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Pubbl. Gio, 13 Ago 2020

Il ruolo delle misure di prevenzione patrimoniale nel contrasto alle condotte di contiguità tra mafia e impresa

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Tommaso Passarelli
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



La forza delle mafie è la risultante (in particolar modo dagli anni settanta del secolo scorso) della grande disponibilità di capitali in loro possesso. Ne era consapevole il legislatore del 1982, che nell´emanare la prima legge ”antimafia” n. 646/1982 prevedeva l´introduzione nell´ordinamento giuridico italiano ( oltre al reato di cui all´art. 416 bis c.p.) delle misure di prevenzione patrimoniale del sequestro e della confisca, con la finalità specifica di intercettare i patrimoni illeciti delle organizzazioni mafiose. La disciplina normativa si è evoluta nel corso degli anni, fino ad approdare nel nuovo ”codice antimafia” , di cui al d. lgs. 159/2011.


ENG The strength of the mafias is the result (particulary from the seventies of the last century) of the great availability of capital in their possession. This was made aware of this by the legislature of 1982, which in enacting the firs ”anti-mafia” law No. 646/1982 provided for the introduction into the italian legal system ( in addition to the crime referred to in article 416 bis c.p. ) of the measures of asset prevention of seizure and confiscation ,with the specific purpose of intercepting the illicit assets of mafia organizations. Regulatory discipline has evolved over the years, until it has entered into the new ”anti-mafia code”, referred to in d. lgs. 159/2011.

Sommario: 1. Profili generali del sistema di prevenzione patrimoniale; 2. I soggetti destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali; 3. Le singole misure di prevenzione patrimoniale; 4. Considerazioni conclusive.

1. Profili generali del sistema di prevenzione patrimoniale.

Come lucidamente rileva il prof. C. Visconti[1], nell'aggredire i patrimoni mafiosi il sistema giudiziario predilige avvalersi degli strumenti afferenti al sistema di prevenzione, introdotti dalla Legge n. 646/1982 “Rognoni-La Torre”: il sequestro e la confisca di prevenzione.[2]

A seguito dei pacchetti sicurezza del 2008 e del 2009, la prevenzione patrimoniale si è in certo senso affrancata da quella personale, assumendo una dimensione autonoma ed operando indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto (mafioso o contiguo). Il permanere di capitali in contesti mafiosi giustifica l'intervento ablativo patrimoniale ed anche la corte costituzionale nel 2012 ha sancito l'ammissibilità di garanzie differenziate tra ambito personale e ambito patrimoniale[3].

L'istituto della confisca sganciato dalla condanna personale del soggetto è stata al centro anche dell'elaborazione europea in sede di direttiva n. 42/2014, che ne ha ridimensionato la portata. La natura sostanzialmente afflittiva dell'istituto ha spinto molti autori a sostenere che si sia in presenza di una sostanziale truffa delle etichette, dovendo la misura de qua essere assoggettata a tutte le garanzie che la tradizione penalistica impone nell'applicazione dei suoi istituti[4]. La lettura che lo stesso autore propone va nella direzione di declinare la confisca non già come strumento punitivo, ma come strumento preventivo circa il reimpiego dei proventi illeciti in ulteriori attività illecite, ovvero nei mercati dell'economia legale, alterando così le logiche del libero mercato e della concorrenza[5]. Oggetto della confisca sono, non di rado, il capitale sociale delle imprese e i patrimoni delle aziende che vengono a costituirsi a mezzo dei capitali di illecita provenienza, ovvero quelle che prestano il fianco al riciclaggio e reimpiego dei suddetti capitali illeciti e da ultimo quelle infiltrate dalle organizzazioni mafiose.

In un contesto siffatto, assume centralità la figura dell’amministratore giudiziario, che dovrebbe ricondurre l'azienda sui binari della legalità e al contempo assicurarne la continuità produttiva[6]. All'uopo, il codice antimafia ha apportato una disciplina specifica all’art. 41, prevedendo che entro sei mesi dall’inizio del sequestro il curatore debba presentare al tribunale una relazione particolareggiata sullo stato dell'azienda e sulle sue prospettive, che il tribunale approverà in caso di riscontro positivo circa la prosecuzione dell'attività aziendale[7]. Diversamente, lo stesso tribunale disporrà la messa in liquidazione della stessa.

Il legislatore del codice antimafia si è dimostrato sensibile al dato di realtà che vuole la vita stessa delle aziende mafiose legate al sostegno delle organizzazioni criminali: venuto meno quest'ultimo, l'azienda non riesce a recuperare una dimensione legale di operatività[8].

Un sostanziale fallimento ha rappresentato l'introduzione dell'agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che da principio doveva occuparsi del reimpiego dei beni sequestrati alle mafie in via definitiva. Si è scelto, invece, di affidare a questa agenzia anche la gestione di beni confiscati solo in primo grado, provocando un cortocircuito gestionale e problematiche inerenti il rapporto tra organo amministrativo e organo giudiziario[9].

Uno sguardo critico sul punto lo offre anche il dott. G. Turone[10], secondo il quale gli strumenti del sequestro e della confisca di prevenzione, in primis applicati a quei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, sono strumentali al perseguimento di una ablazione patrimoniale extra-processuale e dunque sganciata dalle garanzie del processo penale. L'eccessiva onerosità delle indagini investigative in questo settore e la maggiore agilità di un procedimento amministrativo accompagnato da poche garanzie processuali, hanno spinto verso la soluzione della confisca di prevenzione di capitali di sospetta origine delittuosa[11]. Un sistema così concepito si presta ad essere un valido supporto all'attività processuale, ma risulta inidoneo nel sostituirsi ad esso, anche per le difficoltà connesse “alla sua scarsissima operatività sul versante transnazionale”[12].

I meccanismi della Legge n. 646/1982 “Rognoni-La Torre consentono di promuovere il processo di prevenzione parallelamente a quello penale, con gli atti di quest'ultimo che andranno a confluire nel fascicolo del processo di prevenzione, consentendo al P.M. di ottenere il sequestro dei beni posseduti (direttamente indirettamente) dall’indagato. La disciplina è oggi confluita nel d.lgs. 159/2011, c.d. “codice antimafia”, che all'art. 20 prevede il sequestro di prevenzione “non soltanto quando si ha motivo di ritenere, in base a sufficienti indizi, che i beni abbiano un’origine illecita, ma anche quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, a prescindere, quindi, dall’esistenza o meno di elementi indiziari circa la loro origine”[13].

