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Pubbl. Mar, 30 Giu 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

La rettificazione dell´atto di nascita e il dibattito sul diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali

Maria Concetta Tringali
Avvocato Cassazionista



Con la sentenza depositata il 3 aprile 2020, la I Sezione civile della Corte di Cassazione ha affermato che non va rettificato l´atto di nascita formato in Italia e relativo a minore venuto al mondo da due madri che hanno fatto ricorso alla tecnica della procreazione assistita. Il contributo approfondisce la questione con riferimento al delicato tema del diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali e alla regolamentazione della PMA e della GPA (ossia gestazione per altri), alla luce delle pronunce della Suprema Corte e della Consulta, nonché della più recente posizione espressa dalla giurisprudenza di merito.


Sommario: 1.Premessa.- 2.La vicenda processuale.- 3.La decisione e i termini della questione.- 4.Brevi cenni sulla procreazione medicalmente assistita.- 5.La gestazione per altri e gli sviluppi giurisprudenziali fino all’ordinanza interlocutoria del 29 aprile 2020.- 6.La posizione della giurisprudenza di merito.- 7.Conclusioni.

Sommario: 1.Premessa.- 2.La vicenda processuale.- 3.La decisione e i termini della questione.- 4.Brevi cenni sulla procreazione medicalmente assistita.- 5.La gestazione per altri e gli sviluppi giurisprudenziali fino all’ordinanza interlocutoria del 29 aprile 2020.- 6.La posizione della giurisprudenza di merito.- 7.Conclusioni.

1. Premessa  

Con la sentenza depositata il 3 aprile 2020, n. 7668, la Corte di Cassazione ritorna sul tema della trascrivibilità dell’atto di nascita del minore, quando i genitori sono una coppia dello stesso sesso.

La disamina della decisione è occasione per tracciare i contorni della questione e per indagare gli sviluppi del diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali.

Sullo sfondo, la regolamentazione vigente in materia di procreazione medicalmente assistita. Il lavoro terrà conto, inoltre, del dibattito sorto attorno al controverso tema della gestazione per altri.

2. La vicenda processuale

Il caso è giunto alla Suprema Corte a seguito di una domanda di rettifica di atto di nascita, formato in Italia. La fattispecie è quella di due donne che adivano il Tribunale di Treviso per sentire ordinare all’ufficiale di stato civile di ricevere la dichiarazione congiunta di riconoscimento della bambina, nata da procreazione medicalmente assistita, praticata all’estero.

Avverso il decreto del giudice di prime cure che non accoglieva la domanda, le ricorrenti proponevano reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia che a sua volta rigettava le istanze. 

In via preliminare, la Suprema Corte pronunciava per il non accoglimento della richiesta di rimessione alle Sezioni Unite, avanzata dal Procuratore Generale, e precisava di intervenire su un tema – quello dei diritti della persona – in cui la Sezione ha pieno esercizio della funzione nomofilattica, di cui all’art. 65 dell'ordinamento giudiziario [1].   

Il ricorso si apriva con l’esposizione dei primi tre motivi, aventi a oggetto un conflitto di interessi fra la minore e la rappresentante della stessa, dichiarati inammissibili per difetto di interesse.

I successivi, dal quarto al settimo, venivano invece esaminati congiuntamente perché ritenuti reciprocamente connessi.

 

3. La decisione e i termini della questione

Segnatamente, con il quarto motivo le ricorrenti lamentavano violazione e falsa applicazione degli artt. 11 comma 3 e 12 comma 1 del D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396. A parere delle istanti aveva errato la Corte d’Appello, quando aveva ritenuto precluso all’ufficiale di stato civile “il potere-dovere di adeguare le formule ministeriali  previste per la redazione dell’atto di nascita inserendovi le annotazioni necessarie in relazione alle circostanze della fattispecie concreta[2].

Le medesime disposizioni erano alla base del quinto motivo dell’impugnativa, in relazione all’art. 451 c.c. La decisione della Corte di merito era da censurare laddove “aveva ignorato il principio secondo cui gli atti dello stato civile devono rispecchiare la disciplina sostanziale degli status che è posta a base degli effetti giuridici da certificare[3].  

Con il sesto motivo si deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo[4] e all’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza[5].

