Pubbl. Ven, 17 Lug 2020
Le azioni edilizie nella compravendita: il riparto dell´onere della prova
Modifica paginaLe azioni edilizie riconoscono all´acquirente il diritto di agire in giudizio al fine di ottenere la modifica contrattuale o, in via alternativa, la risoluzione nell´ipotesi in cui il bene alienato presenti dei vizi. E´ in ogni caso fatta salva la richiesta del risarcimento del danno patito. Le Sezioni Unite, con sentenza del 03/05/2019, n. 11748, hanno fatto chiarezza sul riparto dell´onere della prova esprimendo il seguente principio di diritto: ”in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all´art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all´art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi”.
Sommario: 1. La compravendita - 2. Le azioni edilizie - 3. La natura della garanzia per vizi e il riparto dell'onere della prova: la parola alle SS.UU.
1. La compravendita
Il contratto di compravendita è caratterizzato dallo scambio bene contro prezzo che ne è elemento essenziale e consiste nella corresponsione di una somma in denaro[1].
Tale modello negoziale può avere ad oggetto il trasferimento della proprietà di beni (mobili o immobili) o di altri diritti che riconoscono all’acquirente una determinata posizione giuridica soggettiva (e.g. diritti reali, diritti di credito, partecipazioni sociali).
Il fatto che l’acquirente debba sempre corrispondere un prezzo contribuisce a tracciare il discrimen fra compravendita e permuta che, al contrario, risulta connotata dal reciproco trasferimento di beni o altri diritti da un contraente all’altro (art.1552 e ss. c.c.)[2].
La collocazione sistematica del contratto in analisi – che apre il titolo III del libro IV del codice civile dedicato alle obbligazioni – comprova la rilevanza sociale della compravendita che ispira gli schemi negoziali tipici e atipici impiegati nella prassi negoziale.
Al fine di affrontare al meglio la tematica oggetto della trattazione appare utile analizzare – seppur brevemente – la natura giuridica della vendita.
Si annovera fra i contratti consensuali in quanto ai fini del perfezionamento è richiesto esclusivamente il raggiungimento di un accordo fra acquirente e alienante, in assenza, pertanto, della contestuale consegna del bene in oggetto (cd. datio rei).
Si tratta altresì di un contratto ad effetti reali in quanto all’accordo fra le parti segue il trasferimento dall’alienante all’acquirente della proprietà di beni o di altri diritti, ed è un contratto sinallagmatco dal momento che prestazione e controprestazione sono in un rapporto di condizionalità reciproca.
Tuttavia in taluni casi la compravendita riflette i caratteri propri dei negozi a effetti obbligatori[3].
Si fa riferimento alla vendita di cosa futura (art. 1472 c.c.), in cui l’effetto traslativo matura nel momento in cui viene ad esistenza il bene o il diritto in oggetto; alla vendita di cosa altrui (artt. 1478-1480 c.c.), in cui l’alienante si obbliga ad acquistare la proprietà del bene o la titolarità del diritto altrui e a trasferirlo, in un secondo momento, in capo all’acquirente; alla vendita sottoposta a condizione sospensiva (artt. 1353 e ss. c.c.), in cui il trasferimento della titolarità è subordinato all’avveramento dell’evento futuro ed incerto. Infine è utile osservare che la vendita si colloca fra i contratti istantanei e non di durata: l’esecuzione della prestazione si esaurisce al momento, immediato o differito, in cui il trasferimento si verifica.
2. Le azioni edilizie
È prodromico alla piena comprensione dell’iter logico giuridico tracciato dalle SS.UU. nella pronuncia in commento, proseguire con l’analisi delle obbligazioni che scaturiscono in capo alle parti dalla stipulazione del contratto, con particolare riferimento alla garanzia per vizi, ed in seguito sottoporre all’attenzione del lettore i rimedi conferiti dal Legislatore in favore dell’acquirente in caso di inosservanza della disciplina normativa da parte dell’alienante.
Pur essendo la compravendita, come noto, un contratto consensuale a effetti reali essa ripone in capo a ciascuna delle parti delle obbligazioni.
Le obbligazioni principali del venditore sono, ai sensi dell'art.1476 c.c.: consegnare la cosa al compratore; fare acquistare al compratore la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; infine, garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.
