Pubbl. Ven, 28 Ago 2020
DL Semplificazioni: la modifica dell´abuso d´ufficio
Modifica paginaLa modifica dell´abuso d´ufficio prosegue nell´ottica della delimitazione del penalmente rilevante, con riferimento all´attività compiuta dalla P.a., ed alla salvaguardia della sfera di discrezionalità amministrativa rispetto al sindacato giurisdizionale. La riforma, però, rischia di avere più effetti deleteri che positivi
Sommario: 1. Cenni introduttivi; 2. La portata della modifica legislativa; 3. Riflessioni conclusive.
1. Cenni introduttivi
L’art 23 del D.L n. 76/2020 ha operato l’ennesima modifica dell’art 323 c.p. che contempla il reato di abuso d’ufficio1. Nell’arco di un trentennio, dal 1990 ad oggi, si tratta del terzo intervento di rilievo, in relazione ad una fattispecie che dal 1930 con l’avvento del Codice Rocco fino al 1990 rivestiva una valenza residuale2.
Il fenomeno trova spiegazione nel fatto che la legge n. 86/1990 accorpò nell’abuso di ufficio le fattispecie, ad esempio, del peculato per distrazione. Inoltre, la stessa trasformazione da clausola di sussidiarietà tramite la formula se il fatto non è preveduto come reato, a clausola di consunzione, in virtù della formula se il fatto non costituisce più grave reato ha fatto si che condotte dapprima enucleate in altre disposizioni integrassero invece l’abuso d’ufficio3.
Molti sono stati gli interventi legislativi, mentre comune resta il filo conduttore che ha sempre accompagnato le riforme in questione e che si manifesta nel duplice problema della tassatività e determinatezza della fattispecie, e nella ridefinizione dei limiti tra discrezionalità amministrativa e sindacato del potere giudiziario.
Il D.L. n. 76/2020, almeno in teoria ha come scopo principale questo secondo punto. Nella rappresentazione che viene fornita, si vuole superare il pericolo astratto, ma anche concreto della cd “amministrazione difensiva” che vede l’amministratore, il funzionario, il dipendente pubblico non prendere decisioni per il timore di essere in un momento successivo passibile di un’imputazione per abuso d’ufficio, in quanto quella decisione viene o può essere ritenuta come un esercizio arbitrario delle proprie funzioni.
In verità, tale tesi non appare esente da critiche, anche perché sovente le decisioni più che non essere prese, non possono essere concretizzate per mancanza di risorse4. E’ di tutta evidenza che la linea di discrimine, a seconda delle interpretazioni più o meno rigorose, tra ciò che può essere sindacato e quindi rimproverato, non attenga alla c.d. attività vincolata.
In altri termini, se dati certi presupposti, la legge o un regolamento impone una certa condotta o un obbligo di astensione, la verifica ex post avrà un carattere meramente formale. Invece, laddove, vi sia libertà di scelta nell’an, quid e nel quomodo sull’adozione di un provvedimento o di un’azione, si pone la questione del limite del sindacato giurisdizionale sull’attività amministrativa.
Tale quesito incide su un’interpretazione troppo restrittiva che limiti l’accertamento giudiziale al vizio amministrativo della violazione di legge o di incompetenza ed un’interpretazione troppo estensiva che dilati detto accertamento anche a tutti quei casi che ricadano nel vizio amministrativo dell’eccesso di potere.
In particolare sotto la figura sintomatica dell’eccesso di potere, fino ad attività o provvedimenti che attengano al merito puro. E’ del tutto condivisibile l’opinione di chi ritenga che una corretta interpretazione, in grado di mediare tra le contrapposte esigenze, non possa che fondarsi su un approccio eclettico che tenga conto delle risultanze, elaborazioni, approdi sia del diritto penale, sia del diritto amministrativo5.
