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Pubbl. Gio, 13 Ago 2020

Caso Cappato Welby: l´applicazione dei criteri della Corte Costituzionale con la sentenza della Corte di Assise di Massa

Editoriale a cura di Ilaria Taccola, 38



La Corte di Assise di Massa ha pronunciato una sentenza di assoluzione nei confronti di Mina Welby e Marco Cappato rispettivamente con le formule assolutorie ”il fatto non sussiste” e “il fatto non costituisce reato” applicando i criteri della Corte Costituzionale espressi nella nota sentenza n. 242/2019


Introduzione a cura di Alessio Giaquinto

Introduzione a cura di Alessio Giaquinto

Le questioni che ruotano attorno alle vicende di Marco Cappato e Mina Welby[1] coinvolgono alcuni tra i più solidi principi costituzionali di cui si possa discutere: la vita, la dignità umana, la personalità. Parlarne, con la massima risonanza mediatica, è quindi sia un modo per proteggerli, sia per permettergli di evolvere nel senso che è loro più moderno.

La Corte costituzionale sta svolgendo sempre più negli ultimi anni un ruolo supplementare a quello del Parlamento, affrontando sfide derivanti dal diritto vivente che i rappresentanti della sovranità popolare faticano a raccogliere. Per limitare quanto più possibile tale supplenza, la Consulta ha scelto di comprimere il suo «compito naturale»[2], da cui essa stessa sceglie di non rifuggire, attraverso una innovativa «gestione del processo costituzionale»[3], sospendendo i giudizi di costituzionalità per aprire a possibili interventi del legislatore. Benché gli effetti di tale scelta processuale stentino a mostrarsi[4], i testi redatti dalla Consulta per risolvere le questioni al suo vaglio sono essenziali punti di partenza per ogni successiva riflessione etica e giuridica, anche quelle raccolte nei nostri articoli.

Nelle prossime settimane faremo in modo che pubblicazioni di questo tipo aumentino, grazie al prezioso contributo di ricercatori universitari e giovani professionisti, nell’ottica di aggiornare i nostri lettori sempre di più e sempre meglio sulle vicende che toccano più da vicino i nostri diritti costituzionali.

Brevi riflessioni a cura di Antonino Di Maio

Il Comitato di Redazione della Rivista scientifica Cammino Diritto segnala ai lettori l’ultima pronuncia della Corte di Assise di Massa con cui l’organo giudicante ha assolto, rispettivamente, gli imputati Marco Cappato e Mina Welby dal reato di istigazione o aiuto al suicidio ex. art. 580 c.p. con la formula: «il fatto non sussiste» e «non costituisce reato».

Nel caso de quo, i prevenuti erano stati accusati di aver agevolato il suicidio della vittima, Davide Trentini, che era stato accompagnato in una struttura clinica svizzera per porre fine alla sua esistenza, in quanto affetto da una grave ed invalidante patologia ad esito inevitabilmente infausto.

La suddetta decisione ha confermato il ragionamento logico-giuridico perseguito dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 207 del 2018 e con la sentenza n. 242 del 2019 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., auspicando un intervento legislativo in grado di garantire il rispetto del principio di autodeterminazione individuale in campo terapeutico e la contestuale libertà dell’individuo di concludere in maniera dignitosa la propria esistenza ([5]).

Sotto tale profilo, spetterà al Parlamento formulare una soluzione normativa che determini non solo il superamento dell’antica concezione dell’indisponibilità del diritto alla vita, fondata sulla prevalenza della supremazia della stirpe, ma anche la contestuale valorizzazione del principio personalista sancito dall’art. 2 Cost. in quanto oggi è l’ordinamento giuridico ad esistere in funzione dell’individuo e non viceversa.

Preliminarmente, il legislatore dovrà valutare se circoscrivere la futura disciplina in materia di tutela della dignità umana nella fase terminale a quegli individui sostenuti in vita da apparati e dispositivi elettronici o se estenderla anche ai soggetti sottoposti a trattamento a farmaci antidolorifici o antispastici ([6]).