Il settimo contestava l’omessa pronuncia sulla domanda di rettificazione dei dati personali, ex art. 7 comma 3 lettera b) del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n.196 [6] e 13 del Regolamento UE n. 2016/679 [7] del Parlamento Europeo e del Consiglio  del 27 aprile 2016 e del diritto alla corretta rappresentazione dei medesimi dati. 

Tutti i superiori motivi venivano ritenuti infondati dalla Suprema Corte e il ricorso rigettato.

Prima di entrare nel merito della decisione, pare opportuno soffermarsi su quali siano le principali  norme giuridiche che il caso sottende.

Vanno innanzitutto richiamate quelle di cui al D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 che vieta di manipolare o integrare gli atti dello stato civile [8] e che permette a chi "intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento" di introitare il procedimento di rettificazione previsto dagli artt. 95 e ss.

Rilevano inoltre le disposizioni contenute nella legge n. 40 del 19 febbraio 2004 [9].

In relazione a questi precetti, la Suprema Corte ha ritenuto di confermare la correttezza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione del Collegio di Venezia. I giudici di merito in sostanza hanno applicato la legge sulla procreazione medicalmente assistita che vieta alle coppie omosessuali di farvi ricorso.

Il legame biologico o genetico con il nato presuppone per il decidente, insomma, che una sola persona possa essere menzionata in qualità di madre nell’atto di nascita. Ciò accade in conseguenza di un divieto che, in quanto vigente nel nostro ordinamento, va applicato a ogni atto formato in Italia (incluse le ipotesi di fecondazione, con pratiche esperite all’estero).

Non può poi omettersi che la questione risenta di un’importante pronuncia in punto di legittimità costituzionale.

La Consulta, infatti, con sentenza del 23 ottobre 2019, n. 221 [10] - ben consapevole delle implicazioni di cui alla Legge n. 40 del 2004 [11] come della delicatezza della materia [12] - finiva per interrogarsi su un quesito di fondo, rivelatosi centrale proprio nella sentenza che ci occupa, ossia: “se sia configurabile – e in quali limiti – un “diritto a procreare” (o “alla genitorialità”, che dir si voglia), comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo, e dunque declinabile anche come diritto a procreare con metodi diversi da quello naturale”.

Da quel pronunciamento del giudice delle leggi, discende il principio secondo cui “alle tecniche di PMA possano accedere solo coppie formate da persone di sesso diverso (art. 5) e prevedendo sanzioni amministrative a carico di chi le applica a coppie composte da soggetti dello stesso sesso (art. 12, comma 2), la legge n. 40 del 2004 nega in modo puntuale e inequivocabile alle coppie omosessuali la fruizione delle tecniche considerate”.

Ecco che, premessa la risposta negativa della Consulta a quel quesito, non possiamo che registrare come sul medesimo solco abbia finito per porsi la decisione della Cassazione.

Quanto spiegato, è ovvio, va in una direzione che è opposta rispetto alle allegazioni di parte ricorrente e in particolare alle pronunce da quella addotte a sostegno, tanto in tema di adozione di minori da parte di coppie omosessuali [13] quanto in ordine al riconoscimento in Italia di atti formati all’estero, dichiarativi della filiazione da genitori delle stesso sesso [14].

La Suprema Corte insiste, argomentando sulla non omogeneità delle fattispecie. E così fa rilevare una sostanziale diversità tra ladozione – che presuppone l’esistenza in vita del minore – e la procreazione medicalmente assistita – che definisce un mezzo “per dare un figlio non ancora venuto ad esistenza ad una coppia o a un singolo[15].

Di fatto, il giudice di legittimità relega la PMA a strumento di realizzazione delle aspirazioni genitoriali.

Ma non è tutto. C’è ancora un profilo della sentenza che va isolato, per una migliore comprensione del quadro d’insieme.

La questione merita, infatti, particolare attenzione quando investe gli atti formati in uno stato estero. Seppur dinanzi a richiedenti che siano genitori del medesimo sesso, la Corte di Cassazione individua in quel caso un diverso parametro normativo. Il riferimento è all’ordine pubblico, ai principi di continuità e conservazione dello status filiationis, nonché a quello di circolazione degli atti giuridici formati all’estero. I giudici fanno un passaggio ulteriore e precisano che il ragionamento riguarda le sole coppie formate da due donne. Non altrettanto dovrà dirsi – a sposare questo orientamento - per quelle costituite da due uomini. In quel caso verrebbero infatti a interessare il dibattito delle discusse tecniche (in particolare la gestazione per altri nota anche come maternità srrogata) che si pongono in assoluto contrasto con disposizioni imperative del nostro ordinamento[16].   

