ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 4 Mar 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

Il delitto di inquinamento ambientale: il difetto di tassatività e la sua punibilità anche a titolo di dolo eventuale

Federica Crescioli



Il presente contributo analizza la fattispecie del delitto di inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p, la cui bontà redazionale è stata vexata quaestio in dottrina, nonché oggetto di numerose pronunce di legittimità in ragione della formulazione asseritamente in difetto di tassatività e determinatezza. L’inquadramento sistematico della materia della tutela penale dell’ambiente e la puntuale disamina degli elementi costitutivi della disposizione incriminatrice si sono rivelati necessari per un commento critico delle più recenti decisioni della Corte di Cassazione, la quale, in punto di precisione della formulazione normativa, ha rigettato ogni censura di legittimità costituzionale e ha, in punto di elemento soggettivo, affermato l’estensione della punibilità a titolo di dolo eventuale.


Sommario: 1. Una breve, ma doverosa premessa: la tutela dell’ambiente nel codice penale; 2. Il delitto di inquinamento ambientale; 3. Sulla «abusività» della condotta; 4. I concetti di «compromissione e deterioramento»; 5. La «significatività» e «misurabilità» della compromissione e del deterioramento e il difetto di tassatività alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità; 6. L’oggetto della condotta tipica di deterioramento e compromissione; 7. Il dolo di “inquinamento” e la punibilità a titolo di dolo eventuale; 8. La linea di discrimine con il reato di disastro ambientale; 9. Considerazioni conclusive. 

Sommario: 1. Una breve, ma doverosa premessa: la tutela dell’ambiente nel codice penale; 2. Il delitto di inquinamento ambientale; 3. Sulla «abusività» della condotta; 4. I concetti di «compromissione e deterioramento»; 5. La «significatività» e «misurabilità» della compromissione e del deterioramento e il difetto di tassatività alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità; 6. L’oggetto della condotta tipica di deterioramento e compromissione; 7. Il dolo di “inquinamento” e la punibilità a titolo di dolo eventuale; 8. La linea di discrimine con il reato di disastro ambientale; 9. Considerazioni conclusive. 

1. Una breve, ma doverosa premessa: la tutela dell’ambiente nel codice penale

I reati ambientali sono disciplinati nel Titolo VI bis del Libro II del Codice Penale, ove sono stati inseriti dalla l. 68 del 2015 con l’obiettivo di colmare un’evidente lacuna in materia e di fornire sia una risposta adeguata all’esigenza sanzionatoria di gravi fatti di inquinamento, sia un deterrente ai crescenti traffici illeciti di rifiuti di ogni genere e pericolosità. 

Infatti, prima della riforma ad opera della citata normativa, la tutela penale dell’ambiente si componeva di fattispecie contravvenzionali contenute per la maggior parte nel cd. Codice dell’Ambiente[1] (d.lgs. 152 del 2006), oltre a quelle previste nel Codice Penale[2], le quali venivano applicate in via suppletiva dalla giurisprudenza, ma che, per la cornice edittale di riferimento, non consentivano l’adozione di pre-cautele o misure cautelari personali, limitando, evidentemente, anche la funzione generalpreventiva delle stesse.  

Successivamente, la direttiva del Parlamento Europeo 2008/99/CE ha sollecitato l’adozione di «sanzioni effettive consistenti in norme penali proporzionate e realmente dissuasive operanti anche nei confronti delle persone giuridiche»[3]al fine di contrastare, per l’appunto, l’emergere esponenziale di condotte criminose lesive del bene ambiente, anche ad opera di enti. Il recepimento di essa, però, con il d.lgs. 121 del 2011, si rivelò agli occhi della più attenta dottrina[4] del tutto inadeguato alle sfide giudiziarie che si ponevano già in quel contesto storico (si pensi in tal senso al caso Eternit[5]), dal momento che lo stesso si limitava ad introdurre nel codice penale due sole nuove fattispecie criminose a titolo contravvenzionale: l’articolo 727 bis e 733 ter rubricati rispettivamente «Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette» e «Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto». 

L’attuale contesto normativo, dunque, è stato raggiunto solo a seguito della l. 68 del 2015, che ha recepito, in sede di secondo intervento, le indicazioni comunitarie e, nello specifico, l’articolo 3 della citata direttiva del 2008[6]. La riforma, ai fini di assicurare una tutela effettiva e concreta, ha disciplinato un articolato sistema repressivo composto sia da norme di tipo incriminatorio, avendo inserito nuove fattispecie delittuose, sia da disposizioni strumentali volte al recupero dei siti compromessi  (i.e. le norme che prevedono il ripristino, la bonifica ed il ravvedimento operoso)[7].

È nell’ambito di tale riforma che viene introdotto nel codice penale il reato di cui trattasi nel presente contributo, l’articolo 452 bis «Inquinamento Ambientale», la cui bontà redazionale è stata criticata da autorevole dottrina per carenza di tassatività e determinatezza nella tipizzazione della condotta criminosa e dei suoi elementi costitutivi tanto da richiedere plurimi interventi chiarificatori della giurisprudenza[8].

Il contributo, dunque, si propone di esaminare il delitto in questione, passando in rassegna, altresì, gli approdi raggiunti dalla giurisprudenza più recente in materia. 

2. Il delitto di inquinamento ambientale

Il delitto di inquinamento ambientale è disciplinato dall’articolo 452 bis c.p. secondo cui 

«[I]. È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

[II]. Quando l'inquinamento è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata».

Innanzitutto, prima di procedere all’analisi della norma, occorre precisare che la definizione di «inquinamento» è contenuta nel Testo Unico sull’Ambiente, all’articolo 5 lett. i), secondo cui l’inquinamento è «l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua, nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi»

A livello di analisi della norma, la stessa tassonomizza un reato comune, potendo essere commesso da «chiunque», a forma libera, come evidenzia la locuzione “cagiona”, nonché di danno e di evento, essendo la condotta determinata esclusivamente dalla verificazione di una compromissione o di un deterioramento rilevante della qualità di suolo, sottosuolo, acque, aria, ecosistema (…) eziologicamente connessa all’azione criminosa[9].  

Tale tipizzazione, quindi, rende punibile anche la condotta che cagioni il medesimo evento mediante omissione ex articolo 40, II comma, c.p., posta in essere da un soggetto che si trovi titolare di un obbligo giuridico di agire[10].

In proposito deve notarsi che fonte di obblighi giuridici rilevanti non può essere considerato l’art. 3ter del T.U.A, secondo il quale è dovere di tutte le persone fisiche e giuridiche la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema[11], dovendo tale norma essere piuttosto interpretata alla stregua di una norma di azione nei confronti del legislatore, necessitando il principio di precauzione di un’interposizione positiva[12].

Ora, ai fini della individuazione dell’inquinamento penalmente rilevante, è necessario valutare gli elementi specializzanti rispetto alla definizione fornita dal T.U.A, e cioè l’«abusività» della condotta, nonché la “significatività e la misurabilità” della compromissione e del deterioramento cagionato. Come si evince si tratta di concetti ampi i quali, però, permettono di comprendere ictu oculi che la condotta punibile debba sostanziarsi in un’alterazione dell’ecosistema e dell’ambiente rilevante, difficilmente potendosi ritenere tale quello di minimo rilievo[13]. In tal senso si orienta anche la necessità che l’inquinamento del suolo insista su porzioni “estese” o “significative” dello stesso, indicando così non solo un criterio quantitativo di valutazione (l’estensione), ma anche uno qualitativo (la significatività), entrambi, però, da calare in una dimensione relazionale e di contesto[14].

Le questioni centrali, da un punto di vista di elemento oggettivo, riguardano la natura «abusiva» della condotta, i concetti di «compromissione e deterioramento» e la loro «significatività e misurabilità».

Sul versante dell’elemento soggettivo, la condotta criminosa è tipizzata sia a titolo di dolo che a titolo di colpa (ai sensi del successivo art. 452 quinquies c.p.); si è posto, quindi, il problema di comprendere se la stessa sia punibile anche in ipotesi di dolo eventuale. 

