Pubbl. Mar, 21 Lug 2020
Automatismi sanzionatori e offensività al vaglio della Corte costituzionale
Modifica paginaLa Corte Costituzionale ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del Codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. L´art. 69, comma 4, c.p. è stato oggetto di plurime censure nella parte in cui introduce una presunzione di prevalenza per la recidiva reiterata, in virtù proprio del principio di offensività. La previsione di simili automatismi sanzionatori è ammessa in via generale dall´ordinamento, ma occupa oggi un ruolo residuale sempre più circoscritto dall´intervento della giurisprudenza costituzionale.
Sommario: 1. Il principio di offensività in astratto. - 1.1. Il fondamento costituzionale del principio e il sindacato della Corte Costituzionale. 1.2. La censura all'aggravante di clandestinità. - 2. La sentenza della C. Cost. 73/2020. - 2.1. Il divieto di prevalenza ex art. 69, comma 4, c.p. - 2.2. La compatibilità degli automatismi con il principio di offensività.
1. Il principio di offensività in astratto.
1.1. Il fondamento costituzionale del principio e il sindacato della Corte Costituzionale.
L'offesa al bene giuridico protetto dalla norma penale può assumere la forma del danno o del pericolo. Quest'ultimo, a sua volta, si divide in astratto (o presunto) e concreto.
Il principio di offensività ha un suo fondamento sia a livello costituzione che codicistico. Nello specifico, secondo l'orientamento dottrinale ormai unanime, la necessaria offensività del fatto di reato, sia sul piano astratto che concreto, risponderebbe agli artt. 13, 21, 25 e 27 cost1.
Il principio, senza alcun dubbio valorizzato dalla Costituzione, si ricavava già dal solo sistema del Codice Rocco, in particolare dalla disciplina del reato impossibile (art. 49 c.p.). Si tratta di una fattispecie eccezionale caratterizzata dall'assenza di offesa in concreto; l'articolo espressamente fa riferimento all'impossibilità dell'evento dannoso o pericoloso derivante dall'inidoneità dell'azione o dall'inesistenza dell'oggetto.
La nozione di evento deve qui intendersi nella sua accezione di evento giuridico e dunque di lesione al bene giuridico (offesa). L'esclusione della punibilità si giustifica perciò in virtù dell'assenza di un elemento essenziale del reato, ossia l'evento offensivo.
Il reato impossibile può quindi mostrare una pericolosità dell'agente, che legittima l'applicazione di misure di sicurezza, ma che non è punibile. Interessante notare come, già prima della Costituzione, il legislatore fascista abbia inserito un istituto che limita e preclude la punibilità della nuda cogitatio.
La dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato la duplice natura dell'offesa, precetto per il legislatore nella tipizzazione del reato (c.d. offensività in astratto) e per il giudice nell'accertamento del singolo fatto (c.d. offensività in concreto)2.
Ai fini della trattazione, deve valutarsi l'accezione in astratto dell'offensività, relativa alla tipizzazione del reato da parte del Parlamento. Il fatto di reato elaborato dal legislatore già sul piano astratto deve essere idoneo a ledere o a mettere in pericolo un bene giuridico meritevole di tutela.
Si tratta di valutazioni che prescindono dal caso concreto e rientrano nella competenza esclusiva del Parlamento, detentore del potere legislativo e delle scelte di politica criminale. Il sistema costituzionale di pesi e contrappesi attribuisce, tuttavia, alla Corte Costituzione un ruolo di controllo sulla legittimità e coerenza costituzionale delle norme di legge.
Nella valutazione sulla legittimità della norma, il Giudice costituzionale è limitato, in quanto le scelte di politica criminale non sono censurabili sotto il profilo dell'opportunità ma della sola ragionevolezza.
Il necessario bilanciamento tra interessi contrapposti e la tenuta del principio di separazione dei poteri, caratterizzante lo Stato di diritto, hanno portato la giurisprudenza costituzionale a definire il proprio accertamento in un sindacato negativo di ragionevolezza.
La scelta punitiva, allora, appare illegittima solo se manifestamente irragionevole. È evidente come fine di tale accertamento sia necessario rintracciare un tertium comparationis, rispetto a cui il trattamento sanzionatorio o la scelta incriminatrice appare irragionevole. Oggetto del sindacato è dunque l'accertamento di un'eventuale disparità di trattamento tra il reato e altra fattispecie o tra beni giuridici rilevanti.
Emblematica in tal senso la sentenza della Corte Costituzionale n.40/2019 che ha censurato l'art. 73, comma 1, del d.P.R. 309/1990 «nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni». 3
La sentenza si basa sull'irragionevole discrimine sanzionatorio tra la fattispecie del primo comma e qualla di lieve entità del quinto. La giurisprudenza costituzionale, in tal caso, ha rintracciato una disparità di trattamento del tutto irragionevole, che viola il principio di proporzionalità, corollario di quello di offensività.
1.2. La censura all'aggravante di clandestinità.
L'art. 3 Cost. trova applicazione nel giudizio di ragionevolezza e rappresenta il punto di equilibrio tra i vincoli costituzionali e la libertà del legislatore nelle scelte di politica criminale.