Da un’interpretazione letterale della disposizione emerge come il Legislatore abbia dedicato particolare attenzione alle obbligazioni a carico dell’alienante al fine precipuo di tutelare l’acquirente il quale – tradizionalmente – è la parte più debole: questi si trova infatti esposto al rischio di non ottenere piena soddisfazione dall’esecuzione del contratto (es. bene non conforme a quanto pattuito, mancata consegna del bene, presenza di vizi).
D’altra parte, l’obbligazione principale che grava in capo all’acquirente consiste nel corrispondere il prezzo entro il termine e nel luogo pattuiti, ovvero, in mancanza, al momento e nel luogo della consegna (art.1498 c.c.).
Proprio in ragione della necessaria determinazione del prezzo l’art.1474 c.c. delinea un sistema di eterointegrazione nell’ipotesi in cui non sia stato individuato nel suo esatto ammontare.
Se oggetto del contratto è un bene che l’alienante vende abitualmente si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente applicato dal venditore.
Parimenti, se si tratta di prezzi di borsa o di prezzi calmierati da listini, si ritiene che le parti abbiano voluto rifarsi a tali parametri.
Le regole appena individuate si applicano anche al caso in cui le parti si siano uniformate al “giusto prezzo”.
In assenza dei presupposti normativamente richiesti il prezzo è determinato da un terzo nominato dal presidente del Tribunale del luogo ove il contratto è stato concluso. È – in ogni caso – consentito alle parti demandare ad un terzo l’individuazione del corrispettivo (art.1473 c.c.).
All’interno del quadro appena tracciato occorre focalizzare lo sguardo sulle obbligazioni a carico del venditore con particolare attenzione alla garanzia per vizi.
Vizi del bene oggetto della compravendita sono tutte quelle imperfezioni o alterazioni derivanti da un deficit del ciclo produttivo o dovute alle modalità di conservazione.
La garanzia per vizi ha duplice declinazione. L’alienante, infatti, deve assicurare all’acquirente l’assenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’utilizzo cui la stessa è destinata o ancora che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
Tuttavia, alla luce del principio di buona fede che orienta tutte le fasi del contratto, compresa l’esecuzione (art.1375 c.c.), all’alienante non spetta garantire che il bene sia esente da vizi nel caso in cui, al momento dell’accordo, e trattandosi di vendita di cosa specifica, il compratore era a conoscenza dei vizi della cosa o se gli stessi erano facilmente riconoscibili, in caso di res “contrattata a vista”.
A ben guardare la disciplina normativa, da un lato, mira a tutelare il compratore dalle conseguenze negative che potrebbero derivare dal contratto di compravendita, dall’altro, prevedendo talune eccezioni alla regola generale, garantisce la fluidità degli scambi commerciali sollevando l’alienante dall’onere di garantire l’assenza di vizi nei casi tassativamente previsti all’interno del codice.
Secondo l’opinione dottrinaria prevalente infatti tale garanzia guarda alla realizzazione della funzione economico-giuridica impressa dal Legislatore al modello contrattuale della compravendita che consiste, principalmente, nell’acquisto definitivo, da parte del compratore, della cosa o del diritto oggetto del trasferimento[4].
Al fine di non rendere la garanzia per vizi eccessivamente gravosa in capo all’alienante, che si troverebbe esposto sine die all’azione dell’acquirente, è previsto un termine di decadenza: il compratore ha l’onere di denunziare i vizi della cosa entro il termine di otto giorni dalla scoperta, salvo quanto diversamente stabilito dalle parti o dalla legge.
La denuncia non è tuttavia necessaria se il vizio è stato riconosciuto dal venditore o da lui occultato (art.1495 co.2 c.c.)[5].
Ove siano presenti vizi sulla cosa acquistata il compratore è legittimiato ad esperire, alternativaemnte, due azioni (art.1492 c.c.). Può chiedere la risoluzione del contratto (actio redhibitoria): l’acquirente, restituendo il bene, è libero dall’obbligo di dover corrispondere il prezzo e, nel caso in cui l’abbia già corrisposto, ha diritto a ricevere quanto versato. Oppure, può domandare la riduzione del prezzo pattuito (actio quanti minoris o actio aestimatoria): è fatto tuttavia salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno, ad eccezione del caso in cui l’alienante provi di avere ignorato – senza colpa – i vizi della cosa (art.1494 c.c.).
Vengono definite in dottrina azioni edilizie in quanto si ricollegano ad analoghe azioni del diritto romano previste negli editti degli edili curuli.
Il compratore è titolare del diritto di agire per il risarcimento del danno derivante dai vizi della cosa indipendentemente dall’esercizio delle azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c.[6]
Al contrario – sul piano prettamente processuale – è inammissibile la domanda di riduzione del prezzo esperita in subordine rispetto alla proposizione, a titolo principale, dell’azione di risoluzione.