In prospettiva della confisca, l'autorità giudiziaria potrà indagare sull'origine dei beni al netto del pericolo di una loro dispersione, sottrazione o alienazione. La confisca potrà sopravvenire nel medesimo processo di prevenzione, nel caso in cui i soggetti destinatari del sequestro non siano nelle condizioni di dimostrare la lecita provenienza dei beni, realizzando così una sostanziale inversione dell'onere della prova[14]. La confisca così ottenuta rimarrà vitale anche a seguito di una assoluzione in sede processuale del soggetto indagato, in quanto il processo di prevenzione segue una strada parallela, ma separata rispetto al processo penale. Ad un dato di coerenza formale, si accompagnano molti dubbi circa la logica dell'intero sistema.

Una visione d'assieme sulla prevenzione ante delictum la propone il prof. V. Maiello[15]. Il primo cortocircuito in termini di compatibilità sistemica delle misure di prevenzione nell'ordinamento statuale si realizza col “superamento del c.d. principio di retributività”, inteso come la risposta dello Stato ad un fatto di reato. Le misure di prevenzione sono infatti ancorate al principio della pericolosità sociale dei soggetti destinatari.

Si delinea in tal modo un doppio binario del sistema punitivo: un primo binario del diritto penale classico, un modello di “giustizia dei galantuomini” che applica le sue pene post et propter delictum, proteggendo ad un tempo la società dalle aggressioni del reo e il reo dalle prevaricazioni della giustizia punitiva[16]; il secondo binario è improntato alla cultura del sospetto e reca seco un modello di “giustizia dei birbanti”, così da assoggettare le classi sociali più deboli al controllo della classe dominante, sul presupposto giustificativo di una “permanente minaccia all’ordine socio-economico e politico costituito”[17].

Il sistema di prevenzione è sopravvissuto alle continue evoluzioni ordinamentali, fino a superare il vaglio di costituzionalità e ad adattarsi al principio di libertà personale. Questo è stato possibile grazie alla sua posizione di confine tra il diritto penale e il diritto amministrativo, che ne ha favorito la fluidità sul piano ermeneutico. Il sistema di prevenzione ha assunto un ruolo chiave quando si è trattato di sopperire alle carenze del sistema penale, elargendo le sue “pene del sospetto” mai corroborate da solide prove circa i fatti di reato ascritti[18].

Con la Legge n. 575/1965 si estende l'applicabilità delle misure di prevenzione personali di cui alla Legge n. 1423/1956 anche “agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”[19], pur in mancanza di quei parametri normativi dirimenti delle associazioni di tipo mafioso che verranno introdotti nell'ordinamento giuridico italiano con la Legge n. 646/1982.

La prevenzione antimafia assume così a modello quello del “presunto autore di reato”, in luogo del modello “dell’autore pericoloso” di cui alla Legge n. 1423/1956[20]. L'indizio di reità diventa dunque il centro di gravità della prevenzione antimafia.

Le misure di cui si tratta assumono la fisionomia di misure sine o praeter probationem delicti e questo sulla base di due assunti critici: il primo, fondato sull’abbandono del diritto penale della certezza probatoria in favore del diritto penale d'autore basato sul sospetto; il secondo, basato sul rilievo che le misure non svolgano funzioni preventive in senso stretto, bensì funzioni indiziarie, andando a sopperire alle difficoltà probatorie che si presentano in contesti particolarmente degradati[21].

L'esigenza di porre in essere un'incisiva azione di contrasto contro le mafie ha spinto il legislatore del 1982 ad introdurre con la Legge n. 646 l'istituto della confisca (e quello del sequestro, “quale suo speculare prodromo cautelare-anticipatorio”[22]), al fine di aggredire le organizzazioni mafiose sul piano patrimoniale, andando a recidere i legami di contiguità col mondo dell'economia legale.

Con i pacchetti sicurezza del 2008/2009, le misure patrimoniali hanno assunto una posizione autonoma rispetto a quelle personali, potendo essere applicate in maniera disgiunta rispetto a queste ultime e addirittura post mortem rispetto al soggetto interessato, proseguendo il procedimento di prevenzione in tale ultimo caso verso gli eredi e gli aventi causa del de cuius. Non risulta più necessario all'uopo il requisito della pericolosità sociale del soggetto prevenuto[23].

Un distacco così netto dal requisito della pericolosità sociale fa così assurgere la confisca di prevenzione a “ipotesi di responsabilità patrimoniale oggettiva”[24], rivolta verso beni appartenenti a soggetti indiziati di particolari delitti (non necessariamente di tipo mafioso), il cui valore non sia proporzionale alla capacità dei soggetti proprietari.

La stratificazione legislativa accumulatasi nel corso degli anni aveva finito col dar luogo a non pochi problemi circa il reperimento delle fonti e la loro interpretazione sul piano sistematico.

Il codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011) ha tentato di fornire un ordine preciso alla materia, ricomprendendo al suo Libro I le misure di prevenzione personale patrimoniali; l'amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati confiscati; la tutela dei terzi e rapporti con le procedure concorsuali; effetti, sanzioni e disposizioni finali[25].

Il livello delle garanzie e i presupposti sostanziali hanno rappresentato il volano della discussione attorno alla legittimità costituzionale delle misure di prevenzione patrimoniali. La discussione si era aperta da tempo con riguardo alle misure di prevenzione personali, in quanto ritenute eccessivamente invasive dei diritti fondamentali della persona, ancorché sganciate da quelle garanzie (su tutte, la doppia riserva di legge e di giurisdizione ex art. 13 Cost.) che fanno da contrappeso all'invasione della sfera personale.

Nel caso delle misure patrimoniali, la questione ha riguardato anche le disposizioni della c.d. “Costituzione economica”, con riguardo alle disposizioni sulla proprietà privata, l'iniziativa economica e la tutela del risparmio[26].

Una parte della dottrina[27] fa risalire il fondamento costituzionale di tali misure al dettato degli artt. 41-42 Cost., laddove si consente il controllo legislativo sull’iniziativa economica, affinché non arrechi “danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana”, in primo luogo; in secondo luogo, laddove si prevede il contemperamento della proprietà privata al fine di garantirne la funzione sociale.

Inoltre, la Corte di Cassazione appare orientata a rigettare il criterio dell'inversione dell'onere della prova, richiedendo che la provenienza delittuosa dei beni sia dichiarata sulla base “di elementi indiziari di inequivoca sintomaticità”[28].

