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Pubbl. Ven, 7 Ago 2015

La "lotta contro la casta" nel costituzionalismo

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


Aspetti salienti del rapporto tra Costituzioni e partiti antisistema


L’esperienza della democrazia pluralista, relativamente nuova nel nostro Paese, ha visto presentarsi sulla scena politica due movimenti di livello nazionale che si sono posti in contrapposizione fiera non solo contro la maggioranza governativa, ma contro il sistema. Si tratta della Lega Nord e del MoVimento 5 Stelle che condividono il momento genetico sotto molti aspetti. Entrambi nascono “dal basso” come lotta alla partitocrazia ponendosi al di là del continuum destra/sinistra riferito alla contrapposizione tra capitale e lavoro, ma inserendosi in un clivage[1] sistema/antisistema.

Più che una prospettiva genetica o evenemenziale, in questo caso è, nel parere di chi scrive, interessante e poco trattato un apparente paradosso che, a ben guardare, renderebbe di difficile comprensione l’esistenza di un partito anti-establishment. Già sul piano semantico, parrebbe contraddittoria l’esistenza di un partito antisistema, che sia inserito in un sistema e ne sfrutti le regole, ma lo voglia distruggere. Intuitivamente si potrebbe premettere che un partito di questo tipo, giunto al potere, si adeguerebbe e cartellizzerebbe, ma la questione – almeno a livello ideale - rimane. Conviene dunque analizzare non tanto il partito antisistema in sé, quanto il modo in cui lo stesso sistema si pone nei confronti di chi, utilizzandolo, ne vuole creare l’antitesi.

Se la democrazia è l’esplicazione della maggioranza e se la maggioranza, o al peggio, l’unanimità desidera l’abrogazione del sistema democratico, è possibile sostenere[2] che la democrazia non ha soltanto fabbricato le armi che le recherebbero la morte, ma ha anche creato gli uomini che userebbero quelle armi?

Una delle caratteristiche fondanti della democrazia, e sicuramente l’essenza del costituzionalismo, risiede nell’assoluta espressione del principio di maggioranza, posto in difesa dei diritti del singolo[3].

Il pactum subiectionis da cui traggono origine i sistemi democratici costituzionali trova limitazione nel diritto inalienabile dell’individuo. In altre parole, l’affermarsi del predominio dei più, cioè il contratto stipulato tra sovrano e popolo, pone dei limiti all’esercizio del potere impositivo, primo tra tutti il rispetto del diritto naturale[4]

Diviene pertanto necessario porre vincolo all’attività del sovrano, dunque all’attività legislativa[5]. Nella forma democratica, tale vincolo, sottratto alla possibilità di revisione, è l’istituzionalizzazione del dissenso: l’operato di una maggioranza è posto sotto il controllo di un’opposizione. Scrive Holmes, in Vincoli costituzionali e paradosso della democrazia (1988): «l’opposizione incarna il principio liberale e giuridico di libertà politica […], il termine antinomico rispetto a quello autoritario, quindi, si incentra e soggettivizza nell’opposizione».

La prima e più pesante critica sarà il punto centrale di questo capitolo. Ci si trova innanzi, continua Holmes, ad una situazione di «irrevocabilità da parte di figli del consenso dei padri». Questa inalterabilità, non sembra essere conciliabile con il principio che tutti i popoli sono liberi di mutare, nel corso del loro cammino storico, la propria struttura costituzionale[6]. Il pieno e completo rispetto della procedura democratica non dovrebbe poter precludere alla maggioranza di ribaltare le impostazioni strutturali precedenti. Esautorato da una concezione divina del potere, è chiaro come spetti ai vivi in quel momento storico decidere quale sia la miglior forma che debba governarli. Concorde è Bobbio, per il quale: «il gruppo sociale può sempre progredire soltanto ove non ponga vincoli al libero esplicarsi della volontà collettiva»[7]. La democrazia, nel suo significato kantiano[8], si sostanzia nell’insieme di regole che definiscono chi ed in quale maniera possa andare al potere.

L’impostazione, spinta fino in fondo, porta alla conseguenza naturale che, nella vigenza del regime democratico, nulla potrebbe impedire ai cittadini di abrogare tutte le sue leggi fondamentali e di riscrivere le regole del gioco.[9]

Anche nel pensiero politico di Locke, la teorizzazione del diritto di un popolo di «non essere impedito da altre forze di darsi una costituzione civile che esso crede buona»[10], occupa una posizione centrale. Ne consegue che una Costituzione che precludesse ai cittadini il diritto di modificarla sarebbe gravemente antidemocratica[11].