2. La portata della modifica legislativa
La prima novità di rilievo apportata dall’art 23 D.L. n. 76/2020 consiste nella limitazione dell’oggetto suscettibile di sindacato. Infatti, la valutazione sull’abuso viene circoscritta, ristretta alla violazione di legge, e non più a quella di regolamento.
La modifica, in verità, all’atto pratico non appare né risolutiva, e nemmeno auspicabile. Già in precedenza, comunque, anche in assenza di una precisa norma scritta, fosse essa di carattere legislativo o regolamentare, un fondamento normativo, secondo un’opinione consolidata lo si poteva ritrovare nell’art. 97 Cost. La norma costituzionale delineando il bene giuridico del buon andamento e dell’imparzialità della PA non può che censurare tutte quelle condotte, anche di mero carattere materiale che non si traducano in atti espressi, laddove si registri un abuso, ovvero uno scorretto esercizio rispetto alla causa, al fine, per cui il potere è stato attribuito.
In contrasto rispetto a questo argomento, vi è l’indirizzo che distingue all’interno delle norme costituzionali, quelle che hanno carattere programmatico da quelle che invece hanno un carattere immediatamente precettivo6. Per quello che ci interessa, nel caso di specie, l’art 97 Cost tratteggiando concetti e principi assolutamente generali non potrebbe rappresentare il dato normativo che giustifica uno scrutino circa l’abuso, in assenza di norme che specifichino il carattere di quest’ultimo.
E’ agevole replicare che la distinzione appena accennata è il frutto della mera elaborazione dottrinale7, e ciò non può giustificare la mancata applicazione di una norma costituzionale. La selezione nella c.d. zona grigia tra comportamenti censurabili ma sanzionabili solo sul piano disciplinare, e condotte penalmente rilevanti deve avvenire sulla base di altri parametri che non il dato meramente formale della fonte in cui la violazione sia contenuta.
Peraltro, la tesi menzionata non potrebbe che condurre a conseguenze assurde e paradossali.
Lo stesso comportamento, la medesima condotta che sul piano sostanziale appare del tutto similare, a seguito della novella legislativa, continuerebbe ad essere sanzionato solo se contenuto in una legge o in un atto avente forza di legge.
Inoltre è assolutamente frequente che il regolamento abbia carattere attuativo della legge che pone principi generali, criteri direttivi da specificarsi in un successivo momento. In questo modo non assisteremmo altro che ad un’abrogazione implicita sia della fonte regolamentare che di quella legislativa. In realtà, la selezione, la restrizione delle condotte punibili sul piano penale, era ed è già stata compiuta con la Legge n 234/1997 nel momento in cui l’abuso d’ufficio è stato modificato da reato di pericolo in reato di evento.
Si osservi poi che l’art 323 c.p. nella formulazione ultima prevede il criterio della cd doppia ingiustizia. L’azione od omissione non solo deve rappresentare un abuso, ma deve anche concretizzare in via alternativa o un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure un ingiusto danno di carattere non patrimoniale. Come si può notare il requisito della patrimonialità è stato confinato solo al danno ingiusto ed espunto espressamente dal vantaggio ingiusto.
Non si può negare che per questa via, sia già stata delimitata tutta quella sfera di comportamenti scorretti, ma per i quali appaia pienamente sufficiente solo la sanzione sul piano disciplinare ed amministrativo. In buona sostanza, sotto questo profilo, sul piano applicativo la riforma appena introdotta rischia di restare lettera morta.
Infatti la distinzione tra norme di carattere programmatico e norme di carattere precettivo affiora anche laddove l’art 23 del DL n. 76/2020 stabilisce la specificità delle norme di condotta e che queste devono essere previste espressamente dalla legge o da un atto avente forza di legge. La costruzione appare anche pleonastica, posto che sul piano logico una regola di condotta se è specifica, vuol dire che necessariamente, e non potrebbe essere altrimenti è indicata in modo manifesto in una fonte normativa. E’ di tutta evidenza come la specificità o la generalità di una regola di condotta sia affidata, anche in questo caso alla valutazione assolutamente discrezionale dell’interprete.