La legittimità delle misure di prevenzione è stata sottoposta nel corso del tempo anche al vaglio della Corte EDU si Strasburgo, data la centralità assunta dalla CEDU negli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Le norme di riferimento sono in questo caso gli artt. 5 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte EDU si è pronunciata per la prima volta sulle misure di prevenzione patrimoniale nel caso Raimondo del 1994[29]. I giudici di Strasburgo non riscontrarono alcuna violazione della Convenzione circa la configurabilità del sequestro di prevenzione, sia con riguardo al rispetto dei beni, che alla ragionevole durata del procedimento (non si è ritenuto estendibile al procedimento di prevenzione tale ultimo principio, pensato per il processo penale).

Nel caso Riella e altri del 2001, la Corte EDU si è diffusa nell'analisi circa la natura e la funzione della prevenzione patrimoniale, sentenziando come l’ablazione patrimoniale ad essa connessa nella potestà di imperio statuale circa l'adozione di “leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare all'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale”[30].

La qualificazione giuridica della prevenzione patrimoniale non è di semplice risoluzione, come più sopra rilevato. La Corte EDU ha assunto la posizione di tenerla al di fuori dell'area penale e quindi dall'alveo delle garanzie ad essa ricollegate, in quanto il loro fondamento sarebbe da rinvenire nella pericolosità dei beni illecitamente accumulati e non nella preventiva commissione di una accertata attività delittuosa[31].

Secondo parte della dottrina, alla stregua dei criteri “Engel” (risalenti al caso Engel e altri c. Paesi Bassi), le misure di prevenzione patrimoniale andrebbero declinate alla stregua di sanzioni penali: 1) qualificazione giuridico-formale sancita dal diritto nazionale, 2) natura dell'illecito, 3) natura e gravità della sanzione. Non è richiesta la loro presenza simultanea, potendo venire dunque in gioco solamente il grado di afflittività della sanzione[32].

Cosi declinata, la confisca assumerebbe carattere sanzionatorio e dunque la sua applicabilità non potrebbe retroagire.

La recente sentenza della Corte EDU De Tommaso c. Italia ha inciso fortemente sulle misure personali, ma non su quelle patrimoniali. Un’incidenza indiretta potrebbe manifestarsi sulla applicabilità delle misure patrimoniali fondate sulla c.d. “pericolosità generica” dei soggetti destinatari, ai sensi della L. 125/2008[33].

Per la giurisprudenza della corte di Strasburgo le misure di prevenzione non violano i principi del diritto penale liberale e sono da considerarsi come ben distinte e separate rispetto alla sanzione penale, diretta conseguenza di una violazione, colpevole, di una norma penale.

Sulla scia della sentenza De Tommaso c. Italia, la Corte d’appello di Napoli ha sollevato questione di costituzionalità con riguardo non soltanto l’applicabilità delle misure personali, ma anche di quelle reali, fondando la questione sulla carenza della base legale necessaria onde comprimere il diritto alla proprietà, di cui all’art. 1, prot. 1 della Convenzione Europea, emersa a seguito dell’intervento della Corte di Strasburgo[34].

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 24 del 2019 ha risolto la questione, affermando come il diritto di proprietà, nel caso dei beni di illecita provenienza, risulti geneticamente alterato, data l’illecita acquisizione dei beni, che proprio perché acquisiti in violazione delle leggi vigenti si pongono in contrasto con la finalità sociale cui il diritto di proprietà deve tendere. Su questa premessa, le misure ablatorie del sequestro e della confisca si pongono come ripristinatorie della situazione giuridica precedente alla acquisizione illecita[35].

Lo Stato è libero di adottare le misure di contrasto che meglio ritiene opportuno onde fornire una risposta giuridicamente adeguata al proliferare delle ricchezze e dei capitali mafiosi.

Nella medesima sentenza la Corte Costituzionale si premura di sviscerare uno statuto costituzionale delle misure di prevenzione.

In primo luogo, devono essere previste da una legge; è necessario che la misura sia rispondente al parametro della proporzionalità, in relazione agli obiettivi perseguiti dal legislatore; le misure vanno, infine, erogate a seguito di un procedimento che, seppur meno articolato del processo penale strictu sensu, sia idoneo a garantire il diritto di difesa del proposto.

Sul piano del diritto interno, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2014 hanno avallato l’orientamento prevalente, secondo il quale è applicabile retroattivamente la novella del 2009 con riguardo all'operatività disgiunta delle misure di prevenzione patrimoniali rispetto a quelle personali, disancorando le prime dal criterio della pericolosità sociale[36].

Per quello che concerne l’applicabilità disgiunta della confisca di prevenzione, le preoccupazioni vertono sul forte grado di afflittività che un istituto così concepito reca seco. Un provvedimento monco del preventivo accertamento sulla pericolosità sociale del soggetto destinatario sembra difficilmente conciliabile con i principi basilari del nostro diritto penale, in particolare col diritto di difesa e la presunzione di innocenza[37]. Il modello di prevenzione che la dottrina penalistica aveva promosso nel corso degli anni era pensato sulla sola assenza del requisito di attualità della pericolosità sociale.

L'ablazione patrimoniale così concepita poggia le proprie fondamenta sulla sproporzione tra i beni posseduti e la capacità reddituale dei soggetti destinatari. Il prof. Maiello propone nella sua opera l'accertamento della pericolosità sociale in via incidentale, trovando una sponda favorevole nella dottrina del dott. Pignatone, il quale ultimo rievoca il requisito di attualità come l'unica circostanza da cui poter prescindere nel corso dell’accertamento[38].

Questo orientamento era stato già proposto dalla giurisprudenza di merito.

Se il soggetto destinatario della misura di prevenzione patrimoniale muore, entro cinque anni dall'evento morte il processo di prevenzione potrà essere instaurato contro i suoi eredi e aventi causa. Dovrà in questo caso essere provata la fattispecie soggettiva su cui la misura di prevenzione patrimoniale poggia le proprie fondamenta. Una siffatta impostazioni ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale, in particolare con riguardo alla violazione del principio del contraddittorio, non potendo più il prevenuto contraddire di persona a causa dell'evento nefasto. Violazione che sarebbe ancora più marcata nel caso del mancato accertamento circa la pericolosità sociale del soggetto destinatario[39].

La Corte costituzionale con la sentenza n. 21/2012 non ha accolto tale motivo di doglianza, dichiarando non fondata la questione per il sol fatto che il soggetto non è più parte del procedimento e pertanto risulta insuscettibile di subire violazioni processuali[40].