Il modello democratico pienamente liberale, pertanto, assicura un ambito di svolgimento della contrapposizione partitica e del dissenso politico illimitato. L’istituzione democratica viene ad avere un ruolo pienamente neutrale nei confronti del dissenso. Dunque come dovrebbe comportarsi una democrazia nei confronti di un partito antisistema? Ovvero, per dirla con Calamandrei[12], fino a che punto è opportuno, in un regime democratico, consentire a quei partiti che, pur osservando sinceramente il metolo legalitario e di maggioranza, abbiano il chiaro proposito di instaurare un regime totalitario o comunque di porsi in netta antitesi al sistema?

Secondo le note teorie liberali[13], lo Stato veramente democratico non può far nulla per impedire che gruppi liberticidi minino le sue stesse fondamenta, «nulla che violi la libertà degli uomini di darsi, se credono, un governo tirannico».

In linea con questo pensiero, è chiaro che ci si debba porre in modo critico nei confronti della permanenza di reati di propaganda e apologia sovversiva, perché uno Stato democratico non può difendersi con le stesse tecniche di un ordinamento di stampo autoritario.

La natura intrinseca del regime democratico costituisce un requisito di legittimazione della propaganda politica sovversiva: anzi, propaganda ed apologia rappresentano i mezzi più adeguati alla crescita dei partiti, nonché alla promozione della pluralismo politico. Scrive Kant:

"Ammettere che il sovrano non possa mai sbagliare o non possa mai essere ignaro di qualche cosa, sarebbe come rappresentarlo ispirato da Dio, dotato di qualità che vanno oltre l’umana natura. Dunque la libertà della penna è l’unico palladio dei diritti del popolo."[14]

Estremizzando, viene allora a cadere la cosiddetta sacralità delle istituzioni, perché un sistema democratico che comportasse una prevalenza del loro prestigio sul diritto di critica sarebbe intimamente contraddittorio. Anche perché la manifestazione dell’idea di violenza non è vietata, ma è soltanto impedito l’uso della forza[15]. Al fondamento di questa interpretazione sta il convincimento che la libertà si difende con la libertà, o meglio con il coraggio della libertà. Uno Stato genuinamente liberal-democratico deve garantire libertà a tutte le idee, quindi anche quelle che si riconoscono in programmi rivoluzionari, con l’unico limite che esse devono rispettare il regime democratico. Limite cui si fa riferimento vietando le associazioni paramilitari e segrete a fini politici. Le prime, infatti, non perseguirebbero il metodo democratico, in virtù del sistema impositivo ed intimidatorio tipico del sistema militare, ove il confronto dialettico non è ammesso. Le società segrete, poi, non possono essere accettabili perché non si vede opportunità nella segretezza di metodi e nelle modalità di interferenza nei pubblici poteri.

Estremizzando, il reato di vilipendio politico non potrebbe trovare giustificazione nell’ordinamento democratico, perché evidentemente contrario alla libertà di pensiero[16].

Riassumendo, con particolare riferimento ai partiti anti-establishment, Iva Nicotra rileva[17]:

Malgrado la non accettazione dei principi della democrazia e dello Stato di diritto, i partiti che perseguono con mezzi pacifici ideologie lontane rispetto ai valori basilari sarebbero tollerati dal sistema, non essendo precluso da alcuna disposizione l’esistenza di gruppi portatori di fini inconciliabili con quelli dell’ordinamento.

Stabilito tutto ciò, è interessante considerare la questione da un altro punto di partenza. La ragione principale di una Costituzione è quella di sottrarre certe decisioni alla dialettica democratica, perché i diritti iscritti nella natura non possono divenire preda di contingenze politiche mutevoli[18]. Se si può concordare con quest’ultima affermazione, ad una più profonda analisi viene da chiedersi chi debba decidere quali siano i diritti naturali. Se da un lato è vero che la contingenza può portare alla regressione nel senso della giustizia sociale, è altrettanto vero che il dettato giusnaturalista può e deve essere modificato[19] proprio in virtù del fatto che, come s’è detto, la democrazia è governo dei vivi. Sulla scia di quanto esposto, un partito antisistema che, nel suo programma politico, dovesse indicare la modifica di un qualche diritto percepito come «naturale»[20] non dovrebbe essere anticostituzionale. Esperienze come quelle della Repubblica di Weimar hanno però dimostrato che non c’è ancora la maturità democratica per garantire un sistema liberal-democratico assoluto. L’unico giudice che possa stabilire se una nazione sia matura per un sistema di questo tipo è l’adeguamento per tentativi ed errori nell’ottica di uno sviluppo dialettico del suo percorso storico[21].

Un costituzionalismo più aderente alla realtà evidenzia come la democrazia possa mantenersi e progredire solo attraverso una stretta cultura di vincoli[22]. Come sarà esposto in seguito su base empirica, è necessario evitare che la maggioranza possa mutare improvvisamente e nettamente la forma democratica. Un’energica protezione di valori supremi (la cosiddetta democrazia protetta) realizza un circuito di norme che consentono un graduale affinamento del regime democratico, evitando, al contempo, pericolose derive. Per quanto concerne questo scritto, l’interesse sarà posto agli influssi di questa cultura del vincolo rispetto ai partiti antisistema[23].

