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Pubbl. Mer, 20 Gen 2021

Il lavoro del rider tra etero-organizzazione e subordinazione

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Federica Scordino



Il tema tanto dibattuto, in dottrina e in giurisprudenza, circa la qualificazione del rapporto di lavoro dei riders, è stato oggetto di una recentissima sentenza del Tribunale di Palermo che ha qualificato tale rapporto come subordinato, lasciandosi alle spalle la sussunzione all´etero-organizzazione statuita dalla Corte di Cassazione nel Gennaio 2020.


Sommario: 1. I riders e il costante sviluppo del mercato digitale; 2. Il problema di qualificazione giuridica del rapporto di lavoro; 3. Le precedenti pronunce; 4. La più recente giurisprudenza

1. I riders e il costante sviluppo del mercato digitale

Per affrontare la tematica della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, appaiono necessarie e doverose alcune preliminari constatazioni di carattere storico-giuridico.

Se qualcuno si sta già chiedendo chi sono i riders, si può senz’altro rispondere che, ad oggi, è impossibile non conoscerli. I riders sono i ben conosciuti fattorini che si spostano all’interno della città per consegnare cibo o altri prodotti a domicilio. Non si può negare che negli ultimi anni la loro attività si è di gran lunga incrementata: oggi infatti è possibile ordinare online e ricevere comodamente a casa una vastità di prodotti, dalla pizza al vino, dalla spesa alimentare ai prodotti farmaceutici e così via. Il periodo emergenziale che stiamo vivendo ha contribuito ad incalzare l’attività dei riders, potendo questi ultimi continuare ad effettuare le consegne a livello urbano, riducendo gli spostamenti di molte persone.

I riders sono spesso sinonimo di praticità, convenienza e soprattutto comodità, ma se cambiamo l’angolo di osservazione e ci soffermiamo sull’attività da questi svolta, è inevitabile ricadere in una grande incertezza che li riguarda direttamente, a partire dalla qualificazione del rapporto di lavoro, per giungere ai diritti e le tutele loro spettanti.

Uno degli aspetti peculiari di questi lavoratori sta nel fatto che la figura datoriale non è ravvisabile in una persona fisica, come tradizionalmente è immaginabile, bensì in una piattaforma digitale. Questi, infatti, operano su una piattaforma online, riuscendo a garantire in molti casi la disponibilità per le consegne durante tutto l'arco della giornata.

La logica della piattaforma è quella di servirsi di un maggior numero di riders, i quali riusciranno a coprire quanti più turni possibili e quindi fornire un servizio in tutte le ore del giorno, in sintesi di più sono i riders e minore è la possibilità che un turno rimanga scoperto1.

L’utilizzazione della piattaforma digitale, se da un lato è segno di un progresso tecnologico che mira ad una maggiore celerità e praticità degli scambi economici, dall’altro ha rischiato di scardinare gli schemi del diritto del lavoro piegato dal progresso tecnologico. Per tal motivo i giuslavoristi2 sono stati messi a dura prova, chiamati a fornire argomentazioni in grado di riconoscere come l’economia digitale abbia, inevitabilmente, ampliato l’orizzonte delle normative del diritto del lavoro. Sicuramente dalle vicende attuali emerge, per i riders, un bisogno di giustizia, tanto che le domande giudiziali sono state viste come unico rimedio al fine di riparare una posizione sostanzialmente iniqua assunta dal rider.

2. Il problema di qualificazione giuridica del rapporto di lavoro

Tradizionalmente, in riferimento alla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, si è posta, in maniera speculare, la distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, disciplinati rispettivamente negli artt. 22223 e 20944 del codice civile.

A prima lettura, sembra quasi che il legislatore abbia offerto una definizione di lavoro autonomo in via residuale rispetto al lavoro subordinato5, inserendo una componente negativa nell’art. 2222 c.c. (“...senza vincolo di subordinazione...”) e una sola componente positiva (“..con lavoro prevalentemente proprio..”). Nonostante questa netta e storica distinzione tra le due tipologie di rapporto di lavoro, è sempre esistita una zona grigia che si colloca, infatti, a metà strada e che comprenderebbe tutte quelle tipologie di attività lavorativa che, per alcuni versi sarebbero sussumibili sotto la fattispecie dell’art. 2222 c.c., per altri, dell’art. 2094 c.c., presentando caratteristiche di entrambe le categorie.

Di fronte a tale consapevolezza, dapprima la giurisprudenza e poi il legislatore, hanno dovuto fare i conti con il problema di come qualificare una tipologia di lavoro, in assenza di parametri normativi ben delineati.