Brevi riflessioni a cura di Ilaria Taccola

Come è noto attualmente non esiste nel nostro ordinamento il diritto di morire o di essere aiutato a morire con dignità, ma viene solo riconosciuto attraverso la recente legge n. 219/17 il diritto a rifiutare le cure.

Si tratterebbe soltanto di una sorta di diritto-mezzo attraverso il quale il paziente rifiutando le cure potrebbe morire con dignità, ma come si può evincere dalle recenti vicende del caso Cappato non è sufficiente né per la tutela del diritto di morire con dignità, né per scriminare le condotte di agevolazione di quest’ultimo, ossia il diritto di morire o di essere aiutato a morire con dignità.

Soprattutto perché il rifiuto delle cure, come avvenne nel Caso Cappato, potrebbe comportare una morte agonizzante e prolungata nel tempo non compatibile con il concetto di morte dignitosa.

Come è stato riconosciuto sia nella recente ordinanza della Corte Costituzionale n. 207 del 2018 e con la sentenza n. 242 del 2019 nel caso Cappato, il divieto assoluto di aiuto al suicidio limita la libertà di autodeterminazione dell’individuo nell’ipotesi in cui si tratti di un paziente affetto da una patologia irreversibile, tenuto in vita tramite mezzi di sostegno vitale, la cui sospensione comporterebbe una lenta e agonizzante morte incompatibile perciò con il concetto di morte dignitosa.

In attesa di un intervento legislativo, la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 242 del 2019 ha ritenuto non punibile ex art. 580 c.p. l’aiuto al suicidio nell’ipotesi delle condizioni previamente citate di sussistenza di una patologia irreversibile, ma tale contributo agevolativo deve avvenire nel rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato L. n. 219/17, sulle cure palliative, sulla sedazione profonda continua e previo parere del comitato etico territorialmente competente.

Nel caso di specie, quindi, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.”

Tuttavia, è necessario un intervento legislativo sul tema proprio per fugare ogni possibile abuso di tale strumento, ma soprattutto per risolvere un dubbio che riguarda anche l’inquadramento della fattispecie. In altri termini, si ripropone il solito dubbio interpretativo che ha interessato il rifiuto delle cure anche per la fattispecie di agevolazione al suicidio ex art. 580 c.p.. Più specificamente[7], ci si domanda se l’aiuto di agevolazione al suicidio attuato con determinate modalità debba essere inquadrato come una scriminante, rectius, causa di giustificazione, oppure come un difetto di tipicità visto che verrebbe meno il rapporto di causalità ex art. 40 cpv c.p. tra la condotta omissiva del medico e la morte del paziente visto che non sussisterebbe la posizione di garanzia del medico a impedire l’evento morte.

Per quanto riguarda, la vicenda oggetto della sentenza della Corte di Assise di Massa di cui si attendono le motivazioni, si deve premettere che è diversa da quella in cui è stato coinvolto Dj Fabo, infatti, Trentini era affetto dalla sclerosi multipla ed era solamente soggetto a una terapia farmacologica, quindi non era tenuto in vita da un trattamento propriamente definibile come di sostegno vitale. Pertanto, si poneva la questione se la terapia farmacologica potesse rientrare nell’ambito dello strumento di sostegno vitale. Invero, la pubblica accusa riteneva che la terapia farmacologica non potesse essere inclusa nell’ambito dello strumento del sostegno vitale, rendendo inapplicabile di conseguenza la sentenza della Corte costituzionale.

La Corte di Assise di Massa ha, invece, pronunciato una sentenza di assoluzione nei confronti di Mina Welby e Marco Cappato rispettivamente con le formule assolutorie "il fatto non sussiste" e “il fatto non costituisce reato”, quindi ritenendo sussistenti i presupposti enunciati dalla Corte costituzionale. Infatti, uno dei punti critici è anche il difetto di tassatività per quanto concerne la definizione di “trattamenti di sostegno vitale” oltre alla qualificazione della formula assolutoria come fatto che esclude la tipicità o l’antigiuridicità, anche perché non è ancora chiara la natura della sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, ovvero se si tratti di una sentenza ablativa parziale o di una sentenza additiva di regola che introduce una nuova scriminante definita procedurale.