Per quello che concerne la posizione degli altri soggetti (successori e aventi causa) i giudici costituzionali riconducono la diversa conoscenza dei fatti non già alla posizione processuale degli stessi, bensì al solo piano conoscitivo, spostando il baricentro della questione dal piano astratto a quello concreto, così da consentire la procedibilità nei loro confronti. La Corte costituzionale sottolinea inoltre come il processo penale e quello di prevenzione presentino strutture differenti, potendo il fatto di reato essere accertato in sede diversa da quella penale in assenza del suo autore. La ratio che sorregge la prevenzione, inoltre, trascende la pericolosità sociale del soggetto e pertanto non necessita della sua permanenza in vita.

Si ritiene in ogni caso necessario l'accertamento incidentale riguardo il profilo della pericolosità sociale, in mancanza del quale la confisca assumerebbe i caratteri dell'espropriazione[41].

Il presupposto oggettivo della confisca è rappresentato dalla disponibilità del bene da parte del soggetto. Tale requisito può essere integrato anche da una relazione indiretta o di mero fatto col bene, non necessitando di una relazione giuridicamente qualificata[42]. La posizione della giurisprudenza (prima quella di merito e più recentemente anche quella di legittimità) è stata quella di ricondurre il requisito della disponibilità alla categoria civilistica del possesso, non ritenendo sufficiente la mera relazione di fatto.

I beni del coniuge, dei figli e dei conviventi nell’ultimo quinquennio si presumono nella disponibilità del soggetto indiziato (si integra in questo caso l'ipotesi della “confisca estesa”)[43]. Un caso di particolare rilevanza è dato dalla gestione o partecipazione dell'indiziato ad attività d’imprese. La confisca potrebbe in tal caso investire tutto il capitale sociale della persona giuridica, ove si provasse che l’indiziato fosse “il gestore occulto” della società, in termini di finanziamento e decisioni[44].  L'impresa mafiosa rappresenta notoriamente lo snodo principale quando si tratta di eludere i meccanismi della prevenzione patrimoniale.

La disponibilità in forma indiretta di articola nel requisito dell'appartenenza dei beni oggetto di confisca. Alla categoria dell'appartenenza vengono ricondotti il diritto di proprietà e quei diritti reali relativi che rechino seco la disponibilità della res. Si tratta di un requisito processuale che implica una mera titolarità formale, a differenza dell'appartenenza di cui all'art. 240 c.p., che implica una situazione sostanziale[45].

La disponibilità in forma indiretta è pensata per colpire i fenomeni di intestazione fittizia di beni ( che hanno la finalità di eludere la prevenzione patrimoniale ) e questo si riverbera anche sul piano processuale, in quanto la vocatio in ius è prevista anche per i titolari formali, ma una loro mancata comparizione in giudizio non sarà ostativa dello svolgimento del processo, venendo classificata come mera irregolarità (ciò varrà anche per il curatore fallimentare di beni sottoposti a procedura concorsuale)[46].

L'altro requisito che legittima la prevenzione patrimoniale è quello della sproporzione tra i beni posseduti e i redditi dichiarati o l'attività economica svolta, tale da fare ritenere il bene interessato come frutto di reimpiego, ovvero connesso ad attività illecita del soggetto indiziato[47]. L'obiettivo perseguito dal legislatore era quello di intercettare il denaro frutto di attività illecita, nonché i beni acquisiti con tale denaro ed il loro eventuale reimpiego. La valutazione di proporzionalità deve vertere su di un singolo bene, valutando l'incremento patrimoniale che esso ha determinato alla stregua del reddito dichiarato al momento del suo acquisto. I redditi presi in considerazione devono essere valutati al netto delle ritenute fiscali e del quantum necessario al sostentamento familiare[48]. Secondo una parte della dottrina[49], l'accertamento patrimoniale deve essere condotto in concreto con un raffronto puntuale tra gli investimenti effettuati e i periodi temporali di riferimento, così da escludere che vi sia sproporzione quando le uscite siano bilanciate dalle entrate. Oltre alla sproporzione, la confisca può basarsi anche sulla provenienza del bene da attività illecita di tipo generico, cioè non necessariamente mafiosa (come invece richiesto per la confisca di cui all'art. 416 bis c.p.).

Le SS. UU. della Suprema Corte di Cassazione hanno di recente affermato, tuttavia, che i proventi realizzati a mezzo di evasione fiscale non hanno rilevanza al fine di integrare il requisito della sproporzione[50].

In tema di onere della prova, la Corte di Cassazione ha escluso che si tratti di un caso di inversione della stessa, in quanto l’ablazione patrimoniale verte su fatti sintomatici di mafiosità (quali la sproporzione e il reimpiego in arrivo illecite), lasciando in capo al soggetto proposto la facoltà di dimostrare la loro legittima provenienza.

In ossequio al dettato dell'art. 42 Cost., la misura ablatoria dovrà essere conforme al principio di equità e colpire solo i beni che siano illeciti alla luce dei criteri di sproporzione e reimpiego e non tutti i beni complessivamente considerati. La questione assume importanza particolare nel secondo caso, ove il reimpiego determini un dato accrescimento patrimoniale: la misura ablatoria dovrà colpire soltanto l'accrescimento che l'attività illecita ha determinato e non il bene che ne stava alla base, ben potendo quest'ultimo essere stato lecitamente acquistato in precedenza[51]. Se invece il bene considerato risulta interamente strumentale al perseguimento di attività illecite, non sarà possibile discernere tra una parte lecita e una illecita del bene stesso, con la conseguenza che la misura ablatoria investirà il bene nella sua totalità[52].

Da quanto emerso dall'analisi fin qui svolta, si evince come sia necessaria l’individuazione di volta in volta dell'epoca temporale dell'accumulazione illecita[53]. Gli orientamenti della giurisprudenza sul punto sono assai contrastanti: un primo orientamento ritiene che sia sufficiente la presenza di una misura personale in capo a un soggetto ritenuto socialmente pericoloso e che lo stesso sia in possesso di beni sproporzionati alla sua capacità reddituale, di cui non sia dimostrata la legittima provenienza, a prescindere dal tempo in cui furono acquisiti.

Un altro orientamento, più esigente, ritiene che debbano provarsi in concreto la sproporzione, ovvero la provenienza da attività illecita, dei singoli beni e il nesso di causa tra l'attività mafiosa e la provenienza del bene.

Un altro e più ponderato orientamento richiede che sia accertata in concreto la correlazione temporale tra acquisizione di beni e pericolosità sociale, richiedendo che i beni vengano ablati se intervenuti nel patrimonio del sospettato successivamente, o almeno contestualmente, all'inizio della sua attività mafiosa[54].

