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Pubbl. Mar, 3 Nov 2020

Il rapporto tra opposizione allo stato passivo ex art. 98 l. fall. e chiamata in causa del terzo ex art. 106 c.p.c.

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Annamaria Di Stolfo
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Roma La Sapienza



Nel presente contributo viene analizzato il rapporto tra il giudizio di opposizione allo stato passivo reso esecutivo con decreto dal Giudice delegato ex art. 98 l. fall. e l’istituto della chiamata in causa del terzo ex art. 106 c.p.c., che ha costituito in più di una occasione oggetto di pronunce contrastanti da parte della giurisprudenza. Di recente, l’ordinanza del Tribunale di Piacenza del 14 luglio 2020 ha ammesso la possibilità per la curatela fallimentare di chiamare l’assicuratore nel giudizio di opposizione proposto dagli opponenti finalizzato ad ottenere l’insinuazione nel passivo di crediti da risarcimento danno.


ENG This paper analyzes the relationship between the adversary proceeding made enforceable by decree by the delegated judge by art. 98 of bankruptcy law and the institution of the third-party claim proceeding by art. 106 c.p.c., which on more than one occasion was the subject of conflicting rulings by the jurisprudence; lastly, the order of the Court of Piacenza (July 14, 2020) allowed the possibility for the bankruptcy trustee to call the insurer in the adversary proceeding proposed by the opponents aimed at obtaining the lodging of claims for damages.

Sommario: 1. Il giudizio di opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo; 2.  Giurisprudenza in tema di ammissibilità della chiamata in causa del terzo nel giudizio ex art. 98 legge fallimentare; 3. La pronuncia più recente: l’ordinanza del Tribunale di Piacenza del 14 luglio 2020.

1. Il giudizio di opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo

Nella procedura fallimentare, la fase dell’accertamento del passivo riveste fondamentale importanza, poiché è deputato all’acclaramento del diritto dei creditori a partecipare alla ripartizione dell’attivo fallimentare, dell’ammontare dei loro crediti e delle relative cause di prelazione.

Nel corso della prima fase dell’accertamento, il curatore predispone il progetto di stato passivo, corredato dalle domande di ammissione dei creditori, nel quale deve indicare i crediti ammessi (distinti a loro volta in crediti chirografari e crediti privilegiati), i crediti non ammessi in tutto o in parte e, infine, i crediti ammessi con riserva (art. 96 l. fall.). In separato elenco, deve indicare i titolari di diritti su beni di proprietà o in possesso del fallito.

In seguito, il progetto di stato passivo viene esaminato in udienza, dal giudice delegato, il quale esamina le posizioni dei creditori. Nel corso dell’udienza, possono essere ascoltati i creditori, il curatore e il fallito. Il giudice delegato ha la facoltà, inoltre, di procedere agli atti di istruzione richiesti dalle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza tipiche di tale procedimento (art. 95 l. fall.).

Al termine delle operazioni di verifica, il giudice delegato forma lo stato passivo, lo rende esecutivo con proprio decreto e lo deposita in cancelleria (art. 96 co.4 l. fall.). Una volta ammessi al passivo, i creditori acquisiscono lo status di creditori concorrenti.

Lo stato passivo definitivo assume efficacia pari a quella del decreto ingiuntivo, pertanto, ai fini del concorso, costituisce accertamento irrevocabile, a meno che non venga proposta opposizione, impugnazione dei crediti ammessi o revocazione (art. 98 l. fall.)[1].

L’impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo può essere proposta dai creditori ammessi, dai titolari di diritti sui beni della massa e dal curatore: la finalità perseguita attraverso tale strumento è ottenere l’eliminazione dalla massa passiva di uno o più crediti ovvero della relativa causa di prelazione.

L’istanza di revocazione può essere proposta nell’eventualità in cui si scopra che l’accoglimento o il rigetto di una domanda è stato determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile.

In questa sede, si disquisirà, in particolare, dell’opposizione al decreto che rende esecutivo lo stato passivo, proponibile dai creditori esclusi contro il curatore, con l’intento di ottenere l’ammissione del loro credito o il riconoscimento di una causa di prelazione disconosciuta dal giudice delegato e dai creditori ammessi con riserva, i quali agiscono per ottenere l’ammissione definitiva; può essere proposta altresì dai titolari di diritti sui beni della massa, al fine di ottenere l’accoglimento delle domande di restituzione o rivendica[2].