Con i riders è sorto proprio lo stesso problema, il quale ha impegnato in prima linea i Tribunali6 che, in qualità di giudici di primo grado e in molti casi privi di una giurisprudenza consolidata alle spalle, hanno semplicemente qualificato il rapporto di lavoro come autonomo, infatti,

“..si osserva [...] come anche nel rapporto di lavoro autonomo il committente impartisca istruzioni in ordine al contenuto e agli obiettivi dell’incarico affidato e fissi standard quali/quantitativi delle prestazioni concordate, verificando il rispetto degli stessi da parte del prestatore”. (Tribunale di Milano, Sentenza n.1853/2018) 

Il problema della c.d. zona grigia è marcato anche dalla parasubordinazione: potremmo, in tal senso, parlare di una tipologia di lavoro autonomo più vicino al lavoro subordinato, la cui consacrazione legislativa è avvenuta con l’art. 409 c.p.c., il quale ha esteso l’applicabilità del rito lavoristico, oltre che all’ambito del lavoro subordinato, anche ai rapporti di lavoro che si concretano in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato.

È merito dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 l’aver introdotto una disposizione di non chiara lettura, secondo la quale

A far data dal 1° Gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Tale disposizione, fonte di ampi dibattiti, è stata successivamente modificata dal legislatore con la riforma operata dal decreto n.101/2019 convertito in legge n.128, la quale avrebbe sostituito il termine “esclusivamente” con “prevalentemente” ed eliminato, tutt'al più l’ultimo inciso “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, inoltre è stata estesa la disciplina alle “prestazioni organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

Questo decreto, comunemente denominato “Decreto Rider”, ha inserito il Capo V-bis al d.lgs. n.81/2015, introducendo un pacchetto di minima tutela per i ciclofattorini. La normativa del 2019 offre preliminarmente una definizione di piattaforma digitale e anche una di riders, nello specifico:

Lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’art. 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali”.

Il pacchetto minimo di tutela prevede un obbligo di copertura assicurativa per il rider contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; divieto di discriminazione consistente nell’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione; diritto ad un compenso minimo orario. Quest’ultimo aspetto mira all’abbattimento di una pratica diffusasi sul lavoro dei riders e consistente nella retribuzione a cottimo.

Tuttavia, pur in presenza di un ampio quadro normativo, la giurisprudenza si trova preliminarmente ad affrontare il problema della qualificazione del rapporto di lavoro: cioè, il rapporto di lavoro del riders può definirsi subordinato, etero-organizzato o autonomo? La risposta a questo interrogativo è condizione necessaria per poter, solo in un secondo momento, individuare la disciplina applicabile.

3. Le precedenti pronunce

Quello della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei riders ha, come anticipato, rappresentato l’emblema di un ampio dibattito non soltanto dottrinale, ma anche giurisprudenziale, tanto che le diverse soluzioni a cui giungono i giudici, danno piena prova di come la stessa giurisprudenza si sia trovata in difficoltà nel dover decidere su tali tematiche, essendo stata inquadrata l’attività giurisdizionale come unica via risolutiva dei pregiudizi subiti dai riders.

Il caso sul quale si è pronunciato in primo grado il Tribunale di Torino con la sentenza n.778 del 2018, si fa portavoce del fenomeno appena descritto.

I giudici, in relazione alla qualificazione del rapporto di lavoro, sono giunti a conclusioni nettamente distinte, e, si potrebbe anche dire, gradualmente più favorevoli per il rider.

Il Tribubale ha considerato la prestazione di lavoro come autonoma, infatti nel caso di specie, la determinazione del luogo e dell’orario di lavoro non veniva imposta unilateralmente dall’azienda che si limitava a pubblicare sulla piattaforma i turni di lavoro; i ricorrenti avevano la piena libertà di dare o meno la propria disponibilità per uno dei turni indicati dall’azienda.

Il giudice, infatti, ha escluso l'applicabilità dell’art. 2 del d.lgs. n.81/2015, in quanto

la norma dispone infatti che sia applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro: è quindi necessario che il lavoratore sia pur sempre sottoposto al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro e non è sufficiente che tale potere si estrinsechi soltanto con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro perché deve al contrario riguardare anche i tempi e il luogo di lavoro”.

Per cui il Tribunale di Torino respingeva la richiesta di qualificare il lavoro come subordinato e in subordine, come eterorganizzato, specificando che, nel caso in esame,

è difficile parlare di organizzazione dei tempi di lavoro in quanto i riders avevano la facoltà di stabilire se e quando dare la propria disponibilità ad essere inseriti nei turni di lavoro”.