La carenza sul piano testuale della normativa circa precisi limiti di sorta, ha fatto propendere la giurisprudenza per interpretazioni che si basassero sulla pericolosità anche dei capitali acquisiti ex ante rispetto alla pericolosità sociale, in quanto la disponibilità di capitali legata alla sopravvenuta attività criminale dei soggetti sarebbe idonea a rafforzare il sodalizio mafioso e ad alterare gli equilibri dell'economia legale[55].

La pericolosità sociale del soggetto viene così estesa dalla sfera personale a quella patrimoniale.

Una dottrina minoritaria ritiene invece di dover ricondurre il problema alla dimostrazione di liceità circa la provenienza del bene. Se quest’ultimo si dimostri acquisito in epoca assai precedente all'attività delittuosa e magari a mezzo delle risorse economiche di terze persone o comunque con redditi di lecita provenienza, non sarebbe suscettibile di ablazione[56].

2. I soggetti destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali.

L'art. 16 del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. codice antimafia) disciplina i soggetti destinatari delle misure patrimoniali, che innanzitutto individua con i destinatari della prevenzione personale (rinviando all'elencazione di cui all'art. 4 d.lgs. n. 159/2011).

A questi si aggiungono “le persone fisiche e giuridiche segnalate al comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi siano fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, o contati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”[57]. Sono esclusi i soggetti indiziati di appartenere ad associazioni terroristiche, salvo il caso in cui abbiano la finalità di compiere atti delittuosi di portata internazionale. La prevenzione patrimoniale si applica anche ai collaboratori di giustizia, mentre ne sono esclusi l'infra diciottenne e gli infermi di mente[58].

Con riguardo ai collaboratori di giustizia, un orientamento minoritario in giurisprudenza aveva adottato nei loro riguardi una presunzione di non pericolosità. Tale impostazione è stata ribaltata dalla dottrina e della giurisprudenza maggioritaria, che non hanno ritenuto di ravvisare nella scelta collaborativa una tale presunzione, esigendo un accertamento concreto sul punto.

Sempre con riguardo ai soggetti destinatari, la riforma del 2017 ha ampliato il novero degli stessi, arrivando a ricomprendervi i soggetti indiziati del reato di associazione per delinquere ex art. 416 c.p. finalizzata a commettere delitti contro la pubblica amministrazione (ex artt. 314 ss. c.p.).

La dottrina ha criticato una tale impostazione, ribadendo come le misure di prevenzione antimafia siano rivolte al contrasto delle associazioni mafiose e non si prestino ad essere estese fino alla commissione dei delitti contro la P.A.[59]

Il legislatore si è dimostrato sensibile ai dettami della sentenza CEDU De Tommaso c. Italia, che aveva censurato il ricorso a fattispecie contraddistinte da c.d. “pericolosità generica”. Individuando i soggetti destinatari nei soggetti indiziati del delitto di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di reati contro la P.A., il legislatore ha fornito una base legale solida e certa, si da fornire ai consociati un sicuro ancoraggio per quello che concerne la intelligibilità dei precetti e le conseguenze che da essi possono derivare.

La compatibilità con la giurisprudenza della CEDU non appare in discussione. Se, da una parte, viene fatto notare come la CEDU abbia riconosciuto in passato la compatibilità di tali misure con riguardo al contrasto della criminalità mafiosa, in quanto particolarmente efferata e socialmente pericolosa, da un’altra si rende opportuno evidenziare come la corte, in realtà, lascia allo Stato nazionale l’autonomia di determinare le misure di contrasto ai fenomeni criminali cui deve far fronte, pertanto nulla osta, da questo punto di vista, alla legittimazione sistemica delle misure di prevenzione, salva la valutazione in concreto circa l’attuale portata criminogena dei delitti contro la P.A., cui parametrare le misure di contrasto.

La misura del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis (che verrà sviscerata nelle prossime pagine) può essere applicata, infine, a quei soggetti il cui libero esercizio di attività economica possa agevolare l’opera dei soggetti destinatari, così come novellati ai sensi della L. 161/2017.

3. Le singole misure di prevenzione patrimoniale.

Detto che i soggetti destinatari della prevenzione patrimoniale sono quelli di cui all'art. 16 d.lgs.  n. 159/2011 e che le misure de qua vanno ad incidere sulle situazioni patrimoniali di detti soggetti, esponiamo di seguito le singole misure.

Partendo dalla cauzione, avvertiamo fin da subito che il d.lgs. n. 159/2011 ne disciplina due diversi tipi: una obbligatoria e una discrezionale.

La prima (disciplinata all’art. 31, comma primo, d.lgs. n. 159/2011) è imposta dal tribunale a mezzo del versamento presso la cassa delle ammende, da parte dell'interessato, di una somma che sia “una efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte”, previa valutazione “delle sue condizioni economiche e dei provvedimenti adottati a norma dell'art. 22”[60].

Il provvedimento è di tipo accessorio e questo offre il destro alle parti di controbattere “sull'an e sul quantum della cauzione”[61].

La cauzione discrezionale è disciplinata dal comma secondo dello stesso articolo e può trovare applicazione “nei confronti di persona denunciata in via provvisoria e qualora se ne ravvisi l'opportunità”[62]. È data facoltà all'interessato di poter prestare idonea garanzia (pegno o ipoteca) in luogo del versamento della cauzione. Se il tribunale accoglie le garanzie, con lo stesso decreto stabilisce le modalità di conservazione dei beni oggetto della garanzia stessa[63].

L'art. 67, comma terzo, d.lgs. n. 159/2011 contempla le misure interdittive provvisorie, che sono disposte dal tribunale sulla base di “motivi di particolare gravità” con riguardo ad esigenze cautelari che vertono sulla raccolta delle prove da spendere nel corso del processo di prevenzione.

Con queste misure si sospende l'efficacia di licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni e abilitazioni di cui ai commi primo e secondo dello stesso articolo 67 d.lgs. n. 159/2011[64].

I primi due commi dell'art. 67 d.lgs. n. 159/2011 contemplano le misure interdittive obbligatorie, che si basano sulla precedente applicazione in via definitiva di una misura di prevenzione personale. Il primo comma sancisce tutta una serie di divieti in termini di licenze, autorizzazioni, concessioni, abilitazioni ecc. Il comma secondo aggiunge che è inoltre fatto divieto ai soggetti interessati di stipulare contratti con la pubblica amministrazione. I predetti divieti si estendono anche, per la durata di anni cinque, alle persone conviventi e a quelle società e imprese suscettibili di subire l’influenza del prevenuto in termini di amministrazione o finanziamento.