Se l’intento era quello di garantire la certezza del diritto, si può sostenere che questo non sia stato raggiunto. Perfino la stessa regola di condotta è soggetta ad una valutazione discrezionale ed opinabile. Se non vi sono parametri certi ed oggettivi, che delimitino i presupposti per l’esistenza della medesima, a maggior ragione non si potrà valutare con certezza se la regola in questione sia generica e specifica.
Di maggior rilievo è l’ultima modifica compiuta dall’art. 23 del DL n. 76/2020. Infatti, il legislatore ritiene che dalle menzionate regole di condotta, non debbano residuare margini di discrezionalità.
Il concetto di fondo che viene sotteso è il seguente: se sussiste anche un seppur minimo di spazio per una valutazione discrezionale, l’azione o l’omissione, non può essere censurata sul piano penale. A ben vedere i parametri della residualità e della marginalità non sono altro che concetti vaghi ed indeterminati che nulla garantiscono sul piano della certezza del diritto.
Visto il tutto da un’altra prospettiva, si pone una linea di demarcazione assai più ristretta rispetto al passato. La condotta può essere sindacata e sanzionata solo di fronte ad un’attività vincolata. In altri termini si ritiene che debbano essere perseguite solo le violazioni di tipo formale, legati ai vizi amministrativi della violazione di legge e dell’incompetenza, mentre restano fuori quelle correlate ai vizi amministrativi dell’eccesso di potere con tutte le sue figure sintomatiche.
In tal senso la modifica di legge non sembra avere un carattere risolutivo. Infatti, un’interpretazione piana delle modifiche apportate all’art 323 c.p. altro non comporterebbe che l’eliminazione del concetto stesso di abuso. Infatti, l'abuso, in quanto uso distorto di una facoltà, di un potere, diritto attribuito e garantito dalla legge altro non è che una forma di violazione di tipo indiretto della stessa. Il concetto è noto ed acquisito a livello di definizione anche nell’ambito del diritto civile e del diritto tributario.
Se la violazione è di tipo diretto, non si configura più un abuso, ma una pura e semplice violazione di legge. Ne deriva, in relazione all’abuso d’ufficio, che limitarne la punibilità alle violazioni di carattere formale, comporterebbe il venir meno dello stesso concetto e sconfesserebbe pertanto il celebre arresto giurisprudenziale previsto da Cass. pen. Sez. Un. 29.9.2011 n. 155, riguardante il perimetro applicativo del requisito di violazione di legge correlato all’abuso.
La menzionata pronuncia ha avuto il pregio di circoscrivere la punibilità dell’abuso a tutte quelle ipotesi in cui il soggetto ponga in essere una condotta finalizzata alla realizzazione di un solo o prevalente scopo collidente rispetto a quello per cui il potere viene attribuito.
Di conseguenza non solo vengono sanzionate tutte quelle azioni od omissioni che violano direttamente la norma, ma anche quelle che si pongono in contrasto con lo scopo della medesima8. Da un lato si evita il pericolo di limitare la sanzione penale alle sole violazioni di carattere formale, dall’altro di dilatare eccessivamente il campo di applicazione della fattispecie valutando esclusivamente lo scopo dell’agente.
Inoltre, attraverso il criterio elaborato dalle Sezioni Unite si recuperano nell’alveo del mero illecito disciplinare, tutti quei comportamenti che, seppur in modo scorretto, hanno realizzato l’interesse pubblico. Del resto, l’art 12 delle disposizioni preliminari al Codice Civile nell’elencare i criteri di interpretazione della legge, dopo quello letterale enuncia l’esegesi teleologica9. E sarebbe insita la contraddizione di una fattispecie intitolata abuso d’ufficio, quando in realtà la pena è confinata solo ed esclusivamente a violazioni dirette del precetto normativo.