4. Brevi cenni sulla procreazione medicalmente assistita

Con l’acronimo PMA si indica la procreazione medicalmente assistita, ossia quell’insieme di metodologie volte ad aiutare la coppia a procreare, tutte le volte in cui la possibilità di un concepimento spontaneo risulti impossibile o estremamente remota.

Il Ministero della Salute ha precisato che “la PMA si avvale di diversi tipi di tecniche che comportano la manipolazione di ovociti, spermatozoi o embrioni nell'ambito di un trattamento finalizzato a realizzare una gravidanza”. 

In Italia la materia è regolata dalla legge  19 febbraio 2004, n. 40, recante "norme in materia di procreazione medicalmente assistita", approvata in seconda lettura dalla Camera dei Deputati il 10 febbraio 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 [17].

L’art. 1 ne definisce le finalità all'art. 1, secondo cui "al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. 2. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”.

L’art. 4 ne circoscrive le condizioni di accesso, limitandolo ai soli casi di infertilità, sterilità e alla accertata impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione. Dispone, altresì, che si applichino i principi di gradualità e consenso informato [18].

Fermo dapprima il divieto di far ricorso a tecniche di tipo eterologo, i requisiti soggettivi sono posti dall’art. 5 e limitano la praticabilità delle tecniche alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. L’art. 12 dispone poi l’irrogazione di sanzioni, in violazione dei precetti di legge. 

Nel corso degli anni la menzionata normativa ha sollecitato una serie di interventi che hanno, di fatto, cambiato radicalmente l’impianto originario della legge.

Gli innesti e le modifiche più rilevanti possono brevemente essere riassunti nella tabella sottostante che dà altresì conto di alcune delle bocciature più significative fatte registrare dalla legge 40 (senza tacere del referendum abrogativo del 19 febbraio 2004, vicenda che tuttavia si concludeva senza il raggiungimento del quorum):

  • dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni vada eseguito senza pregiudizio per la salute della donna (art. 32 Cost.). Segnatamente, la Corte rileva anche la violazione dei principi della gradualità e della minore invasività, in contrasto con l’art. 3 Cost. (Corte Cost., 08/05/2009, n. 151);
  • condanna dell’Italia emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per contrasto con l’art. 8 CEDU della norma che vieta la diagnosi preimpianto alle coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo caso Costa-Pavan v. Italia, agosto 2012);
  • dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che vieta il ricorso alla fecondazione eterologa medicalmente assistita perché in violazione del diritto alla salute e all’autodeterminazione (Corte Cost., 08/04/2014, n. 162)[19];
  • dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che vieta il ricorso alla PMA per diagnosi reimpianto alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, talmente gravi da consentire l’accesso all’aborto terapeutico (Corte Cost., 05/06/2015, n. 96);
  • dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni, anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 194/1978 e accertate da apposite strutture pubbliche (Corte Cost., 08/11/2015, n. 229);
  • dichiarazione della non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile relativa all’impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità: l’esigenza di veridicità delle essere bilanciata con l’interesse del minore (Corte Cost., 18/12/2017, n. 272)[20];
  • dichiarazione della non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale della norma che esclude l’accesso alla PMA alla coppia omosessuale formata da due donne (Corte Cost., 23/10/2019, n. 221);
  • parere del Consiglio di Stato sullo schema di D.P.R. recante "Regolamento che recepisce la direttiva 2012/39/UE della Commissione del 26 novembre 2012 che modifica la direttiva 2006/17/CE per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche relative agli esami effettuati su tessuti e cellule umani". La Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, su richiesta del Ministero della salute, ha reso parere favorevole su quello schema, ma ha dettato alcune prescrizioni disponendo che siano indicati nel regolamento  precisi limiti di età per la donazione – differenti nel caso dell’uomo e della donna – come anche un limite quantitativo alla donazione di ovociti e gameti  (Cons. St., sez. cons. atti norm., 17 giugno 2019, n. 1732 - Pres. Zucchelli, Est. Neri) [21].

Premessi i brevi cenni sulla normativa, può essere utile a dare il quadro anche un riferimento agli altri pronunciamenti della Suprema Corte, depositati nell'ultimo periodo.