La Corte Costituzionale ha stabilito con sentenza n. 510/2000 che i conviventi di cui sopra debbono essere coinvolti negli interessi economici del soggetto prevenuto, ben potendo provare la loro estraneità ai fatti con qualunque mezzo idoneo nel corso del processo di prevenzione[65].

Il comma quinto dell'art. 67 permette al giudice di non adottare i provvedimenti interdittivi qualora la loro adozione faccia venire meno i mezzi di sostentamento al prevenuto e alla famiglia (sono esclusi i divieti in materia di armi ed esplosivi). È fatto divieto ai destinatari della prevenzione personale in via definitiva di fare propaganda nell'occasione delle consultazioni elettorali. Divieti e decadenze sono sempre da applicare ai soggetti condannati, anche solo in grado di appello, ai sensi dell'art. 51, comma 3 bis c.p.p.

L'art. 68 d.lgs. n. 159/2011 disciplina il principio del contraddittorio in tale procedimento, consentendo alle parti di effettuare le loro deduzioni ed addurre i mezzi di prova nel corso della camera di consiglio[66].

In un numero limitato di casi e su richiesta del procuratore della Repubblica competente, le misure de qua possono essere adottate anche dal questore o dalla Direzione investigativa antimafia (in quest'ultimo caso, nella persona del direttore).[67]

La natura di queste sanzioni è assai dibattuta in dottrina. Si distinguono sul punto tre orientamenti. Un primo orientamento attribuisce loro un carattere afflittivo e repressivo; un secondo le riconduce alle sanzioni amministrative; un terzo le riconduce al potere di autotutela delle pubbliche amministrazioni[68].

Dato il grado degli interessi presi di mira, non appare configurabile la loro qualificazione nei termini di mera sanzione amministrativa.

In mancanza di riferimenti certi con riguardo alla durata dei divieti di cui sopra, la giurisprudenza tende ad equipararli alle misure di prevenzione e fissa il limite massimo nella durata di anni cinque[69]. Lo stesso criterio ermeneutico viene adottato nell'estendere gli effetti della riabilitazione alle misure interdittive, facendone cessare i divieti[70].

L'art. 33 d. lgs. n. 159/2011 disciplina la misura dell'amministrazione giudiziaria dei beni personali, che il tribunale può affiancare alla misura personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. I soggetti destinatari sono individuati all'art. 4, comma primo d.lgs. n. 159/2011, esclusi i soggetti di cui alle lettere a), b) ed i). Presupposto per l'applicazione della misura sono i sufficienti indizi inerenti il fatto che la libera disponibilità dei beni in capo al soggetto destinatario della misura agevoli l'attività socialmente pericolosa[71].

Si tratta della prima misura ad efficacia reale introdotta nel nostro ordinamento giuridico, a mezzo della Legge n. 152/1975 (la limitazione ai beni personali ne ha molto limitato l'applicazione).

Sono esclusi dal novero dei soggetti destinatari gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, gli indiziati di reato ai sensi dell'art. 51, comma 3 bis, c.p.p. e 12 quinques, comma primo, Legge n. 356/92 e gli indiziati di aver agevolato gruppi che hanno preso parte a manifestazioni di violenza ex art. 6 Legge n. 401/89[72].

Le prime due categorie di soggetti sono state escluse in ragione della inidoneità dello strumento rispetto alla gestione dei grandi patrimoni criminali, mentre la terza presenta un carattere occasionale, scevro da rilevanza patrimoniale.

Se la misura è ritenuta sufficiente a soddisfare le finalità di tutela perseguite, può operare anche da sola, senza la previa applicazione della misura personale. La durata massima è stabilita in anni cinque, rinnovabili ove permangano le condizioni che ne hanno determinato la prima applicazione. Dell'amministrazione si occuperà un amministratore, nominato dal tribunale ex art. 35 d.lgs. n. 159/2011[73].

Vediamo ora più da vicino le diverse forme di confisca previste in seno al codice antimafia, cui già abbiamo fatto cenno nelle pagine precedenti.

L'art. 24, comma primo, d.lgs. n. 159/2011, prevede nei confronti del soggetto interessato la confisca[74] dei beni di cui non sia dimostrata la legittima provenienza e che risultino essere nella disponibilità (diretta o indiretta) del soggetto stesso[75].

La norma rappresenta la trasposizione sul piano normativo dell'elaborazione giurisprudenziale sulla materia risalente all'epoca immediatamente antecedente rispetto all’emanazione della normativa.

La qualificazione giuridica della confisca così concepita ha dato luogo ad un lungo dibattito sia sul versante dottrinale che su quello giurisprudenziale.

Ad un orientamento dottrinale che le attribuisce una funzione di prevenzione, in quanto idonea ad ablare i patrimoni nella disponibilità di organizzazioni mafiose (che se permanessero nelle loro mani ne accrescerebbero il potenziale criminoso), se ne contrappone un altro che attribuisce alla confisca un carattere afflittivo, in quanto idonea a colpire quei patrimoni che sono necessariamente il frutto di attività delittuose, sanzionando dunque sulla base di soli indizi quelli che a tutti gli effetti sono fatti di reato[76].

Anche la giurisprudenza si è divisa sul punto, ravvisando delle volte un tertium genus rispetto alle misure sanzionatorie e preventive, consistente in una sanzione amministrativa recante i caratteri tipici della confisca ex art. 240 c.p., altre volte individuando in essa una figura nuova ed atipica avente carattere preventivo ma natura afflittiva[77].

L'art. 25 d.lgs. n. 159/2011 prevede la figura della confisca per equivalente, per l'eventualità in cui il soggetto interessato “disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l'esecuzione su di essi dei provvedimenti di sequestro e confisca”. In questi casi la confisca verterà su beni dal volere equivalente a quello non più suscettibile di soddisfare le esigenze di prevenzione[78].

Viene in questo caso eroso il principio di stretta corrispondenza tra confisca e bene di provenienza illegittima e questo comporta che il bene equivalente che si andrà ad aggredire dovrà essere nella disponibilità diretta (e non mediata) del soggetto destinatario della misura di prevenzione[79]. L'origine dei beni oggetto di confisca equivalente viene ad essere dunque lecita e l'intervento ablatorio trova giustificazione nella condotta del soggetto interessato, che ha inteso distrarre i beni di provenienza illecita alla prevenzione patrimoniale.

Non sono previsti precisi limiti temporali, dovendo in ogni caso essere provata la condotta dolosa di distrazione dei beni. L'intento della norma è quello di disinnescare le risorse patrimoniali delle organizzazioni mafiose.