Il giudizio di opposizione allo stato passivo è stato modificato, rispetto alla disciplina previgente, dai d.lgs. n. 5/2006 e n. 169/2007, con i quali si è sostituito, ad un procedimento che si articolava in tre gradi e si svolgeva con le forme di un contenzioso ordinario, un modello camerale sui generis, avente carattere di giudizio speciale.

Sulla natura del giudizio di opposizione allo stato passivo, si contrappongono due distinti orientamenti, l’uno tendente a considerare tale giudizio come una vera e propria impugnazione, l’altro incline a riconoscergli carattere di distinto giudizio a cognizione piena, successivo alla prima fase conclusasi davanti al giudice delegato.

Tra le opinioni a favore del primo orientamento, si può citare quella della Suprema Corte, secondo cui l’opposizione allo stato passivo è certamente un rimedio a carattere impugnatorio, essendo diretta a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria che, se non opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare[3].

Tuttavia, il supremo consesso nega che essa sia equiparabile all'appello e che vi siano applicabili le regole in materia di impugnazioni di cui agli artt. 323 e seguenti c.p.c., in quanto è necessaria una verifica caso per caso della compatibilità di esse con lo strumento ex art. 98 della legge fallimentare, in ragione delle sue particolari caratteristiche[4].

All'opposto, la Corte costituzionale ha negato, in più occasioni, la natura impugnatoria dell’opposizione di cui all’art. 98 l. fall., riconoscendogli natura di giudizio a cognizione piena, la cui sentenza è suscettibile di assumere effetti di giudicato. 

Invero, la cognizione del Giudice delegato è di carattere sommario, fondata su materiale probatorio di natura esclusivamente cartolare[5], laddove, invece, la cognizione in sede di opposizione è finalizzata a raccogliere elementi utili alla decisione del collegio sulla base dei motivi dell'opposizione stessa, suscettibili d'introdurre nuovo materiale probatorio[6].

2. Giurisprudenza in tema di ammissibilità della chiamata in causa del terzo nel giudizio ex art. 98 legge fallimentare

Una delle questioni più discusse in merito al giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. è l’ammissibilità della chiamata in causa di un terzo, istituto regolato dall’art. 106 c.p.c., il quale dispone che ciascuna parte del processo possa chiamare in causa un terzo al quale ritenga comune la causa o dal quale pretenda di essere garantita.

L’intervento coatto può essere esperito in alcuni casi specifici. Innanzitutto, è possibile in presenza di una connessione per alternatività od incompatibilità tra rapporto giuridico oggetto del processo e rapporto giuridico di cui sarebbe titolare il terzo, allorquando l’esistenza del diritto od obbligo attribuito al terzo escluderebbe la fondatezza della domanda originaria, essendo identico il petitum, ossia il bene giuridico perseguito.

Può essere esperito, altresì, nel caso in cui il terzo sia contitolare del rapporto giuridico plurisoggettivo oggetto del processo, per cui le parti originarie potrebbero estendere, anche, nei suoi confronti gli effetti del futuro giudicato.

Infine, può essere chiamato ad intervenire il terzo che sia identificato come titolare di un rapporto giuridico dipendente da quello oggetto del processo, sicché l’intervento coatto potrebbe rappresentare un mezzo di tutela oppure il modo per estendere al terzo soggetto l’efficacia riflessa della sentenza.

L’intervento coatto rende, dunque, possibile un allargamento oggettivo del giudicato[7].

La questione è stata oggetto di numerose pronunce da parte del giudice di merito, il quale ha mostrato di seguire orientamenti contrastanti.

Contro l’ammissibilità della chiamata di terzo nel giudizio ex art. 98 della legge fallimentare si espresse, in primis, il Tribunale di Verbania[8], secondo cui, nell’ottica di celerità e snellezza del procedimento impressa dal legislatore con la riforma del 2007, non è possibile introdurre l’istituto della chiamata di terzo, attesa l’esclusiva previsione “dell’intervento di qualunque interessato” nei tempi e nei modi disciplinati dall’art. 98 l. fall..

A parere di tale giudice, la chiamata in giudizio, ove autorizzata, si tradurrebbe nell'inammissibile disparità di trattamento con gli altri creditori, in quanto si consentirebbe di eludere il termine perentorio per proporre l’impugnazione stabilito dalla legge fallimentare.

Al rigetto dell’istanza di chiamata di terzo, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, pervenne, anche, il Tribunale di Mantova[9], il quale motivò tale decisione attraverso tre ordini di ragioni. 

