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Pubbl. Ven, 20 Nov 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Ottemperanza sull´esecuzione del decreto ingiuntivo e sindacato del giudice

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autori Maria Avossa , Alessio Giaquinto



Il contributo offre un´analisi del giudizio di ottemperanza e del potere del giudice in caso di inadempimento della P.A. per il pagamento di somme oggetto di decreto ingiuntivo. I profili storici e teorici dell’istituto sono rapportati alle coordinate ermeneutiche fornite dalla giurisprudenza in tema di debiti monetari della P.A. scaturenti da un giudicato civile. La recente sentenza del Consiglio di Stato, 30 giugno 2020, n. 4111 ne approfondisce il contesto tematico in termini di attualità. In sede di ottemperanza, è possibile far valere fatti posteriori alla pronuncia del provvedimento giurisdizionale costituente titolo esecutivo, eventuali vicende estintive del credito, successive alla pronuncia del decreto di condanna costituente titolo esecutivo.


ENG The paper offers an analysis of the judgment of compliance and the power of the judge in the event of default by the Public Administration. for the payment of sums subject to an injunction. The historical and theoretical profiles of the institute are related to the hermeneutical coordinates provided by the jurisprudence on the subject of monetary debts of the P.A. arising from a civil judgment. The recent sentence of the Council of State, 30 June 2020, n. 4111 explores the thematic context in terms of topicality. In compliance, it is possible to assert facts subsequent to the pronouncement of the judicial provision constituting an enforceable title, any events extinguishing the credit, subsequent to the pronouncement of the conviction decree constituting an executive title.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Cenni storici ed evoluzione del giudizio di ottemperanza; 3. Il giudicato civile; 3.1 (Segue) Il giudicato amministrativo; 4. Il giudizio di ottemperanza nel codice del processo amministrativo: la natura e i presupposti; 4.1 La sentenza del Consiglio di Stato 30 giugno 2020, n. 4111: brevi cenni introduttivi all’esame della pronuncia; 4.2 Fatti in giudizio, posizioni di diritto ed aspetti del debito pecuniario in cosa giudicata; 4.3 Il giudizio di ottemperanza come mera attività esecutiva e le eventuali vicende estintive: 5. La decisione del Consiglio di Stato; 6. I poteri del giudice nel giudizio d’ottemperanza e osservazioni conclusive.

1. Introduzione.

Il giudizio di ottemperanza si ispira all’effettività della tutela che l’ordinamento accorda alla parte vittoriosa in giudizio, allorché un provvedimento giurisdizionale resti ineseguito da parte di una Pubblica Amministrazione. L’ordinamento garantisce la “piena ed effettiva tutela” [1] delle situazioni soggettive partendo dall’art. 24 della Costituzione e dai successivi articoli 103 e 113, relativi al criterio del riparto di giurisdizione.

Il codice del processo amministrativo fornisce un ulteriore riscontro all’articolo 1, dove si prevede che “La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”. In esso, però, il richiamo espresso è ricondotto al valore dell’effettività della tutela giurisdizionale relativa alla “capacità del processo di conseguire risultati nella sfera sostanziale[2] delle parti.

Di fatto, il processo è “la sede e il mezzo per l’attuazione della tutela dei diritti e degli interessi, il luogo per la soluzione dei conflitti tra autorità e libertà[3]

Cosa ben diversa è “assicurare” la soddisfazione dell’interesse dedotto in giudizio dal ricorrente, il cui ricorso sia stato accolto e tradotto in un giudicato recante l’obbligo delle parti di conformarsi ad esso. La riconducibilità dei due concetti, ad un unico alveo, è sintetizzata efficacemente da nota dottrina[4], la quale ha parlato di “tecniche di attuazione dei diritti nel processo amministrativo” per riferirsi alle qualità delle distinte regole processuali preposte ad attuare la tutela giurisdizionale.

Ma gli effetti di un giudicato amministrativo o del giudice ordinario[5], intanto divengono espressione concreta[6] della tutela giurisdizionale in quanto trovino un’esecuzione materiale nella sfera giuridica soggettiva. L’esperibilità del giudizio di ottemperanza[7] assolve a questo scopo.

Più precisamente, i giudicati ineseguiti dalla P.A. restano assoggettabili alla possibilità di essere adempiuti in modo coattivo, secondo quanto previsto dall’art. 112, comma 2, c.p.a. La norma sottolinea il carattere doveroso dell’azione amministrativa e mette in evidenza come l’accertamento sull’attività successiva al giudicato divenga oggetto di esame autonomo, diversamente calibrato a seconda che si tratti di sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario oppure del giudice amministrativo[8]

L’aspetto teorico della tematica si è arricchito nel corso del tempo di contenuti tratti da pronunce giudiziali, le quali rendono evidente la funzione propulsiva della giurisprudenza, volta al consolidare i principi ora recepiti dagli articoli 112 e seguenti del c.p.a.

Una particolare ipotesi di giudizio ottemperanza è divenuta oggetto di decisione ad opera del Consiglio di Stato, resa nella sentenza recente del 30 giugno 2020 n. 4111. La pronuncia interviene in tema di esecuzione di un giudicato civile in adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi a un decisum relativo al pagamento di somme oggetto di un decreto ingiuntivo divenuto definitivo.

I Giudici di Palazzo Spada affrontano, qui, il tema dell’assenza del potere del giudice di ottemperanza di entrare in merito all’esistenza e all’entità di un debito.  Il giudice avrebbe, però, quello di verificare se ancora persista l’inadempimento da parte dell’Amministrazione. Possono divenire, infatti, oggetto di accertamento giudiziale eventuali vicende estintive del credito, successive alla pronuncia del decreto di condanna costituente titolo esecutivo.

Sotto il particolare profilo dell’esecutività della sentenza, resterebbe vincolante l’accertamento oggetto di giudicato, escludendo così l’indagine su fattori estintivi antecedenti che, diversamente, si risolverebbe in una violazione dell’art. 2909 c.c. La pronuncia del 30 giugno 2020 n. 4111, senz’altro, ha il pregio di affrontare un interessante intreccio tra istituti di diritto sostanziale e processuale. Gli aspetti forniscono ulteriore riscontro ad un orientamento giurisprudenziale costante e fortificano la concezione polisemica[9] del giudizio di ottemperanza, legata al contenuto specifico del giudicato da ottemperare e alle esigenze dovute all’obbligo conformativo[10],  di cui la P.A. risulti gravata.  

2. Cenni storici ed evoluzione del giudizio di ottemperanza

Le origini del giudizio di ottemperanza, coincidente con l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato e della giurisdizione amministrativa[11], rendono chiaro come le dinamiche evolutive ne abbiano trasformato la fisionomia da “strumento giurisdizionale”, creato per consentire la conformazione dell’amministrazione alle pronunce del giudice ordinario, fino ad estenderla ad uno “strumento esecutivo” delle sentenze del giudice amministrativo. Inizialmente, l’azione a presidio dell’attuazione delle pronunce giurisdizionali a carico o, comunque, nei confronti della P.A., assumeva le sembianze di una schematica conformazione della P.A. alle decisioni rese dal Giudice civile.

Storicamente, il giudizio di ottemperanza nacque quale completamento del sistema di giustizia delineato dagli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (c.d. L.A.C.). In quell’epoca, era demandata alla giurisdizione ordinaria una competenza a conoscere le controversie sorte nei rapporti tra i soggetti privati e la pubblica amministrazione. Si negava, però, al giudice ordinario, la concessione di un potere di revoca o di modifica degli atti amministrativi lesivi di un diritto civile o politico (art. 4 L.A.C.). Dalla scarsa incisività dell'art. 4, comma 2, L.A.C. discendeva, di fatto, solamente un mero obbligo conformativo di ottemperanza al giudicato dei Tribunali.

L’art. 5 L.A.C. convalidava normativamente tale impostazione. Infatti, l’obbligo rimaneva incoercibile, data la mancata previsione dello strumento giurisdizionale destinato a garantire l’osservanza della decisione del giudice ordinario. L’atto amministrativo poteva essere soggetto, soltanto, ad una disapplicazione nell’ipotesi in cui non fosse ritenuto conforme alla legge. In base al dato normativo il tutto si concludeva in un potere di disapplicazione dell’atto amministrativo: mancava al giudice ordinario il diverso potere di annullamento.

Da un punto di vista procedurale, la conseguenza era che, laddove l’amministrazione non si fosse adeguata alla pronuncia del giudice, il giudizio si sarebbe concluso con una pronuncia giurisdizionalmente valida, ma nella sostanza inutiliter data. Di qui, il bisogno di introdurre un rimedio idoneo. Il quadro normativo, così definito, si arricchì dell’art. 4, n. 4, della Legge 31 marzo 1889, n. 5992, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (c.d. Legge Crispi) e, al contempo, dell’attribuzione al giudice amministrativo del potere di porre in essere interventi di tipo sostitutivo nei confronti dell'amministrazione, rimasta inerte a fronte di un giudicato civile che ne dichiarasse la soccombenza.

Trasposta nella disposizione dell'art. 27, n. 4, del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), la norma si limitò a stabilire che, in esecuzione delle sentenze del giudice ordinario, il Consiglio di Stato avesse giurisdizione in ordine ai «ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico». Il giudizio di ottemperanza riguardava, così, una ipotesi di giurisdizione di merito del giudice amministrativo per l'esecuzione delle sole sentenze del giudice ordinario. La legge n. 5992 del 1889[12] nulla previde riguardo ad una forma di tutela giurisdizionale esecutiva riferita alla giurisdizione amministrativa.