Degne di nota le censure mosse all'aggravante di clandestinità prevista all'art. 61, n.11-bis, c.p. In tal caso, l'aumento di pena derivava dalla qualità soggettiva dell'autore senza alcuna incidenza sull'offensività del fatto.
La circostanza di trovarsi illegalmente nel territorio dello Stato non incide in alcun modo sull'evento del reato, attenendo alla situazione soggettiva in cui versa l'agente.
Si trattava, dunque, di un istituto proprio del diritto penale d'autore, in cui la pena è collegata alla personalità e pericolosità dell'agente.
L'attuale ordinamento rifiuta una simile concezione soggettiva del reato che da un lato porta con sè l'inevitabile rischio di una strumentalizzazione del diritto penale per colpire determinate categorie di soggetti (c.d. diritto penale del nemico) e dall'altro ostacola la certezza del diritto e della pena.
Il sistema oggi presente nel nostro ordinamento appare in linea con la diversa concezione del diritto penale del fatto, per cui oggetto di repressione è il fatto offensivo e non la personalità o il modo di essere dell'agente4.
La Corte ha censurato la suddetta aggravante perché contrastante con gli artt. 25 e 27 Cost. e lesiva dei diritti inviolabili del singolo. Il principio di offensività, infatti, governa lo stesso bilanciamento tra beni giuridici contrapposti che è sotteso alle scelte di politica criminale.
In tal caso, in considerazione dei diritti fondamentali coinvolti, il Giudice delle leggi ha affermato che
«il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato, introducendo così una responsabilità penale d’autore in aperta violazione del principio di offensività5 ...Ogni limitazione di diritti fondamentali deve partire dall’assunto che, in presenza di un diritto inviolabile, «il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante».
«La necessità di individuare il rango costituzionale dell’interesse in comparazione, e di constatare altresì l’ineluttabilità della limitazione di un diritto fondamentale, porta alla conseguenza che la norma limitativa deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo sufficiente, ai fini del controllo sul rispetto dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta irragionevolezza»6».
Può osservarsi, allora, come la censura della norma penale per difetto di offensività in astratto possa derivare sia dall'assenza di offesa che da un difetto di proporzionalità tra offesa e risposta sanzionatoria.
2. La sentenza della C. Cost. 73/2020.
2.1. Il divieto di prevalenza ex art. 69, comma 4, c.p.
La questione posta all'attenzione della Corte riguardava il divieto di prevalenza per l'attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva reiterata.
I Tribunali rimettenti ravvisavano una lesione del principio di proporzionalità, in quanto l'art. 69, comma 4, c.p. avrebbe
«impedito al giudice di determinare una pena proporzionata rispetto alla concreta gravità del reato, e pertanto adeguata al grado di responsabilità “personale” del suo autore, non consentendo di tenere adeguatamente conto – attraverso il riconoscimento della prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente rispetto all’aggravante della recidiva reiterata – della minore possibilità di essere motivato dalle norme di divieto da parte di chi risulti affetto da patologie o disturbi della personalità che, seppur non escludendola del tutto, diminuiscano grandemente la sua capacità di intendere e di volere»7.
La Corte ha aderito a tale impostazione, censurando l'automatismo sanzionatorio rispetto al vizio parziale di mente. La preclusione del bilanciamento in situazioni di menomazione psichica impedirebbe, infatti, al giudice di quantificare correttamente la pena da irrogare, in violazione dell'art. 27 Cost.
La necessaria personalizzazione e la proporzionalità della pena concorrono al buon esito del processo rieducativo, calibrando la risposta sanzionatoria dello Stato al fatto posto in essere dall'agente nel caso concreto.
Oggetto dell'accertamento è stato, dunque, la legittimità della presunta prevalenza della recidiva reiterata sull'attenuante del vizio parziale di mente8.
2.2. La compatibilità degli automatismi con il principio di offensività.
Il principio di offensività non osta di per sé alla previsione di presunzioni, purchè queste siano fondate, ragionevoli e non alterino gli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale9.
Nelle sue scelte di politica criminale, allora, il legislatore deve considerare e rispettare gli equilibri imposti dalla Costituzione, nonché strutturare la fattispecie in ossequio ai principi di materialità e proporzionalità.
Ulteriori motivo di censura evidenziato dal giudice remittente riguardava l'art. 32 Cost. Lo stato di salute del singolo e la presenza di un vizio parziale di mente rilevano, infatti, sotto due profili.
In primo luogo, l'alterazione psichica incide sulla colpevolezza e deve quindi essere valutata ai fini della quantificazione della pena, ex art. 133 c.p.
In secondo luogo, la tutela della salute del reo rileva ai fini della funzione rieducativa della pena, per cui è assolutamente necessario considerare la personalità del soggetto e l'eventuale vizio di mente dello stesso.
La percezione che ha l'agente del fatto, viziato da un eventuale deficit di capacità, incide sul processo rieducativo ed è necessariamente oggetto di considerazione in fase esecutiva.