3. Riflessioni conclusive
In conclusione, le novità recate dall’art 23 del Dl n. 76/2020 paventano il pericolo di avere effetti dirompenti sul reato di abuso d’ufficio. Alcune delle modifiche sono destinate, in virtù di possibili e differenti interpretazioni, a non trovare applicazione.
Gli ulteriori passaggi normativi, invece, mortificherebbero quelle che sono state le acquisizioni sulla determinatezza e tassatività della fattispecie giunte dopo la riscrittura compiuta dalla Legge n. 234/1997 dell’art 323 c.p. E’ indubbio che vengano introdotti elementi vaghi ed indeterminati, destinati per loro stessa natura all’esegesi assolutamente discrezionale dell’interprete.
Se l’intento, invece, era quello di circoscrivere l’area del penalmente rilevante, questo non può ritenersi adempiuto. Al contrario si pone in crisi il delicato equilibrio realizzato dopo la novella normativa del 1997. I concetti mutuati dal diritto amministrativo respinti con riferimento all’abuso, ritornano di attualità laddove venga esplicitato il concetto della residualità e della marginalità della discrezione. E’ palese, il richiamo implicito all’art 21- octies della L. [n] 241/1990 sull’annullabilità del provvedimento e sulla c.d. prova di resistenza, e risulterà interessante vedere sul punto, in che modo verrà ripartito l’onere della prova10.
Assolutamente condivisibile è l’opinione di chi ritiene che la novella legislativa produrrà come effetto, quello di confinare a casi marginali il reato di abuso d’ufficio11. La conclusione è il frutto di un’oggettiva constatazione: raramente, se non in casi di scuola, l’azione amministrativa è totalmente vincolata nell’an, nel quid e nel quomodo.
V’è da aggiungere che anche qualora siffatta situazione dovesse verificarsi, ciò non toglie che circostanze sopravvenute, in primis il decorso del tempo facciano venire meno il carattere totalmente vincolato di una decisione amministrativa.
Inoltre, non si può non menzionare una certa contraddizione nella novella legislativa. Da un lato sono espunti i regolamenti dal novero delle fonti sui quali valutare se vi sia stata o meno una violazione, e dall’altro si introduce nel corpo della norma un parametro assolutamente vago ed indeterminato come quello della residualità di margini di discrezionalità.
Tale criterio, in verità, non sembra più affidabile, oggettivo rispetto a quello dell’interpretazione teleologica contenuto in una norma di legge come l’art 12 delle disposizioni preliminari del Codice Civile, e che si estende anche alla materia penale.
Infatti, l’art 14 delle disposizioni preliminari del Codice Civile vieta l’analogia legis per quanto riguarda le norme penali.
Come notazione finale, è d’uopo ricordare che la distinzione tra discrezionalità amministrativa e merito è dato ormai acquisito. E’ del tutto irrealistico che possa essere censurata una scelta amministrativa che era tra quelle possibili, anche se poi si è rivelata deleteria.
Ciò non avviene nell’ambito amministrativo, laddove il giudice non ha un potere sostitutivo di valutazione, e a maggior ragione non può farlo il giudice penale, in forza del principio di frammentarietà che regola il diritto penale.
Bibliografia
1 L’art 23 del D.L n. 76/2020, modifiche all’art 323 del codice penale così stabilisce: «All’art 323, primo comma del codice penale, le parole, di norma di legge o di regolamento, sono sostituite dalle seguenti: di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
2 Per comodità di esposizione si riporta di seguito l’originario art 323 cp (abuso innominato di Ufficio) come definito nel Codice Rocco e vigente sino all’aprile del 1990: «Il pubblico ufficiale che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire centomila a due milioni»”.