Di fatto, quest’ultima venne concepita come una “giurisdizione di mero annullamento di atti amministrativi illegittimi” e non come un processo esecutivo. La ragione era ovvia. L’annullamento dell’atto con effetto retroattivo determinava la rimozione dell’atto illegittimo all’origine.

Ad un’evoluzione normativa lenta corrispose [AG1] un’attività giurisprudenziale la cui frequenza crescente fu definita, da nota dottrina, di “bruta normazione giurisprudenziale[13]. La prima espressione si conobbe con la storica pronuncia della IV Sezione del Consiglio di Stato del 1928[14].

Da quel momento in poi, la costanza nell’applicazione analogica delle regole del giudizio di ottemperanza nel processo amministrativo rimarcò il progressivo consolidamento della convinzione che il rimedio dell'ottemperanza potesse effettivamente rappresentare lo strumento processuale per garantire l'esecuzione delle sentenze anche del giudice amministrativo[15]. Tuttavia, il giudizio di ottemperanza riferito alle decisioni di quest’ultimo ottenne un riconoscimento formale sul piano legislativo soltanto con la successiva legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali.

Il legislatore però, anche qui, all’art. 37[16] operò con la tecnica del richiamo al tenore letterale dell’art. 27 del regio decreto n. 1054 del 1924, che si riferisce esclusivamenteall’ottemperanza delle sentenze del giudice ordinario, limitandosi, poi, a disciplinarne gli aspetti relativi al riparto delle competenze[17].

3. Il giudicato civile

L’analisi del giudizio di ottemperanza, così impostato, anche alla luce delle linee storiche dell’istituto, richiede un idoneo inquadramento del presupposto che ne è la base, ossia la nozione di giudicato, per adempimento del quale il rimedio va esperito.

In ambiente processual-civilistico, il concetto di giudicato si immedesima in un provvedimento di natura giurisdizionale, munito dei requisiti della stabilità e della definitività. I referenti normativi sono contenuti nella disposizione dell’art. 2909 c.c.[18] e 324 c.p.c. All’interno della definizione di giudicato, occorre distinguere tra giudicato sostanziale e giudicato formale.

La norma dell’art. 2909, nel titolo IV del libro sesto del Codice civile, titolato «Della tutela giurisdizionale dei diritti», stabilisce il cosiddetto giudicato sostanziale. Seguendo i dettami di nota dottrina[AG2] , il giudicato in senso sostanziale consisterebbe nell’esistenza della volontà concreta di legge affermata nella sentenza [19]. L’art. 2909 c.c. descriverebbe, così, quest’ultimo aspetto, consistente nell’efficacia vincolante ed ultrattiva dell’accertamento giurisdizionale, perché destinato a produrre i propri effetti anche al di fuori della singola vicenda processuale. Tale dottrina allinea a questa funzione positiva un corrispondente un vincolo negativo di divieto di svolgimento di un altro giudizio tra le stesse parti, avente ad oggetto il medesimo accertamento e un identico petitum.

L’effetto impeditivo alla nuova cognizione di una situazione giuridica, già oggetto di decisione da parte del giudice (in definitiva: cosa giudicata sostanziale), non soltanto genera un effetto preclusivo di eventuale successivo giudizio, ma vincola il giudice alla decisione precedente sotto due diversi profili. Il primo è che il decidente dovrà, di necessità, attenersi al contenuto della decisione compiuta in precedenza, allorché una successiva domanda abbia il medesimo oggetto della precedente. Il secondo si avrà in ipotesi che la domanda successiva abbia un oggetto diverso ma connesso a quello precedente. In tale frangente il giudice deve tener conto del precedente giudicato nella formazione del proprio iter decisionale, quale evento non più contestabile.

I valori normativi espressi dall’articolo 2909 c.c. si interfacciano con quelli contenuti nell’omologa disposizione processuale che sostanzia il così detto giudicato in senso formale: articolo 324 c.p.c.. Se l’art. 2909 c.c. consente di individuare gli effetti di tipo sostanziale ricollegati ad un accertamento giurisdizionale divenuto incontrovertibile, la norma speculare dell’art. 324 c.p.c. consente di stabilire “quando” su un piano processuale una sentenza raggiunga lo stadio del “passaggio in giudicato” con la conseguente intangibilità dell’accertamento giudiziale contenuto in un provvedimento giurisdizionale. Tale evento si concretizza nella non impugnabilità della sentenza dal momento in cui non siano più esperibili i mezzi ordinari di impugnazione[20].

3.1 (Segue) Il giudicato amministrativo

Passando ad analizzare il giudicato amministrativo, si nota la mancanza nel Codice del processo amministrativo di uno specifico riferimento normativo[21], risolto attraverso il rinvio agli articoli 324 c.p.c. e 2909 c.c., prima indicati.

I principi elaborati dalla dottrina civilistica e processual-civilistica divengono mutuabili all’interno del giudizio amministrativo in ragione dell’articolo 39, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2010, che permette di attingere la disciplina degli istituti non espressamente regolamentati dal Codice del processo amministrativo direttamente dal Codice di procedura civile, in quanto compatibili. Mutuandone i concetti nell’ambito del diritto amministrativo, risulta agevole l’elaborazione di una definizione di giudicato formale ricondotta all’articolo 324 c.p.c., riagganciandola alla “non esperibilità” dei mezzi di impugnazione ordinari.

Per ciò che concerne, invece, il giudicato sostanziale questo si configura attraverso gli effetti discendenti dalla pronuncia giudiziale, la quale esplica in virtù della norma codicistica i propri effetti nei confronti dei soggetti interessati al giudizio. L’art. 2909 c.c. prevede che “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.  Con il termine “accertamento” indicato nella norma, s’intende la definizione del “merito” della res litigiosa. Il giudicato sostanziale, quindi, è “affermazione indiscutibile d’una volontà concreta di legge, che riconosce o disconosce un bene della vita a una delle parti[22]. Non è suscettibile di acquisire autorità di giudicato la sentenza definitiva che contenga solamente statuizioni sul processo (cc.dd. decisioni di rito).

In più circostanze la Cassazione ha negato, infatti, l’efficacia esterna alle decisioni sul rito, ricollegandosi alla carenza di un “accertamento”, carenza che consente l’instaurazione di un nuovo giudizio col medesimo oggetto tra le stesse parti, salvo il maturarsi di preclusioni sostanziali e processuali[23].

Ciò detto in merito alla definizione di giudicato sostanziale, resta, però, l’esigenza di definire il giudicato amministrativo in relazione ai limiti soggettivi indicati dall’articolo 2909 c.c. La giurisprudenza amministrativa ha espresso importanti eccezioni al principio enunciato dalla disposizione civilistica in relazione alla definizione del principio dell’efficacia inter partes del giudicato amministrativo, derivato dall’applicazione analogica dell’articolo 2909 c.c..

In considerazione dei limiti soggettivi del giudicato[24], il principio della efficacia inter partes soffre di eccezioni destinate ad operare in presenza di importanti deroghe individuabili in relazione ad atti a contenuto inscindibile[25] [26], atti generali e atti normativi[27].  In tali ipotesi, l’annullamento produrrebbe un effetto che non può considerarsi unicamente limitato alle sole parti processuali[28], ma che si estende erga omnes[29].

4. Il giudizio di ottemperanza nel codice del processo amministrativo: la natura e i presupposti

L’interesse principale delle parti di un giudizio - sia esso civile oppure amministrativo - resta l’esecuzione del decisum.

Nel caso in cui l’amministrazione persista in un atteggiamento di inerzia nell’esecuzione del giudicato, l’interessato ha facoltà di esperire il rimedio degli artt. 59 e 112 c.p.a. L’azione di ottemperanza rientra tra le fattispecie di giurisdizione esclusiva estesa al merito. Tra le attribuzioni del giudice amministrativo c’è quella di sostituirsi alla P.A. inadempiente nell’adozione dei provvedimenti necessari ad eseguire la pronuncia giurisdizionale, direttamente o a mezzo di un commissario ad acta. L’art. 112, comma 1, c.p.a. prevede che «i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti».

Il comma 2 indica i provvedimenti che possono essere oggetto del giudizio di ottemperanza e sono:

“a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;

b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;

c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;

d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;

e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato”.

Decisamente complesso si presenta il dibattito sulla natura del giudizio d’ottemperanza, atto a definirne i caratteri e la funzionalità effettiva. In proposito, le maggiori posizioni della dottrina si articolano in tre filoni volti a qualificarlo in termini di giudizio di mera esecuzione[30], di cognizione[31] oppure misto, come sostenuto da un orientamento sostanzialmente prevalente[32].

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato[33], con pronuncia n. 2 del 2013, ha rimarcato  la natura “polisemica” del giudizio di ottemperanza, “visto come un rito nel cui ambito si rinvengono azioni diverse, alcune meramente esecutive, altre di chiara natura cognitoria, quale ad esempio le domande risarcitorie per mancata esecuzione del giudicato, che non hanno niente a che fare con l’esecuzione del giudicato attenendo a una fase successiva alla sentenza di cognizione il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza (quale presupposto) di una sentenza da ottemperare e la cui giustificazione è costituita dal dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale[34].

