Pubbl. Gio, 16 Lug 2020
La giustizia post-coronavirus. Riflessioni sul processo penale telematico e le udienze a distanza.
Modifica paginaIl contributo ripercorre le novità introdotte in tema di processo penale da remoto durante l’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del Coronavirus e si propone di individuarne sia i profili di maggiore criticità che gli aspetti positivi, sulla strada del processo penale telematico.
Sommario: 1. Introduzione; 2. L’assetto normativo; 2.1 Decreto “Cura Italia"; 2.2 Le modifiche successive; 3. Profili di criticità; 3.1 Partecipazione; 3.2 Oralità e immediatezza; 3.3 Concentrazione e “delocalizzazione”; 3.4 Pubblicità e riservatezza; 3.5 Legittimità della normativa; 3.6 Frammentarietà della disciplina; 4. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
L’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del COVID-19 ha inevitabilmente condizionato tutti i campi della nostra esistenza, colpendo in maniera più o meno diretta ogni tipo di professione, abitudine, stile di vita. Ovviamente anche la Giustizia è stata travolta dalla pandemia, il che ha causato, in un sistema già denso di criticità, una vera e propria paralisi dell’apparato giudiziario.
Invero, in seguito al DPCM 8 marzo 2020 e al relativo Decreto Legge “Cura Italia” che ne è seguito, l’attività giurisdizionale ha subito un vero e proprio stop, limitando la propria azione soltanto a quelle attività e a quei procedimenti caratterizzati da particolare urgenza.
La situazione che ne è scaturita, tuttavia, ha squarciato il velo, dando modo agli addetti ai lavori, e non solo, di riflettere sul nostro attuale sistema e, in particolare, ha aperto il campo al dibattito legato alle possibili evoluzioni del processo, soprattutto in chiave tecnologica.
Il tema che più di tutti, nelle scorse settimane, ha canalizzato l’attenzione, finendo con il causare accesi dibattiti, specialmente tra i penalisti, è stato sicuramente il processo “da remoto” o, più semplicemente, a distanza.
2. L’assetto normativo
2.1 Decreto “Cura Italia”
Nel giro di poche settimane si sono succedute norme diverse che hanno, certamente, contribuito a determinare un clima di crescente incertezza.
Con la Legge 24 aprile 2020, n. 27, pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 29 aprile 2020, il Parlamento ha convertito con modificazioni il Decreto recante “misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, cosiddetto “Cura Italia” (Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18).
La disposizione di riferimento, con riguardo agli affari giudiziari, era (ed è tutt’ora, con tutte le sue modifiche) l’art. 83 del Decreto, con il quale oltre all’ampliamento del periodo di sospensione (inizialmente dal 9 marzo al 15 aprile, poi esteso sino all’11 maggio dal Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23), sono state dettate una serie di norme relative, appunto, alle modalità di celebrazione delle udienze.
In particolare, il comma 12 della summenzionata disposizione prevedeva originariamente, per il periodo compreso tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020, la celebrazione delle udienze non rinviabili a porte chiuse e, ove possibile, tramite videoconferenza.
La disposizione ha subito alcune modifiche in sede di conversione, ove il Parlamento ha aggiunto all’art. 83 i commi 12 bis, 12 ter, 12 quater e 12 quinquies, i quali hanno notevolmente ampliato i casi di udienze da remoto fino alla data del 30 giugno 2020.
Le principali novità introdotte, possono riassumersi come segue.
- Il comma 12 bis statuisce che le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia;
- Il comma 12 ter, invece, afferma che per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura penale la Corte di cassazione procede in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che la parte ricorrente faccia richiesta di discussione orale;
- Il comma 12 quater, poi, con specifico riguardo alle indagini preliminari, afferma che il pubblico ministero e il giudice possono avvalersi di collegamenti da remoto per il compimento di atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, nei casi in cui la presenza fisica di costoro non può essere assicurata senza mettere a rischio le esigenze di contenimento della diffusione del virus COVID-19;
- Infine, il comma 12 quinquies, sempre con riguardo al periodo 9 marzo - 30 giugno 2020, afferma che nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto.