Rispetto alla decisione assunta dal giudice di primo grado, con la quale il lavoro del rider veniva inserito nella categoria di lavoro autonomo, in secondo grado di giudizio si giunge ad una pronuncia che ribalda nettamente quella precedente.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 26/2019, riconosceva al lavoro del rider la possibile sussunzione sotto la fattispecie descritta dall’art. 2 del d.lgs. n.81/2015 (quindi nella collaborazione etero-organizzata), pur cercando di mantenere una netta linea di demarcazione tra l’etero-organizzazione e la subordinazione. La Corte censurava la sentenza del giudice di prime cure ritenendo che quest’ultimo avesse dato eccessiva rilevanza a quanto stabilito contrattualmente dalle parti tralasciando l’attività in concreto svolta; inoltre veniva ribadito che

dalle prove acquisite emergerebbe la sottoposizione dei riders al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro”.

La Corte non condivideva la posizione assunta dal Tribunale nella parte in cui escludeva che l’art. 2 del d.lgs. n.81/2015 potesse produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro; tanto che in modo perfettamente speculare, attribuiva alla norma in questione la funzione identificativa di un tertium genus che si collocava a metà strada tra il carattere direttivo di cui all’art. 2094 c.c. e quello collaborativo di cui all’art. 409 c.p.c., cioè una vera e propria categoria di lavoratori che rientrano nell’etero-organizzazione e per tal motivo ricevono l’espansione della tutela del lavoro subordinato, ma non tout court.

Ma è qui che si colloca la ferma posizione della Corte d’Appello, la quale cerca di sottolineare le differenze tra la subordinazione e l’etero-organizzazione: l’applicabilità dell’art.2 d.lgs. n.81/2015 non comporta però, automaticamente, l’ampliamento della complessiva tutela subordinata in capo all’etero-organizzazione; ne sarebbero infatti escluse, tutte quelle disposizioni che sono state pensate dal legislatore appositamente per il lavoro subordinato e pertanto incompatibili con l’etero-organizzazione. Per cui, mentre la disciplina della retribuzione è applicabile al rider, quella del licenziamento illegittimo ne viene esclusa.

Il tentativo della Corte d’Appello di mantenere, per quanto possibile, questa linea di demarcazione tra i due settori, viene radicalmente abbattuta dalla posizione assunta dalla Suprema Corte di Cassazione sul tema in analisi.

4. La più recente giurisprudenza

Con la sentenza n.1663 del 2020, la Corte di Cassazione, si dimostra sin da subito ben consapevole del travagliato percorso della discilpina in esame7.

La Corte di Cassazione, infatti, ha fornito un’interpretazione estensiva dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 ampliando la tutela dei riders.

La difesa di parte ricorrente sosteneva la tesi secondo la quale la libertà del rider di indicare la propria disponibilità per le consegne e scegliere in quale delle piazze posizionarsi con la propria bici, fossero indici di configurazione del rapporto di lavoro come autonomo e quindi idonei, non solo ad escludere qualsiasi vincolo di subordinazione, tuttalpiù anche l’etero-organizzazione, in quanto risultava assente il carattere di organizzazione da parte del committente in relazione al luogo di lavoro.

La Corte di Cassazione stabilisce che quel “anche” riportato nell’art. 2 del d.lgs. n.81/2015 (in riferimento al tempo e al luogo della prestazione) non ha un valore tassativo, ma esemplificativo; pertanto pur potendosi individuare una certa libertà di scelta del rider nella fase genetica della prestazione (disponibilità per le consegne e scelta del luogo di posizionamento), i vincoli a cui è sottoposto il lavoratore nella fase esecutiva della prestazione ne giustificano la sussunzione sotto l’etero-organizzazione.

Tale interpretazione trova giustificazione in un tentativo di contestualizzare la norma in esame (art.2), in quanto si inserisce in un progetto di riforma del legislatore operato nel 2015, sotto il nome di Jobs Act, e volto ad un auspicato incremento dell’occupazione.

I giudici di legittimità hanno inoltre rigettato l’idea del tertium genus, avvalendosi di un approccio rimediale in riferimento all’art. 2, cioè attribuendo alla norma una funzione di estensione della tutela del lavoro subordinato anche al lavoro etero-organizzato.

I giudici nulla dicono sul problema avanzato dalla Corte d’Appello relativo all’impossibilità di applicare l’intera tutela del lavoratore subordinato anche all’etero-organizzazione, lasciando inevitabilmente alcune parentesi ancora aperte ma che non escludono un’interpretazione più vantaggiosa per i riders.

Sicuramente la sentenza della Corte di Cassazione ha rappresentato un punto di svolta per il mondo dei riders, che hanno assistito ad un incremento della propria tutela grazie anche alla recentissima pronuncia del Tribunale di Palermo del 23 Novembre 2020, con la quale il rapporto di lavoro di un ciclofattorino è stato qualificato, non più come etero-organizzazione, bensì come lavoro subordinato.