L’orientamento che sostiene la natura mista individua due fasi distinte. Nella prima, il giudice dell’ottemperanza accerta l’inadempimento dell’amministrazione valutando ed individuando il mezzo necessario a rendere effettivi l’ordine di esecuzione (fase cognitoria). Nella seconda, il medesimo giudice provvede a dare concreta esecuzione alla sentenza azionata (fase esecutiva)[35] con l’assegnazione all’amministrazione di un termine per provvedere e l’ipotesi della nomina del commissario ad acta, nel caso di persistente inottemperanza.

I provvedimenti del giudice ordinario, per essere ottemperabili, devono essere definitivi. Il rimedio, quindi, è accordato per le sentenze e i decreti ingiuntivi non opposti, nonché per le ordinanze di assegnazione di somme ai sensi dell’art. 553 c.p.c.[36].

Nel caso di pronunce del giudice amministrativo è sufficiente che siano esecutive, ma non definitive. Sono, quindi, soggette al giudizio di ottemperanza, oltre alle sentenze ed ai decreti ingiuntivi, le sentenze appellate e non sospese, i decreti ingiuntivi opposti e non sospesi ed i decreti resi dal Capo dello Stato su ricorso straordinario.

Il contenuto del provvedimento giurisdizionale da eseguire deve essere “obbligatorio” per le parti e deve consistere in un accertamento di “merito” in ossequio all’art. 2909 c.c. L’accertamento di merito può recare, per la pubblica amministrazione, un obbligo dai caratteri diversificati, potendone scaturire un’obbligazione di dare somme di denaro, di fare o non fare[37], oppure l’obbligo di adottare, o di non adottare, un provvedimento autoritativo e discrezionale.

4.1 La sentenza del Consiglio di Stato 30 giugno 2020, n. 4111: brevi cenni introduttivi all’esame della pronuncia

Una particolare ipotesi del giudizio di ottemperanza è quella prevista per il pagamento di debiti pecuniari.

In tal caso l’esecuzione del giudicato ha ad oggetto un’attività materiale. Essa si sostanzia nella condanna dell’ente convenuto a pagare una somma di denaro o ad effettuare attività materiali. In questi casi, il processo di ottemperanza si delinea come giudizio essenzialmente di esecuzione, che vede l’amministrazione in una posizione del tutto vincolata riguardo alla previsione decisoria. La Corte costituzionale, nella nota pronuncia del 10 dicembre 1998 n. 406, ha previsto che il giudizio di ottemperanza sia diversamente configurabile in base alla situazione concreta, alla statuizione del giudice e alla natura dell'atto impugnato. Qualora si tratti di sentenza di condanna al pagamento di somma di denaro esattamente quantificata e determinata nell’importo, senza che vi sia esigenza ulteriore di sostanziale contenuto cognitorio, la natura del giudizio di ottemperanza è quello di semplice giudizio esecutivo.

La terza sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 30 giugno 2020, n. 4111 in esame, si sofferma su questa specifica tipologia, affermando il principio in virtù del quale il giudice dell'ottemperanza non può modificare il precetto che accerti l'esistenza di un debito pecuniario, frutto di un giudicato divenuto definitivo.

Il concetto apparentemente lineare è, in realtà, l’aspetto saliente di una questione ben più articolata e complessa.

L’accento è posto su due aspetti particolari. Il primo è che la fase dell’ottemperanza non può modificare il precetto che abbia accertato l'esistenza di aspetti relativi ad un debito pecuniario mediante sentenza passata in giudicato.

Il secondo è che la fase di ottemperanza ben può verificare “unicamente” le eventuali vicende estintive ad esso “successive”, e tra queste l'adempimento.

4.2 Fatti in giudizio, posizioni di diritto ed aspetti del debito pecuniario in cosa giudicata

La questione trattata dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sfocia in una sentenza di riforma della pregressa decisione del T.A.R. Calabria (sede di Catanzaro) n. 579 dell’anno 2019, riguardante l’ottemperanza a decreto monitorio n. 1098 del 2017, emesso dal Tribunale di Cosenza, reso esecutivo ex art. 647 c.p.c..

Il contenzioso pervenne al Consiglio di Stato a seguito di appello a mezzo del quale s’impugnava la pronuncia T.A.R. indicata.

Nel merito, il decreto ingiuntivo n. 1098/2017 del Tribunale di Cosenza integrava gli estremi di una condanna a pagare una somma di danaro, oltre interessi e spese di procedura. Il T.A.R. accolse il ricorso per ottemperanza relativo alla parte riguardante unicamente le spese legali, rigettando tutto il resto.

La prima questione accennata al precedente paragrafo è affrontata dal Consiglio di Stato mediante la censura mossa in appello alla motivazione del T.A.R. sulla parziale infondatezza della richiesta di ottemperanza, ricondotta alla circostanza che si trattava di un debito ricevuto da un creditore cedente ed estinto tramite un precedente pagamento.

Quest’ultima eccezione non fu mai oggetto di contestazione in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, nonostante il debitore ceduto fosse ben in grado di opporre al cessionario le eccezioni opponibili al cedente, incluse quelle dirette a far valere l’estinzione del credito, quali il pagamento e la prescrizione[38].

La giurisprudenza della Corte di cassazione ha messo in evidenza in più riprese, già a partire da un risalente orientamento fino a pronunce più recenti, come il debitore ceduto sia in grado di opporre al cessionario “solo le eccezioni opponibili al cedente”. Rientrano in tale tipologia tanto eccezioni dirette contro la validità dell'originario rapporto (nullità-annullabilità), quanto eccezioni rivolte a far valere l'estinzione del credito (pagamento-prescrizione). Al contrario, non può il debitore ceduto opporre al cessionario le eccezioni che attengono al rapporto di cessione, poiché il debitore è rimasto ad esso estraneo e tale rapporto non incide in alcun modo sull'obbligo di adempiere[39].

In relazione alla cessione del credito ed alle eccezioni opponibili dal debitore ceduto al cessionario, la giurisprudenza di merito e di legittimità[40] ha sottolineato che il debitore ceduto diviene obbligato nei confronti del cessionario nello stesso modo in cui lo era nei confronti del suo creditore originario.

Così, potranno essere ben opposte al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all'accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto.

Questo primo punto si lega ad un secondo punto centrale in pronuncia.

L’appellante deduceva in estrema sintesi: “il problema che il Tar Calabria non si è posto, è che l’A.S.P di Cosenza, avrebbe potuto certamente opporre al cessionario le eccezioni opponibili al cedente, ma nel giudizio di cognizione (opposizione al decreto ingiuntivo) e previa necessaria estensione del contraddittorio, ma non certo in sede di ottemperanza[41]. Questa contestò in ricorso che la mancanza di opposizione in fase monitoria, da parte dell’originaria ingiunta, così come tutte le questioni ivi comprese quelle relative alla cessione di credito non opposte, avessero dato origine ad un titolo esecutivo definitivo.

Di conseguenza, l’appellante deduceva che, il Giudice dell’ottemperanza fosse attributario di una mera attività esecutiva, qualora si versasse in ipotesi di un giudicato civile.

La resistente A.S.P. di Cosenza sosteneva in atti che il debito sarebbe stato estinto nei confronti della parte cedente con pagamenti avvenuti fra il 2010 ed il mese di gennaio 2017. 

Con una prima Ordinanza collegiale (n. 401/2020), la Sezione indagò l’aspetto fattuale dell’avvenuto adempimento[42]. In presenza di un quadro ricostruttivo caratterizzato da profili di incertezza, la Sezione, con l’ordinanza successiva (n. 1938/2020), reiterò l’ordine istruttorio precedente, poiché mancava l’indicazione precisa di  “tempi ed imputazioni dei pagamenti asseritamene liberatori”…“permanendo – pur a fronte della allegazione di atti adempitivi eseguiti in favore del creditore cedente - una insufficiente chiarezza e precisione contabile in merito alla corretta ricostruzione di ciascun rapporto debitorio, e della relativa (affermata) estinzione”.   L’ordine veniva adempiuto dalla parte interessata[43].

Ciò detto, emerge qui un duplice profilo di esame relativo all’immodificabilità in sede d’ottemperanza del precetto che abbia accertato ad un debito pecuniario mediante cosa giudicata.

Il primo è la valenza del concetto di cosa giudicata rapporta al decreto monitorio non opposto.

Il secondo è che, in tali ipotesi, il giudizio di ottemperanza si configuri come una mera attività esecutiva.

Per ciò che concerne il primo aspetto, ossia la valenza di cosa giudicata del decreto ingiuntivo non opposto, il discorso verte, primariamente, sul modo in cui si forma il giudicato in sede monitoria.

Orbene, la capacità dell’ingiunto di contestare la pretesa creditoria del ricorrente va esercitata nella fase di merito dell’opposizione[44]. Alla sua mancanza si collega la formazione del giudicato. Una recente pronuncia T.A.R. Catania, (Sicilia) sez. III, 25 giugno 2020, n.1494, confermata da varie altre pronunce, ha affermato che il decreto ingiuntivo non opposto abbia valenza di cosa giudicata e come tale possa essere oggetto del ricorso di ottemperanza e nel caso in cui ricorrano tutti i presupposti previsti per l'accoglimento della domanda, l'amministrazione debitrice vada condannata all'integrale adempimento di quanto statuito nel titolo monitorio azionato.

L’ingiunzione di pagamento, “al pari della sentenza passata in giudicato, ha valore di cosa giudicata anche ai fini della proposizione del ricorso per l'ottemperanza previsto dall'art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a., a condizione che il decreto stesso sia stato dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c.[45].