2.2 Le modifiche successive al D.L. 30 aprile 2020 n. 28
Tuttavia, dopo poco più di un mese dalla legge di conversione, il Governo è intervenuto nuovamente sull’argomento, attraverso l’adozione del Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28, con il quale si modificava nuovamente l’art. 83 summenzionato, introducendo ulteriori novità e differenziazioni.
- In primis, il nuovo testo – come era prevedibile – ha ampliato il periodo di vigenza di tali norme, prolungandolo sino al 31 luglio 2020[1];
- ha introdotto un nuovo periodo al comma 12 bis dell’art. 83: “Fermo quanto previsto dal comma 12, le disposizioni di cui al presente comma non si applicano, salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti” (art. 3, comma 1, lett. d);
- ha, infine, introdotto un altro nuovo periodo, questa volta al comma 12 quinquies: “Nei procedimenti penali, le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto” (art. 3, comma 1, lett. g).
Tali modifiche sembrano chiaramente volte a ridimensionare le possibilità di celebrare processi a distanza, essendosi esclusa – salvo diverso accordo tra le parti – la possibilità di ricorrere al collegamento da remoto per le udienze di discussione e per quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti.
Tuttavia, si registrano alcune rilevanti eccezioni, come per le udienze di costituzione parti, o per le questioni preliminari, che sono state escluse dalla deroga di cui all’ultimo periodo del comma 12 bis.
3. Profili di criticità.
L’impianto normativo introdotto dall’art. 83 del succitato Decreto Legge, ha scatenato reazioni contrastanti.
Come due fazioni contrapposte, si sono schierate, da un lato, l’avvocatura, dall’altro la magistratura (o almeno parte di essa).
La prima si è fin da subito mostrata unita nel respingere lo strumento creato dal governo per ovviare alle problematiche dell’emergenza sanitaria in atto.
Dall’altro lato, invece, la magistratura che, seppur con importanti eccezioni, ha invece assunto un contegno decisamente diverso, mostrandosi in larga parte favorevole alla introduzione di ipotesi di celebrazione a distanza del processo.
Diversità di vedute che può essere ben rappresentata da alcune esternazioni rese da organismi particolarmente rappresentativi delle due categorie, delle due fazioni contrapposte.
Ed invero, se da un lato l’Unione delle Camere Penali Italiane ha definito tali norme un “veicolo di un autentico sovvertimento dei principi basilari e fondativi del processo penale”[2], al contrario alcune associazioni all’interno della magistratura hanno usato parole ben più “dolci”.
Come l’associazione Autonomia & Indipendenza, presieduta da Piercamillo Davigo, che ha addirittura invocato, con una nota al CSM del 18 aprile 2020, la possibilità che alcune delle novità introdotte dal Decreto “Cura Italia” potessero divenire stabili modifiche del sistema processuale italiano.
Procediamo, ora, ad una rapida rassegna di tutti i profili maggiormente critici che la normativa emergenziale porta con sé.
3.1 Partecipazione
È evidente che il processo penale a distanza crei alcune disarmonie, com’è stato più volte scritto, specialmente in termini di legittimità costituzionale.
Ed infatti, è pacifico che anche in situazioni d’emergenza, come quella sanitaria, vi sono taluni principi e diritti fondamentali che governano il processo che non possono essere completamente stravolti, nell’ottica del bilanciamento con altri interessi concorrenti, come il diritto di difesa ed i principi che ispirano il contraddittorio processuale.
Primi dubbi riguardano il diritto alla partecipazione all’udienza di tutti i soggetti di volta in volta necessari. Il comma 12 bis dell’art. 83 infatti prevede la possibilità che le udienze penali, “che non richiedano la partecipazione di soggetti diversi dal Pubblico Ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti” siano celebrate mediante collegamenti da remoto."