A ben guardare, infatti, entrambi gli strumenti processuali si ricollegano ai medesimi presupposti ovvero alla sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art.1490 c.c. il quale stabilisce una disciplina della materia completa e non suscettibile di integrazione con le regole di cui all’art.1455 c.c. sull’importanza dell’inadempimento. Resta pertanto esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le succitate domande [7].
La scelta fra le due azioni edilizie a disposizione dell’acquirente diviene irrevocabile con proposizione della domanda giudiziale (art.1492 co.2 c.c.). Peraltro, se la cosa viziata è perita per caso fortuito o per colpa del compratore o se questi l’ha alienata o trasformata, è preclusa la richiesta di risoluzione e l’interessato potrà esclusivamente ricorrere all’azione estimatoria (art.1492 co.3 c.c.).
Di particolare rilievo è infine il regime prescrizionale delle azioni edilizie.
L’art. 1495 c.c., al terzo comma, prevede che l’interessato possa agire entro il termine di un anno dalla consegna del bene. Tuttavia l’azione del compratore non è soggetta ad alcun termine in sede di eccezione: l’acquirente convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto può – in ogni momento – far valere la garanzia di cui all’art.1490 c.c. purché il vizio della cosa sia stato prontamente denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna.
È interessante a tal proposito osservare il regime appena delineato attraverso le lenti della normativa in tema di azione di annullamento[8]. Può infatti rilevarsi come le due discipline presentano caratteri analoghi: l’azione di annullamento è soggetta a termine prescrizionale (non breve come in materia di compravendita) pari a cinque anni e il convenuto, chiamato ad eseguire il contratto, può eccepire la causa di annullamento a prescindere dal verificarsi del termine prescrizionale.
La sovrapponibilità delle due previsioni normative non è sicuramente casuale e appare, a parere dello scrivente, ispirata alla medesima ratio legis.
Da un lato, il Legislatore ha inteso porre un termine processuale alle azioni di annullamento o di garanzia per vizi per non esporre la controparte ad una costante situazione di incertezza e per conferire un grado di stabilità al rapporto negoziale.
Al contempo, tuttavia, il regime dell’eccezione è posto a tutela dell’altro contraente il quale non può essere chiamato ad eseguire un contratto suscettibile di annullamento o a corrispondere il prezzo per la compravendita di un oggetto che appare viziato.
E ciò in ragione di principi fondanti il diritto privato quali la buona fede e la correttezza (artt.1175 e 1375 c.c.) nonché di capisaldi dell’ordinamento costituzionale fra i quali si richiama il dovere di solidarietà di cui all’art.2 Cost.
3. La natura della garanzia per vizi e il riparto dell’onere della prova: la parola alle SS.UU.
Con la sentenza n. 11749 del 2019 le Sezioni Unite hanno affrontato la vexata quaestio relativa al riparto dell’onere della prova nell’ambito dell’esercizio delle azioni edilizie in materia di compravendita.
La pronuncia de qua tende a individuare su quale delle parti, compratore o alienante, ricade l’onere di provare che la cosa venduta presenta vizi tali da renderla inservibile all’utilizzo alla quale è destinata o da diminuirne il valore.
L’ordinanza interlocutoria pone la questione se il principio di diritto elaborato dalla giurisprudenza di legittimità – che ripone in capo al debitore l’onere di provare il proprio adempimento limitando l’allegazione del titolo di credito a carico del creditore – possa trovare applicazione anche in tema di garanzia per vizi della cosa venduta o se, al contrario, l’eterogeneità dei rimedi civilistici in gioco giustifichi una soluzione differente[9].
Tale questione oltre a presentare rilievo teorico-dogmatico riveste particolare importanza anche dal punto di vista pratico: all’adesione all’una o all’altra impostazione segue, infatti, il mutamento del regime processuale in materia di riparto dell’onere della prova.
Nel tracciare il percorso argomentativo lungo cui si snoda la decisione gli interpreti hanno dato atto del contrasto giurisprudenziale istauratosi attorno alle azioni edilizie – con particolare riferimetno alla garanzia per vizi – previste in materia di compravendita.
A tal proposito si fa espresso riferimento ad una prima impostazione ermeneutica che ha fatto propri i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità del 2001[10].