La giurisprudenza, anche di merito, costante sul punto, si rifà ad un orientamento in materia riferito alla sentenza Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2891 del 09 giugno 2014 dove si assume che il “giudice dell’ottemperanza, quando è chiamato a dare esecuzione al giudicato civile, svolge una funzione meramente attuativa della concreta statuizione giudiziale adottata dal giudice civile e non può alterare il suo precetto”.

Non di meno, la sentenza n. 4111/2020 qui in esame, si riferisce al punto “10” esplicitamente a tali criteri ed evidenzia la mancata opposizione dell’A.S.P. di Cosenza al decreto ingiuntivo con conseguente dichiarazione di esecutorietà del provvedimento monitorio. Ciò determina il formarsi dell’intangibilità del giudicato sulla debenza della somma da esso portata.

Deriva da quanto appena detto che la possibilità di esperire il giudizio di ottemperanza a seguito di un decreto ingiuntivo reso da autorità giurisdizionale ordinaria è ormai un dato pacificamente ammesso.

Il presupposto della equiparazione al giudicato di cui all’art 2909 c.c. resta in ragione della definitiva esecutività ai sensi dell’art.647 c.p.c., ossia per mancata opposizione al decreto monitorio oppure in caso di rigetto di opposizione avverso il medesimo.

Si legge in pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4987 del 30 ottobre 2017, come già ribadito da altra sua n. 1609 del 27 marzo 2015 e secondo un consolidato indirizzo[46], che “il decreto ingiuntivo non opposto, in quanto definisce la controversia al pari della sentenza passata in giudicato, essendo impugnabile solo con la revocazione o con l’opposizione di terzo nei limitati casi di cui all’articolo 656 c.p.c., ha valore di cosa giudicata[47].

Appurato che il decreto ingiuntivo non opposto definisce la controversia tra le parti con pieno valore di “res iudicata” ne deriva la coincidenza tra il giudicato formale (ex art. 324 c.p.c.) e quello sostanziale (ex art. 2909 c.c.). Più precisamente, il giudicato sul decreto ingiuntivo si forma nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo, ai sensi dell’art. 647 c.p.c.

E’, quindi, l’intervenuta dichiarazione di esecutività ad essere la condizione per la proposizione del giudizio di ottemperanza.

4.3 Il giudizio di ottemperanza come mera attività esecutiva e le eventuali vicende estintive

Per ciò che concerne il secondo aspetto relativo al giudizio di ottemperanza, configurabile come una mera attività esecutiva, qualora si versasse nell’ipotesi di un giudicato civile seguito da un successivo giudizio che proceda ad un nuovo esame delle stesse circostanze (fattori estintivi “antecedenti”), sortirebbe l’effetto di risolversi in una violazione dell’art. 2909 c.c.  

Anche in sede di opposizione all'esecuzione possono essere fatti valere solo fatti posteriori alla pronuncia del provvedimento giurisdizionale costituente il titolo esecutivo, siano essi modificativi o estintivi del rapporto e non anche fatti anteriori.

In tal senso il Consiglio di Stato, 28 marzo 1998, n. 372[48] aveva già evidenziato che, in sede d'ottemperanza del decreto ingiuntivo non opposto, “la p.a. convenuta non può più eccepire di non esser debitrice della somma al cui pagamento è stata condannata nel giudizio monitorio, potendo tutt'al più far valere eventuali vicende estintive del credito, successive alla pronuncia del decreto di condanna costituente titolo esecutivo”.  L’orientamento del Consiglio di Stato è ribadito, più di recente, da altra pronuncia, della sezione terza III, datata 09 giugno 2014 n. 2894[49], confermativa di questa impostazione.

Il decreto ingiuntivo non opposto munito di autorità di cosa giudicata rende intangibile il diritto in esso consacrato, in ordine ai soggetti e all'oggetto, impedendo un successivo giudizio, avente ad oggetto una domanda fondata sullo stesso rapporto tra le parti.

La P.A. è sottoposta ad un vero e proprio obbligo giuridico di conformarsi al giudicato formatosi sul provvedimento giurisdizionale, impedendosi così che in un successivo giudizio - avente ad oggetto una domanda fondata sullo stesso rapporto - si proceda ad un nuovo esame delle stesse circostanze oggetto del precedente, già coperte dal giudicato.

Partendo da questa premessa, una giurisprudenza[50] costante ha tratto la conclusione che, in sede di opposizione all'esecuzione, possono essere fatti valere fatti posteriori alla pronuncia del provvedimento giurisdizionale costituente titolo esecutivo, siano essi modificativi o estintivi del rapporto sostanziale, quindi, anche “eventuali vicende estintive del credito, successive alla pronuncia del decreto di condanna costituente titolo esecutivo”[51].

Il giudice dell’ottemperanza, infatti, ha il potere di verificare la sussistenza del presupposto dell'inadempimento a seguito dell'eccezione per avvenuto pagamento sollevata dall'amministrazione debitrice.

Il Consiglio di Stato chiarisce, però, che in sede di giudizio ottemperanza i pagamenti rilevanti come fattori estintivi, deducibili e conoscibili senza entrate in conflitto con il giudicato portato dal provvedimento monitorio, sono soltanto quelli successivi alla formazione del titolo.

Il motivo è legato al fatto che Il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo non opposto concerne non soltanto l’esistenza del debito e la sua causale, ma, anche, il suo ammontare a quella data.

Il debitore che assuma di avere interamente adempiuto al pagamento del debito e che, ciononostante, non abbia né contestato la successiva cessione del credito, né abbia opposto il decreto ingiuntivo ottenuto dal cessionario, non può allegare le relative eccezioni in sede del giudizio di ottemperanza, quando queste siano relative a pagamenti liberatori anteriori e non sollevate nel giudizio di opposizione. In tale frangente, la P.A. resta obbligata al pagamento delle somme portate dal decreto non opposto, salva, però, la ripetizione dell'indebito.

5. La decisione del Consiglio di Stato.

L’appello deciso dalla terza sezione del Consiglio di Stato si conclude con la pronuncia di accoglimento n. 4111 del 2020 qui in parola.

Il Collegio decide con conseguente condanna dell’A.S.P. di Cosenza al pagamento delle somme portate da decreto ingiuntivo n. 1098/2017, emesso dal Tribunale di Cosenza, fissando un termine per esecuzione di venti giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.

Per l’ipotesi di ulteriore inottemperanza la pronuncia dispone la nomina di un Commissario ad acta in persona del Dirigente della Ragioneria generale della Regione Calabria, cui grava l’obbligo di provvedere alla liquidazione e al versamento delle somme dovute con ogni onere a carico dell’Azienda debitrice.

Il Consiglio di Stato rigetta il capo di domanda promossa dall’appellante in ordine al risarcimento del danno da “mancata e/o ritardata esecuzione del decreto ingiuntivo”.

La motivazione in sentenza riguarda il provvedimento monitorio -di cui si chiede l’ottemperanza- il quale contiene già un’espressa statuizione sugli interessi come da domanda, comprensiva anche degli interessi moratori dalla maturazione del diritto sino all’effettivo saldo e rivalutazione monetaria[52].

6. I poteri del giudice nel giudizio d’ottemperanza e osservazioni conclusive.

Si può osservare, partendo dalla sentenza in commento, come la questione della debenza di somme portate in decreto ingiuntivo esecutivo vada di pari passo con l’esame svolto dal Consiglio di Stato in ordine al nodo dei poteri del giudice sull’attività amministrativa successiva al giudicato. La disamina viene tutta articolata rispetto al valore giuridico delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi.

Per quanto riguarda il caso deciso, il giudicato della sentenza del Consiglio di Stato, 30 giugno 2020, n. 4111, sottolinea, allo stesso tempo, il carattere doveroso dell’azione amministrativa e la cogenza del giudicato.

Se ne ricava che l'oggetto del giudizio di ottemperanza si concretizza nella puntuale verifica da parte del Giudice dell'ottemperanza sull'adempimento esatto dell'obbligo di conformarsi al giudicato da parte della P.A..

Il fine è far conseguire concretamente all'interessato l'utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione.

La verifica si muove necessariamente nel substrato fattuale del giudizio di merito. La verifica è, così, condotta, infatti, sui dati giuridici della sentenza con un’operazione svolta, da parte del giudice dell'ottemperanza, di interpretazione del giudicato al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando.

L’attività da compiersi si basa esclusivamente sul petitum, causa petendi, motivi, decisum: “il giudizio di ottemperanza si prefigge, in via generale, proprio l'identificazione di un esatto dictum giurisdizionale non ancora nitidamente emerso; ovvero il completamento di tale opera di identificazione, già di per sé comunque delineata nella pronuncia oggetto di ottemperanza[53]”.

Non rientra, però, tra i poteri del giudice di ottemperanza la possibilità di integrare la decisione civile.

La pienezza e l’effettività della tutela giurisdizionale non possono essere dilatate fino al punto di consentire una deroga a tutti gli altri principi, anche di rango costituzionale, che reggono il processo sia amministrativo che civile, nello svolgimento del giudizio di ottemperanza.

L’art. 24, secondo comma, della Costituzione, così come il principio del contraddittorio indicato all’’art. 111, secondo comma, interdicono al giudice, anche in sede di ottemperanza, la possibilità di integrare ex officio la domanda di parte o di pronunciare ultra petita.

Il principio di separazione organica o strutturale, anche se non funzionale, della giurisdizione "impedisce al giudice amministrativo di integrare il comando giudiziale contenuto nelle sentenze dei giudici appartenenti ad un altro plesso, dovendosi limitare in tal caso a garantire la semplice esecuzione del comando contenuto nelle stesse"[54].  