In primo luogo, ritenne non applicabili per analogia le disposizioni dettate per il giudizio ordinario ad un giudizio connotato da specialità come quello ex art. 98 l. fall, il quale non prevede in alcun modo la chiamata in causa di terzi.

In secondo luogo, il giudice osserva come, ammettendo la possibilità di chiamare in causa un terzo, l’oggetto del giudizio di opposizione allo stato passivo, incentrato sull’ammissibilità, sulla quantificazione e sulla graduazione dell’istanza di ammissione al passivo proposta dal creditore, verrebbe ampliato, in contrasto con le esigenze di celerità e snellezza prospettate dal legislatore della riforma.

Infine, il giudice osserva come, nel caso di specie, non vi fosse alcun rischio di conflitto di giudicati diverso da quello insito in ogni ipotesi di trattazione separata di cause connesse oggettivamente.

Ad arricchire la rosa di pronunce a sfavore dell’ammissibilità dell’intervento coatto nel giudizio ex art. 98 della legge fallimentare, si può citare il decreto del Tribunale di Milano[10], al quale era stato richiesto di ordinare l’intervento in giudizio del terzo ex art. 107 c.p.c..

Il giudice motivò il rigetto richiamando la natura endofallimentare del giudizio di opposizione allo stato passivo, deciso con decreto rilevante unicamente ai fini del concorso, inidoneo a produrre effetti nei confronti di soggetti diversi dal fallimento e dai creditori concorrenti.

Il giudice ne dedusse che le pretese del Fallimento nei confronti del terzo (di cui aveva richiesto la chiamata in giudizio e dal quale pretendeva di essere garantito) potevano essere fatte valere unicamente in autonomo giudizio, in quanto nel giudizio ex art. 98 l. fall. può esser valutato esclusivamente la sussistenza del credito vantato dal ricorrente.

A questo orientamento, sostanzialmente contrario all’ammissibilità dell’intervento coatto ex artt. 106 e 107 c.p.c., se ne contrappone un altro, di tutt’altro registro.

In questo senso, si può citare innanzitutto una pronuncia del Tribunale di Vicenza[11], chiamato a decidere sull’opportunità della chiamata in causa degli enti assicuratori da parte della Curatela, la quale si opponeva alla richiesta di immissione nel passivo da parte dell’INAIL.

Il giudice, in questo caso, ha ritenuto non solo ammissibile, ma doverosa la chiamata in causa degli enti assicuratori, al fine di rendere loro opponibile la decisione resa nel giudizio di opposizione.

Il giudice aveva, altresì, inteso tutelare la massa dalla sottrazione dell’attivo da parte dell’INAIL, con l’onere, poi, di andarlo a recuperare in separato giudizio dagli enti assicuratori, senza poter far valere la già resa decisione, con diseconomia di giudizi e con il rischio del contrasto di giudicati.

L’ammissibilità della chiamata ex art. 106 c.p.c. è stata dichiarata, anche, in una sentenza della sezione lavoro della Suprema Corte[12] che ha deciso il ricorso presentato dall’INPS avverso il rigetto dell’opposizione allo stato passivo operato dal Tribunale di Ancona.

Nella fattispecie, l’opposizione era stata presentata da Equitalia contro il decreto con cui il giudice delegato aveva respinto la sua insinuazione al passivo di crediti per contributi previdenziali iscritti a ruolo dall'INPS.

Equitalia, nell’opposizione, aveva prospettato la necessità di richiedere l’intervento di INPS, richiesta ritenuta inammissibile dal Tribunale di Ancona, in quanto lo stesso ente previdenziale aveva proposto autonomo ricorso in opposizione allo stato passivo: secondo il giudice, non poteva ammettersi contemporanea pendenza di più impugnazioni avverso il medesimo provvedimento.

Il supremo consesso, decidendo sul ricorso di INPS, non solo ha riconosciuto a questo la facoltà di intervenire nell’opposizione promossa da Equitalia, ma ha anche riconosciuto che questo intervento può avvenire a seguito dell’istanza di chiamata di terzo ex art. 106 c.p.c..

3. La pronuncia più recente: l’ordinanza del Tribunale di Piacenza del 14 luglio 2020

Sulla questione in esame, recentemente, si è pronunciato il Tribunale di Piacenza, il quale ha aderito all’orientamento che ammette l’istanza di chiamata in causa del terzo in sede di opposizione allo stato passivo.