E così, intanto, la decisione n. 8029 del 22 aprile 2020 che si pone nel solco di quanto visto con la sentenza in esame. La I Sezione riafferma, dunque, la contrarietà ai precetti di cui alla legge 40 del riconoscimento del figlio nato in Italia da coppia omosessuale, formata da due "madri", sebbene unite da unione civile.

La fattispecie è sempre quella di un concepimento eseguito all’estero con PMA eterologa e in presenza dell’apporto biologico di una delle due donne e del consenso della compagna.

5. La gestazione per altri e gli sviluppi giurisprudenziali fino all’ordinanza interlocutoria del 29 aprile 2020

Se nei paragrafi precedenti abbiamo osservato - pur nel differente panorama dell'atto formato in stato estero - una diversa considerazione della genitorialità quando la coppia è composta da due "madri", pressoché netta è stata finora la chiusura nel caso invece dei due "padri".

E ciò a motivo delle differenti tecniche di procreazione. 

Con gestazione per altri (o anche maternità surrogata) si indica un metodo di riproduzione assistita in cui una donna (gestante) provvede alla gestazione per conto di altri (una o più persone che saranno il genitore o i genitori del nascituro).

La pratica è tassativamente vietata nel nostro Paese. In particolare, è l’art. 12 comma 6 della legge 40 che interviene, ad assoggettare a sanzione penale “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”.

La posizione della giurisprudenza di legittimità sull’argomento va ricostruita a partire dalla sentenza n. 24001 dell’11 novembre 2014, che dichiara la trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato in Ucraina mediante maternità surrogatacontraria all’ordine pubblico”, con nullità del contratto (di maternità surrogata) e conseguente adottabilità del minore.

Qualche anno dopo, con la sentenza del 18 dicembre 2017, n. 272 la Consulta emette declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del Codice civile, pronunciandosi per il bilanciamento degli interessi in gioco: “Se dunque non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore, va parimenti escluso che bilanciare quell’esigenza con tale interesse comporti l’automatica cancellazione dell’una in nome dell’altro. Tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore. Si è già visto come la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione  identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela. Si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale". Interessante è il richiamo a una precedente decisione della Corte - sentenza del 10 giugno 2014, n. 162 - che allarga lo spettro e sostiene che “nell’evoluzione normativa e ordinamentale del concetto di famiglia, a conferma del rilievo giuridico della genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica, vi è anche l’espresso riconoscimento, da parte di questa Corte, che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa”. La Corte arriva a questa enunciazione, dopo aver rilevato, tra l'altro, che "deve anzitutto essere ribadito che la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 332 del 2000). La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera"

Sul tema anche il panorama normativo eurounionale è ondivago. Da segnalare la Corte europea dei diritti umani - parere del 10 aprile 2019 - sul diritto del bambino al rispetto della vita privata (ex art. 8 della Convenzione), con la conseguenza che gli venga garantita la possibilità che sia riconosciuta la relazione con la madre cd. intenzionale, ma ciò anche – è precisazione che non va taciuta - attraverso l’adozione.

Passaggio cruciale in Italia è comunque quello reso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con una pronuncia di poco successiva. La decisione è dell’8 maggio 2019, n. 12193 [22], e l'enunciazione del principio di diritto così recita: “Il riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)”. 

A sparigliare le carte giunge però a nemmeno un anno di ditstanza l’ordinanza interlocutoria n. 8325/2020depositata il 29 aprile 2020, in cui la Cassazione ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, della legge 40/2014, degli artt. 18 del DPR 396/2000, e 64 comma 1, lett. g della l. 218/95 [23], “nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente - ossia quello delle Sezioni Unite, pronuncia n.12193/2019 di cui diremo più avanti - che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo per contrasto con l'ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all'inserimento nell’atto di Stato civile di un minore procreato con le modalità della gestazione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del cosiddetto genitore di intenzione non biologico, per contrasto con numerosi articoli 2, 3, 30, 31, 117 comma 1 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 della Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione del 20 novembre 1989 delle Nazioni Unite sui diritti dei minori [24] e dell'articolo 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea”. 

La materia, è chiaro, resta esposta a sempre nuovi sviluppi. Il provvedimento con cui si è deciso di investire la Consulta non potrà che produrre un tassello importantissimo nel complesso e articolato quadro vigente.