Allorché il giudizio di ottemperanza riguardi un giudicato formato da un giudice diverso da quello amministrativo, il giudizio non può che esercitarsi sulla base di elementi interni al giudicato, “ottemperandolo” senza basarsi su elementi esterni. La portata ed il contenuto precettivo del giudicato andranno individuati sulla base del dispositivo e della motivazione del pronunciato.

Differente è la conformazione dell’ottemperanza a seconda che si tratti attuare le sentenze del giudice amministrativo o del giudice ordinario. Nell’ipotesi in esame, le statuizioni di condanna, quale quella in oggetto, ossia di condanna al pagamento di una somma di denaro, sono certamente l'identificazione in un esatto dictum giurisdizionale. In tali casi il giudizio di ottemperanza assume natura esecutiva.

La Corte Costituzionale[55] provvide già a precisare che “il giudizio di ottemperanza, secondo l’attuale elaborazione giurisprudenziale, ricomprende una pluralità di configurazioni”: assume natura di semplice giudizio esecutivo quando si tratti di sentenza di condanna al pagamento di somma di denaro esattamente quantificata e determinata nell’importo, senza che vi sia esigenza ulteriore di sostanziale contenuto cognitorio.

Ne discende, in concreto, che le misure esecutive sono quasi totalmente desumibili dalla sentenza e i poteri del giudice si sostanziano nell’obbligare l’amministrazione a rispettarle.

Su tutti questi aspetti la fase dell’ottemperanza non può modificare il precetto, ma unicamente verificare eventuali vicende estintive ad esso successive, restando inibite le indagini su fattori estintivi antecedenti che concretizzerebbero in una violazione dell’art. 2909 cod. civ.


Note e riferimenti bibliografici

[1]Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204 in Foro it. 2004, I,2594, nota BENINI, TRAVI, FRACCHIA; Id. Giustizia Civile 2004, I,2207 nota SANDULLI, DELLE DONNE; Id in Foro Amm.- C.d.S. (Il) 2004, 1895,2475 con nota SATTA,0 GALLO, SICLARI; Id. in Dir.Proc. Amm. 2005, 214 con nota MAZZAROLLI; Id., in Riv. amm. R. It. 2004, 825, 969, nota di DE MARZO.

[2] In tal senso R. CAPONIGRO, Il principio di effettività della tutela nel codice del processo amministrativo, 11 oct. 2010, in www.giustizia-amministrativa.it

[3] F. PATRONI GRIFFI, Il Codice del processo amministrativo come strumento di piena giurisdizione, Introduzione al Webinar Dieci anni di Codice del processo amministrativo: bilanci e prospettive, Università RomaTre 16 settembre 2020, in www.giustizia-amministrativa.it.

[4] M. MAZZAMUTO, Le tecniche di attuazione dei diritti nel processo amministrativo, in Giustamm 2017 e ora in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, a cura di G.Grisi, Napoli 2019, 283 ss. L’Autore indica che “l’ordito giuspubblicistico…abbia realizzato uno straordinario sistema di tutela di gran lunga più garantista di quanto il cittadino potrebbe mai ottenere con il regime civilistico”.

[5]In tema dell’esecuzione del giudicato amministrativo e, in particolare del giudizio di ottemperanza, oltre alle citazioni in testo, si vedano: F. BARTOLOMEI, In tema di ottemperanza al giudicato e di jus superveniens, in Dir. proc. amm., 1995, 115 ss.; C. CACCIAVILLANI, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2005; V. CAIANIELLO, Esecuzione delle sentenze nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., agg. II, Milano, 1999, 603 ss.; Id., Manuale di diritto processuale amministrativo, III ed., Torino, 2003, p. 973; C. CALABRÒ, Giudicato (dir. proc. amm.), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2003; Id, Giudizio amministrativo per l’ottemperanza, in Enc. giur., XV, Milano, agg. 2003; F. CARINGELLA, Il giudizio di esecuzione, in F. CARINGELLA – R. ROMAGNOLI, R. DE NICTOLIS, V. POLI, Manuale di giustizia amministrativa, II; Roma, 2008, 579 ss.; M. CLARICH, L’esecuzione, in Diritto processuale amministrativo, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2007, 311 ss.; G. MARI, Il giudizio di ottemperanza, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di M. A. Sandulli, Milano, 2013, 457 ss.; B. MARCHETTI, Il giudicato amministrativo e il giudizio di ottemperanza, in Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011; A. ROMANO, L’attuazione dei giudicati da parte della pubblica amministrazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 411 ss.; F. SATTA, Brevi note sul giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2007, 2, 302 ss.; A. TRAVI, L’esecuzione della sentenza, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, V, Milano, 2003, 4647 ss.; S. TARULLO, Il giudizio di ottemperanza alla luce del codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it, 2011, 2, 11;

[6] In tal senso GRECO, L’effettività della tutela nel giudizio di ottemperanza, febbraio 2019, in Giustizia-mministrativa.it. L’autore evidenzia come «l’esecuzione del decisum giudiziale costituisce “la cinghia di trasmissione dal diritto al fatto”, il momento in cui il comando espresso nella pronuncia del giudice deve trovare attuazione nella realtà materiale (o, come pure può dirsi, il sillogismo operato dal giudice attraverso la qualificazione della fattispecie concreta esaminata alla stregua delle norme giuridiche deve tradursi in pratica attraverso l’adeguamento dell’“essere” al “dover essere”)».

[7]Disciplinato negli articoli da 112 a 115 del codice del processo amministrativo.

Per un commento a tali norme si veda, ex plurimis: C. DELLE DONNE, L’esecuzione: il giudice di ottemperanza, in Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di B. SASSANI- R. VILLATA, Torino, 2012, 1243 ss.; D. GIANNINI, Il nuovo giudizio di ottemperanza dopo il Codice del processo, Milano, 2011; B. MARCHETTI, Il giudicato amministrativo e il giudizio di ottemperanza, in Il nuovo processo amministrativo: commentario sistematico, diretto da R. CARANTA, Bologna, 2010, 827 ss.; G. MARI, Il giudizio di ottemperanza, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di M.A. Sandulli, II, Milano, 2013, 457; M.G.F. NICODEMO, Commento all’art. 112, in Codice del nuovo processo amministrativo, a cura di F. CARINGELLA-M. PROTTO, Roma, 2013, 1027 ss.; A. TRAVI, Lezione di giustizia amministrativa, Torino, 2012, 369 ss..

[8] Si veda in tal senso Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 2 del diritto.

[9] In tal senso Cfr. Consiglio di Stato, VI, 6 ottobre 2007, n. 5409. Pres. Trotta, Est. Giovagnoli - Ministero dell’economia e delle finanze (Avv. dello Stato) c/ Telecom Italia s.p.a. (Avv.ti F. Satta, P. Adonnino, F. Lattanzi), in Giust. Amm., 10, 2007. In dottrina, A.  DE VITA, Il giudizio di ottemperanza, in Il Merito, 1/2019 ISSN 2532-8913, 2 ss.. L’autore specifica che: «E’ proprio il principio di effettività della tutela giurisdizionale a fondare una interpretazione polisemica del giudizio di ottemperanza, in vista della garanzia dell’attuazione del dictum giudiziale nella misura più fedele (ed effettiva) possibile, in tal modo assicurando la pienezza della tutela giurisdizionale. Nondimeno la pienezza e l’effettività della tutela giurisdizionale non possono essere assolutizzate al punto da consentire, nello svolgimento del giudizio di ottemperanza, di derogare a tutti gli altri principi, anche di rango costituzionale, che reggono il processo, sia amministrativo che civile».

[10] in forme di tipo esecutivo, attuativo, risarcitorio o anche di cognizione.

[11] Il giudizio di ottemperanza venne introdotto a garanzia dell’esecuzione nei confronti dell’amministrazione delle pronunce del giudice ordinario, il quale in ragione dell’’abolizione del contenzioso amministrativo (L.20 marzo 1865, n. 2248, all. E) restava il solo organo giurisdizionale competente a conoscere le controversie tra soggetti privati e pubblica amministrazione. In ragione del principio di separazione dei poteri dello Stato, l’incoercibilità da parte del giudice ordinario del potere amministrativo, si rispecchiava nel divieto di revocare o modificare gli atti dell’amministrazione lesivi di diritti civili e politici, dovendo il giudice limitarsi a disapplicarli (art. 4, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E). La portata del comma 2 dell’art. 4, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E predisponeva l’obbligo delle autorità amministrative di conformarsi al giudicato dei Tribunali.

Dal punto di vista storico, il giudizio di ottemperanza nasce come completamento del sistema di giustizia delineato dagli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (c.d. L.A.C.). All'epoca della L.A.C., infatti, il giudice ordinario era il solo competente a conoscere le controversie involgenti i rapporti tra i soggetti privati e la pubblica amministrazione. Nello stesso tempo, tuttavia, a questo giudice era inibito il potere di revocare o modificare l'atto amministrativo lesivo di un diritto civile o politico (art. 4 L.A.C.): l'atto poteva essere soltanto disapplicato nel caso in cui non fosse ritenuto conforme alla legge (art. 5 L.A.C.).

Il legislatore dell’epoca non aveva predisposto alcuno strumento processuale a disposizione del giudice ordinario per garantire l’effettiva osservanza di quest’ obbligo.