Esperienze storiche hanno dimostrato che la convinzione profonda ed incondizionata della superiorità del liberalismo è fatale per la sopravvivenza dei principi democratici: i regimi autoritari spesso nascono e si affermano come prodotto di un sistema liberale ingenuo, o meglio, agnostico.

La conservazione del regime liberale dipende, in buona sostanza, dalla costruzione di un sistema che pone, al di sopra persino del principio di sovranità popolare, un nucleo politico-culturale di valori come assoluti e tacitamente sottointesi al sistema.[24]

Sull’altare della libertà[25] il prezzo meno caro per garantire la democrazia è il sacrificio di una parte del pluralismo.

Una matura fedeltà ai principi democratici, in sostanza, segnerebbe un limite nell’associazionismo politico mirante, sia pure con mezzi pacifici, a sovvertire le istituzioni democratiche.

Il problema concreto è quello di operare una distinzione nel modo di intendere la democrazia: in un significato completo, ma agnostico, che contiene l’espressione incondizionata di qualunque dissenso politico, oppure in un significato protetto che fa leva su un’attenuazione dell’ideale pluralista al fine di garantire la perpetuità dei valori supremi della democrazia costituzionale.

 



[2] Parafrasando Marx.

[3] Interessante approfondimento su A. Barbera, Le basi filosofiche del costituzionalismo, Bari, Laterza, 2012.

[4] Presupposto è la teoria dello scambio vantaggioso di Rousseau.

[5] Non si è tenuto conto, nella seguente parte, della convenzione ad excludendum, poiché troppo variabile e mai istituzionalizzata. Forse l’unica convenzione quasi istituzionalizzata è stata quella conseguente alla Guerra fredda, quando la red scare tendeva ad estromettere i partiti comunisti dal governo delle democrazie occidentali, ma non pare questa la sede per un approfondimento in proposito.

[6] A. Saitta, Le Costituenti francesi del periodo moderno, disponibile su Google Libri 

[7] Libertà, in Enciclopedia del Novecento, Roma, 1978, p. 1000.

[8] N. Bobbio, Prefazione a I. Kant, Per la pace perpetua, Editori Riuniti, Roma, 1992, pagg. xviii-xx.

[9] Ida Nicotra, Democrazia “convenzionale” e partiti antisistema, Torino, Giappichelli editore,2007, p. 18.

[10] N. Bobbio, Dal privilegio al diritto, in «Apulia», settembre 2000.

[11] A titolo esemplificativo, la Costituzione irlandese riconosce il diritto inalienabile, irrevocabile e sovrano della Nazione di scegliere la propria forma di governo (art. 1).

[12] In L’avvenire dei diritti di libertà, citato nell’ambito del convegno Dall’autonomia all’indipendenza Palermo, Palazzo dei Normanni, Sala Gialla, 3 dicembre 1996.

[13]Interessante intervento di Benedetto Croce, «Major et sanior pars», ossia della tolleranza e dell’adesione politica, in «Idea», gennaio 1945.

[14] Intervento del prof. Fiaschi per il seminario La fenomenologia dell’atto positivo, Università di Pisa, 20 febbraio 1993.

[15] Si veda, in proposito, il saggio di S. Gambino, Rappresentanza e Governo, fra riforme elettorali (partigiane), partiti politici (sregolati) e governi (deboli), su «Politica del diritto», n. 2, giugno 2008.

[16] Sempre che non divenga motivo di negazione di rispetto e oltraggio al prestigio di una data istituzione o che non fomenti disobbedienza, perché deve permanere il rispetto della norma democratica.

[17] I. Nicotra, Democrazia…, cit., p. 31.

[18] S. Holmes, op. cit., p. 75.

[19] Noto esempio è il dubbio se la proprietà privata sia un diritto naturale o meno. Da questa contrapposizione, infatti, sono nate le due ideologie predominanti per tutta la seconda metà del Novecento.

[20] Semmai esista un «diritto naturale». Si veda in proposito il saggio Diritto naturale italiano, pubblicato in lingua inglese in «European Journal of Law», n. 2, 1998, pp. 355-367.

[21] Una breve digressione sulla democrazia «matura» è presente in G. Lakoff, The Political Mind, New York, Penguin, 2008, pp. 93 – 111.

[22] I. Nicotra, Vita e sistema dei valori nella Costituzione, Milano, 1997, 170 ss.

[23] Si veda anche I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, relazione proposta in occasione dell’incontro della delegazione della Corte Costituzionale con il Tribunale Costituzionale della Repubblica di Polonia, Varsavia, 31 marzo 2006.

[24] I Nicotra, Democrazia…, cit., p. 39.

[25] Metafora efficace di A. Lincoln, in Bixby Letter, Washington, 1864.