A ben vedere, dalla infinita elencazione sembrano esclusi soltanto i testimoni, la persona offesa del reato non costituitasi parte civile nel processo e gli enti e le associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato.
Orbene, è evidente la disparità di trattamento che tale limitazione alla partecipazione possa determinare, dal momento che si consente l’audizione degli operanti di P.G., ovvero l’assunzione della prova tecnica, con l’esclusione dei soli testimoni non rientranti nelle altre categorie. E la ratio che ispira tale esclusione non è chiara.
La P.G., i consulenti e i periti, infatti, sono quei testimoni la cui attendibilità e credibilità non va dimostrata ed è più complessa da scalfire, che introducono per primi elementi tecnici e circostanziati che possono assumere rilevanza fondamentale ai fini della decisione.
A ciò si aggiunga un aspetto di rilevanza ancora maggiore: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a proposito dell’art. 146 disp att. c.p.p., ha precisato la fondamentale rilevanza della comparizione dell’imputato di persona in udienza ai fini dell’equità del processo penale.
E, infatti, l’art. 6 della CEDU “letto nel suo insieme riconosce all’imputato il diritto di partecipare realmente al processo”, mentre “ogni misura che limiti i diritti di difesa deve essere assolutamente necessaria”[3].
3.2 Oralità e immediatezza
Le critiche più accese hanno riguardato proprio la violazione del contraddittorio causata dalla celebrazione da remoto dei processi, con il sacrificio dei principi di oralità ed immediatezza.
L’oralità è garanzia che si assicura quando i dati di conoscenza utilizzabili per la decisione sulla res iudicanda vengono forniti al giudice attraverso il discorso parlato.
Più che violazione vera e propria, forse può parlarsi di compressione del principio, determinata dallo strumento scelto dal legislatore. Infatti è pur vero che l’udienza celebrata mediante collegamenti a distanza si svolge comunque in forma orale. Ma l’oralità sarebbe frustrata dalle modalità, dagli strumenti telematici.
Sul punto, si è espressa la Commissione linguistica giudiziaria della Camera penale di Roma che ha scritto in proposito "Nello spazio telematico si sacrifica scientificamente il 70/80% delle informazioni normalmente percepite dall’individuo attraverso il linguaggio del corpo; basterebbe già solo questo per affermare che il cambiamento che si prospetta all’orizzonte sarà una svolta infelice".
E, forse più banalmente, tutte le problematiche legate a problemi o ritardi nella connessione che potrebbero determinare problemi di comprensione o interpretazione.
L’immediatezza, invece, esige il contatto diretto tra la fonte di prova ed il Giudice, senza alcuna intermediazione di sorta. La prova, quindi, deve formarsi in dibattimento, davanti allo stesso giudice che deciderà sulla controversia, senza intermediazioni.
Intermediazione che sarebbe costituita, in questo caso, dall’utilizzo della piattaforma scelta per il collegamento a distanza.
Immediatezza che aveva già subito un duro colpo in seguito alla ormai celebre sentenza Bajrami e che subisce un’ulteriore compressione in seguito alla prospettiva di celebrare le udienze telematicamente.
Questo perché le dichiarazioni testimoniali non sono avulse dal complesso emotivo ed emozionale del soggetto che le rende, con la conseguenza che il verbale ed il non-verbale assumono quasi la medesima importanza nella valutazione delle stesse. L’intonazione, l’inflessione della voce, la mimica facciale sono tutte facce della stessa medaglia e che devono essere percepite nel migliore dei modi.
Anche la Corte di Strasburgo riconosce e garantisce oralità e immediatezza in quanto espressione del diritto del giusto processo. Afferma la Cedu che chi ha la responsabilità “di decidere sulla colpevolezza o l’innocenza degli accusati” debba avere la possibilità di ascoltare i testimoni e di valutare la loro attendibilità in prima persona. Pertanto, la contemporanea presenza fisica nello stesso luogo, per la Cedu, acquisisce una fondamentale rilevanza ai fini dell’equità del processo.