In tale frangente, la legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (L. 31 marzo 1889, n. 5992) -, a cui si deve la nascita della giurisdizione amministrativa – ha introdotto, all’art. 4, n. 4, il giudizio di ottemperanza quale strumento per garantire l’attuazione del giudicato. A mezzo della norma venne conferito il potere al giudice amministrativo di intervenire in modo sostitutivo, nei confronti dell’amministrazione rimasta inadempiente anche mediante l’adozione dei relativi provvedimenti. Tale strumento fu successivamente esteso anche all’esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo dapprima in via “pretoria” e successivamente con la legge 6dicembre 1971, n. 1043 istitutrice dei T.A.R.

Per approfondimento sulle origini e sulla successiva evoluzione del giudizio di ottemperanza si veda, ex plurimis: F. D’ALESSANDRI, Giudizio di ottemperanza nel processo amministrativo. Profili sostanziali e processuali, in “Digesto” sez. Diritto pubblico, in Leggi d’Italia, 2017; D. GIANNINI, Il nuovo giudizio di ottemperanza dopo il Codice del processo, Milano, 2011, p. 3 ss.; G. MARI, Il giudizio di ottemperanza, in Il nuovo processo amministrativo, vol. II, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2013, p. 463 ss.; M. SANINO, Il giudizio di ottemperanza, Torino, 2014, p. 5 ss. V.CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, III ed., Torino, 2003, p. 973; C.

CALABRÒ, Giudizio amministrativo per l’ottemperanza, in Enc. giur., XV, Milano, agg. 2003; L. MARUOTTI, Il giudicato, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, IV, Il Processo amministrativo, a cura

di S. CASSESE, Milano, 2003, 4432; M. CLARICH, L’effettività della tutela nell’esecuzione delle sentenze del giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 1998; M. NIGRO, Il giudicato amministrativo e il processo di ottemperanza, in Aa.Vv., Il giudizio di ottemperanza, Milano 1983 p. 65.

[12] Il giudizio di ottemperanza, in origine, non si applicava a pronunce del giudice amministrativo. Di fatto, la legge n. 5992 del 1889 non introdusse alcuna forma di tutela giurisdizionale esecutiva riferita alla giurisdizione amministrativa, poiché questo tipo di giurisdizione venne concepito come di “mero annullamento” di atti amministrativi illegittimi e non come un giudizio di tipo esecutivo, Con la retroattività dell'annullamento si determinava già la rimozione ab origine dell'atto reputato illegittimo, con ciò eliminando, integralmente, effetti costitutivi del provvedimento illegittimo, in tal modo elisi dall'effetto costitutivo della sentenza di annullamento.

Varie furono le ragioni di tale tipo di scelta. Una di queste è imputabile all'interpretazione del principio della separazione dei poteri, all’epoca estremamente rigida: veniva, infatti, lasciata all' amministrazione un’ampia autonomia nell’arco della fase dell'adempimento. Ciò consentiva di evitare un giudizio di esecuzione per le pronunce di annullamento rese dal giudice amministrativo. L’approfondimento della tematica è in D. GIANNINI, Il nuovo giudizio di ottemperanza dopo il codice del processo, Milano, 2011, pag. 5.

[13] In tal senso si veda M. NIGRO, op. cit., p. 65 ss.. La possibilità di esperire il giudizio di ottemperanza nei confronti delle sentenze del giudice amministrativo fu il frutto di una svolta giurisprudenziale, o meglio, per utilizzare le parole del Nigro, il risultato di un processo di «bruta normazione giurisprudenziale», di cui rappresenta la prima espressione una storica pronuncia della IV Sezione del Consiglio di Stato del 1928.

A partire da quel momento, l'applicazione analogica delle regole del giudizio di ottemperanza nel processo amministrativo è stata sempre più frequente, sino a quando in sede pretoria non si è poi consolidata la convinzione che il rimedio dell'ottemperanza potesse effettivamente rappresentare lo strumento processuale per garantire l'esecuzione delle sentenze anche del giudice amministrativo.

A spingere verso questa soluzione è stata principalmente l'idea secondo cui la visione originaria della giurisdizione amministrativa come “giurisdizione di mero annullamento” coglieva solo una parte delle dinamiche dei rapporti tra soggetti privati e pubblica amministrazione: il solo annullamento, infatti, finiva per non garantire adeguata tutela in tutti quei casi in cui il privato lamentava la tutela di un proprio interesse legittimo di tipo pretensivo laddove, quindi, il conseguimento del bene della vita dipendeva dal rispetto del c.d. “effetto conformativo” della sentenza di accoglimento del ricorso.

Tuttavia, il giudizio di ottemperanza riferito alle decisioni del giudice amministrativo ha ottenuto un riconoscimento formale sul piano legislativo solo nel 1971, in occasione dell'emanazione della legge istitutiva dei T.A.R. (legge 6 dicembre 1971, n. 1034, c.d. L. T.A.R.).

[14] La storica decisione del Consiglio di Stato n. 181 del 2 marzo1928, in Foro It., 1928, III, 102, che estese il detto rimedio anche alle sentenze amministrative. Per un commento si veda L. TARANTINO, Giudicato amministrativo e ottemperanza: due bravi compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai, in Le sentenze storiche del Diritto Amministrativo, a cura di a cura di: Francesco Caringella, Luigi Cameriero, Luigi Tarantino, Dike Giuridica Editrice, Roma, p.901-905 ss.

[15] Questa soluzione è stata fondamentalmente sostenuta dall'idea in virtù della quale la giurisdizione amministrativa intesa come “giurisdizione di mero annullamento” soddisfaceva solo una parte delle dinamiche dei rapporti tra soggetti privati e pubblica amministrazione: il solo annullamento, infatti, finiva per non garantire adeguata tutela in tutti quei casi in cui il privato lamentava la tutela di un proprio interesse legittimo di tipo pretensivo laddove, quindi, il conseguimento del bene della vita dipendeva dal rispetto del c.d. “effetto conformativo” della sentenza di accoglimento del ricorso.

[16] Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, Istituzione dei tribunali amministrativi regionali, in G.U. 13 dicembre 1971, n. 314.

Articolo 37.

I ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dell'autorità giudiziaria ordinaria, che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico, sono di competenza dei tribunali amministrativi regionali quando l'autorità amministrativa chiamata a conformarsi sia un ente che eserciti la sua attività esclusivamente nei limiti della circoscrizione del tribunale amministrativo regionale.

Resta ferma, negli altri casi, la competenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.

Quando i ricorsi siano diretti ad ottenere lo adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi al giudicato degli organi di giustizia amministrativa, la competenza è del Consiglio di Stato o del tribunale amministrativo regionale territorialmente competente secondo l'organo che ha emesso la decisione, della cui esecuzione si tratta.

La competenza è peraltro del tribunale amministrativo regionale anche quando si tratti di decisione di tribunale amministrativo regionale confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello”.

La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 dicembre 1998, n. 406 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 14-20 luglio 1999, n. 332 (Gazz. Uff. 28 luglio 1999, n. 30, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 33 e 37, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione.

La Corte costituzionale, con ordinanza 21-25 marzo 2005, n. 122 (Gazz. Uff. 30 marzo 2005, n. 13, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, sollevata in riferimento

agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione.

[17] In verità, dando ormai per acquista l'esperibilità del rimedio esecutivo, l'art. 37, commi 3 e 4, della L. T.A.R. pone soltanto alcune regole volte ad individuare il giudice competente per l'ottemperanza delle sentenze dei Tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato: il principio adottato è tendenzialmente quello per cui lo stesso organo che ha emanato la sentenza in sede di cognizione è competente a pronunciarsi sui ricorsi avverso l'inottemperanza, poiché si presume che il giudice della cognizione sia in grado di interpretare al meglio i vincoli nascenti dalla decisione e di valutare il comportamento tenuto dall'amministrazione soccombente.

Viceversa, la legge T.A.R. non detta alcuna disciplina in ordine al procedimento ed ai poteri del giudice dell'ottemperanza, ad eccezione della previsione contenta nell'art. 27, comma 1, n. 4, della stessa legge, che include il ricorso per l'ottemperanza tra quelli che seguono il procedimento in camera di consiglio: il resto della disciplina, pertanto, continua ad essere affidata alle scarne disposizioni (artt. 90 e 91) del Regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (R.D. n. 642/1907).

[18]  REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262- Approvazione del testo del Codice civile, in G.U. n.79 del 04-04-1942, iv, art. 2909. (Cosa giudicata).   “L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

La norma definisce il concetto del giudicato sostanziale che presuppone la non impugnabilità della sentenza, ovvero sia il giudicato formale di cui all’ art. 324 c.p.c... La norma processuale disciplina la cosa giudicata formale inquadrandola come l’inimpugnabilità della sentenza dal momento in cui non siano più esperibili i mezzi ordinari d’impugnazione è posta al fine di imporre il provvedimento contenuto nella sentenza del giudice come regola incontestabile dei rapporti tra le parti conferendogli, così, certezza giuridica.

[19] G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1980, 906- 914 ss.

[20] A. SEGNI, Della tutela giurisdizionale dei diritti. Disposizioni generali, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 2900-2969, Bologna-Roma, 1953, 290-295. Il carattere di istituti distinti ma assolutamente complementari viene evidenziato da importante dottrina.  Entrambi i profili sono necessari per realizzare certezza nelle relazioni giuridiche intersoggettive. In tal senso, G.CHIOVENDA, Sulla cosa giudicata, in Saggi di diritto processuale civile, II, Milano, 1993 (Ristampa), 399 ss.; ID.., Principi di diritto processuale civile, III, Milano, 1993 (Ristampa), 231 ss.; E. FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1996, 458 ss.; VERDE, Diritto processuale civile, Volume 2 – Processo di cognizione, IV edizione, Bologna, 2015; LOTARIO DITTRICH, Diritto processuale civile, Milano,2019.