Si attendono le motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Massa per un commento più approfondito.

Tuttavia, proprio per fugare questi dubbi interpretativi, sarebbe opportuno un intervento legislativo mediante il quale si propenda per la promozione della libertà dell'individuo nel rispetto dei principi costituzionali.

 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul tema consigliamo anche i recenti contributi pubblicati sulla nostra Rivista, vedi S. SOLIDORO; Il caso Cappato/DJ Fabo: aspettando le motivazioni della Consulta, un riepilogo della vicenda, in Cammino Diritto, 10/2019;  A. SIMONELLI, Caso Cappato, l´epilogo atteso: la morte non è ancora una cura, in Cammino Diritto, 2/2020; Per la consultazione della sentenza, La Redazione, La sentenza completa della Consulta sul caso Cappato, in Cammino Diritto 11/2019

[2] Per il caso Cappato, Ordinanza 16 novembre 2018, n. 207. Da ultimo, Corte cost., ord. 26 giugno 2020, n. 132 in tema di diffamazione a mezzo stampa.

[3] S. SOLIDORO, "Il caso Cappato/DJ Fabo: aspettando le motivazioni della Consulta, un riepilogo della vicenda", in Cammino Diritto, 10/2019

[4] A seguito dell’ordinanza 2017/2018 il legislatore non è intervenuto.

[5] Sul piano dottrinale, numerosi sono i contributi che si sono occupati di tale questione giuridica. Senza nessuna pretesa di esaustività, giova menzionare G. LEO, Nuove strade per l’affermazione della legalità costituzionale in materia penale: la Consulta ed il rinvio della decisione sulla fattispecie di aiuto al suicidio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 242; S. CANESTRARI, I tormenti del corpo e le ferite dell’anima: la ricchezza di assistenza a morire e l’aiuto al suicidio, in F. S. MARINI, C. CUPELLI (a cura di), Il caso Cappato: riflessioni a margine dell’ordinan­za della Corte costituzionale n. 207 del 2018, ESI, Napoli 2019, pp. 55 e ss.; F. VIGANÒ, Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, pp. 1594 e ss.; M. DONINI, Il caso Welby e le tentazioni di uno spazio libero dal diritto, in Cass. pen., 2007, pp. 902 e ss.; L. RISICATO, L’incostituzionalità “differita” dell’aiuto al suicidio nell’era della laicità bipolare. Riflessioni a margine del caso Cappato, in F. S. MARINI, C. CUPELLI (a cura di), Il caso Cappato: riflessioni a margine dell’ordinan­za della Corte costituzionale n. 207 del 2018, ESI, Napoli 2019, p. 290; C. CUPELLI, Il Parlamento decide di non decidere e la Corte costituzionale risponde a sé stessa. La sentenza n. 242 del 2019 e il caso Cappato, in www.sistemapenale.it, 4 dicembre 2019; L. EUSEBI, Il suicidio assistito dopo Corte cost. n. 242/2019. A prima lettura, in Corti supreme e salute, 2019, p. 6. Per un primo interessante tentativo di dialogo tra diritto costituzionale e diritto penale, si permetta il rinvio a A. GUSMAI, A. DI MAIO, L’ordinamento “incappa” in Cappato. Alcuni rilievi a margine di Corte cost., sent. n. 242 del 2019, in Riv. pen., fasc. 5, 2020, pp. 548-559.

[6] Cfr. C. CUPELLI, I confini di liceità dell’agevolazione al suicidio e il ruolo del legislatore. Brevi note a margine della nuova sentenza di assoluzione di Marco Cappato e Mina Welby, in www.sistemapenale.it, 3 agosto 2020.  

[7] Sul piano dottrinale giova menzionare A. SESSA, Le giustificazioni procedurali nella teoria del reato. Profili dommatici e di politica criminale, ESI, Napoli 2018, pp. 96 e ss.