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Pubbl. Ven, 24 Lug 2015

Infortuni scolastici: come qualificare correttamente la domanda.

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Eva Aurilia


Un’analisi della giurisprudenza in materia di corretta qualificazione della domanda introduttiva per i casi di infortuni scolastici.


Gli infortuni scolastici rappresentano una valida e ricorrente occasione ai fini della richiesta del risarcimento danni.

Tuttavia è errore costante procedere, con l’atto introduttivo, ad una mancata qualificazione della domanda, la quale è solo volta ad ottenere il risarcimento del danno senza specificare se lo stesso sia riferibile ad una responsabilità contrattuale o extra-contrattuale, ovvero procedere ad una qualificazione non corretta della domanda.

Le conseguenze sono diverse.

1) Mancata qualificazione della domanda.

La domanda può dirsi non qualificata sia nell’ipotesi in cui l’attore non specifichi a che titolo richiede il risarcimento dei danni, sia qualora proponga domanda richiedendo il relativo risarcimento, indifferentemente, a titolo di responsabilità contrattuale e/o extra-contrattuale, sia nel caso in cui la qualificazione sia dubbia.

In tali casi l’attore può procedere ad una successiva specificazione del titolo di responsabilità (contrattuale o extracontrattuale), in quanto integrante una semplice emendatio libelli.

Il Giudice, inoltre, alla luce del generale principio iura novit curia può procedere alla qualificazione della domanda attorea.

Tuttavia, parte della giurisprudenza, seguendo un filone di pensiero diverso, al riguardo (ex multis, si consideri Cassazione Civile, Sez. III del 2006 n. 5244)  testualmente afferma che: “In tema di risarcimento del danno, ove la domanda rimanga "ambigua", non risultando in base al "petitum" e alla "causa petendi" possibile evincersi la precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale, deve ritenersi che sia stata proposta una azione di responsabilità extracontrattuale ex, art. 2043 c.c.”.

Tale principio giurisprudenziale è stato recentemente applicato proprio con riguardo all’infortunio scolastico occorso ad allievo caduto all’interno di un’aula scolastica – dunque danno auto-cagionato come nel caso di specie – dal Tribunale di Napoli, Giudice dott. Giulio Cataldi, con sentenza n. 8761 depositata il 10.7.2009.

La conseguenza non è di poco momento considerando che per l’art. 2043 c.c. opera l’inversione dell’onere probatorio, differentemente a quanto accade per l’art. 2048 c.c. che segue il regime probatorio del 1218 c.c.

Ciò implica che sull’attore graveranno tutti i relativi oneri probatori che incombono sul danneggiato: nella specie, l’attore dovrà provare non solo l’evento dannoso occorso all’alunno, ma anche la condotta colposa delle Amministrazioni convenute nonché il nesso causale tra tali elementi.

2) Erronea qualificazione della domanda.

Sussiste una differenza di fondo, ai fini della proposizione della domanda, tra l’ipotesi di danno auto-cagionato dall’alunno a se stesso (la più frequente) e l’ipotesi di danno cagionato da un alunno ad altro alunno (etero-cagionato), che non consente di ricondurre in maniera indifferente la domanda alla fattispecie di cui all’art. 2048 c.c e, dunque, alla cupa in vigilando degli insegnanti, come spesso accade.

A tal proposito è utile richiamare la giurisprudenza prevalente. Quest’ultima, infatti, è pacifica nel ritenere che, per l’ipotesi di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la domanda risarcitoria sia riconducibile esclusivamente alla norma di cui all’articolo 1218 c.c., potendo venire in rilievo soltanto una responsabilità di tipo contrattuale a carico dell’Amministrazione scolastica (SS.UU. Cass. civ., n. 9346/2002).

Diversamente, la domanda risarcitoria può essere qualificata ex articolo 2048 c.c. esclusivamente per l’ipotesi di danno etero-cagionato (ex multis, Cass. civ., sez. III, n. 10030/2006).

Per quanto concerne il primo aspetto, la Corte di Cassazione, SS.UU., ha argomentato che, in materia di responsabilità della P.A. in caso di lesioni procurate dall’alunno a se stesso - durante il periodo in cui è sottoposto alla vigilanza degli insegnanti scolastici - la domanda attorea debba correttamente qualificarsi ex art. 1218 c.c., escludendo, quindi, la riconducibilità dell’istituto allo schema dell’illecito extracontrattuale ex art. 2048 c.c. (Corte Cass. SU 27.06.2002 n. 9346, ric. Parmentola c/RAS s.p.a ed altri), in quanto “l’accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione dell’allieva determina un vincolo negoziale in virtù del quale, nell’ambito delle obbligazioni assunte dall’istituto, deve ritenersi sicuramente inclusa quella di vigilare anche sulla sicurezza ed incolumità dell’allievo”.