3. Sulla «abusività» della condotta

La definizione del concetto di «abusività», stante la apparente scarsa determinatezza[15], è stata oggetto di un ampio dibattito immediatamente successivo alla promulgazione della legge, anche in virtù del fatto che lo stesso compare in altre fattispecie di ecoreati quali il disastro ambientale ex art. 452 ter c.p. e nel traffico organizzato di rifiuti ex art. 260 T.U.A. 

In dottrina, nelle more di un intervento nomofilattico ad opera dei giudici di legittimità, si sono differenziati due orientamenti. 

Un primo fondava le proprie basi nel timore di un’interpretazione giurisprudenziale volta all’equiparazione con il termine «clandestinamente», ovvero nella possibilità che un avverbio di dubbia esegesi potesse limitare l’applicabilità della norma e la configurabilità del delitto in questione solamente in ipotesi in cui fossero mancati i necessari atti abilitativi[16]. La dottrina de qua ha svolto un’operazione ermeneutica che muoveva le proprie considerazioni dalla stessa modifica che la norma aveva subito in sede di votazione e approvazione parlamentare; infatti, il termine «abusivamente» sostituiva integralmente la locuzione «in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale, o comunque, abusivamente». In guisa di ciò, dunque, sembrava potersi accogliere una nozione di tale avverbio più lata, comprendendo anche quelle ipotesi non tipizzate, quali la violazione delle prescrizioni dei titoli abilitativi, secondo il brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit non dixit. Tale soluzione era ulteriormente avvalorata dal dato sistematico secondo cui il legislatore ambientale, nelle ipotesi in cui punisce lo svolgimento di un’attività non autorizzata, utilizza formule letterali che rimandino precipuamente all’assenza delle autorizzazioni necessarie[17].

Un secondo, invece, riteneva che le considerazioni appena svolte partissero da basi erronee dal momento che, si sosteneva, «la Cassazione sin dal 2008 ha fortemente ridimensionato il ruolo dell’autorizzazione nell’economia complessiva di quel reato, equiparando la carenza di quest’ultima alla “violazione delle regole vigenti in materia”, con ciò asserendo che, ai fini dell’integrazione del reato, è sufficiente anche quest’ultima, pur in presenza di un titolo abilitativo formalmente valido»[18], concludendo che un atto amministrativo non può mai costituire una sorta di “licenza di delinquere” e, quindi, la condotta ben può essere integrata anche da condotte legittimate, ma gravi. Ciò, a maggior ragione, se si ricorda che al giudice penale non è comunque precluso il sindacato sulla legittimità del provvedimento amministrativo autorizzatorio, sia che venga accolta la teoria della disapplicazione sia che venga accolta la teoria della tipicità[19].

La nozione di «abusività» della condotta è stata successivamente delineata dalla Corte di Cassazione in una prima sentenza “apripista” in materia[20], sentenza che si pone nel solco della precedente giurisprudenza in ambito di traffico illecito di rifiuti[21]. Tale decisione ha sancito che il carattere abusivo di una condotta si rinviene qualora essa «si svolga continuativamente nell’inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati», e ha ulteriormente puntualizzato che la condotta è tale anche qualora sia posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, anche non strettamente pertinenti al settore ambientale, o di prescrizioni amministrative. L'assunto risulta, peraltro, conforme anche alla direttiva europea 2008/99/CE.

Dunque, in primis alla mancanza di autorizzazione vanno equiparate le situazioni in cui l’attività si svolga sulla base di autorizzazioni scadute, illegittime e comunque non commisurate all’inquinamento realmente emesso. Non appare trascurabile, inoltre, il dato secondo cui non è sufficiente la mera inosservanza delle prescrizioni, trattandosi di reato di evento, e, quindi, essendo necessario verificare in sede di accertamento il nesso eziologico esistente tra la condotta dell’agente ed i gravi eventi in concreto prodotti[22].

In secundis, possono essere sussunte nella fattispecie di cui all’art. 452 bis c.p. anche quelle condotte autorizzate, ma inosservanti delle prescrizioni dell’autorizzazione o, comunque, di quelle disposizioni di legge che disciplinano l’esercizio dell’attività consentita.

Citando una giurisprudenza di legittimità in materia, «la natura "abusiva" della condotta, inoltre, non può essere limitata ai soli casi in cui la causa dell'inquinamento costituisca fatto di per sè già penalmente sanzionato, con esclusione pertanto di tutti gli altri casi in cui sia sanzionato a livello amministrativo o anche solo vietato o comunque posto in essere in contrasto con le norme e le prescrizioni che disciplinano la singola attività "causante"»[23].

Sulla base di tale ultima considerazione, dunque, la punibilità per il delitto in questione si estenderebbe anche alle azioni criminose poste in essere in violazione non solo delle disposizioni in materia inquinante, ma anche della normativa regolante qualsiasi settore di attività, incriminando anche condotte che fuoriescono dall’ambito prettamente ambientale del rischio consentito[24].

In tal senso, quindi, si è in presenza di una clausola di illiceità speciale[25], volta ad attribuire al concetto di «abusivamente» un ulteriore profilo di illiceità, di carattere extrapenale, in aggiunta a quella penale che di per sé lo connota, muovendosi così in un’ottica di bilanciamento tra l’individuazione dei confini dell’attività di impresa lecita e l’ambiente come enunciato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza Ilva[26].

In conclusione, il legislatore «non incrimina qualunque inquinamento, ma solo quello conseguente condotte che fuoriescono dall’ambito del rischio consentito, perimetrato dal rispetto delle norme di legge e delle pertinenti prescrizioni in materia»[27].

Con spirito critico, appare opportuno chiedersi se tale formula comprenda anche le violazioni di principi fondanti in materia, come il principio di precauzione, non tradotti in specifici precetti muniti di autonome sanzioni amministrative o prescrizioni di diritto positivo. Parte della dottrina ritiene che l'interpretazione della locuzione non sia estensibile anche ai suddetti principi, in quanto essi sono da ritenersi diffusi, nei confronti della generalità dei consociati, e non idonei a fondare posizioni di obbligo giuridico[28]. Altra parte della dottrina, invece, riterrebbe opportuno un intervento chiarificatore in materia, alla luce dell’importanza che il bene giuridico tutelato, l’ambiente, ha nella società[29].  

4. I concetti di «compromissione e deterioramento» 

La «compromissione» e il «deterioramento» sono elementi costitutivi della fattispecie, rappresentando l’eventum damni che rende punibile la condotta del soggetto agente.

Emerge dalla semplice lettura che, per la loro genericità, essi si prestano a molteplici interpretazioni e, quindi, rilevante importanza è da attribuire all’operazione ermeneutica di legittimità, svolta, da ultimo, con la sentenza Cass. pen., Sez. III, n. 9736/2020[30].

Innanzitutto, è opportuno segnalare che nel T.U.A non vi è una definizione di entrambe le nozioni: l’art. 77 T.U.A utilizza il termine «compromissione» e, per esprimere lo stesso concetto, anche «deterioramento». Quest’ultimo è, però, anche presente nella definizione di danno ambientale di cui all’articolo 300 T.U.A il quale lo qualifica come «un qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima». 

Le nozioni non sembrano quindi poter essere applicate alle norme sugli ecoreati, poiché, come afferma la dottrina più attenta, queste hanno la funzione di assicurare tutela risarcitoria contro qualsiasi danno ambientale derivante da qualsiasi fatto ingiusto alla stregua della responsabilità civilistica ex art. 2043 cc, senza avere la necessità della tassatività propria delle norme penalistiche[31].   

Stante, quindi, la non esportabilità delle definizioni alle fattispecie criminose e, per quanto di interesse, a quella dell’inquinamento ambientale, occorre comprendere quale sia il significato proprio dei termini.

Gli esiti delle operazioni ermeneutiche svolte inizialmente dai commentatori sono sintetizzabili in due orientamenti: vi erano coloro che sostenevano che i termini dovessero tenersi distinti e coloro che, invece, li ritenevano tendenzialmente sovrapponibili. 

I primi muovevano le proprie considerazioni dalla precedente definizione di danno ambientale ai sensi dell’articolo 18 della l. 349/1986[32], secondo cui il «deterioramento» e la «compromissione» erano posti in correlazione, costituendo il primo una forma di compromissione[33] ed instaurandosi un rapporto di genus species[34].