[21] Per approfondimenti in merito alla tematica della ricostruzione storica di assenza di una nozione di giudicato in senso sostanziale nel giudizio amministrativo, si confronti L. MARUOTTI, Trattato di diritto amministrativo, Il nuovo diritto amministrativo, Cedam, 2015, p.1021.

[22] CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1935, 342

[23] Cass. civ. 13 gennaio 2015, n. 341; Cass. civ. 11 maggio 2012, n. 7303; Cass. civ. 24 novembre 2004, n. 22212.

[24] M. FOSFORO, I limiti soggettivi del giudicato amministrativo, in Giur. it., 2014, 3, 667 s.

[25] L’opera giurisprudenziale ha teso ad elaborare le definizioni volte a distinguere tra provvedimento amministrativo divisibile (cosiddetto plurimo) e provvedimento amministrativo indivisibile (cosiddetto ad effetto inscindibile). La definizione di provvedimenti inscindibili attiene provvedimenti che, riguardando una pluralità di Soggetti e non possano essere scissi in una serie di separate ed autonome determinazioni, per una quantità parti a tanti soggetti per quanti sono quelli interessati. Un esempio può essere costituito da una graduatoria di un concorso Tali provvedimenti hanno efficacia ultra partes. Nell’ipotesi di annullamento, il giudicato ottenuto per opera di uno dei destinatari del provvedimento esplicherà i propri effetti e gioverà anche a quello o quelli dei destinatari che siano rimasti inerti non proponendo impugnazione. In tal senso si veda Cons. St., III Sez., 20 aprile 2012, n. 2350.

Si confronti anche Cons. St., sez. VI, 12 giugno 2015 n. 2888; Cons. St. sez. IV, 18 novembre 2013 n. 5459; Cons. St., sez. III, 20 aprile 2012 n. 2350.  In Cons. St., sez. VI, 29 marzo 2013 n. 1850 si aggiunge che la decisione di annullamento (che – per i limiti soggettivi del giudicato – esplica in via ordinaria effetti soltanto fra le parti in causa) acquista efficacia “erga omnes” quando gli atti impugnati siano a contenuto generale inscindibile, poiché gli effetti dell’annullamento in questo caso non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri.

La qualifica di provvedimenti divisibili riguarda è attribuita a quei provvedimenti riguardanti una pluralità

di destinatari che possono idealmente essere suddivisi in tutta una serie di provvedimenti amministrativi contestuali, riguardanti direttamente i vari soggetti interessati. La definizione è ricavabile da pronunce quali, Cons. St., A. Pl., 2 maggio 2006, n. 8 in Il Foro It., vol. 130, 4 (aprile 2007), pp. 199/200-207/208 , ai sensi del quale «Nell’ipotesi di atto plurimo, e come tale divisibile, la relativa impugnazione ad opera di singoli interessati assuntisi lesi dall’atto plurimo medesimo investe soltanto la parte di interesse di ciascun ricorrente che ha proposto l’impugnativa; conseguentemente, l’eventuale giudicato di annullamento riconducibile alla sentenza del tribunale amministrativo non impugnata investe (gli eventuali atti conseguenti specificamente gravati e) quella sola parte dell’atto plurimo concernente ciascun ricorrente, delimitata dall’interesse di quest’ultimo»;

[26] In tal senso si veda, anche, Cons. St., sez. III  22 luglio 2016 n. 3307 in ragione della quale si afferma che:

"Il principio dell'efficacia inter partes del giudicato amministrativo non trova applicazione nei confronti delle pronunce di annullamento di particolari categorie di atti amministrativi, ossia in concreto, di quelli che hanno una pluralità di destinatari, un contenuto inscindibile e sono invalidi per un vizio che ne inficia il contenuto in modo indivisibile per i destinatari (Cons. St. Sez. IV, 13-03-2014, n. 1222; Cons. St. Sez. IV, 18-11-2013, n. 5459; Cons. St. Sez. III, 20-04-2012, n. 2350) Il provvedimento impugnato in primo grado, deliberazione della G.R. n. 1773 del 2012 di approvazione dello schema - tipo accordo contrattuale allegato per l'erogazione e l'acquisto di prestazioni sanitarie in regime di ricovero che costituisce atto generale ad effetti inscindibili, come correttamente rilevato dalla difesa delle appellanti, sicchè la decisione di annullamento non si estrinseca nei confronti delle sole parti in causa, ma esplica i suoi effetti anche nei confronti di coloro che - pur essendo estranei al giudizio conclusosi con le decisioni che hanno acclarato l’illegittimità dell’atto - si trovano nelle medesime condizioni: detto atto, infatti, essendo unitario ed indivisibile non può produrre effetti nei confronti di taluni soggetti e non di altri. Pertanto, come ha correttamente rilevato la difesa delle appellanti, la Regione Puglia dovrà prendere atto dell’avvenuto annullamento con efficacia erga omnes della propria delibera, avente natura di atto generale ad effetto inscindibile."

[27] In tali ipotesi, il contenuto della pronuncia giudiziale è idoneo a far stato anche nei confronti di soggetti che non siano parti del giudizio di annullamento. Il sostegno proviene da pronunce quali Cons. St., III Sezione, 20 aprile 2012, n. 2350.

[28] La categoria ricomprende gli atti regolamentari, gli atti collettivi e quelli generali, che si distinguono per il loro carattere di inscindibilità. La conseguenza diretta è che in tali ipotesi il giudicato amministrativo ben possa esorbitare i limiti di efficacia posti dall’articolo 2909 c.c., che circoscrive l’ambito di estensione soggettiva della decisione alle sole parti processuali ed ai loro aventi causa. Proprio la circostanza per cui il giudice amministrativo possa decidere su posizioni soggettive per l’applicazione individuale di un provvedimento di portata generale, determina che tali statuizioni, laddove producano effetti caducatori, siano in grado di determinare effetti su un intero gruppo o categoria di consociati in maniera diretta o indiretta.

[29]Fatta eccezione per talune pronunce giurisprudenziali, da un consolidato orientamento discende che esclusivamente in caso di annullamento di atti inscindibili con più destinatari non determinati, la sfera di efficacia soggettiva di una pronuncia giurisdizionale amministrativa di annullamento va differenziatamente valutata a seconda che si abbia riguardo alla sua parte dispositiva-cassatoria dell’atto, ovvero a quella ordinatoria-prescrittiva. Si vedano in merito Cons. St., sez. IV, 20. Aprile. 2004, n. 3939, Cons. St., sez. III, 22 luglio 2016, n. 3307; Cons. St., sez. IV, 13.03.2014, n. 1222; Cons. St., sez. IV, 18.11.2013 n. 5459; Cons. St., sez. III, 20. Aprile .2012. 2350.

Se con l’eliminazione dal sistema di un’entità obiettiva (quale il provvedimento impugnato), la pronuncia opera per forza "erga omnes" , per il fatto che l’istituto dell’annullamento ontologicamente è insuscettibile di produrre la caducazione di un atto per taluni e non per altri, diversamente in relazione alla parte ordinatoria - prescrittiva, che stabilisce limiti e vincoli per la successiva azione dell’amministrazione, la pronuncia si relativizza alle parti in causa e inerisce al rapporto giuridico dedotto in giudizio.

[30] Vedi V. CAIANELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1994, p. 881.

[31] A. POLLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, CEDAM Padova, 2000, p. 208 e, in giurisprudenza, sul carattere almeno in parte cognitorio di tale giudizio: Cass., SS.UU., 31 marzo 2006, n. 7578.

[32] M. NIGRO, Il giudicato amministrativo e il giudizio di ottemperanza, in Scritti giuridici, Milano, 1996, p.1519.

[33] Cons. St., Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2. La posizione viene riaffermata nella giurisprudenza che segue: Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 2015, n. 1806; Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 2015, n. 1808.

[34] Così F. D’Alessandri, Il giudizio di ottemperanza delle pronunce del giudice ordinario (specificità e limiti) -Relazione svolta nell’Incontro di studi organizzato dall’Ufficio Studi, Massimario e Formazione della Giustizia- in www.giustizia-amministrativa.it., 2, ss.. amministrativa, su “Le decisioni del giudice civile tra esecuzione forzata e ottemperanza”, tenutosi a Roma presso il Consiglio di Stato il 30 novembre 2017.

[35] R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, X ed., Nel diritto editore, Roma, 2015, p. 2121, ss..

[36] Si confronti in tal senso Cons. St., Ad. plen., 10 aprile 2012, n. 2. Sii è espresso in senso contrario per le ordinanze di assegnazione di somme ai sensi dell’art. 5-quinquies della legge n. 89 del 2001 la pronuncia de T.A.R. Lazio, Sez. II, 27 novembre 2018, n. 11500.

[37] compiere, o di non compiere, attività materiali.

[38]Si veda Cons. St., la sentenza 30 giugno 2020, n. 4111 Reg.prov.coll. punto 3, p.3 dove si legge: “In fatto, deduce l’appellante che “della citata cessione di credito è stata data formale

comunicazione alla ceduta ASP di Cosenza, la quale ha dato formale riscontro positivo di accettazione e riconoscimento del debito, con nota prot. 0038453 del 16.03.2017”.