La decisione è particolarmente rilevante, proprio perché rimette in discussione le Sezioni Unite che si erano pronunciate per l’impossibilità di trascrivere un judicial order proveniente da un giudice di stato estero che aveva riconosciuto lo status di genitore a uno dei due partner di una coppia omossessuale, in assenza di legame biologico con i minori, nati da gestazione per altri.

La I Sezione oggi ribalta il tavolo e riapre i giochi. Ne consegue che a vacillare è l'assunto che sembrava fondare irrimediabilmente il diniego della trascrizione in Italia dell’atto di nascita formato all’estero, in seguito alla maternità surrogata (imputandolo alla incompatibilità con l’ordine pubblico internazionale), pur lasciando però nel contempo passare il suggerimento di individuare altri e più adeguati percorsi, per dare rilievo al rapporto genitoriale (l’adozione in casi particolari, ex art. 44 lettera d) Legge 184/1983).  

Stante la questione di legittimità costituzionale, non possiamo che attendere con una certa trepidazione i prossimi sviluppi dal giudice delle leggi.

Il quadro complessivo è, pertanto, tutt’altro che definitivo o univoco.

6. La posizione della giurisprudenza di merito

Per comprendere la rilevanza e la delicatezza degli argomenti trattati basta poi disporsi a osservare la posizione assunta dalla giurisprudenza di merito. Essa si scosta infatti, in molta parte, dagli orientamenti comuni alla sentenza esaminata in questo studio e si pone piuttosto in linea con precedenti decisioni della Suprema Corte.

In particolare, si richiama Cassazione 15/06/2017, n. 14878 che in accoglimento della domanda di “rettificazione” dell’atto di nascita di una bambina venuta a mondo all’estero, a seguito di fecondazione assistita, negato dai giudici di merito per contrarietà all’ordine pubblico, così argomenta: “Il giudice italiano deve esaminare la contrarietà all’ordine pubblico internazionale dell’atto estero, con riferimento ai principi della nostra Costituzione, ma pure tra l’altro alla Dichiarazione ONU dei Diritti dell’Uomo, alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ai Trattati Fondativi e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e con particolare riferimento alla posizione del minore e al suo interesse”. 

Come, già, I Sezione civile della Suprema Corte, sentenza del 21 giugno 2016 n. 19599, di cui vale la pena ricordare almeno l’enunciazione del secondo principio di diritto: “il riconoscimento dell’atto straniero “nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne […] nell’ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia […] non contrasta con l’ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore non preveda o vieti il verificarsi di una simile fattispecie nell’ordinamento italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all’estero” (par. 8.4, p. 36)”.

Sulla scorta di quanto sopra, di rilievo il decreto della Corte d’Appello di Milano, depositato il 28 dicembre 2016, con il quale il Collegio ordina la trascrizione di atto di nascita, formato in California, relativo a due gemelli, nati addirittura a seguito di ricorso alla gestazione per altri, da coppia omosessuale composta da due uomini.

In linea il provvedimento del Tribunale di Agrigento del 12 aprile 2017 e quello del Tribunale di Perugia del 26 marzo 2018, nonché Tribunale di Genova, decreto del 8 novembre 2018 e Corte d’appello di Perugia, decreto del 7 agosto 2018.

Il riferimento più recente va poi alle decisioni rese dalla Corte d’appello di Roma il 27 aprile 2020, n. 1453, dalla Corte d’Appello di Bari, il 3 febbraio 2020 e dal Tribunale di Rimini, decreto del 25 gennaio 2020.

Il Collegio pugliese, in particolare, dispone la conferma della trascrizione dell’atto di nascita di un bambino venuto al mondo all’estero, da una coppia di donne unite civilmente. La decisione menzionata rileva per una ragione: rigettando il ricorso del Ministero dell’interno, il giudice ribadisce come l'elemento della diversità di sesso tra genitori, non possa arrivare a giustificare una condizione deteriore per i figli. Il pronunciamento è perciò assunto avuto riguardo al prevalente interesse del minore che secondo i giudici risulterebbe irrimediabilmente leso da una decisione difforme, oltre che strumentalizzato, con l’ulteriore conseguenza di stigmatizzare in quel modo la condotta delle due madri.

Conforme la decisione della Corte d’Appello di Trento che, con decreto del 16 gennaio 2020, conferma il disposto del Tribunale di Rovereto rigettando il reclamo proposto dal Ministero.