Sacrificare i principi di oralità ed immediatezza significa impedire in concreto al giudice di effettuare una serie di valutazioni sulla prova che rivestono importanza fondamentale. Si pensi ad esempio all’esame testimoniale: solo la contemporanea presenza del teste e del giudice nella stessa aula consente a quest’ultimo di valutare, oltre al verbale anche il “non-verbale”, ossia quel complesso di gesti, espressioni, inflessioni che permettono nel complesso, di apprezzare l’attendibilità o meno del teste stesso. Gli elementi paralinguistici vengono tagliati fuori dal processo, sebbene rappresentino aspetti di straordinaria importanza.
Orbene, come già accennato, ferma è stata la presa di posizione dell’Unione delle Camere Penali Italiane che non ha esitato a mostrare la propria contrarietà al ricorso al processo penale da remoto, strumento che determinerebbe la “smaterializzazione”[4] o dematerializzazione del processo.
3.3 Concentrazione e “delocalizzazione”
Oltre che di dematerializzazione, si è parlato anche di delocalizzazione del processo.
L’udienza a distanza, infatti, determina la perdita di quella continuità spazio-temporale che da sempre caratterizza il processo, con ricadute sul principio di concentrazione che, al pari di pubblicità, oralità e immediatezza, è generalmente annoverato tra i principi naturali del giudizio.
La concentrazione, infatti, impone che il processo penale venga celebrato con la contemporanea presenza di tutti i soggetti nel medesimo luogo e, preferibilmente, in tempi circoscritti.
Sebbene il dato temporale abbia incontrato già nella prassi degli ultimi anni notevoli difficoltà, la continuità spaziale, invece, era pressoché generalmente garantita ovunque.
Ma, il processo penale da remoto segna la perdita del valore simbolico dell’aula di Tribunale e, in un certo senso, del Tribunale stesso.
E non è una questione soltanto formale, in senso stretto, perché nel processo, e in particolare nel processo penale, forma e sostanza sono inscindibilmente legate.
Già Cesare Beccaria sottolineò l’importanza della forma in relazione al processo, quale garanzia di legalità e, non a caso, scriveva “le forme danno l’idea al popolo di un giudizio non tumultuario o interessato, ma stabile e regolare”.
Ed inevitabilmente, sacrificando le formalità che caratterizzano il processo, si finisce con incidere anche sulla sostanza della materia processuale.
3.4 Pubblicità e riservatezza
Vi sono, poi, dei problemi relativi a due aspetti, per certi versi antitetici, ma che vengono egualmente interessati dalla previsione di un processo penale telematico.
Innanzitutto, è innegabile che la pubblicità del processo venga compromessa dalla celebrazione delle udienze su piattaforme digitali, come l’applicativo Microsoft Teams adottato dal Ministero della Giustizia.
Ed invero, l’art. 83 da un lato prevede la celebrazione delle udienze a porte chiuse e, dall’altro, la possibilità che le stesse siano partecipate “a distanza” tramite collegamento da remoto.
È evidente che, in entrambi i casi, la pubblicità del processo viene meno, tanto nell’ipotesi di celebrazione a porte chiuse, ma anche nell’ipotesi del collegamento da remoto.
Infatti, se nella prima ipotesi è palese l’estromissione del pubblico, nel caso di collegamenti a distanza, ovviamente, la possibilità di partecipare al processo è garantita soltanto a quei soggetti che dispongono delle credenziali necessarie all’accesso alla piattaforma ed alla specifica conversazione.
Tale circostanza impedisce, di fatto, la pubblicità dell’udienza che è una garanzia per l’imputato ed un deterrente per il giudicante, affinché si evitino comportamenti autoritari ed arbitrari e la giustizia venga amministrata correttamente.
Ma non solo la pubblicità, bensì anche la stessa riservatezza viene posta in pericolo.