Partendo dal presupposto in base al quale la consegna della cosa venduta rappresenta un’obbligazione di risultato – in quanto il bene deve essere privo di vizi che ne inficino l’utilizzo – si è giunti ad affermare che “all’acquirente (creditore) sarà sufficiente allegare l’inesatto adempimento ovvero denunciare la presenza di vizi o di difetti che rendano la cosa inidonea all’uso alla quale è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, essendo a carico del venditore (debitore), in virtù del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ove sia stata fornita tale prova, sarà allora onere del compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa, ascrivibile al venditore”.
A ben guardare tale posizione interpretativa ricalca quanto elaborato dalla pronuncia del 2001 la quale muove dai principi della presunzione di persistenza del diritto e di riferibilità o vicinanza della prova.
Dal primo – desumibile dall’art.2697 c.c. in materia di onere della prova – può ricavarsi che una volta provata dal creditore l’esistenza di un diritto da soddisfare entro un determinato termine grava sul debitore l’onere di dimostrare il proprio adempimento o che l’inadempimento sia derivato da cause a lui non imputabili.
La presunzione di persistenza del diritto risulta particolarmente correlata al principio della vicinitas. L’onere della prova va ripartito, in concreto, tenuto conto della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione.
Tale indirizzo è stato sovvertito da quell’orientamento – affermatosi negli anni quale il maggioritario – che ha costantemente addossato in capo al compratore l’onere di provare la presenza di difetti della cosa venduta, le conseguenze dannose e il nesso causale fra di essi intercorrente, limitando al venditore la prova liberatoria della mancanza di colpa solo quando la controparte avesse preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza[11].
Questo filone giurisprudenziale affronta la questione giuridica alla luce di un’interpretazione maggiormente letterale della norma che regola il riparto della prova facendo ricadere sull’attore l’onere di dimostrare in giudizio il mancato rispetto della garanzia per vizi.
Le Sezioni Unite nel risolvere il quesito sottoposto nell’ordinanza di rimessione hanno ritenuto di precipua importanza non soltanto ricomporre il contrasto giurisprudenziale in materia ma approfondire la questione relativa al corretto inquadramento della natura giuridica della garanzia per vizi che il codice civile pone a carico dell’alienante.
In particolare il Collegio ha richiamato quell’orientamento dottrinale che riconduce il meccanismo della garanzia per vizi allo schema contrattuale di tipo assicurativo: essa, per tale impostazione, configura una prestazione contrattuale indennitaria di tipo restitutorio, volta a soddisfare l’interesse deluso del compratore ad una res immune da vizi[12].
Pur non condividendo tale visione interpretativa queste Sezioni Unite hanno preso le mosse da tali premesse per evidenziare quanto distante sia il meccanismo di operatività della garanzia per vizi della cosa venduta dallo schema tipico dell’obbligo di prestazione, proprio del rapporto obbligatorio.
Al fatto che il venditore debba – ai sensi dell’art. 1476 n.3 c.c. – garantire che la cosa sia esente da vizi non corrisponde un dovere di comportamento in funzione del soddisfacimento dell’interesse del compratore.
Pertanto il venditore risulta esclusivamente obbligato – a pena di inadempimento – al trasferimento della proprietà della cosa in favore dell’acquirente e alla consegna della stessa.
A ben guardare il mancato rispetto della garanzia per vizi non espone il venditore alle conseguenze proprie dell’inadempimento contrattuale traducendosi, piuttosto, nella soggezione dello stesso all’esercizio dei rimedi edilizi di cui può avvalersi il compratore (id est risoluzione del contratto o azione di riduzione del prezzo, nonché il risarcimento dei danni, salvo che il venditore abbia ignorato senza colpa i vizi della cosa).
Occorre tuttavia un chiarimento: la consegna di una cosa viziata integra invero un inadempimento contrattuale, ovvero una violazione della lex contractus. Ma – come sostenuto ampiamente dalla dottrina maggioritaria – non tutte le violazioni contrattuali configurano casi di inadempimento.
La responsabilità derivante dal comportamento del venditore è pertanto connotata da un’intrinseca specialità che ha spinto il Legislatore a prevedere una disciplina ad hoc. Essa prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore, si fonda sul dato oggettivo della sussistenza di vizi sulla cosa venduta e si traduce nell’esperibilità da parte del compratore delle azioni edilizie a tutela del soddisfacimento delle sue pretese creditizie.