Sulla base di ciò, si era osservato che il «deterioramento» era da mantenere distinto dalla «compromissione» poiché esso esprimeva una proiezione dinamica degli effetti, nel senso di una situazione tendenzialmente irrimediabile, mentre il «deterioramento» sarebbe da sostanziarsi in una semplice modifica in peius, attribuendo così alla «compromissione» un’intensità lesiva più elevata rispetto al deterioramento[35].

La critica principale di tale conclusione si sostanziava nella non previsione da parte della norma di un rapporto di progressione, bensì di parità. 

I secondi, invece, ritenendo i due termini equivalenti, appunto, e non progressivi, sostenevano che gli stessi dovessero essere considerati alla stregua di due aspetti dello stesso concetto di «alterazione» dei beni ambientali interessati: la «compromissione» realizza una lesione dell’aspetto dinamico funzionale del bene e il «deterioramento» dell’aspetto statico, cioè strutturale[36].

In tal senso, « "compromissione" (…) evoca una situazione di rischio o di pericolo, mentre il "deterioramento", implica, sempre per il suo significato testuale (…) un’alterazione dell’originaria consistenza di una cosa che peggiora lo stato o il valore»[37].

L’interpretazione nomofilattica della giurisprudenza di legittimità ha fornito una soluzione al dibattito dottrinale.

La già citata sentenza “guida” della Corte di Cassazione[38], fondando le proprie motivazioni sulla considerazione in base alla quale per l’esegesi dei due termini non assume decisivo rilievo la denominazione di “inquinamento ambientale” attribuita dal legislatore, né l’utilizzo del termine all’interno del T.U.A, e ponendo i due vocaboli in una relazione di equivalenza, afferma che entrambi si risolvono in una alterazione, ovvero in una modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema: la «compromissione» si sostanzia in una situazione di rischio o di pericolo che potrebbe definirsi di “squilibrio funzionale”, il «deterioramento» in un decadimento dello stato o della qualità di beni tutelati, alla stregua di uno “squilibrio strutturale”. 

La logica conseguenza di ciò, a parere degli Ermellini, è il non rilievo della irreversibilità o meno del fenomeno inquinante – come riteneva il primo orientamento dottrinale descritto-, così sposando la seconda definizione già elaborata e censurando l’interpretazione che dei termini aveva fornito il giudice di prime cure. Il carattere, infatti, della tendenziale irrimediabilità non è contemplato dalla norma e, inoltre, attiene alla qualificazione eventualmente del danno in concreto provocato e non alla condotta[39].

Nel solco di tale ermeneutica, è stato precisato dalla giurisprudenza successiva che i due concetti evocano l’idea di un risultato raggiunto, ovvero di una condotta che ha prodotto il suo evento dannoso, e gli stessi operano in maniera differente in considerazione dell’entità del danno e della possibilità del ripristino dello status quo ante. Tale considerazione prende, peraltro,  le mosse dalla circostanza secondo la quale, in epoca antecedente alla l. 68/2015, la giurisprudenza sussumeva le condotte criminose oggi punite ai sensi dell’articolo 452 bis c.p. nella fattispecie di danneggiamento ex articolo 635 c.p.. 

Nello specifico, quindi, il «deterioramento» rende necessaria un’attività di ripristino non agevole o provoca un’alterazione della cosa altrui tale da impedirne anche parzialmente l'uso, così dando luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalità della cosa stessa[40].

Invece, la «compromissione» coglie del danno non la sua maggiore o minore gravità bensì l'aspetto funzionale perchè evoca un concetto di relazione tra l'uomo e i bisogni o gli interessi che la cosa deve soddisfare[41].

Concludendo, poi che «il deterioramento e compromissione sono le due facce della stessa medaglia, sicchè è evidente che l‘endiadi utilizzata dal legislatore intende coprire ogni possibile forma di "danneggiamento" strutturale ovvero funzionale - delle acque, dell'aria, del suolo o del sottosuolo»[42].

In ragione di ciò, dunque, stante il fatto che le condotte alternative non presuppongono la irreversibilità del danno, le stesse sono possibili fino a quando la situazione diviene irrimediabile, non potendo così qualificarsi come post fatto non punibile le azioni successive a quella finale.

Le considerazioni esposte sono state confermate dalla più recente giurisprudenza[43], la quale ha ulteriormente precisato che trattasi di reato a consumazione prolungata e, secondo cui, le condotte successive all’iniziale deterioramento o compromissione del bene integrano singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, essendo il reato integrato con il raggiungimento di un’offesa di livello «significativo» e «misurabile».

5. La «significatività» e «misurabilità» della compromissione e del deterioramento e il difetto di tassatività alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità

La compromissione e il deterioramento dei beni giuridici tutelati, per essere penalmente rilevanti e dunque punibili, devono presentare i caratteri della «significatività» e «misurabilità». 

Se ictu oculi appare evidente che tali connotazioni facciano propendere per la necessità che la condotta comporti un danno significativo, d’altro canto è pur vero che la genericità degli stessi determina delle perplessità.  

L’analisi esegetica deve prendere avvio dall’articolo 300 T.U.A in tema di danno ambientale[44], che indica quali parametri per verificare il danno “le condizioni originarie” per tutte le componenti interessate, nonché “lo stato ecologico, chimico, e/o quantitativo oppure il potenziale ecologico delle acque interessate” per quanto riguarda le acque interne, e “il rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana” per quanto concerne il suolo e il sottosuolo. 

Ora, da tali indicazioni emerge che per riempire di significato i due termini occorre verificare se vi siano, in materia, dei parametri quali-quantitativi cui fare riferimento e, in caso di presenza degli stessi, verificare se lo scostamento sia stato significativo, ovvero abbia comportato un danno effettivo e non ipotetico[45].

Tale superamento, però, non può comportare il configurarsi ex se di una responsabilità penale, comportando, peraltro, una interpretazione abrogans delle contravvenzioni ambientali. Inoltre, senza ricorrere a tali considerazioni, basti osservare che, trattandosi di giudizio di responsabilità penale, lo stesso deve essere improntato alla valutazione dell’offensività della condotta, in virtù dell’omonimo principio di offensività[46]

Ciò può essere affermato in relazione a quelle aree di attività per le quali esistono standards di riferimento e, quindi, il concetto di misurabilità appare di facile valutazione (e conseguentemente la «significatività» opererebbe solo in seguito in punto di dosimetria del trattamento sanzionatorio), quid se tali elementi non sono presenti?

La dottrina che si è interrogata immediatamente dopo l’entrata in vigore della fattispecie in commento ha ritenuto che il parametro della «significatività» venisse in rilievo, in tali ipotesi, con valore integrativo e compensativo; delimitando così l’applicabilità della «misurabilità» alle rappresentazioni quantitative del fenomeno e la «significatività» a quelle qualitative, essendo tali quando la lesione abbia comportato un deterioramento[47].

È evidente, però, che sarà compito del giudice di merito effettuare delle valutazioni sul livello di significatività dell’evento, mediante l’individuazione di elementi puntuali e tramite la loro collocazione in un contesto motivazionale coerente e logico.

La prima sentenza, già citata, “apripista”[48] evidenzia, in riferimento ai due termini, che non può prescindersi dal significato lessicale degli stessi, secondo cui «significativo» denota «incisività» e «rilevanza», mentre «misurabile» sembra riferirsi a un qualcosa che è quantitativamente apprezzabile o oggettivamente rilevabile.  

Il Collegio ritiene, inoltre, che l’assenza di specifici riferimenti a limiti imposti dalla disciplina di settore permette di escludere che debba esservi necessariamente la violazione di un parametro, poiché anche l’eventuale violazione di uno di essi non implica di per sé una situazione di danno o di pericolo per l’ambiente. Ciò non esclude, comunque, che tali parametri rappresentino un utile riferimento. 

La dottrina ha, quindi, interpretato tale pronuncia nel senso che quest’ultima effettua una delimitazione in negativo della nozione – non eventi di minimo rilievo – senza, però, specificare cosa per essi debba intendersi in positivo. 