Invero, la connessione su piattaforme private straniere comporta l’impossibilità di certezze sul trattamento dei dati sensibili che inevitabilmente vengono fuori durante la celebrazione del processo.
Ne consegue che, pur non consentendo la pubblicità del processo estromettendo, di fatto, i comuni cittadini dalle aule di udienza, si rischia di consegnare dati sensibili in mano a soggetti che potrebbero riutilizzarli per altri fini.
A ciò si aggiunga la previsione di cui al comma 12-quinquies dell’art. 83, seppur in parte mitigata in sede di conversione, della camera di consiglio “virtuale” secondo la quale le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere effettuate anche mediante collegamenti da remoto.
Specie nei procedimenti delicati, relativi ad esempio a reati di criminalità organizzata, sono sicuramente ipotizzabili azioni intrusive volte a conoscere cosa avviene nella segretezza della Camera di consiglio e carpire le sue dinamiche interne e le inclinazioni. Rischi di cui non può non tenersi conto.
3.5 Legittimità della normativa
Altro aspetto discusso è quello relativo alla legittimità delle disposizioni sul processo introdotte durante l’emergenza sanitaria, aspetto che ha riguardato tanto la forma che la sostanza delle predette previsioni.
Un primo profilo particolarmente controverso è costituito dalla fonte individuata dal provvedimento legislativo, per l’individuazione dei collegamenti da remoto utilizzabili ai fini della celebrazione dell’udienza.
Ed infatti, numerose volte l’art. 83 afferma che le udienze penali possano essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia.
In sostanza, il Governo ha affidato l’individuazione e la decisione sulle modalità di utilizzazione dello strumento telematico ad una norma di rango secondario, quale appunto il provvedimento del Direttore Generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia.
Se tale previsione può risultare coerente con il contesto emergenziale, ciò non potrebbe assolutamente diventare la regola.
È innegabile, infatti, che le modalità di gestione degli apparati tecnologici incidono in maniera rilevante sullo svolgimento delle attività processuali e che, pertanto, la scelta non dovrebbe essere rimessa ad un provvedimento amministrativo, quale quello del Direttore generale dei sistemi informativi del Ministero, quanto, piuttosto dovrebbero essere sempre e comunque regolate dalla legge.
E non risolve il problema la previsione di cui al comma 12-bis, secondo cui tali collegamenti devono sempre salvaguardare la corretta instaurazione del contraddittorio e la partecipazione delle parti, anzi se possibile lo aggrava perché espressamente riconosce l’incidenza del collegamento sui principi naturali del processo penale e, ciò nondimeno, ne lascia la gestione alla norma di rango secondario.
In tal modo, il processo a distanza si colloca al di fuori dell’alveo dell’art. 111 Cost. e tale aspetto non può essere giustificato, probabilmente neanche in una situazione di emergenza.
Per quanto riguarda un profilo più spiccatamente sostanziale, invece, particolarmente discussa è la previsione, introdotta con il Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020, che subordina la celebrazione da remoto del processo al consenso del difensore.
Dietro quello che può apparire un tentativo di ridurre il divario tra il processo nella fase di emergenza e i principi fondamentali, si nasconde un’altra insidia.
Se, infatti, la previsione del processo da remoto e, quindi, la dematerializzazione dello stesso, si pone in contrasto con il diritto di difesa e l’art. 111 Cost., oltre che con i principi poc’anzi richiamati, non si comprende come la previsione di un consenso da parte della difesa possa in qualche modo sanare tali vizi.
Quello introdotto con il D.L. 30 aprile 2020, n. 28 sembra una sorta di compromesso che, tuttavia non tiene conto del fatto che i principi fondamentali che governano il processo, in quanto tali non sono “disponibili”, per cui tale previsione più che lenire il contrasto, lo acuisce.
3.6 Frammentarietà della disciplina
A complicare ulteriormente le cose la mancata previsione di una disciplina unitaria per la gestione e la celebrazione delle udienze per il periodo che va dal 12 maggio al 30 giugno (poi prorogato fino al 31 luglio) 2020.