La legge n. 86/1990 riscrisse in questo modo l’art 323 cp: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto abusa del suo ufficio, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato con la reclusione sino a due anni. Se il fatto è commesso o per procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, la pena è della reclusione da due a cinque anni». Vi era dunque l’estensione tra i soggettivi attivi, all’incaricato di pubblico servizio, una maggiore tipizzazione della condotta, e la norma non conteneva più una clausola di sussidiarietà, bensì di consunzione.
Infine la legge n. 234/1997 ha riscritto nuovamente l’art 323 c.p.: «Salvo che il fatto non costituisca un più gravo reato, il pubblico o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé od altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità»
L’ultima modifica, pertanto, modificava l’elemento soggettivo, con il passaggio dal dolo specifico al dolo intenzionale, introduceva anche la condotta omissiva, ma in particolare ancorava l’abuso alla violazione di un precetto contenuto in una legge o in un regolamento. La fattispecie passa da reato di pericolo a reato di evento richiedendo il verificarsi o dell’ingiusto vantaggio di carattere patrimoniale per sé o per altri oppure il danno ingiusto di carattere non patrimoniale nei riguardi dei terzi.
3 Sul punto per un’analisi esaustiva si rimanda ad A. PAGLIARO, Principi di Diritto Penale, Parte Speciale, Volume I-delitti contro la Pubblica Amministrazione, Giuffrè, Milano, 2000, pp. 235 e ss.
Per quanto riguarda il rapporto tra le abrogate fattispecie del peculato per distrazione e dell’interesse privati in atti di ufficio rispetto all’abuso di ufficio, T. PADOVANI, Vita, morte e miracoli dell’abuso di ufficio, in www.giurisprudenzapenale.com
Per la ricostruzione sul piano storico delle evoluzioni legislative che hanno coinvolto l’abuso d’ufficio si cita: F. RIPPA, Abuso d’Ufficio, tesi di dottorato, Università degli studi di Napoli Federico II, pag 17 e ss
4 L’espressione amministrazione difensiva viene riportata nel lavoro di R. Greco, Abuso d’Ufficio: per un approccio eclettico, 20.07.2020, in www.giustizia-amministrativa.it
5 R. GRECO, ibidem, l’autore dà conto di come sia ormai superata la diatriba sui limiti del potere di disapplicazione del giudice penale, posto che questi, anche per la differente ratio che regola il processo amministrativo e quello penale, non deve accertare se quell’atto amministrativo sia illegittimo, bensì se quell’atto o quel comportamento realizzi la fattispecie penale.
A. MERLI: il controllo di legalità dell’azione amministrativa e l’abuso d’ufficio, in www.dirittopenalecontemporaneo.it
6 Per una panoramica delle posizioni giurisprudenziali sulla distinzione tra norme programmatiche e norme precettive, si indica; S. MASSI, Parametri Formali e “violazione di legge” nell’abuso d’ufficio”, in Archivio Penale n. 1, 2019.
7 M. LUCIANI, Dottrina del Moto delle Costituzioni e vicende della Costituzione Repubblicana, in www.osservatoriosullefonti.
8 È di interesse nella lettura della Sentenza delle Sezioni Unite, rilevare come il punto di partenza sulla presenza di una norma violata, fosse rappresentato dall’ipotesi dell’abuso dello strumento processuale.
9 Sulla scala gerarchica dei criteri di interpretazione si indica: L. VIOLA, Interpretazione della Legge con modelli matematici, Diritto Avanzato, Milano, 2017, pp 28 e ss.
Si riproduce il testo dell’art 12 Disp Preliminari Codice Civile: «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato»
10 Si riproduce il testo dell’art 21 octies, legge n. 241/1990 che dispone: «1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».
11 T. PADOVANI, ibidem, l’autore evidenzia come se fosse accolta la tesi che esclude ogni qualsivoglia sindacato sull’attività discrezionale della pa, di fatto, gran parte delle condotte oggi annoverabili nell’abuso d’ufficio, rifluirebbero quasi automaticamente nell’omissione di atti di ufficio di cui all’art 328 cp