In tal senso, può dirsi che la Cassazione chiarisce i rapporti tra valori-soglia e nozione di pericolo o danno ai fini dell’inquinamento penalmente rilevante: se le soglie sono rispettate, la fattispecie non è integrata, se, viceversa, le stesse sono superate, ai fini della sussumibilità della condotta ai sensi dell’articolo 452 bis c.p., ciò non è sufficiente, dovendosi integrare con un giudizio ulteriore sull’effettiva gravità del danno[49].

Parte della dottrina ha ritenuto che il requisito della significatività dovesse essere inteso nel senso di eventi «seri e non fugaci»[50] dal momento che gli stessi devono interessare porzioni di suolo non esigue.  In virtù di ciò, quindi, tale orientamento ha delineato il discrimen fra le due nozioni di «significatività» e «misurabilità» riferendone il significato a due indici differenti: l’uno temporale e l’altro qualitativo.

Il primo farebbe riferimento alla «misurabilità» da intendere, quindi, non solo come strumento di quantificazione e parametro ai valori soglia, ma anche alla rilevabilità oggettiva e, come tale, meglio valutabile sul lungo periodo; viceversa, la «significatività» sarebbe da circoscrivere ai casi di alterazione qualitativa, richiamando una nozione più concettuale nel senso di intensità ed estensione dell’evento[51].

Secondo altra parte, invece, il richiamo a tali termini non aggiunge alcun apporto, risolvendosi in una mera tautologia[52].

Ancora, secondo altra esegesi, la menzione della misurabilità avrebbe imposto una valutazione sullo stato del bene protetto ex ante ed ex post rispetto alla condotta tipica[53].

La circostanza che pare essere condivisa all’unanimità dai commentatori è che sicuramente il superamento dei limiti-parametri previsti in materia costituisca sì un elemento di valutazione[54], al quale debba, però, aggiungersi un’analisi qualitativa in punto di ripetitività ed estensione delle condotte e del conseguente evento di compromissione o deterioramento[55].

In senso conforme si è espressa la giurisprudenza di legittimità nel 2017[56], la quale ha escluso che dal solo superamento dei limiti tabellari fissati dalle norme antinquinamento derivi automaticamente la «significatività» del danno prodotto[57].

Ancora, in maniera più puntuale, si è espressa con la pronuncia n. 9736/2020[58]: il ricorrente in tale ipotesi lamentava l’illegittimità costituzionale della norma 452 bis c.p. assumendo che fosse contraria all’articolo 25, II comma, Cost. in punto di determinatezza e tassatività. 

La Corte ha dichiarato manifestamente infondata la censura e ha fornito chiarificazioni ulteriori in merito alle due nozioni, che ora si esaminano.

In primo luogo, dopo aver fatto propria la definizione di tassatività e determinatezza della giurisprudenza costituzionale[59], la Corte, ha ritenuto che la fattispecie in esame non ledesse tali principi in quanto «le espressioni del legislatore appaiono sufficientemente univoche nella descrizione del fatto vietato, che, essendo modellato come reato di evento a forma libera, si incentra sulla causazione di una compromissione o di un deterioramento: locuzioni che rimandano a un fatto di danneggiamento (…)»[60].

Dunque, il momento di valutazione circa la significatività e la misurabilità della compromissione e del deterioramento deve essere effettuato in raccordo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui lo stesso si inserisce. 

In primo luogo, il danno, che consiste nella compromissione e nel deterioramento, deve essere valutato in quanto tale e secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza; nello specifico, il Collegio, per avvalorarne la tipicità, ha effettuato una comparazione con l’articolo 635 c.p., il quale egualmente tratta di deterioramento senza che mai si sia posto un problema di individuazione del fatto tipico. 

In secondo luogo, è l’evento a dover assumere i caratteri di «significatività» e «misurabilità». Ora, esclusa la equiparazione dei due termini con “irreversibilità”, la pronuncia evidenzia che l’evento è unico, anche quando esso è la sommatoria di una pluralità di condotte, all’esito delle quali il danno ha raggiunto il grado di intensità richiesto affinchè la condotta sia penalmente punibile. 

Dunque, essendo un reato a condotta libera, ciò ben può verificarsi anche tramite un’attività seriale ripetuta nel tempo e le cui condotte, singolarmente considerate, non sarebbero risultate penalmente rilevanti. Da ciò consegue che, a seguito del raggiungimento della soglia di offensività richiesta dalla norma incriminatrice, le condotte successive hanno l’effetto di incidere per un verso sulla gravità dell’unico reato e, quindi, sulla dosimetria del trattamento sanzionatorio, e dall’altro, spostano in avanti il momento consumativo del reato, il quale viene a configurarsi come un reato di durata a consumazione prolungata, eventualmente permanente.

Raggiunti tali approdi di inquadramento sistematico, la decisione degli Ermellini opera una definizione dei concetti di «significatività» e «misurabilità», nel senso che gli stessi pongono dei vincoli sia qualitativi che di accertamento all’offesa in senso sia di gravità che di verificabilità, incidendo sull’onus probandi. 

Per ciò che concerne la gravità, osserva il Collegio che i due aggettivi previsti dalla norma contribuiscono a perimetrare il fatto tipico, estromettendo quegli eventi che non incidano in maniera apprezzabile sul bene protetto e, dunque, a parere di chi scrive, operando una delimitazione anche in punto di offensività richiesta affinché la condotta possa dirsi penalmente rilevante.

Per ciò che concerne, invece, la verificabilità di tale offesa, i due termini implicano che l’accertamento debba essere condotto su basi confutabili e controllabili; in tal senso, quindi, sembrerebbe apparire necessaria una ricostruzione fattuale quantomeno potenzialmente oggettivabile che fornisca elementi obiettivi e non congetturali su cui basare la valutazione. 

6. L’oggetto della condotta tipica di deterioramento e compromissione 

La compromissione ed il deterioramento devono interessare l’acqua, aria, suolo e sottosuolo ai sensi del primo comma dell’articolo 452 bis c.p. e ecosistema e biodiversità ai sensi del secondo comma. 

L’acqua e l’aria non pongono particolari problemi interpretativi[61] per quanto di facile identificazione e non connotati, a livello della fattispecie penale, di un parametro soglia; le «porzioni estese o significative del suolo e del sottosuolo» generano questioni di tassatività. 

L’utilizzo della disgiuntiva “o” rende, inoltre, penalmente rilevanti le condotte criminose anche qualora esse ledano uno solo dei beni oggetto di compromissione. 

In primo luogo, la differenza di tipizzazione: per le prime non è determinato un termine quantitativo, per i secondi è previsto. La dottrina ha ricondotto a sistematicità la fattispecie ritenendo che aria e acqua consentano maggiormente la diffusione della contaminazione ed invece il suolo e il sottosuolo non sono dotati di tale diffusività[62].

In virtù di ciò, la giurisprudenza di legittimità[63] ha ritenuto che la ridotta utilizzazione di un corso d’acqua possa ritenersi rientrante nell’evento di danno del reato di inquinamento ambientale, una volta accertato il nesso causale.

In secondo luogo, non si comprende quale parametro si intenda richiamare con “porzioni estese” o, di nuovo, “significative” del suolo e del sottosuolo. Autorevole dottrina[64] ha ritenuto che «significatività della porzione interessata» debba interpretarsi non solo in riferimento alle dimensioni del suolo, ma anche con riguardo alla valenza del contesto territoriale, ambientale, agricolo, paesaggistico nel quale il fondo si trova, conseguendone che il termine ha valenza integrativa e compensativo rispetto a quello di estensione che dipende da dati meramente spaziali.

Per ciò che concerne, poi, le nozioni di «ecosistema» e «biodiversità», deve evidenziarsi l’assenza di una definizione normativa di ecosistema, il quale è stato descritto dal Massimario della Corte di Cassazione come «l’insieme degli organismi viventi (comunità), dell’ambiente fisico circostante e delle relazioni biotiche e chimico-fisiche all’interno di uno spazio definito della biosfera»[65], venendo quasi a configurare come oggetto dell’ecosistema, la biodiversità. 