Il giudice nell'adottare il provvedimento di confisca nel caso di beni alienati a terzi soggetti in buona fede, va ad invadere uno spazio giuridico di impronta civilistica, che trova giustificazione con la necessaria tempestività dell'intervento preventivo[80]. Se il giudice accerta la regolarità dell'atto di alienazione, emette direttamente il provvedimento sui beni di valore equivalente. Ma il giudice potrebbe rilevare anche un aspetto meramente fittizio dell'atto di alienazione e dunque dichiararne la nullità, andando ad aggredire i beni che in origine sono stati individuati come i proventi di attività delittuose[81]. Dirimente risulterà l'accertamento circa il potere di fatto esercitato sul bene, a prescindere dalla titolarità formale dello stesso. È necessario che nel corso del processo si integri il contraddittorio nei confronti dei terzi titolari formali del bene aggredito, al fine di rendere la statuizione effettiva nei suoi confronti (principio del litisconsorzio necessario). Con la declaratoria di nullità, il bene verrà espunto dal patrimonio del fittizio intestatario, con pregiudizio inevitabile per i suoi creditori[82]. La norma di cui all'art. 26, comma secondo, del codice antimafia, introduce anche due presunzioni iuris tantum di fittizia intestazione. Si tratta di presunzioni relative, che sono superabili a mezzo di prova contraria, invero assai rigorosa in punto di accertamento. Nel caso di atti a titolo gratuito, rileva all'uopo l'animus donandi dell'alienante, che sia cioè consapevole circa i motivi che lo spingono a porre in essere l'atto di liberalità. Allo stesso regime probatorio sarà sottoposto l'avente causa, che dovrà ricostruire i motivi che lo hanno indotto alla stipula dell'atto. In caso di intestazione fiduciaria, ad avere rilevanza è il patto fiduciario, nei suoi contenuti e nelle ragioni che lo hanno determinato. Una dottrina più esigente richiede anche la prova circa la buona fede (che dunque non sarebbe più presunta) con riguardo all'estraneità dell'atto rispetto alla condotta delittuosa del dante causa[83].

Gli atti di alienazione a titolo oneroso stipulati nei due anni antecedenti sono sottoposti al medesimo regime di presunzioni relative, superabili con la dimostrazione in termini probatori circa l’effettività degli atti posti in essere.

L'art. 32, comma primo, d.lgs. n. 159/2011 disciplina la confisca della cauzione, che trova applicazione quando il prevenuto non ottemperi alle prescrizioni ad esso imposte dal regime di prevenzione. Può avvenire anche tramite l'esecuzione dei beni prestati in garanzia. Competente è il tribunale che in precedenza aveva imposto il versamento della cauzione. Se dopo il provvedimento di confisca o esecuzione sui beni permangano le condizioni che avevano determinato il versamento della prima cauzione, il tribunale dispone il rinnovo della cauzione, anche in misura superiore rispetto a quella originaria[84].

L'art. 34, comma settimo, d.lgs. n. 159/2011, dispone la confisca dei beni già assoggettati ad amministrazione giudiziaria, entro quindici giorni dalla scadenza di quest'ultima. Trattandosi di beni connessi ad attività economiche, si è discusso sulla legittimità di questa forma di confisca, in quanto sganciata in maniera netta dai presupposti della prevenzione personale[85].

Tutta la disciplina circa l'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche è contenuta all'art. 34 d.lgs. n. 159/2011.

Quando si ritiene che l’esercizio di attività economiche sia assoggettato ad intimidazione ai sensi dell'art. 416 bis c.p., ovvero possa lo stesso esercizio agevolare le attività di persone sottoposte a prevenzione personale o a procedimento penale per i delitti di cui all'art. 4, comma primo, lett. a) e b), il tribunale della prevenzione (ovvero gli altri soggetti attivi nella medesima procedura di prevenzione) può chiedere al tribunale competente un approfondimento circa i beni posseduti e il rapporto di proporzionalità tra questi e i redditi dichiarati, così da giustificarne la provenienza. Si applica questo procedimento in assenza dei presupposti della prevenzione ante delictum[86].

Il tribunale può avvalersi in questo caso dell’attività investigativa della polizia giudiziaria. Le indagini verteranno sull'attività economica (accertamenti contabili) dell'impresa che si ritiene assoggettata alle attività illecite di persone già prevenute, ovvero sottoposte a procedimento penale per i reati di cui all'art. 4, comma primo, del codice antimafia. L'amministrazione giudiziaria ha una durata di sei mesi, rinnovabili (una sola volta) nel caso di permanenza delle condizioni che ne hanno determinato l'applicazione[87].

Nel disporre la revoca della misura, il tribunale potrà chiedere col medesimo provvedimento il controllo giudiziario sui beni stessi per la durata di tre anni (nel minimo). Il destinatario dovrà rendicontare al questore, ovvero all'autorità di polizia, circa gli atti compiuti dalla persona giuridica che abbiano un valore superiore a venticinquemila euro (salvo diversa statuizione del tribunale, comunque commisurata alle dimensioni dell'azienda nel caso concreto) entro dieci giorni dal loro compimento e in ogni caso entro il trentuno gennaio con riguardo agli atti posti in essere nell'anno precedente[88].

Da ultimo, si segnala la novità apportata dalla già citata legge 161/2017.

La novella legislativa ha inteso realizzare una modifica organica del codice antimafia, improntata a realizzare un equilibrio tra l’attività di contrasto alle condotte di infiltrazione mafiosa, da un lato, e la continuità della gestione aziendale, con conseguente salvaguardia dell’avviamento delle imprese coinvolte, dall’altro. Una sorta di opera di flessibilizzazione del codice antimafia, che conferisce al giudice un più ampio margine di discrezionalità nella scelta della misura da adottare, a seconda del livello di invasività delle infiltrazioni mafiose. La misura del controllo giudiziario, di cui al novellato art. 34-bis d. lgs. 159/2011, consente all’autorità giudiziaria di non operare ab initio lo spossessamento aziendale, in maniera tale da permettere all’impresa di intraprendere un percorso “terapeutico” volto ad emendarla dalle infiltrazioni mafiose. La misura de qua è suscettibile di essere richiesta direttamente dall’azienda che sia destinataria di una informazione antimafia interdittiva (dubbi sorgono sulla operatività di tali ultime disposizioni nei confronti delle aziende private. In senso contrario si è espresso il Consiglio di Stato con la sent. n. 452/2020, secondo cui l’informativa sulla interdittiva antimafia della Prefettura compete unicamente alla pubblica amministrazione e non può essere chiesta dai privati.).[89]

4. Considerazioni conclusive.

L’azione di contrasto al fenomeno mafioso e alla rete di relazioni col mondo della società civile (che ne rappresenta il risvolto più pericoloso) si snoda con sempre maggiore frequenza lungo il crinale dell’ablazione dei proventi illeciti.