Nel caso in esame, gli opponenti lamentavano l’esclusione del loro credito da risarcimento nei confronti del fallimento, vantato iure proprio e iure successionis per effetto del sinistro mortale occorso al de cuius quando la società era in bonis.  La curatela si è costituita in giudizio e ha richiesto la chiamata della compagnia assicurativa per tenersi indenne da quanto, eventualmente, si dovrà corrispondere a titolo di risarcimento danno agli opponenti.

Secondo il giudice, è possibile applicare al procedimento di opposizione allo stato passivo, sebbene regolato da leggi speciali, i principi generali contenuti nel codice di procedura civile, incluse le disposizioni ex artt. 105-107 sull’intervento e sulla chiamata in causa di terzo, i quali non sono limitati al solo processo ordinario di cognizione.

Inoltre, viene richiamata l’attenzione sulla lettera dell’art. 99 co. 8 della legge fallimentare, il quale non detta una disciplina esaustiva dell’intervento di soggetti nel giudizio di opposizione, ma si limita a derogare alla previsione ex art. 268 c.p.c., prevedendo una preclusione temporale-processuale più stringente per l’intervento degli interessati. Quindi, non è desumibile da questa disposizione una preclusione all’applicabilità dell’istituto della chiamata di terzo: infatti, se non derogate espressamente, le norme generali in tema di intervento devono ritenersi applicabili.

Sempre facendo riferimento alla lettera dell’art. 99 co.8, il giudice ritiene che il termine “intervento” non designi esclusivamente l’intervento volontario ex art. 105 c.p.c., in quanto il codice lo utilizza come termine generale con cui si offre la facoltà ad un terzo soggetto di partecipare ad un giudizio già instaurato, indipendentemente dalle modalità con cui questo è chiamato a parteciparvi.

Infine, viene negata qualsivoglia incompatibilità tra natura del giudizio di opposizione e chiamata in causa del terzo, in quanto ogni profilo di inammissibilità dell’intervento per lesione della parità dei creditori va accertata in concreto, caso per caso.

L’ammissibilità della domanda di manleva proposta dalla curatela fallimentare si spiega, secondo il giudice di Piacenza, in considerazione del fatto che il legislatore ha voluto attrarre nella competenza del Tribunale fallimentare ogni azione che origini dalla dichiarazione di fallimento o che, in conseguenza dell’apertura della procedura concorsuale, subisca un mutamento strutturale in relazione alla causa petendi e/o al petitum, attesa la necessità di realizzare “l’unità dell’esecuzione sul patrimonio del fallito” e, quindi, di concentrare queste azioni dinanzi al Tribunale medesimo[13].

Nel caso di specie, l’eventuale condanna alla manleva in capo all’assicuratore è destinata a produrre effetti solo nel caso in cui il creditore opponente ottenga l’ammissione del proprio credito, con conseguente diritto alla ripartizione dell’attivo.

Dunque, la domanda di manleva della curatela è giuridicamente e logicamente consequenziale alla domanda di ammissione allo stato passivo degli opponenti, in quanto persegue finalità interne al concorso sostanziale sui beni del fallito ed è finalizzata a tutelare la massa stessa e ad evitare sottrazione di attivo in favore di altri creditori concorsuali.

Infine, nella sentenza si evidenzia come la chiamata in causa del terzo contribuisca a realizzare il simultaneus processus, ossia la trattazione unitaria e congiunta delle cause, rispondente alla doppia finalità di assicurare la speditezza del procedimento auspicata dal legislatore della riforma, e di evitare giudicati contrastanti.


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, Utet giuridica, 2016.

[2]G. F. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Utet giuridica, 2017.

[3] Cassazione civile, sez. I, 11 maggio 2016, n. 9617.

[4] Cassazione civile, sez. I, 01 giugno 2016, n. 11392.

[5] Corte costituzionale, ord. 28 maggio 2001 n. 167.

[6] Corte costituzionale, ord. 18 luglio 1998 n. 304.

[7] G.Balena, Diritto processuale civile, I Principi, Volume I, Giappichelli editore, 2015.

[8] Tribunale di Verbania, 21 ottobre 2010.

[9] Tribunale di Mantova, sez. civ. II, 4 ottobre 2012.

[10] Tribunale di Milano, sez. civ. II, 1° agosto 2013.

[11] Tribunale di Vicenza, 10 giugno 2010.

[12] Corte Cassazione, Sez. Lavoro, 27 novembre 2019, n. 30999.

[13] Tribunale di Napoli Nord, sez. III, 11 gennaio 2018.