L’analisi esegetica condotta dai commentatori ha condotto alla spiegazione dei termini nel senso si un rapporto di genus (l’ecosistema) a species (la biodiversità), ritenendo che il primo faccia riferimento ad una valutazione complessiva del secondo, che, invece, indica anche singole componenti di esso o alcune sue componenti essenziali. Tale teoria muove dalla disamina del termine “biota”, per tale intendendosi un complesso di organismi vegetali o animali che occupano un determinato spazio, che diviene “biotipo” quando si verifica una particolare associazione di specie, che, a sua volta, forma un “ecosistema” se considerato nel complesso ecologico[66]

Il richiamo a tale concetto si ritiene, comunque, meno censurabile rispetto all’elenco contenuto al primo comma della norma in commento e ciò perché, comunque, in tali nozioni sono suscettibili di essere contenuti ambienti biologici naturali vari, senza necessità di una sussumibilità specifica[67].

A ben vedere, la giurisprudenza di legittimità[68] ha ulteriormente allargato le maglie di applicabilità della fattispecie in commento operando sul bene giuridico tutelato dalla norma, ritenendo che il delitto di inquinamento ambientale tuteli non la salute pubblica, ma l’ambiente in quanto tale, indipendentemente dalla lesione alle utilità che da esso ne trae o può trarne l’uomo (cd. concezione ecocentrica)[69], ovvero dalla lesione di beni all’uomo connessi, come il bene salute, che, infatti, sono oggetto di un’autonoma tutela ai sensi dell’articolo 452 ter c.p.

In tal senso, dunque, alla fattispecie rimangono estranei i beni di salute ed incolumità individuale, ma permane da individuare la nozione di ambiente penalmente rilevante.

L’ambiente non ha una definizione specifica nemmeno all’interno del T.U.A, nel quale esso non viene genericamente individuato, bensì solo variamente qualificato (ambiente idrico, ambiente marino) oppure differentemente declinato (ecosistema, biosfera). Non essendo possibile, quindi, individuare una nozione univoca di ambiente, essa deve essere di volta in volta ricavata tenendo conto non solo della mutevole sensibilità del legislatore, ma anche della natura relazionale del concetto, che risente del momento storico, del grado di sviluppo della società di riferimento, nonché del grado di incidenza dell’intervento umano[70].

Confrontando tali assunti con l’oggetto del danno della condotta tipica e effettuando un’interpretazione a ciò orientata, appare possibile sostenere che le varie declinazioni di ambiente enumerate nella disposizione normativa de qua debbano essere valutate alla stregua della loro essenza ed il deterioramento e la compromissione debbano comportare uno scostamento dalla soglia rilevante parametrata non all’uomo e alla sua salute, ma all’ambiente in quanto tale[71].

7. Il dolo di “inquinamento” e la punibilità a titolo di dolo eventuale

Il delitto di inquinamento ambientale è punito a titolo di dolo ai sensi dell’articolo 452 bis c.p. e a titolo di colpa ex art. 452 quinquieis c.p.

Il dolo[72] è da definire quale coscienza e volontà del fatto tipico e, dunque, in questo caso quale rappresentazione e volontà della causazione di una compromissione o deterioramento significati e misurabili delle matrici ambientali oggetto della condotta. 

Tale forma di imputazione ha una doppia genesi: per un verso giurisprudenziale, per un altro legislativa[73].

Per quanto riguarda la prima, la tendenza, nel momento di inserimento di tali figure criminose, era quella di qualificare le gravi forme di inquinamento ambientale, come il disastro innominato e l’avvelenamento delle acque, come ipotesi di delitti dolosi. 

Per quanto, invece, riguarda la seconda, il legislatore, con l’avvento della normativa a tutela dell’ambiente e del paesaggio, aveva iniziato a tipizzare delitti punibili a titolo di dolo, quali l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti ex art. 260 T.U. A oppure l’abuso paesaggistico e art. 181 d.lgs. 42/2004.

Ora, quindi, il delitto de quo è punito a titolo di dolo generico e nell’oggetto di esso rientra anche l’abusività della condotta, la quale può fungere da linea di discrimine fra il dolo e la colpa, qualora il soggetto agente non sappia di porre in essere una condotta di tal genere per un errore dovuto a negligenza[74].

I commentatori più attenti in dottrina avevano sin da subito ritenuto che la fattispecie sarebbe stata punita anche a titolo di dolo eventuale, e, anzi, soprattutto a titolo di dolo eventuale, onde altrimenti fornire un’interpretazione eccessivamente oggettivizzata dell’elemento soggettivo, che, assumendo a agente modello un soggetto dotato di ampie conoscenze e sensibilità ambientale, avrebbe reso penalmente rilevanti anche azioni caratterizzate da scarsa prudenza dell’agente[75].

Inoltre, la punibilità a titolo di dolo eventuale era stata ritenuta anche più verosimile, essendo difficile immaginare un soggetto che agisca con il precipuo scopo di danneggiare l’ambiente in quanto tale. 

A tali approdi è giunta anche la giurisprudenza di legittimità con la sentenza 26007/2019[76], secondo la quale in relazione all’elemento psicologico del delitto in esame «si tratta di reato a dolo generico per la cui punibilità è richiesta la volontà di “abusare” del titolo amministrativo di cui si ha la disponibilità con la consapevolezza di poter determinare un inquinamento ambientale, motivo per cui il reato è punibile anche a titolo di dolo eventuale». Nello specifico, la Suprema Corte era chiamata a pronunciarsi in sede di riesame su un provvedimento che disponeva misure cautelari reali (sequestro preventivo) e, in virtù di ciò, ha affermato che essendo al giudice demandata la valutazione in ordine al fumus del reato, egli deve confrontarsi anche con l’elemento soggettivo, essendo sufficiente a tal proposito dare atto di dati che non permettano di escludere ictu oculi la sussistenza di tale elemento. 

Il dolo può, quindi, configurarsi alla stregua di un dolo eventuale così come ulteriormente definito dalla nota sentenza Thyssenkrupp[77]; le perplessità sorgono, principalmente, in ordine a quelle condotte giuridicamente autorizzate, ma comunque da configurarsi quali abusive. 

Se, infatti, per quelle azioni criminose poste in essere in violazione anche dei titoli abilitativi, il soggetto già versa in re illicita con la conseguenza che lo stesso ha già attivato un rischio eccentrico rispetto a quello (non) consentito e, dunque, sarà ipso iure più agevole accertare l’accettazione del rischio dell’agente e il non trattenimento dalla dal compiere la condotta; per quei comportamenti consentiti e non in violazione delle norme in materia, ma che, protraendosi a lungo, realizzano una compromissione significativa dell’ambiente, si rivela complesso[78]. Si pensi, ad esempio, alla verifica della prima Formula di Frank, quale adesione all’evento, di un soggetto titolare di un’impresa che ha sempre mantenuto una condotta entro i “limiti” – della cui individuazione si è già vista la difficoltà-, condotta che, però, essendo stata posta in essere per molto tempo, ha effettivamente attivato un rischio eccentrico rispetto al consentito. 

Appare, quindi, che, per non mandare esente da rilevanza penale tali condotte, comunque lesive del bene giuridico ambiente, il legislatore abbia introdotto la previsione del delitto a titolo di colpa[79].

In tal senso, infatti, si è rilevato che «in certi casi, -condotte radicalmente illecite di base (…) - risulterà plausibile il dolo; al contrario emissioni alla luce del sole, nell’ambito di attività di per sé autorizzate indizieranno al più la colpa cosciente»[80]. Ancora, inquinamenti che si verificano nell’arco di anni potrebbero far propendere (quanto ad indicatore probatorio) per una ragionevole non adesione all’evento pericoloso. In quest’ultima ipotesi, il dato probatorio è anche reso ragionevolmente incerto dall’ampio scarto temporale.

Per quanto riguarda, infine, la circostanza aggravante del secondo comma dell’art. 452 bis c.p. è sufficiente la colpa (art. 59 c.p.), come a significare che, essendo l’area gravata da ulteriori vincoli, è sufficiente non aver previsto il danno di inquinamento e non averlo evitato con la normale diligenza[81].

8. La linea di discrimine con il reato di disastro ambientale 

Infine, appare pertinente tracciare una linea di discrimine fra il reato di inquinamento ambientale e il reato di disastro ambientale, disciplinato dall’art. 452 quater c.p[82].