Infatti, una volta sancito che dopo il 12 maggio ricominciano a decorrere i termini di prescrizione e in generale tutti i termini processuali, si è immediatamente determinato un problema di mancanza di uniformità nella gestione delle udienze e delle attività processuali dopo quella data.
Questo perché l’art. 83 lascia una certa autonomia ai Presidenti dei Tribunali i quali possono adottare le disposizioni che ritengono più opportune.
Infatti, il comma 6 della più volte citata disposizione attribuisce ai “capi degli uffici giudiziari, sentiti l’autorità sanitaria regionale, per il tramite del Presidente della Giunta della Regione, e il Consiglio dell’ordine degli avvocati” il potere di adottare tutte “le misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienicosanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone”.
In sostanza, si è preferito non dettare una disciplina generale per consentire ai capi degli uffici giudiziari di modellarla in base alle concrete esigenze epidemiologiche.
E se ciò, da un lato, dovrebbe consentire una ripresa più rapida in quelle zone meno colpite dalla diffusione del virus, dall’altro determina una situazione di sostanziale incertezza, che da un punto di vista pratico mette in costante difficoltà gli avvocati costretti ad adeguarsi a discipline, protocolli e linee guida sempre diversi, a seconda del circondario di volta in volta interessato.
Una disciplina unitaria avrebbe aiutato certamente a districarsi e a non sentire troppo il peso della novità, sebbene avrebbe probabilmente scatenato i malumori dei giuristi che operano nelle aree meno soggette al contagio.
4. Considerazioni conclusive
La forma nel processo penale riveste una funzione più importante di quel che si tende spesso a credere.
Già Cesare Beccaria ne aveva colto l’importanza quando scriveva che “le formalità e le cerimonie sono necessarie all’amministrazione della giustizia […] perché danno al popolo idee di un giudizio non tumultuario e interessato, ma stabile e regolare”. E così, anche parte della magistratura ha le idee chiare sul punto[5].
Sebbene, infatti, ci sia chi auspica che le novità introdotte con il Decreto Cura Italia e le sue successive modifiche diventino la regola, c’è anche chi non condivide tali vedute, per così dire, estremistiche.
Ed un conforto all’avvocatura sul tema arriva da Magistratura Democratica, che in un comunicato del 10 aprile scriveva che “una volta cessata la situazione di emergenza […] occorrerà tornare alla “normalità” e, con essa, alla pienezza di tutte quelle regole processuali che non sono affatto neutre, perché previste dal legislatore in funzione dell’effettività del diritto di difesa e del ruolo di garanzia della giurisdizione”.
È evidente, profili di criticità in relazione al processo a distanza ci sono e, probabilmente, ci saranno sempre. Tuttavia, nonostante tutte le obiezioni sollevate nei confronti dell’introduzione della tecnologia nel processo, vi sono determinati aspetti che, sebbene penetrati all’interno del sistema approfittando di una situazione contingente di urgenza nazionale e internazionale, potrebbero offrire spunti interessanti per modifiche stabili della prassi giudiziaria.
Se, da un lato, l’idea della “dematerializzazione” del processo atterriva tanti addetti ai lavori, diversa è la prospettiva di una “dematerializzazione degli atti”.
In proposito, uno dei profili di maggiore interesse, messo in evidenza dalla normativa d’emergenza, è costituito dalla previsione che consente sia al Pubblico Ministero e ai suoi ausiliari, sia alle altre parti private, di depositare atti di varia natura in via telematica.
Una previsione che trova la sua ratio nella necessità di limitare l’afflusso all’interno delle cancellerie, ma che determina conseguenze decisamente minori sui principi naturali del processo e che ha sicuramente riscosso maggiori consensi. Ecco, questo è un primo ed importante passo che, nell’improbabile traguardo costituito dalla creazione di un processo penale telematico, potrebbe quantomeno trovare applicazione in via stabile, anche dopo la fine della situazione di emergenza.