La grande disponibilità di capitali frutto di attività criminose e il loro reimpiego nei circuiti dell’economia legale ha determinato nel corso della storia la crescita esponenziale del fenomeno mafioso, fino al punto di legittimarne la presenza, soprattutto nei territori di tradizionale insediamento mafioso, notoriamente caratterizzati da grande depressione economico-finanziaria.

Le iniziative economiche intraprese dalle organizzazioni mafiose non di rado si propongono di risolvere, o quanto meno alleviare, la crisi occupazionale nelle regioni del meridione, dissimulando in questo modo le attività di reimpiego di quei capitali provenienti da traffici illeciti.

Appare come un ineludibile dato di realtà il fatto che l’azione delle mafie e il loro perpetuarsi siano riconducibili alla elevata disponibilità di capitali di cui godono.

Colpire i patrimoni mafiosi determina cosi un forte indebolimento delle organizzazioni mafiose, ma gli strumenti delle misure di prevenzione sono tutt’altro che monchi di controindicazioni, in particolar modo sul piano delle garanzie per i soggetti destinatari.

L’attenta valutazione e il rigoroso accertamento del quadro indiziario in sede giudiziale rappresentano in questo senso le garanzie di maggior pregio.

 
 

Note e riferimenti bibliografici

[1] C. VISCONTI, Strategie di contrasto dell'inquinamento criminale dell'economia: il nodo dei rapporti tra mafie e imprese, in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 2/2014, pp. 705-737.

[2] Cfr. sull’argomento la profonda analisi di A. CISTERNA, Prevenzione personale e patrimoniale (prassi giudiziarie e riforma normativa), in Dig. Disc. Pen., 2018.

[3] Ivi, p. 713.

[4] Ivi, p. 715.

[5] Ivi, p. 716.

[6] Ivi, p. 717

[7] Ibidem.

[8] Ivi, p. 718.

[9] Ivi, p. 719.

[10] G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè, Milano, 2015, p. 591.

[11] Ibidem.

[12] Ivi, p. 592.

[13] Ivi, p. 593.

[14] Ivi, p. 594.

[15] V. MAIELLO, La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 299 ss. .

[16] Ivi, p. 300.

[17] Ibidem.

[18] Ivi, p. 301.

[19] Ivi, p. 303.

[20] Ibidem. Cfr. sul punto F. MAZZACUVA, La prevenzione sostenibile, in Cass. Pen. 3/2018, pp. 1017 ss.

[21] V. MAIELLO, La legislazione penale, op. cit., p. 304.

[22] Ivi, p. 305.

[23] Ivi, p. 306.

[24] Ibidem.

[25] Ivi, p. 307.

[26] Ivi, p. 313.

[27] Ivi, p. 314. L'autore cita sul punto le opere di Fiandaca e Balsamo, di cui in bibliografia.

[28] Ibidem.

[29] Ivi, p. 315.

[30] Ivi, p. 316.

[31] Ibidem.

[32] Ivi, p. 317.

[33] F. MENDITTO, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la

modernizzazione e la compatibilità convenzionale del

sistema della prevenzione, in DPC 4/2017, pp. 128-174.

[34] Cfr. F. VIGANÒ, Illegittime le misure di prevenzione personali e patrimoniali fondate su

fattispecie di pericolosità generica? Una prima ricaduta interna della sentenza

de Tommaso, in DPC 3/2017, pp. 296-298; vedi sul punto anche A. M. MAUGERI, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica:

la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza

di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in DPC 3/2017, pp. 30-32

[35] G. GRASSO, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali nel sistema costituzionale, in Sistemapenale.it 14/02/2020.

[36] V. MAIELLO, La legislazione penale, op. cit., p. 318.

[37] Ivi, p. 383.

[38] Ivi, p. 384.

[39] Ivi, p. 387.

[40] Ivi, p. 388.

[41] Ibidem.

[42] Ivi, p. 389.

[43] Ivi, p. 390.

[44] Ibidem.

[45] Ivi, p. 391.

[46] Ibidem.

[47] Ivi, p. 392.

[48] Ibidem.

[49] Ivi, p. 293. L'autore cita i contributi di D’Ascola e Squillaci.

[50] Ivi, p. 394.

[51] Ibidem.

[52] Ivi, p. 395.

[53] Ibidem.

[54] Ivi, p. 396.

[55] Ibidem.

[56] Ivi, p. 397.

[57] Ivi, p. 367.

[58] Ivi, p. 368.

[59] P. PERRONE, La legge n. 161/2017 e le sue modifiche al d.lgs n. 159/2011 in tema di applicazione di misure di prevenzioni patrimoniali agli indiziati di reati contro la Pubblica amministrazione. Un invito alla magistratura: adelante con juicio, in questionegiustizia.it, la quale cita, tra gli altri, i rilievi critici sulla novella espressi dai professori Fiandaca, Flick, Cassese e Violante.

[60] Ivi, p. 371.

[61] Ibidem.

[62] Ibidem.

[63] Ibidem.

[64] Ivi, p. 372.

[65] Ivi, p. 375.

[66] Ivi, p. 376.

[67] Ivi, p. 377.

[68] Ibidem.

[69] Ivi, p. 378.

[70] Ivi, p. 379.

[71] Ibidem.

[72] Ivi, p. 380.

[73] Ibidem.

[74] Cfr. sull’argomento il recente contributo di F. VIGANÒ, “Riflessioni sullo statuto costituzionale e convenzionale della confisca “di prevenzione” nell’ordinamento italiano, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2/2018, pp. 610 ss.

[75] Ivi, p. 381. Sul criterio della sproporzione e su quelli relativi ad attività economiche, ovvero illecite, si rinvia a quanto più sopra esposto.

[76] Ivi, p. 383. Il primo orientamento viene proposto dal già citato prof. G. Fiandaca, il secondo dalla professoressa A. Maugeri.

[77] Ibidem.

[78] Ivi, p. 397.

[79] Ivi, p. 398.

[80] Ivi, p. 399.

[81] Ibidem.

[82] Ivi, p. 400.

[83] Ivi, p. 401.

[84] Ivi, p. 402.

[85] Ivi, p. 403.

[86] Ibidem.

[87] Ivi, p. 404.

[88] Ibidem.

[89] T. ALESCI, Controllo giudiziario - verso uno statuto delle impugnazioni delle misure di prevenzione patrimoniali, in Giur. It., 3/2020, pp. 676 ss.