Quest’ultima fattispecie si configura come una norma a più fattispecie mediante la quale il legislatore ha inteso colmare la lacuna che residuava dall’applicazione dell’articolo 434 c.p. -disastro innominato-, come è possibile evincere dalla clausola di salvaguardia presente in apertura della norma[83]

Pur non essendo questa la sede per trattare il dibattito intercorso in materia, è necessario evidenziare che, quanto a rapporto fra le due norme, la giurisprudenza di legittimità[84] ha escluso che si trattasse di abolitio dell’articolo 434 c.p.: si sarebbe, infatti, in presenza di «trattamento penale modificativo, in cui il fatto lesivo permane nel suo nucleo essenziale e centrale di disvalore – che il legislatore ha rinnovato- e che risulta descritto, in funzione di maggiore aderenza al principio di tassatività, attraverso l’aggiunta di elementi ulteriori, con funzione e connotati specializzanti»[85].

Dalla lettura della norma di cui all’articolo 452 quater c.p. emerge come l’offesa in concreto richiesta affinchè la condotta possa sussumersi entro tali confini è maggiore e più intensa rispetto a quella tassativizzata nel reato di inquinamento ambientale in commento. 

Per ciò che concerne la fattispecie di cui al numero 1), è necessaria un’alterazione irreversibile dell’ecosistema: l’aggettivo implica una impossibilità di ripristinate l’equilibrio ecologico alterato dalla contaminazione. 

Si è, in ottica di comparazione con l’articolo 452 bis c.p., notato come non venga ripetuta nella fattispecie la nozione di «biodiversità», ma si deve ritenere che non sia una circostanza rilevante, anche alla luce dell’interpretazione ermeneutica esposta supra[86] in ragione della quale tra «ecosistema» e «biodiversità» si viene a configurare un rapporto di genus species.

Per ciò che, successivamente, concerne la condotta di cui al numero 2)[87], integra disastro anche quell’alterazione non irreversibile, purché nella sua eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali. 

Tale disposizione secondo la dottrina appare essere «un condensato di vaghezza»[88] che, però, vale a differenziare nello specifico la fattispecie da quella di inquinamento ambientale; infatti, quest’ultimo verrà integrato da contaminazioni le cui alterazioni siano eliminabili con costi non particolarmente onerosi e provvedimenti (nozione che, per inciso, sembrerebbe richiamare strumenti amministrativi ad hoc) non eccezionali. In tal senso si è evidenziato che il rinvio alla particolare onerosità non sia tanto riferito al soggetto responsabile del fatto, quanto anche agli interventi pubblici necessari[89].

Per quanto riguarda, infine, l’azione di cui al numero 3), questo tipizza un evento di offesa per l’incolumità pubblica, dal momento che crea un nesso fra il danno ambientale e la rilevanza del fatto da parametrarsi alla estensione della compromissione o sei suoi effetti lesivi o per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

Tale previsione risulta mutare il bene giuridico tutelato o, meglio, viene in essa valorizzato l’elemento offensivo, più che quello dimensionale ambientale[90]. La giurisprudenza di legittimità[91] ha, in questo senso, chiarito che la condotta di cui al numero 3) si caratterizza comunque come un comportamento lesivo per l’ambiente e che il danno all’incolumità pubblica deve costituire immediata e diretta conseguenza di tale azione criminosa. 

Appare chiaro come la fattispecie di inquinamento ambientale è legata alla fattispecie di disastro ambientale da un evidente vincolo di progressione lesiva, secondo forme di aggressione al bene giuridico poste in una scala di offensività crescente[92] e con espressione sempre maggiore di espansione fenomenica. Si traccia così una «linea progressiva dell’offesa»[93].

Una considerazione conclusiva ulteriore deve essere effettuata per la condotta di cui al n. 3): la stessa si pone sì in una progressività offensiva, ma è volta a tutelare anche un bene aggiuntivo -l’incolumità della collettività- in tal senso arricchendo l’offesa tipica di una valutazione ulteriore e di un parametro di giudizio indice di una condotta criminosa penalmente rilevante, anche se non irrimediabilmente lesiva del bene giuridico ambiente[94].

9. Considerazioni conclusive

Alla luce di quanto esposto, sembra potersi concludere che, forse, una tipizzazione più specifica sarebbe stata auspicabile in termini di tassatività e determinatezza, ma meno efficace in termini di esigenza sanzionatoria degli emergenti ecoreati.

Infatti, a parere di chi scrive, una formulazione normativa precisa e connaturata a parametri-soglia oggettivi e misurabili avrebbe delimitato restrittivamente l’area del penalmente rilevante, escludendo condotte dotate di un’offensività in concreto lesiva del bene giuridico ambiente, sebbene non incidenti sul parametro in maniera obiettivamente rilevabile. 

Occorre rilevare, poi, che si tratta di un ambito in cui il danno non è necessariamente contestuale alla condotta criminosa, ben potendo manifestarsi anche a distanza di un ampio lasso di tempo; in tal senso, quindi sarebbero opportune delle soglie che mettessero in relazione il dato oggettivo/dimensionale e il dato temporale. 

Eguale considerazione è possibile svolgere con riferimento al bene giuridico tutelato: appare opportuno chiedersi come e in quale modo sia possibile tassonomizzare in maniera puntuale e precisa fattispecie criminose volte a tutelare un bene di già difficile definizione e suscettibile di differenti esegesi in base al contesto di riferimento e interrogarsi sul se un leggero difetto di tassatività non sia la prima conseguenza di tale assunto, nonché il prezzo da pagare per rispondere a esigenze sanzionatorie anche di condotte di non agevole definizione, ma di sicura offensività.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Di seguito, indifferentemente, per il d.lgs. 152 del 2006 - Testo Unico sull’Ambiente, o  T.U.A. o Codice dell’Ambiente.

[2] La tutela dell’ambiente veniva affidata dalla giurisprudenza, con un’interpretazione estensiva, alle fattispecie dell’art. 674 c.p. e dell’art. 635 c.p.. 

[3] A. MACRILLÒ, F. NERI, I nuovi delitti contro l’ambiente, in I nuovi reati ambientai – le risposte giurisprudenziali alla l. 22 maggio 2015, n. 68, A. MACRILLÒ (a cura di), pg. 2.

[4] A. MADEO, Un recepimento solo parziale della Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, in Dir. Pen. proc., fasc. 9/2011, pg. 1055 e ss; L. BISORI, Le novità in materia di tutela penale dell’ambiente: una prima lettura del d.lgs. 121/2011, in Urb. App., fasc. 1/2012, pg. 6.

[5] Per “caso Eternit”, si intende una nota vicenda giudiziaria in materia di attività di lavorazione di manufatti in amianto e insorgenza di patologie absesto correlate in migliaia di persone (lavoratori e abitanti delle zone limitrofe), si veda funditus M. VENTUROLI, Il caso Eternit: l’inadeguatezza del disastro innominato a reprimere i “disastri ambientali”, in Giur. It., maggio 2015, pg. 1219 ss.  

[7] A. MURATORI, Due decreti legislativi adeguano la disciplina italiana sul rumore agli “standards” europei: o almeno ci provano, ma deludono, in Amb. Svil., fasc. 5/2017, pg. 322. 

[8] Così L. CORNACCHIA, Inquinamento ambientale, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente, L. CORNACCHIA, N. PISANI (diretto da), Bologna, 2018, pg. 90 «esempio emblematico di fattispecie criminosa costruita con pessima tecnica legislativa, fatiscente sul piano descrittivo e perciò gravemente in contrasto con il principio di tassatività-determinatezza, ennesimo prodotto dilettantesco di un populismo penale orientato a lanciare messaggi ai consociati su temi cruciali e di forte allarme sociale piuttosto che a predisporre un sistema efficace e coerente di prevenzione».

[9] In tal senso, si v. ex plurimis Cass. pen., Sez. III, sent. n. 52463/2017.

[10] Ponendo in reciproca relazione, dunque, la nozione di inquinamento fornita dal T.U.A e la fattispecie causalmente orientata con la considerazione che la normativa ambientale prevede specifici obblighi di gestione, l’omissione degli stessi integra già la condizione di “abusività” della condotta richiesta dalla norma e comporta l’insorgenza di una posizione di garanzia in capo al datore di lavoro, si v. C. RUGA RIVA, Dolo e colpa nei reati ambientali, in Dir. Pen. Cont., gennaio 2015, pg. 4.