Rispetto al caso di specie, la Corte ha censurato l'automatismo sanzionatorio che, a fronte della reiterazione dei fatti di reato, preclude la valutazione del vizio parziale di mente. Ai fini della corretta personalizzazione della pena invece è necessario valutare entrambe le circostanze e sottoporle al bilanciamento.
Del resto, la previsione di un'attenuante specifica per il vizio parziale di mente evidenzia la necessità di considerare tale aspetto, non bastando i criteri dell'art.133 c.p. sulla gravità del reato, i quali operano all'interno della cornice edittale prevista per il singolo reato.
Il giudizio di bilanciamento delle circostanze ha la funzione di pervenire ad una corretta personalizzazione della pena e deve essere effettuato, dunque, alla luce del caso concreto.
La presenza di presunzioni non è di per sè illegittima laddove il giudizio di bilanciamento tra circostanze sia possibile ex ante. Il legislatore, dunque, è libero di inserire automatismi sanzionatori atti a inibire il bilanciamento, purchè simile preclusione sia ragionevole e basata su una valutazione possibile a priopri.
Nel caso in cui il peso delle circostanze non sia determinabile a priopri, come nel caso di specie, l'accertamento è di competenza del giudice chiamato a computare una pena personalizzata.
È dunque questo il profilo oggetto di censura da parte della Corte. L'aggravante della recidiva reiterata non sempre prevale sull'attenuante del vizio parziale di mente. Una presunzione del genere, dunque, secondo la Corte, è manifestamente irragionevole. L'adesione a una diversa impostazione porterebbe a
«indebite parificazioni, sotto il profilo sanzionatorio, di fatti di disvalore essenzialmente diverso, in ragione del diverso grado di rimproverabilità soggettiva che li connota: con un risultato che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempi ormai risalenti considerato di per sé contrario all’art. 3 Cost., prima ancora che alla finalità rieducativa e all’esigenza di “personalizzazione” della pena».
Le censure fatte all'art. 69, comma 4, c.p., negli ultimi anni mostrano una tendenza della giurisprudenza costituzionale a valutare negativamente l'uso delle presunzioni nel diritto penale. L'automatismo sanzionatorio è un istituto legato a tradizioni precedenti, difficilmente compatibile con la concezione di responsabilità penale personale e con la valorizzazione dell'offesa.
La Corte negli anni ha cercato di rendere compatibili tali istituti con i principi di offensività e uguaglianza, offrendone una lettura costituzionalmente orientata nei limiti della separazione dei poteri. Il ricorso alle presunzioni rientra tra le scelte di politica criminale del Parlamento di competenza esclusiva del potere legislativo, nei limiti dei principi costituzionali.
In virtù del sistema costituzionale e, in particolare del principio di offensività, il Giudice delle leggi ha provveduto a censurare specifici automatismi sanzionatori che non superavano il vaglio di ragionevolezza o che risultavano del tutto irragionevoli e contrastanti con i principi fondamentali dell'attuale sistema repressivo10.
L'evoluzione della politica criminale e il continuo mutamento del sindacato costituzionale mostrerà agli operatori del diritto le prospettive di simili presunzioni che limitano la personalizzazione della pena e ne ostacolano il corretto esplicarsi della sua funzione rieducativa.
1M. GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969; E. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell'onore, Milano, 1974.
2 La recente sentenza della C. Cost. 109/2016 in materia di coltivazione di sostanze stupefacenti ha evidenziato la duplice accezione del principio, in conformità con C. Cost. 32/2014.
3Si veda C. Cost. 23 gennaio 2019, n.40 che ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni».
4 C. Cost. 7 aprile 2020, n. 73.
5F. MANTOVANI, Diritto penale, CEDAM, 2017.
6Principio già espresso dalla C. Cost. 10 luglio 2002, n. 354 nel censurare il secondo comma dell'art. 688 c.p., ipotesi di diritto penale d'autore. In particolare il giudice delle leggi ha affermato che «la norma incriminatrice sarebbe viziata da irragionevolezza, giacché un medesimo fatto, in presenza di esigenze non dissimili di tutela della sicurezza sociale attraverso la prevenzione dell’alcolismo, rileverebbe sotto l’aspetto penale soltanto per una particolare categoria di soggetti, quelli cioè che abbiano riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita e l’incolumità individuale».
7Il vaglio positivo di ragionevolezza è ormai richiesto anche rispetto alle deroghe al principio della lex mitior. La C. Cost. 23 novembre 2006, n. 393 in particolare ha affermato che «lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole».
8C. Cost. 249/2010 e 250/2010.
9Si veda sul punto C. Cost. 68/2012, C.Cost. 236/2016, C. Cost. 222/2018 a norma di cui «una pena non proporzionata alla gravità del fatto (e non percepita come tale dal condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa in violazione con gli artt. 3 e 27 Cost.»
10 Si veda la C.Cost. 73/2020 che espressamente afferma che «deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato in via generale dall’art. 69 cod. pen., sono costituzionalmente ammissibili e rientrano nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, risultando sindacabili soltanto ove «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012; in senso conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo però giungere in alcun caso «a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale» (sentenza n. 251 del 2012)».