Per quanto riguarda la celebrazione delle udienze “da remoto”, la pratica non dovrebbe, probabilmente, essere eccessivamente demonizzata, o almeno non in modo assoluto, riportandola in relazione ad ogni tipologia di udienza. Vi sono, infatti, dei casi in cui i principi di oralità e immediatezza, pur mantenendo la rispettiva importanza, non sarebbero violati dalla celebrazione telematica dei processi. Si pensi, ad esempio, alle prime udienze, finalizzate esclusivamente all’accertamento della regolare costituzione delle parti e alla formulazione delle richieste istruttorie. In tali casi, al di là di alcune situazioni particolari che possono in concreto verificarsi, la celebrazione a distanza non parrebbe compromettente nell’ottica del giusto processo regolato dalla legge. È necessario, tuttavia, che eventuali novità in tal senso siano introdotte con legge ordinaria, e non siano semplicemente il frutto di una situazione di emergenza e che, soprattutto, la disciplina non sia demandata a norme di rango secondario.
Il valore della forma, dunque, non soltanto da un punto di vista di “estetica processuale”, ma anche da un punto di vista di norme sostanziali, che governano il processo e garantiscono il rispetto delle sacralità e dei diritti fondamentali.
E, quindi, questa situazione appare quasi come un’occasione persa. Non che una pandemia possa definirsi un’occasione da sfruttare, ma quantomeno era legittimo auspicarsi che, da una situazione di emergenza, il sistema avrebbe imparato, come si suol dire, “a fare di necessità virtù”.
Perché se inevitabilmente l’emergenza sanitaria ha obbligato il sistema giudiziario a correre ai ripari, per la necessaria tutela della salute degli operatori e dei cittadini tutti, dall’altro lato la situazione avrebbe potuto far riflettere sull’importanza dell’organizzazione preventiva delle udienze, sull’opportunità di scaglionare l’accesso alle aule mediante la previsione di orari fissi predefiniti, di ordini di chiamata pubblicati in anticipo, nonché attraverso l’introduzione e l’affinamento degli strumenti tecnologici che consentano la trattazione da remoto delle udienze senza sacrificio – eccessivo – dei diritti fondamentali.
Tuttavia, ciò non è avvenuto, o è avvenuto solo in parte.
E questo potrà tranquillizzare quanti temevano che, con il pretesto della situazione emergenziale, si introducessero, senza contradditorio, delle rilevanti modifiche al processo, come invece auspicato da alcuni, creando un nuovo modello di processo smaterializzato e carente di garanzie.
Si tratta di una normativa contingentata nel tempo e, del resto, è stato lo stesso legislatore ad individuare esplicitamente dei termini finali, ancorati alle previsioni sulla possibile evoluzione della pandemia. Con l’approvazione della Prof. Cartabia, attuale Presidente della Corte Costituzionale, la quale, in una recente intervista rilasciata nel pieno del periodo di emergenza, avvisava che “più la compressione di un diritto o di un principio costituzionale è severa, più è necessario che sia circoscritta nel tempo”.
Il discorso è complesso ed una soluzione che accontenti tutti, senza compromettere diritti e principi fondamentali non è certamente facile da trovare.
Se l’emergenza ha costituito l’occasione per sperimentare nuove strade, questa non può certamente essere il pretesto per derogare alle forme processuali poste a garanzia di principi e diritti fondamentali.
[1] In data 11 giugno 2020 è stato approvato all’unanimità al Senato l’emendamento al D.L. Giustizia che anticipa la riapertura dei Tribunali al 01 luglio 2020.
[2] cfr. Unione delle Camere Penali Italiane, Stato di agitazione contro lo scempio del processo da remoto, 24 aprile 2020
[3] Sent. Viola/Italia del 2006
[4] cfr. Caiazza Il Dubbio, “Ora cambiare il processo da remoto”. L’appello di Caiazza a Bonafede del 17.04.2020
[5] Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1974.