[11] C. RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015, pg. 4.

[12] In tal senso, è opportuno leggere la norma in combinato disposto con l’articolo 301 del d.lgs. 152/2006 che enuncia la necessità di regole attuative del principio di precauzione, si v. C. RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale, in Criminalia, 2006, pg. 230.

[13] Cfr. Cass. pen., Sez. III, sent. n. 15865/2017; M. CATENACCI, I delitti contro l’ambiente fra aspettativa e realtà, in Dir. Pen. proc., fasc. 9/2015, pg 1073. 

[14] In altri termini, occorre comprendere quale sia l’altro termine di raffronto. Si v. M. RICCARDI, Inquinamento ambientale: quando il deficit di precisione ‘compromette’ il fatto tipico, in Dir. Pen. Cont., 3, 2017, pag. 101 ss.

[15] Per il concetto di determinatezza appare opportuno fare riferimento ad una pronuncia della Corte Costituzionale fondante in materia (C. Cost. sent. n. 172/2014 e riferimenti ivi contenuti), secondo cui «l’esigenza costituzionale di determinatezza della fattispecie ai sensi dell’art. 25, secondo comma, Cost., non coincide necessariamente con il carattere più o meno descrittivo della stessa, ben potendo la norma incriminatrice fare uso di una tecnica esemplificativa (…), oppure riferirsi a concetti extragiuridici diffusi (…), ovvero ancora a dati di esperienza comune o tecnica (…). Il principio di determinatezza non esclude, infatti, l’ammissibilità di formule elastiche, alle quali non infrequentemente il legislatore deve ricorrere stante la “impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a giustificare l’inosservanza del precetto e la cui valenza riceve adeguata luce dalla finalità dell’incriminazione e dal quadro normativo su cui essa si innesta”»

[16] G. AMENDOLA, Ambiente in genere. Delitti contro l’ambiente: arriva il disastro ambientale “abusivo”, in lexambiente.it, marzo 2015. 

[17] In tal senso, la relazione del Massimario della Corte di Cassazione n. III/04/2015 in https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/RelIII_4_15.pdf, pg. 7.

[18] S. PALMISANO, Ambiente in genere, Delitti contro l’ambiente, quand’è che un disastro si può dire abusivo?, in lexambiente.it, marzo 2015.

[19] Si v. funditus R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto penale – Parte generale, Torino, 2019, pg. 67 ss; nonché, in materia di titoli autorizzatori edilizi, per i quali è possibile svolgere le medesime considerazioni, Cass. pen., Sez. III, sent. n. 12389/2017, Cass. pen., Sez. III, sent. n. 56678/2018.

[20] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 46170/2016.

[21] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 21030/2015; cfr anche Cass. pen., Sez. III, sent. n. 18669/2015.

[22] Cass. pen., Sez. III, sent. N. 44449/2013; A. MACRILLÒ, F. NERI, I nuovi delitti contro l’ambiente, in I nuovi reati ambientai – le risposte giurisprudenziali alla l. 22 maggio 2015, n. 68, A. MACRILLÒ (a cura di), pg. 10. 

[23] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 10515/2017, par. 5.16.

[24] In tal senso, C. RUGA RIVA, Il nuovo delitto di inquinamento ambientale, in lexambiente.it, giugno 2015.

[25] L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. Pen. Cont. Fasc. 2/2015; criticamente, M. CATENACCI, I delitti contro l’ambiente fra aspettativa e realtà, in Dir. Pen. proc., fasc. 9/2015, pg 1078: «anche in questo caso tuttavia la riforma finisce col deludere le aspettative; e ciò in quanto con essa la funzione di raccordo fra attività repressiva ed attività di governo viene affidata a semplici quanto amplissime clausole di illiceità speciale, che ‘aprono’ le nuove fattispecie ad un confronto con l’intero ordinamento giuridico, consentendo così al giudice una libertà pressoché sconfinata nella valutazione dell’operato della pubblica amministrazione».

[26] C. Cost. sent. n. 85/2013; in tal senso, si legga C. ROMEO, A.V. SALAMINO, Inquinamento ambientale- bilanciamento tra tutela della salute e sviluppo economico: il caso Ilva, in Giur. It., 2019, 10, pg. 2228.

[27] C. RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015, pg. 9.

[28] P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg. 87.

[29] G. AMENDOLA, La prima sentenza della Cassazione sul delitto di inquinamento ambientale, in lexambiente.it, novembre 2016. 

[30] L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2015, pg. 381.

[31] C. RUGA RIVA, Il nuovo delitto di inquinamento ambientale, in lexambiente.it, giugno 2015.

[33] P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg. 78.

[34] C.M. MELZI D’ERIL, L’inquinamento ambientale a tre anni dall’entrata in vigore, in Dir. Pen. Cont. Fasc. 7/2018, pg. 41.

[35] G. AMENDOLA, La prima sentenza della Cassazione sul delitto di inquinamento ambientale, in lexambiente.it, novembre 2016, pg. 4; in senso difforme, intendendo al contrario la relazione, ovvero la compromissione meno grave del deterioramento, poiché quest’ultimo sottointende un danno e la prima una messa in pericolo del bene giuridico tutelato, A. TRINCI, Inquinamento ambientale: i primi chiarimenti della suprema Corte, in www.ilpenalista.it, 26 novembre 2016, p. 4.

[36] L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente. Voce per il “Libro dell’anno del diritto Treccani 2016”, in Dir. Pen. Cont., 17 dicembre 2015, p. 4; G. GUGLIEMI, R. MONTANARO, I nuovi ecoreati: prima lettura e profili problematici, in Rivista231 – La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, fasc. III/2015, pg. 1. 

[37] L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2015, pg. 382.

[38] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 46170/2016, par. 7.

[39] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 46170/2016, par. 9-10; V. CAVANNA, Delitto di inquinamento ambientale: prime indicazioni giurisprudenziali (nota a Cass. pen. 46170/2016), in Amb. Svil., fasc. 12/2016, pg. 806.

[40] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 10515/2017; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 18934/2017; in senso conforme Cass. pen., Sez. II, sent. n. 28793/2005; Cass. pen., Sez. V, n. 38574/2014. 

[41] Cfr. Cass. pen., Sez. III, sent. n. 10515/2017; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 18934/2017.

[42] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 10515/2017 par. 5.11, Cass. pen., Sez. III, sent. n. 15865/2017.

[43] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 9736/2020, par. 5-6-7.

[44] G. GIAMPIETRO, Inquinamento e danno all’ambiente: dal T.U.A all’art. 452 bis c.p., in Amb. Svil. Fasc. n. 5/2017, pg. 330.

[45] P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg. 80.

[46] A. BELL, A. VALSECCHI, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, in Dir. Pen. Cont., fasc. n. 2/2015; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 21463/2015.

[47] P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg 82, 

[48] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 46170/2016 par. 8.

[49] F. NOTARI, Il nuovo reato di inquinamento ambientale alla luce della sentenza n. 46170/2016 della Corte di Cassazione, in federalismi.it; E. DI FIORINO, F. PROCOPIO, Inquinamento ambientale: la Cassazione riempie di contenuti la nuova fattispecie incriminatrice, in Giur. Pen. fasc. 12/2016, pg. 2.

[50] Così C. RUGA RIVA, Il delitto di inquinamento ambientale al vaglio della Cassazione: soluzioni e spunti di riflessione, in Dir. Pen. Cont., 22 novembre 2016, pg. 5. 

[51] C. RUGA RIVA, Il delitto di inquinamento ambientale al vaglio della Cassazione: soluzioni e spunti di riflessione, in Dir. Pen. Cont., 22 novembre 2016, pg. 5, Conforme anche L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2015, pg. 382, secondo cui «deve essere, appunto, significativa, ma anche misurabile, quindi quantitativamente apprezzabile, ovvero oggettivamente rilevante, potendosi escludere ogni riferimento a limiti quantitativi posti da specifiche disposizioni (…), perché altrimenti sarebbero stati espressamente indicati. (…) Parimenti sembra potersi escludere la necessità, nell’accertamento in concreto, del ricorso a specifiche metodiche di analisi, che la legge, ancora una volta, neppure menziona (…)»; favorevole ad una distinzione in tal senso anche V. GIAMPIETRO, Riflessioni sui criteri di valutazione tecnica dell’inquinamento (e del disastro) ambientale, in Amb. Svil. Fasc. 2/2017, pg. 77-78.