[39] Cass. civ., sez. I, 05/02/1988, n.1257, in Giust. civ. Mass. 1988, fasc.2; Id. Banca borsa tit. cred. 1989, II,295.; sii veda: Tribunale Vercelli, 03/12/2018, n.535: “la previsione dell'art. 1263 c.c., comma 1, in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli "altri accessori", deve essere intesa nel senso che nell'oggetto della cessione rientri ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito e quindi anche le azioni giudiziarie a tutela del credito, tra cui l'azione di adempimento dell'obbligazione ceduta (v. Cass. 15.9.1999 n. 9823; Cass. 17727/2018; Cass. n. 16383/2006; Cass. n. 3554/1971).”; Tribunale Civitavecchia, 17/03/2020, n.316 “come noto è onere del cessionario, il quale agisca per ottenere l'adempimento del debitore, fornire la prova del negozio di cessione quale atto produttivo di effetti traslativi (Cass. n. 4919 del 1987; Cass sez. 3, n 19260 del 2004) e quando il credito deriva da cessioni plurime deve essere fornita la prova di ciascun trasferimento.

[40] Tribunale Bergamo sez. IV, 14/09/2019, n.1948; Tribunale Roma sez. IX, 15/09/2015, n.18158; si veda nello stesso senso Cassazione civile sez. III, 17/01/2001, n.575, in Giust. civ. Mass. 2001, 101; id., in Contratti 2002, 59 (nota di: DI BONA) “A seguito della cessione del credito il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario. Pertanto, potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all'accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto.”

[41]Si veda Cons. St., 30 giugno 2020, n. 4111 Reg.prov.coll. punto 3, p.3

[42]Si veda Cons. St., 30 giugno 2020, n. 4111 Reg.prov.coll. punto 5, p.4, richiedendo all’Azienda debitrice “documentati chiarimenti, da rendersi con nota sottoscritta dal Direttore generale dell’A.S.P. di Cosenza, in merito a tempi ed imputazioni dei pagamenti asseritamente liberatori eseguiti in favore del creditore cedente, nonché ad eventuali azioni di recupero dell’indebito intraprese nei confronti del medesimo cedente successivamente alla comunicazione al predetto debitore della cessione del credito da parte del cessionario”.

 Al successivo punto 6 si precisa che in esecuzione dell’incombente istruttorio, avvenuta in data 18 febbraio 2020, l’Azienda ha prodotto una ricostruzione contabile in base alla quale ha sostenuto che i pagamenti dovuti per gli anni dal 2010 a parte del 2016 erano stati eseguiti con riferimento ad evidenze documentali e, così: “sarebbero stati già effettuati in favore della cedente in data anteriore alla cessione (sicché alla data della cessione tali crediti non esistevano più)”, si veda id. punto 6 p.5;

[43] Tale ordine istruttorio è stato adempiuto in data 13 maggio 2020 come riportato in testo Cons. St., 30 giugno 2020, n. 4111 Reg.prov.coll. punto 8, p.7.

[44] Tribunale Palermo sez. lav., 02.07.2020, n.1938.

[45] T.A.R. Salerno, (Campania) sez. I, 26.06.2020, (ud. 24.06.2020, dep. 26.06.2020), n.731; nello stesso senso T.A.R. Parma, (Emilia-Romagna) sez. I, 14/05/2015, n.146.

[46] Si veda Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4987 del 30 ottobre 2017; nello stesso senso ex plurimis, si veda Cons. St., sez. III, 9 giugno 2014, n. 2894; sez. V, 8 settembre 2011, n. 5045; 19 marzo 2007, n. 1301; sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6318; 31 maggio 2003, n. 7840; Cass., sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2083; sez. I, 13 giugno 2000, n. 8026), anche ai fini della proposizione del ricorso per l’ottemperanza previsto dall’articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e dall’articolo 27, n. 4, del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 (C.d.S., sez. IV, 20 dicembre 2000, n. 6843; 3 febbraio 1996, n. 105; Id., luglio 1993, n. 678; sez. V, 16 febbraio 2001, n. 807; 28 marzo 1998, n. 807), ora dell’art. 112, comma 2, lett. c) del c.p.a. (Cons. St., sez. V., 8 settembre 2011, n. 5045

[47] Anche la Corte di Cassazione (sez. I, 27 gennaio 2014, n. 1650) ha precisato come “…il giudicato sostanziale (cui si riferisce “l’autorità del giudicato” da decreto ingiuntivo) attenga all’oggetto e ai soggetti del rapporto giuridico che non può essere posto in discussione in altro successivo giudizio, con ogni conseguenza…”, evidenziando che, in virtù della coincidenza tra il giudicato formale (ex art. 324 c.p.c.) e quello sostanziale (art. 2909 c.c.), il giudicato sul decreto ingiuntivo si forma nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiara esecutivo, ai sensi dell’art. 647 c.p.c.; è stato anche chiarito che “il decreto di esecutorietà si distingue dalla mera attestazione di cancelleria, cui non può certamente reputarsi equivalente, sia sotto il profilo dell’organo emanante, sia sotto quello del contenuto del controllo, limitato il primo al fatto storico della mancata opposizione decorso il termine perentorio ed il secondo esteso all’accertamento della regolarità della notificazione (art 643 c.p.c.)”, sottolineando, tra l’altro, che proprio l’art. 647 prevede che, nel caso in cui non sia stata fatta opposizione nel termine, il giudice debba ordinare la rinnovazione della notificazione, quando risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza del decreto, con la conseguenza che “l’eventuale rinnovazione della notificazione consente perciò all’ingiunto di proporre, nei termini decorrenti dalla nuova notificazione, opposizione che va qualificata come ordinaria, ai sensi dell’art. 645 c.p.c., e non già tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c.; il che conferma che alla scadenza dei termini per proporre opposizione non si forma la cosa giudicata formale e che questa si forma solo dopo il controllo del giudice sulla notificazione”.

[48]Cons. St.,  sez. V, 28/03/1998, n.372, in Foro Amm. 1998, 734.

[49]Cons. St., sez. III, 09.06.2014, n.2894, in Foro Amm. (Il) 2014, 6, 1683. Conferma Tar Lazio, Roma, sez. I, n. 980 del 2008.

[50] Cass. civ. 27 novembre 1973, n. 3244.

[51]  Cons. St., sez sez. V, 08/04/2014, n. 1645, in Foro Amm. (Il) 2014, 4, 1076.

[52] Cons. St. sentenza n.4111/2020 capo 15 p.10: “Ne consegue che non può essere accolta alcuna ulteriore domanda risarcitoria, dovendo essere liquidati al creditore al momento del pagamento gli accessori del credito calcolati secondo quanto previsto dal titolo di cui si chiede l’esecuzione, non essendo peraltro stata allegata né fornita la dimostrazione di un maggior danno. Questo capo di domanda va quindi rigettato”.

[53] T.A.R. Bari, (Puglia) sez. I, 21/09/2017, n.980 Foro Amministrativo (Il) 2017, 9, 1930.

[54] Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2017 n. 4092.

[55] Corte cost, sentenza del 7 aprile 1998 n. 436.

 

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Appendice giurisprudenziale

Corte cost, sent n. 436 del 7 aprile 1998

Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204

Cons. St., 2 marzo 1928 n. 181

Cons. St., sez. IV, 7 novembre 2000, n. 5972

Cons. St., sez. IV, 20 aprile 2004, n. 3939,

Cons. St., ad. plen.. 2 maggio 2006, n. 8

Cons. St. sez.  VI - Sentenza 16 ottobre 2007 n. 5409

Cons. St., ad. plen., 30 luglio 2008, n. 9

Cons. St., sez. V, 17 settembre 2008, n. 4390

Cons. Stato, ad. plen., 10 aprile 2012, n. 2

Cons. St., sez. III, 20 aprile 2012, n. 2350

Cons. Stato, ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2,

Cons. St., sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5459

Cons. St., sez. IV, 13 marzo 2014 n. 1222

Cons. St., sez sez. V, 08 aprile 2014, n.1645

Cons. St., sez. III, 9 giugno 2014, n. 2894

Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 2015, n. 1806

Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 2015, n. 1808

Cons. St., ad. plen., 9 febbraio 2016, n. 2.

Cons. St., sez. III, 22 luglio 2016, n. 3307

Cons. St., Sez. V, del 30 ottobre 2017 n. 4987

Cons. St., 30 giugno 2020, n. 4111

T.A.R. Parma, (Emilia-Romagna) sez. I, 14 maggio 2015, n.146

T.A.R. Bari, (Puglia) sez. I, 21 settembre 2017, n.980

T.A.R. Lazio, Sez. II, 27 novembre 2018, n. 11500

T.A.R. Catania, (Sicilia) sez. III, 25 giugno 2020, n.1494

T.A.R. Salerno, (Campania) sez. I, 26 giugno 2020, n.731

Cass. civ., sez. I, 05 febbraio 1988, n.1257

Cass. 15 settembre 1999 n. 9823

Cass. Civ. sez. III, 17 gennaio 2001, n.575

Cass., sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2083

Cass. civ. 24 novembre 2004, n. 22212

Cass., SS.UU., 31 marzo 2006, n. 7578

Cass. civ. 11 maggio 2012, n. 7303

Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 2014, n. 1650

Cass. civ. 13 gennaio 2015, n. 341

Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2017 n. 4092

Tribunale Roma sez. IX, 15 settembre 2015, n.18158;

Tribunale Bergamo sez. IV, 14 settembre 2019, n.1948;

Tribunale Civitavecchia, 17 marzo 2020, n.316

Tribunale Palermo sez. lav., 02 luglio 2020, n.1938