7. Conclusioni.

Alla luce delle considerazioni svolte, si può certamente sostenere che la sentenza oggetto della presente disamina sia stata occasione per fare il punto su una delle questioni più delicate del diritto di famiglia che tocca il rapporto genitori-figli e investe, pertanto, la filiazione con tutte tutte le gravissime implicazioni che produce.

La sentenza di Cassazione si è pronunciata contro la rettifica richiesta, rimanendo su posizioni più conservatrici di quanto inequivocabilmente non faccia la coeva giurisprudenza di merito, la cui spinta va nella direzione opposta.

L’analisi della decisione ha tuttavia aperto un varco rispetto a una serie di riflessioni che travalicano i profili più specifici della fattispecie – che sono quelli relativi alla trascrivibilità dell’atto formato in Italia richiesto da una coppia omosessuale di donne - per offrire una serie di spunti irrinunciabili. Non può sottrarvisi chi voglia continuare a indagare una materia che rimane fortemente instabile, poiché attraversata da ininterrotte sollecitazioni etiche che fotograno la spaccatura del Paese sui temi.

La sentenza presa in esame è allora così importante, forse, proprio perché è l'istantanea di una mutazione in atto che investe intanto e in primis la stessa accezione di famiglia la quale si trova da tempo a dover fare i conti con un anelito espansivo e plurale, potenzialmente in grado di destabilizzare e scardinare gli approdi finora raggiunti.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Art. 65 ordinamento giudiziario, approvato con R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, “La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge. La corte suprema di cassazione ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio dello Stato e su ogni altro territorio soggetto alla sua sovranità”.

[2] Cass., Sez. I, 3/4/2020, n. 7668

[3] Cass., Sez. I, 3/4/2020, n. 7668

[4] L’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo dispone: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. L’art. 14: “ Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.

[5] L’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia il 27 maggio 1991, recita: “1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. 2. Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei dover dei sui genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati. 3. Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi ed istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l’esistenza di un adeguato controllo”.

[6] L’art. 7 comma 3 lettera b) del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n.196 dispone: “ L'interessato ha diritto di ottenere: a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati; b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non e' necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; c) l'attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato”.

[7] L’art. 13 del Regolamento UE n. 2016/679  del Parlamento Europeo e del Consiglio  del 27 aprile 2016 dispone: “1. In caso di raccolta presso l'interessato di dati che lo riguardano, il titolare del trattamento fornisce all'interessato, nel momento in cui i dati personali sono ottenuti, le seguenti informazioni: a) l'identità e i dati di contatto del titolare del trattamento e, ove applicabile, del suo rappresentante; b) i dati di contatto del responsabile della protezione dei dati, ove applicabile; c) le finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali nonché la base giuridica del trattamento; d) qualora il trattamento si basi sull'articolo 6, paragrafo 1, lettera f), i legittimi interessi perseguiti dal titolare del trattamento o da terzi; e) gli eventuali destinatari o le eventuali categorie di destinatari dei dati personali; f) ove applicabile, l'intenzione del titolare del trattamento di trasferire dati personali a un paese terzo o a un'organizzazione internazionale e l'esistenza o l'assenza di una decisione di adeguatezza della Commissione o, nel caso dei trasferimenti di cui all'articolo 46 o 47, o all'articolo 49, secondo comma, il riferimento alle garanzie appropriate o opportune e i mezzi per ottenere una copia di tali dati o il luogo dove sono stati resi disponibili. 2. In aggiunta alle informazioni di cui al paragrafo 1, nel momento in cui i dati personali sono ottenuti, il titolare del trattamento fornisce all'interessato le seguenti ulteriori informazioni necessarie per garantire un trattamento corretto e trasparente: a) il periodo di conservazione dei dati personali oppure, se non è possibile, i criteri utilizzati per determinare tale periodo; b) l'esistenza del diritto dell'interessato di chiedere al titolare del trattamento l'accesso ai dati personali e la rettifica o la cancellazione degli stessi o la limitazione del trattamento che lo riguardano o di opporsi al loro trattamento, oltre al diritto alla portabilità dei dati; c) qualora il trattamento sia basato sull'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), oppure sull'articolo 9, paragrafo 2, lettera a), l'esistenza del diritto di revocare il consenso in qualsiasi momento senza pregiudicare la liceità del trattamento basata sul consenso prestato prima della revoca; d) il diritto di proporre reclamo a un'autorità di controllo; e) se la comunicazione di dati personali è un obbligo legale o contrattuale oppure un requisito necessario per la conclusione di un contratto, e se l'interessato ha l'obbligo di fornire i dati personali nonché le possibili conseguenze della mancata comunicazione di tali dati; f) l'esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all'articolo 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l'importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l'interessato. 3. Qualora il titolare del trattamento intenda trattare ulteriormente i dati personali per una finalità diversa da quella per cui essi sono stati raccolti, prima di tale ulteriore trattamento fornisce all'interessato informazioni in merito a tale diversa finalità e ogni ulteriore informazione pertinente di cui al paragrafo 2. 4. I paragrafi 1, 2 e 3 non si applicano se e nella misura in cui l'interessato dispone già delle informazioni”.