Il Tribunale di Palermo, dopo un breve excursus su quanto già oggetto di dibattito, parte proprio dalla qualificazione giuridica della piattaforma digitale: infatti, in conformità ad una pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE8, che si era orientata nel senso di ritenere l’attività della piattaforma digitale non consistente nella mera intermediazione ma in un’attività d’impresa di consegna a domicilio di cibi e bevande, anche il Tribunale di Palermo9 decide di orientarsi in tal senso.

Per tale ragione il lavoro del rider può considerarsi un lavoro subordinato in quanto, dalla natura imprenditoriale della piattaforma ne deriva la possibilità che i suoi collaboratori lavorino per conto (e non semplicemente in nome) della piattaforma stessa e che, dunque, siano inseriti in una organizzazione imprenditoriale, di mezzi materiali e immateriali, di proprietà e nella disponibilità della piattaforma stessa e così del suo proprietario o utilizzatore.

Come riconosciuto dal giudice,

“il lavoro del ricorrente veniva gestito e organizzato dalla piattaforma nel senso che solo accedendo alla medesima e sottostando alle sue regole il ricorrente poteva svolgere le prestazioni di lavoro”,

tanto che la disconnessione dalla piattaforma stessa non avrebbe consentito al rider di svolgere il proprio lavoro. Nel caso di specie, il fatto che il lavoratore riceveva una maggiorazione del suo punteggio sulla base di vari elementi (quali ad es. il feedback dell’utente e quello dei partner, o all’efficienza del lavoratore e alla sua esperienza), costituisce una vera e propria sanzione disciplinare atipica che colpisce il lavoratore attraverso la possibile retrocessione del suo punteggio, qualora gli elementi sopra esposti siano segnati da indici negativi. Inoltre la necessaria connessione tramite app e la presenza nel luogo più vicino ai locali, sono già indici di subordinazione.

Il Tribunale di Palermo riconosce la subordinazione consistente

nella messa a disposizione del datore di lavoro da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative per consistenti periodi temporali e nell’esercizio dalla parte datoriale di poteri di direzione e controllo, oltre che di natura latamente disciplinare”.

In conclusione, non è da escludere che tale giurisprudenza non possa avere piena capacità risolutiva di tutte le questioni generate dalla complessità del fenomeno in esame; inoltre, non è in questo momento possibile escludere né che si consolidi una giurisprudenza che ne riconosca la natura eterorganizzata della prestazione, né che se ne sviluppi una invece a favore di una più pervasiva subordinazione. Né ancora, che gli stessi modelli organizzativi del lavoro digitale non approfittino di ulteriori sviluppi tecnologici per compiere una fuga tanto dalla subordinazione quanto dalla eterorganizzazione10. Se è certamente possibile immaginare che per i riders del food delivery il ventaglio delle tutele sembri ampliarsi, non pare comunque possa raggiungersi sul punto una univoca interpretazione.


Note e riferimenti bibliografici

1 Marco Novella, “Il rider non è un lavoratore subordinato, ma è tutelato come se lo fosse” (Labour & Law Issues, V.5 N.1 2019, 82-103).

2 Tra cui Marco Novella, Il rider non è un lavoratore subordinato, ma è tutelato come se lo fosse", Labour & Law Issues, V.5 N.1 2019, 82-103; Marco Biasi, Le inattese ricadute di un approccio rimediale al lavoro tramite piattaforma digitale, Giurisprudenza Italiana, V.172 F.7, 2020); Enrico Raimondi, Il lavoro nelle piattaforme digitali e il problema della qualificazione della fattispecie, Labour & Law Issues, V.5 N.2, 2019, 57-94; Giuseppe Antonio Recchia, La Cassazione consegna ai riders la collaborazione eterorganizzata, Il lavoro nella giurisprudenza, V.28 F.3, 2020.

3 Art. 2222 c.c.: “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV”.

4 Art. 2094 c.c.: “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore”.

5 Oronzo Mazzotta, Manuale di Diritto del Lavoro, Cedam 2017, p.201-202.

6 Tribunale di Torino, pronuncia del 7 Maggio 2018, n.778; Tribunale di Milano, pronuncia del 10 Settembre 2018, n.1853.

7 Giuseppe Antonio Recchia, in La Cassazione “consegna” ai riders la collaborazione eterorganizzata (Il lavoro nella giurisprudenza, V.28 F.3, 2020).

8 Sentenza del 20 Dicembre 2017, C-434/15.

9 Tribunale di Palermo, Sentenza n.3570 del 2020.

10 Giuseppe Antonio Recchia, in La Cassazione “consegna” ai riders la collaborazione eterorganizzata (Il lavoro nella giurisprudenza, V.28 F.3, 2020).