Alla luce delle considerazioni di cui sopra le SS.UU. hanno fatto discendere che il riparto dell’onere della prova in materia di compravendita non può ritenersi compreso nell’ambito applicativo dei principi cristallizzati nella pronuncia di legittimità in tema di inesatto adempimento delle obbligazioni nelle ordinarie azioni contrattuali di adempimento, risoluzione e risarcimento del danno.
In altri termini in materia di contratto di compravendita ed esperimento delle azioni edilizie a tutela della garanzia per vizi non è configurabile un onere della prova in capo al debitore proprio alla luce della regola di giudizio di cui all’art.2697 c.c. (onere della prova) e del principio della vicinanza della prova.
In base al primo spetta indubbiamente alla parte attrice provare in giudizio il diritto per il cui soddisfacimento agisce.
Inoltre l’esistenza del vizio rappresenta il presupposto per l’esperimento delle azioni edilizie e per la richiesta di risarcimento e – alla luce della cd. vicinitas – la prova della stessa è sicuramente operazione che si presenta più agevole agli occhi dell’acquirente. Questi infatti, dopo la consegna, ha la disponibilità del bene dalla quale deriva la concreta possibilità di svolgere gli esami funzionali all’accertamento del vizio lamentato.
Dalla soluzione interpretativa cui è approdata tale Collegio si ricava che spetta al compratore (creditore) che esercita le azioni edilizie non solo – come tradizionalmente – allegare il titolo da cui deriva l’obbligazione ma provare che il bene acquistato presenti dei vizi.
In conclusione il principio di diritto appena enunciato appare, a parere dello scrivente, da condividere. Esso non solo poggia sui succitati principi fondamentali che orientano tutta l’attività contrattuale ma evita anche di esporre il venditore al rischio di subire le lungaggini processuali in caso di esercizio di azioni edilizie da parte dell’acquirente e di provare che la cosa oggetto della vendita sia confacente all’utilizzo per la quale è destinata o che il valore non sia stato in alcun modo intaccato.
Tale regime probatorio renderebbe indubbiamente meno fluidi gli scambi fra privati rallentando oltremodo le dinamiche di mercato e rappresenterebbe uno strumento particolarmente pericoloso nelle mani dell’acquirente insoddisfatto che addosserebbe all’alienante il pesante onere di provare l’insussistenza di difetti legati al ciclo produttivo o alla fase di conservazione del bene venduto.
[1] A. Torrente, P.Schlesinger, “Manuale di diritto privato”, ed.XXIV, 2019, pp. 717-738 e ss.
[2] Cass. Sez. II, 11/3/2014, n.5605
[3] A proposito della distinzione fra vendita obbligatoria e contratto preliminare di compravendita cfr. ex multis Cass. civ., Sez V, 4/10/2006, n.21381, in Giust. civ. Mass., 2006, 10
[4] G.Chinè, M. Fratini, Andrea Zoppini, “Manuale di diritto civile”, XI ed., Nel diritto editore, 2020, pp. 1615 e ss.
[5] Si veda a tal proposito Cass.civ. Sez. II, 15/3/2004, n.5251 in base alla quale l’occultamento dei vizi, per assumere rilevanza, deve consistere non nel semplice silenzio serbato dal venditore, ma in una particolare attività illecita, funzionale, con adeguati accorgimenti, a nascondere il vizio della cosa.
[6] Cass. civ. Sez. II, 26/3/2004, n.6044: “l’azione di risarcimento danni di cui all’art. 1494 c.c. può essere proposta in ogni caso di vizi della cosa venduta e, quindi, è cumulabile sia con la domanda di risoluzione del contratto che con quella di riduzione del prezzo e può essere esercitata anche da sola, essendo autonoma rispetto alle azioni di cui all’art.1492 c.c. in ragione della diversità di presupposti e finalità”.
[7] Cass. civ., Sez. II, 29/11/2004, n.22415.
[8] A.Torrente, P. Shlesinger, “Manuale di diritto privato”, ed.XXIV, 2019, pp.670 e ss.
[9] Cass. civ. SS.UU. sent. 30/10/2001 n.13533
[10] Cass., Sez. II, 2/9/2013 n.20110
[11] Cass. Sez. II, 26/7/2013 n.18125
[12] G. Gorla, La compravendita e la permuta, Tratt. Dir. civ. it., Torino, 1937, pp.88
Bibliografia
A.Torrente, P. Shlesinger, “Manuale di diritto privato”, ed.XXIV, 2019
G.Chinè, M. Fratini, Andrea Zoppini, “Manuale di diritto civile”, XI ed., Nel diritto editore, 2020