[8] L’art. 11 comma 3 del D.P.R. 3 novembre n. 396 prevede “L'ufficiale dello stato civile non può enunciare, negli atti di cui è richiesto, dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle che sono stabilite o permesse per ciascun atto”.

[9] Legge  19 febbraio 2004, n. 40, "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004

[10] Corte Cost., 23/10/2019, n. 221

[11] Corte Cost., 23/10/2019, n. 221 “Questa Corte ha avuto modo di porre in evidenza come la legge n. 40 del 2004 costituisca la «prima legislazione organica relativa ad un delicato settore, che negli anni più recenti ha conosciuto uno sviluppo correlato a quello della ricerca e delle tecniche mediche, e che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali» (sentenza n. 45 del 2005)”.

 

[12] Corte Cost., 23/10/2019, n. 221 “La materia tocca, al tempo stesso, «temi eticamente sensibili» (sentenza n. 162 del 2014), in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio fra le contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene «primariamente alla valutazione del legislatore» (sentenza n. 347 del 1998)”.

[13] Cass., Sez. I, 22/6/2016, n. 12962

[14] Cass., Sez. I, 30/9/2016, n. 19599

[15] Cass., Sez. I, 3/4/2020, n. 7668

[16] Corte Cost., 23/10/2019, n. 221 “Per le coppie omosessuali femminili la PMA si attua, infatti, mediante fecondazione eterologa, in vivo o in vitro, con gameti maschili di un donatore. Tale pratica era originariamente vietata in modo assoluto dalla legge n. 40 del 2004 (art. 4, comma 3), ma è divenuta fruibile dalle coppie eterosessuali a seguito della sentenza n. 162 del 2014 di questa Corte, in presenza di patologie che determinino una sterilità o una infertilità assolute e irreversibili. Con l’eventuale accoglimento delle odierne questioni, la fecondazione eterologa verrebbe estesa anche all’“infertilità sociale”, o “relazionale”, fisiologicamente propria della coppia omosessuale femminile, conseguente alla non complementarità biologica delle loro componenti. Per le coppie omosessuali maschili, invece, la genitorialità artificiale passa necessariamente attraverso una pratica distinta: vale a dire la maternità surrogata (o gestazione per altri). Il sintagma designa, come è noto, l’accordo con il quale una donna si impegna ad attuare e a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, rinunciando preventivamente a “reclamare diritti” sul bambino che nascerà. Tale pratica è vietata in assoluto, sotto minaccia di sanzione penale, dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, anche nei confronti delle coppie eterosessuali. La disposizione ora citata – considerata dalla giurisprudenza espressiva di un principio di ordine pubblico (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 8 maggio 2019, n. 12193) – non è inclusa tra quelle sottoposte a scrutinio dal Tribunale di Pordenone, né è presa affatto in considerazione dal giudice a quo nello svolgimento delle proprie censure”.