[52] E. LO MONTE, Art. 452 bis c.p.: la locuzione «compromissione o deterioramento significativi e misurabili» all’esame dei giudici di legittimità, in Dir. Giur. Agr. Alim. Fasc. 6/2016, pg. 11; sembra conforme anche A. L. VERGINE, A proposito della prima (e della seconda) sentenza della Cassazione sul delitto di inquinamento ambientale, in Amb. Svil. Fasc. 1/2017, pg. 13.

[53] L. SIRACUSA, L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. Pen. Cont. Fasc. 2/2015, Pg. 205.

[54] Cass. pen., Sez. I, sent. 45001/2014 ha ritenuto la natura meramente precauzionale delle soglie di contaminazione in materia di acque, si veda funditus N. PISANI, profili dell’accertamento processuale del delitto di inquinamento ambientale, in lexambiente.it, fasc. 1/2019, pg. 4, nota 7 ove si cita G. CARUSO, Ambiente (riforma penale dell’), in Digesto, IX, aggiornamento 2016.

[55] Si v. A. TRUCANO, Prima pronuncia della Cassazione in materia di inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p., in dir. Pen. prc. Fasc. 7/2017, pg. 932.  

[56] Per una veloce “carrellata” dei provvedimenti in materia di inquinamento ambientale, si v. C.M. MELZI D’ERIL, L’inquinamento ambientale a tre anni dall’entrata in vigore, in Dir. Pen. Cont. Fasc. 7/2018, pg. 49.

[57] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 15685/2017; si v. nota di FASSI in Riv. Pen. fasc. 9/2017, pg. 765. 

[58] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 9736/2020.

[59] C. Cost. n. 5/2004 secondo cui «l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice –(…)- di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo».

[60] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 9736/2020, par. 11.

[61] G. PAVICH, Reati di inquinamento ambientale e disastro ambientale: prime questioni interpretative, in Cass. Pen., fasc. 1/2017, pg. 405.

[62] Così ipotizza, C.M. MELZI D’ERIL, L’inquinamento ambientale a tre anni dall’entrata in vigore, in Dir. Pen. Cont. Fasc. 7/2018, pg. 51, obiettando criticamente che, comunque, quanto maggiore è la diffusione quanto minore è la concentrazione degli inquinanti.

[63] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 15865/2017.

[64] P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg. 83

[65] In tal senso, la relazione del Massimario della Corte di Cassazione n. III/04/2015 in https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/RelIII_4_15.pdf

[66] A. MACRILLÒ, F. NERI, I nuovi delitti contro l’ambiente, in I nuovi reati ambientali – le risposte giurisprudenziali alla l. 22 maggio 2015, n. 68, A. MACRILLÒ (a cura di), pg. 15. 

[67] F. D’ALESSANDRO, La tutela penale dell’ambiente tra passato e futuro, in Jus, fasc. 1/2016, pg. 98, in tal senso anche P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg. 84.

[68] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 50018/2018.

[69] D. ZINGALES, La fattispecie di inquinamento ambientale: la tutela dell’ambiente in chiave “ecocentrica” approntata dal codice penale, in Cass. Pen., fasc. 8/2019, pg. 293. 

[70] In tal senso, L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2015, pg. 13 e ss. 

[71] Cfr. Cass. pen., Sez. III, sent. n. 50018/2018, secondo cui il delitto di inquinamento ambientale presuppone l’accertamento di un concreto pregiudizio arrecato all’ambiente, senza che sia richiesta la prova della contaminazione del sito. Ciò perché, a parere di chi scrive, lo scostamento deve essere ragguagliato all’ambiente in quanto tale. 

[72] F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Vicenza, 2017, pg. 302.

[73] C. RUGA RIVA, Dolo e colpa nei reati ambientali, in Dir. Pen. Cont., 2015, pg. 13.

[74] In tal senso, C. RUGA RIVA, I nuovi ecoreati – Commento alla l. 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015, pg. 13: «Colui che non è consapevole di inquinare oltre i limiti di legge o con modalità non consentite (…) non vuole propriamente l’evento di compromissione o deterioramento significativi per il diritto, rappresentandosi al contrario una condotta neutra, socialmente tollerata. Certo, ove la mancata rappresentazione del carattere abusivo della condotta sia frutto di negligenza l’agente potrà rispondere dell’inquinamento a titolo di colpa. Ciò, si badi, a prescindere dall’inquadramento dogmatico della clausola abusivamente. (…) in ogni caso l’agente che non si rappresenti e voglia la condotta abusiva non ne risponde per dolo, non avendo alcuna volontà di realizzare il fatto illecito»

[75] L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente. Voce per il “Libro dell’anno del diritto Treccani 2016”, in Dir. Pen. Cont., 17 dicembre 2015, p. 7.

[76] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 26007/2019.

[77] Cass. Sez. Unite, sent. n. 38343/2014, secondo cui la previsione dovrebbe essere chiara e lucida nell’ipotesi di dolo eventuale, vaga e sfumata nell’ipotesi della colpa cosciente. Per un’analisi approfondita dei criteri, si v. P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg. 104.

[78] Ragionamento condotto sulla base delle considerazioni di F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Vicenza, 2017, pg 344.

[79] G. GUGLIEMI, R. MONTANARO, I nuovi ecoreati: prima lettura e profili problematici, in Rivista231 – La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, fasc. III/2015, secondo cui è configurabile sia la colpa generica che la colpa specifica, anche in virtù del principio di precauzione per una disamina del quale si rinvia a C. RUGA RIVA, Dolo e colpa nei reati ambientali, in Dir. Pen. Cont., 2015, pg. 5.

[80] C. RUGA RIVA, Dolo e colpa nei reati ambientali, in Dir. Pen. Cont., 2015, pg. 17.

[81] L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2015, pg. 382.

[82] Art. 452 quater c.p.: «[I] Fuori dai casi previsti dall'articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:

1.1) l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;

2.2) l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

3.3) l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

[II] Quando il disastro è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.»

[83] Funditus G. PAVICH, Reati di inquinamento ambientale e disastro ambientale: prime questioni interpretative, in Cass. Pen., fasc. 1/2017, pg. 405.

[84] Cass. pen., Sez. I, sent. n. 58023/2017.

[85] M. RICCARDI, I “disastri ambientali”: la Cassazione al crocevia tra clausola di salvaguardia, fenomeno successorio e concorso apparente di norme, in Dir. Pen. Cont., fasc. 10/2018, pg. 336. In tal senso anche M. C. AMOROSO, Il disastro ambientale tra passato e futuro, in Cass. Pen., fasc. 9/2018, pg. 2953.

[86] Supra par. 6.

[87] G. M. FLICK, Parere pro veritate sulla riconducibilità del c.d. disastro ambientale all’art. 434 c.p., in Cass. Pen., fasc. 1/2015, pg. 12B.

[88] C. RUGA RIVA, Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al legislatore logorroico, in Cass. Pen., fasc. 12/2016, pg. 4635.

[89] P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, pg. 98.

[90] Si veda M. POGGI D’ANGELO, Il doppio evento (danno/pericolo) nel nuovo delitto di disastro ambientale- sanitario, in Cass. Pen., fasc. 2/2019, pg. 630.

[91] Cass. pen., Sez. III, sent. n. 29901/2018; L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente. Voce per il “Libro dell’anno del diritto Treccani 2016”, in Dir. Pen. Cont., 17 dicembre 2015, p. 9. 

[92] Tale rapporto è stato confermato anche dalla più recente giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 15596/2020.

[93] M. RICCARDI, I “disastri ambientali”: la Cassazione al crocevia tra clausola di salvaguardia, fenomeno successorio e concorso apparente di norme, in Dir. Pen. Cont., fasc. 10/2018, pg. 339.

[94] L. RAMACCI, Il nuovo disastro ambientale, in lexambiente.it, novembre 2017.