS DI NICOLA, L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte Edu tra problematico ampliamento dei motivi di revocazione e (sostanziale) neutralizzazione del giudicato nazionale non-penale, in Il giusto processo civile, n.3/2018, pp.807-839; A. POLICE, Giudicato amministrativo e sentenze di corti sovranazionali. il rimedio della revocazione in un'analisi costi benefici, (Nota a sent. C. Cost. 26 maggio 2017 n. 123), in Diritto processuale amministrativo, n.2/2018, p.646-665; E. FURIOSI, Tutela giurisdizionale (revocazione - mancanza obbligo adeguamento successiva sentenza Cedu - impossibilità di ampliare per via giurisprudenziale i casi di revocazione - questione infondata di costituzionalità) (Nota a Cons. Stato ad. plen. 20 dicembre 2017, n. 12), in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, n.6/2017, pp. 1596-1598; P. PIRRONE, Obbligo di conformazione alla pronuncia della Corte di Strasburgo e revocazione della sentenza amministrativa: la sentenza n. 123/2017 della corte costituzionale - (Nota a sent. C. Cost. 26 maggio 2017 n. 123), in Rivista di diritto internazionale, n.2/2018, pp. 515-546; A. RANDAZZO, A proposito della sorte del giudicato amministrativo contrario a pronunzie della corte di Strasburgo (note minime alla sent. n. 123 del 2017 della corte costituzionale) (Nota a sent. C. Cost. 26 maggio 2017 n. 123), in Osservatorio costituzionale, n.3/2017; E. D'ALESSANDRO, Il giudicato amministrativo (e quello civile) per ora non cedono all'impatto con la corte europea dei diritti dell'uomo (Nota a sent. C. Cost. 26 maggio 2017 n. 123), in Il Foro italiano, n.7-8/2017, pp. 2186-2191; F. FRANCARIO, La violazione del principio del giusto processo dichiarata dalla Cedu non è motivo di revocazione della sentenza passata in giudicato - (Nota a sent. C. Cost. 26 maggio 2017 n. 123), in federalismi.it, n. 13/2017.
[66] Cfr. lo scritto (incluse le relative note bibliografiche) di M. LIPARI, L’esecuzione delle decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo nella giurisdizione amministrativa tra margine di apprezzamento nazionale ed effettività del diritto di difesa: restituito in integrum, ottemperanza, revocazione e autotutela doverosa, in Il processo, n.2/2019, p. 265.
[67] Della questione si sono occupati TAR Sicilia, Catania, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 424; T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 09 settembre 2014, n. 9564.
[68] Cfr. S. CIVITARESE MATTEUCCI, Obbligo di interpretazione conforme al diritto UE e principio di autonomia procedurale in relazione al diritto amministrativo nazionale, in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario, n.6/2014, p. 1175; M.P.CHITI, Il rinvio pregiudiziale e l’intreccio tra diritto processuale nazionale ed europeo: come custodire i custodi degli abusi del diritto di difesa, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n.5/2012, p.753; E.M. BARBIERI, Legittimazione ed interesse a ricorrere in caso di ricorsi reciprocamente escludenti dopo una recente pronuncia comunitaria, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 3-4/2013, pp. 802-811.
[69] Corte di giustizia, 21/07/2016, in causa C-226/15, Apple and Pear Australia Ltd e Star Fruits Diffusion; Corte di giustizia, 10/07/2014.
[70] Per la ricostruzione e le riflessioni sui rapporti tra giudicato amministrativo e principio di legalità si vedano R. GAROFOLI- G.FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Neldiritto editore, Roma, 2016, p. 2108; F. LIGUORI, Il sindacato di merito nel giudizio di legittimità, in Diritto e processo amministrativo, n.1/2019, pp. 1-23; A. GUANTARIO, L’eccesso di potere nel sindacato di legittimità ed esigenze di effettività della tutela giurisdizionale, in GiustAmm.it., n.7/2018, p. 28; M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 70. In giurisprudenza, v. Cons. Stato Sez. VI, 26/06/1996, n. 854. In giurisprudenza: Cons. Stato Sez. IV, 17 febbraio 2006, n. 675; Cons. Stato Sez. VI, 14 aprile 2004, n. 2101; Cons. Stato Sez. V, 14 maggio 2001, n. 2636; Cons. Stato Sez. V, 31 luglio 2006, n. 4697.
[71] Così Trib. Roma, sez II. Civile, 21 marzo 2011, n. 6039.
[72] Cfr. A. AMORE, Il ricorso all’istituto dell’autonomia processuale in materia di rapporti tra ricorso incidentale e principale: “scatto al re”, alla Corte di Giustizia Europea?, in Foro Amministrativo, n.7/2018, p. 1395.
[73] Sul tema della predizione delle decisioni amministrative, quale corollario non solo del principio di legalità, bensì di un diverso e rinnovato rapporto tra civis e pubblica amministrazione, nonché per l’implementazione di un assioma della trasparenza sostanziale, si veda l’opera di A. POLICE, La predeterminazione delle decisioni amministrative - gradualità e trasparenza nell'esercizio del potere discrezionale, ESI, 1997.
[74] Cfr. M. SCOLETTA, Retroattività favorevole e sanzioni amministrative punitive: la svolta, finalmente della Corte costituzionale, in Diritto penale contemporaneo, 2 aprile 2019.
[75] In tal modo il carattere retroattivo della lex mitior dovrebbe costituire la regola, solo eccezionalmente derogabile, mediante specifiche disposizioni di diritto transitorio, in caso di sanzioni amministrative giudicate in concreto prive di carattere sostanzialmente punitivo e rispetto alle quali la deroga al principio in esame può trovare apprezzabile giustificazione.
[76] Cfr. S. POLIMENI, Il caso Taricco e il gioco degli scacchi: l’“evoluzione” dei controlimiti attraverso il “dialogo” tra le Corti, dopo la sent. cost. n. 115/2018, in Osservatorio costituzionale, n. 2/2018, 20 giugno 2018.
[77] Così Cons. Stato (Ad. Plen.), 26 aprile 2018, n. 4.
[78] B. CARAVITA, La Cassazione pone in discussione la Costituzione davanti al diritto europeo?, Postilla op.cit.
[79] L’accezione di noumeno quivi in rilievo è quella kantiana nella sua declinazione negativa, secondo cui esso è “l’essenza pensabile, ma inconoscibile, della realtà in sé, in contrapposizione a fenomeno (di cui pure costituisce il fondamento, il substrato). Quindi il n., come ciò che pensiamo esistente ma non conosciamo, si pone come limite della conoscenza umana”. Definizione tratta e disponibile in: https://www.treccani.it/.