[17] Stefanelli, Procreazione e diritti fondamentali,in Trattato di diritto civile, Milano 2018, 134

M. Gattuso, Il problema del riconoscimento ab origine della genitorialità omosessuale, in G. Buffone, M. Gattuso, M.M. Winkler, Unione civile e convivenza, Giuffrè, 2017, p. 266 e M. Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 40 in Questione Giustizia on line, 2018

[18] Sul consenso e sugli elementi minimi di conoscenza, si vedano le Linee Guida della legge ed il regolamento interministeriale del 16 dicembre 2004, n. 336

[19]Corte Cost., 08/04/2014, n. 162 “È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli art. 2, 3, 29, 31 e 32 cost., l'art. 4, comma 3, l. 19 febbraio 2004 n. 40, nella parte in cui stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. La scelta della coppia, assolutamente sterile o infertile, di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, riconducibile agli art. 2, 3 e 31 cost., la quale, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo. La norma censurata incide, inoltre sul diritto alla salute, che va inteso nel significato, proprio dell'art. 32 cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica, e la cui tutela deve essere di pari grado a quello della salute fisica, atteso che l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, può incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia. Peraltro, la disciplina censurata realizza un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge a requisito dell'esercizio di un diritto fondamentale, negato ai soli soggetti privi delle risorse finanziarie necessarie per poter fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi. Infine, il divieto assoluto di fecondazione eterologa non è neppure giustificabile dalla necessità di tutelare, nell'ambito del bilanciamento degli interessi costituzionalmente coinvolti, il diritto del nato da PMA di tipo eterologo all'identità genetica, poiché l'ordinamento ammette a determinate condizioni la possibilità per il figlio di accedere alle informazioni relative all'identità dei genitori biologici. Pertanto, il censurato divieto, nella sua assolutezza, è il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in ragione anche del canone di razionalità dell'ordinamento”.

 

[20] Corte Cost., 18/12/2017, n. 272 “L’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992 e n. 11 del 1981). Non si vede conseguentemente perché, davanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l’interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod. civ.); se l’interesse alla verità abbia anche natura pubblica (ad esempio perché relativa a pratiche vietate dalla legge, quale è la maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei limiti consentiti da tale verità”.

[21] Cons. St., sez. cons. atti norm., 17 giugno 2019, n. 1732 - Pres. Zucchelli, Est. Neri) “Va osservato che l’intervento normativo oggetto del presente parere è finalizzato a consentire che la decisione di avere figli — che la Corte Costituzionale ha riconosciuto essere espressione della libertà, costituzionalmente rilevante, di autodeterminarsi — avvenga in condizioni di sicurezza e di tutela della salute. La citata sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2014, infatti, ha affermato che la scelta di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli “costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, […], è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. […] La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di [procreazione medicalmente assistita] di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera”. Poiché la tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo implica la donazione di cellule riproduttive da parte di donatori esterni alla coppia ricevente, la disciplina degli esami sanitari da effettuare sui donatori, nonché dei relativi criteri di selezione, garantisce l’esercizio del diritto alla genitorialità in termini di sicurezza e qualità, assicurando la tutela della salute di tutti i soggetti coinvolti: donatori, coppia ricevente e bimbi generati mediante le tecniche di procreazione assistita. L’intervento normativo, in definitiva, secondo la Corte Costituzionale è uno strumento di tutela del diritto fondamentale alla salute, di cui all’articolo 32 della Costituzione (…) Nell’attuale schema di regolamento, pertanto, l’Amministrazione introdurrà un limite di età prudenziale (che in sede di audizione l’Amministrazione ha suggerito essere di 25 anni per la donna e 35 per l’uomo, ma sulla cui definizione questo Consiglio non ha os ad loquendum e si rimette alla prudente determinazione della amministrazione), differenziato per l’uomo e la donna, desunto dallo stato attuale della conoscenza medica. Tale limite deve poi essere sottoposto a verifica periodica, come meglio si vedrà avanti. Per la Sezione è, altresì, indispensabile individuare un limite alla donazione degli ovociti e dei gameti maschili per limitare le nascite di bambini portatori (anche solo in parte) del medesimo patrimonio genetico. Ciò per scongiurare il rischio di consanguineità tra i nati con il medesimo patrimonio genetico della donatrice, o del donatore, e per ridurre il numero di stimolazioni ormonali cui può sottoporsi la donna per donare gli ovociti con conseguente pregiudizio per la sua salute”.

[22] Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193: “In tema di riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l'ordine pubblico, richiesta dalla L. n. 218 del 1995, artt. 64 e ss., dev'essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonchè dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico”.

[23]   La Legge 31 maggio 1995, n. 218 è rubricata come Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. All’art. 65, in ordine al riconoscimento dei provvedimenti stranieri, dispone : “1. Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa”.  

[24]  ratificata in Italia con Legge del 27 maggio 1991, n. 176