Qualificare erroneamente la domanda preclude, questa volta, all’attore di procedere ad una nuova qualificazione della stessa, integrando la fattispecie una inammissibile mutatio libelli, un mutamento, cioè, della causa petendi.

Analogamente il Giudice non può, in questo caso, procedere ad una correzione della causa petendi in quanto ciò violerebbe il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il principio del contraddittorio e della parità delle parti nel processo.

Tali deduzioni risultano confermate in giurisprudenza, tra le tante, da Cassazione civile, sez. III, 13 novembre 2009, n. 24046, ove si afferma che “il potere di lettura ed interpretazione degli atti giudiziari […] da parte del giudice di merito, pur se consente a quest’ultimo – se del caso – sia di non uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti al suo vaglio, sia di tenere presente il contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, incontra tuttavia un limite insuperabile nella domanda come formulata. Con la conclusione che deve ritenersi preclusa per il giudice, in sede di interpretazione della domanda, la sostituzione della domanda come proposta con altra” e ha aggiunto che “sussiste violazione del principio tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., quando il giudice sostituisce d’ufficio e si pronuncia su di un’azione diversa da quella formalmente proposta (in termini, ad esempio, Cass. 3 gennaio 2002, n. 26)” e che “Il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione dando al rapporto dedotto in giudizio il nomen iuris anche in difformità rispetto alla prospettazione formulata dalle parti, purché lasci inalterati il petitum e la causa petendi (Cass. 24 maggio 2005, n. 10922; Cass. 12 aprile 2006, n. 8519)”.

Parte della Giurisprudenza è però andata oltre alla pura qualificazione formale della domanda attorea e alle conseguenze nette che ne deriverebbero, seguendo un orientamento diverso da quello appena analizzato.

Ponendo, infatti, l’accento sullo specifico e concreto aspetto del riparto dell’onere probatorio va evidenziato come la tesi “contrattualistica” affermata dalle SS.UU. - per quanto riguarda l’ipotesi di danno auto-cagionato - non ha introdotto elementi innovativi rispetto alla disciplina dettata dall’art. 2048 c.c. vigendo, per quest’ultima, una presunzione iuris tantum di responsabilità mentre, per la norma di cui all’articolo 1218 c.c., una presunzione legale di colpa.

Si tratta, dunque, di presunzioni che pongono sul convenuto, e nel caso di specie sull'istituto scolastico,  l’onere di dare la prova contraria.

Lo scarto, infatti, sarebbe decisivo se l’alternativa fosse tra una qualificazione ex art. 2043 c.c. (operando l’inversione dell’onere della prova, vedi sopra) e ex 1218 c.c.

Ciò ha trovato conferma nella giurisprudenza di legittimità successiva all’arresto delle SS.UU. giungendo alla conclusione per la quale “è indifferente invocare la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie, suggerite dall’ordinaria prudenza..” (Corte Cass. III sez. 4.2.2005 n.2272).

Infatti, volendosi procedere ad una corretta qualificazione della domanda ex art. 1218 c.c. e applicarne il relativo regime probatorio, la giurisprudenza afferma che “mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante” (Cass. SS.UU. 27.06.2002 n. 9346).

Sembrerebbe, quindi, sufficiente che l’attore si limiti alla mera allegazione dell’esistenza di un rapporto contrattuale per giustificare la pretesa al risarcimento dei danni che si sono prodotti in corso di rapporto, incombendo sull’altra parte la prova liberatoria.

Tuttavia recente giurisprudenza (cfr. sentenza Tribunale Napoli del 17.4.2014), analizzando in maniera accorta un caso avente ad oggetto un infortunio scolastico per il quale l’attore ha proceduto ad una qualificazione ex art. 2048 c.c. della domanda in luogo di una qualificazione ex art. 1218 c.c., ha acutamente affermato che: “(..) affinchè operi questa inversione dell’onere della prova (cioè la prova liberatoria in capo all'Amministrazione), è pur sempre necessario che l’attore quanto meno alleghi la circostanza dell’inadempimento della controparte, in mancanza della quale non sarebbe neanche individuabile l’onere della prova a carico del convenuto”.

Si aggiunge ancora, quindi, che ”non è sufficiente affermare che l'infortunio si è verificato durante l’orario scolastico, occorrendo affermare quanto meno che in quel frangente gli insegnanti erano assenti o distratti, ovvero che erano state impartite indicazioni insufficienti, o che mancavano necessarie misure di protezione, ecc., sorgendo solo a fronte di tali possibili allegazioni la prova, a carico dell’ente convenuto, di aver correttamente adempiuto la propria prestazione”.

Le conclusioni alle quali giunge la citata giurisprudenza sono relative al cuore pulsante del problema, che non risiede solo nella corretta qualificazione della domanda che, come visto, darebbe luogo a differenze quasi nulle in tema di onere della prova ma che richiede di individuare il momento nel quale sorge in capo all’Amministrazione l’onere di offrire la prova liberatoria.