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Pubbl. Ven, 15 Mag 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservazioni sull´istituto dell´opposizione di terzo

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Federica Prato
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Napoli Federico II



L´istituto dell´opposizione di terzo da sempre è stato definito uno dei più oscuri dell’ordinamento processuale civile italiano per le peculiarità caratterizzanti la sua applicazione e le insidie portate alla luce da autorevoli studiosi del secolo scorso. Con il presente elaborato verrà fornita una panoramica generale sull´istituto in esame, sul suo funzionamento e sull´evoluzione dottrinale in merito allo stesso.


ENG The third party proceedings is defined as the most unclear legal action of the italian civil procedural law because of its specific characteristics on its area of application and pitfalls of which eminent researchers revealed. This paper focuses on general framework, operating and change in interpreation of this legal action.

Sommario: 1. Inquadramento del tema dell’istituto dell’opposizione di terzo ordinaria e revocatoria ex art. 404 c.p.c.; 2. L’accurato studio condotto da Proto Pisani sull’istituto in esame; 2.1 L’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. nel sistema dei mezzi di impugnazione; 2.2 Il giudicato e l’opposizione di terzo nella visione di Allorio; 3. L’istituto dell’opposizione di terzo all’esecuzione; 4. Note a margine della ricerca: spunti di riflessione e conclusioni

 

1. L’istituto dell’opposizione di terzo ordinaria e revocatoria ex art. 404 c.p.c.

Nell’ambito della realtà processuale possono verificarsi fenomeni di espansione degli effetti della sentenza nei confronti di terzi.

Il legislatore, avendo preso atto di tale eventualità, ha fornito lo strumento dell’opposizione di terzo, nella sua duplice versione. Nonostante l’apparente chiarezza e praticità del dato normativo, non ha mai smesso di far discutere le grandi menti del diritto processuale civile, in merito alla sua efficacia e al suo reale raggio di applicazione.

Si rende noto, inoltre, che anche la giurisprudenza, per lungo tempo (e a quanto pare tutt’ora), ha avuto posizioni contrastanti, prive di una ratio unitaria[1].

In via generale, l'opposizione di terzo costituisce un mezzo di impugnazione straordinario caratterizzato da due elementi, ovvero, da un lato, può essere esperito nonostante il passaggio in giudicato del provvedimento (per questo rientra nelle impugnazioni straordinarie), dall’altro, il terzo è libero di non utilizzare questo strumento e far valere le proprie ragioni autonomamente con un’azione di accertamento di un suo diritto (infatti è un rimedio facoltativo).

Ad occuparsene[2] è l’art. 404 del c.p.c., disciplinando al primo comma l’opposizione di terzo ordinaria, da intendere come una sorta di tutela generica, utilizzabile per un qualsiasi motivo e al secondo, il particolare strumento dell’opposizione di terzo revocatoria, da considerare come rimedio specifico, esperibile al ricorrere di precisi presupposti.

Andando per ordine, al primo comma della disposizione in esame si legge che “Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti”.

Non pochi sono stati i dubbi interpretativi, soprattutto in merito alle varie interpretazioni alla quale potrebbe prestarsi l’espressione “pregiudica i suoi diritti”.

Con questo strumento, il terzo intende tutelare un suo diritto, autonomo e incompatibile con il contenuto della sentenza impugnata (secondo l’interpretazione prevalente), nello specifico cerca di evitare, a sé stesso, il pregiudizio che sarebbe derivato dal giudicato inter alios, per la stretta connessione tra il rapporto dedotto in giudizio e il suo diritto.

La domanda proposta dal terzo con l'opposizione può essere qualificata come domanda di accertamento negativo.

Per fare un esempio, ci si può riferire all’ipotesi in cui un terzo vanti un diritto di locazione verso una delle parti processuali. Nei confronti di questa parte viene emessa una sentenza di condanna al rilascio dell'immobile. A titolo esemplificativo, il terzo conduttore dell’immobile verrà pregiudicato da un’ordinanza di convalida di sfratto conseguente alla mancata comparizione o alla non opposizione dell'intimato. Lo stesso discorso vale nei confronti del subconduttore, infatti la sentenza resa tra locatore e conduttore avrà nei suoi confronti efficacia di titolo esecutivo, a prescindere dalla sua partecipazione al relativo procedimento (art. 1595 c.c.).

In questa, come in altre ipotesi analoghe, il rimedio dell'opposizione consente al terzo di escludere l'efficacia della sentenza nei suoi confronti. 

Questo primo comma è stato anche oggetto di una decisione della Corte costituzionale, la quale ne dichiarò l’incostituzionalità (in virtù di una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.) nella parte in cui non consentiva l’utilizzabilità dello strumento d’impugnazione verso l’ordinanza di convalida di licenza per finita locazione[3].

Un punto che ha attirato l’attenzione della dottrina negli anni è stato il dilemma di poter considerare terzo legittimato all’utilizzo dello strumento impugnatorio, il litisconsorte pretermesso e il falso rappresentato.[4]

Il secondo comma della disposizione in esame dispone che “Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l'effetto di dolo o collusione a loro danno”.

La c.d. opposizione di terzo revocatoria è adibita a rimuovere il pregiudizio generato dalla sentenza, sempre inter alios, nella sfera giuridica di aventi causa (questi potrebbero essere pregiudicati nel diritto acquisito dall’eventuale soccombenza del dante causa) o creditori di una delle parti (i quali, ad esempio, subirebbero un pregiudizio dalla riduzione del patrimonio del debitore).

Questa forma di opposizione di terzo si configura, in sostanza, come una forma di azione revocatoria di cui all'articolo 2901 c.c., applicata, però, ai giudizi, nei casi di frode a danno del terzo.

In questa ipotesi, a differenza dell’opposizione di terzo ordinaria, l'impugnazione è possibile solo quando la sentenza risulti essere frutto di dolo o collusione delle parti in causa, a danno del terzo. Tale evenienza può verificarsi soprattutto in determinate circostanze, come in caso di successione universale o particolare, successiva al giudicato.

Dal punto di vista pratico, però, queste due forme di impugnazione presentano, a detta di parte della dottrina, tra cui Verde, notevoli carenze:

  1. la versione ordinaria dello strumento risulterebbe marginale, se non superflua, per il suo carattere facoltativo, nel senso che, il terzo opterà per tale rimedio solo quando l’azione in via autonoma non risulterebbe sufficiente per rimuovere nel breve periodo il pregiudizio derivante dalla sentenza inter alios. Ciò nonostante, già dagli inizi degli anni 90, dopo previsione dell’esecutività ex lege delle sentenze di primo grado[5], molte critiche avanzate dalla dottrina, non avevano più ragion d’essere, perché seppur solo in astratto, tutte le sentenze di primo grado sarebbero idonee a generare l’efficacia riflessa e di conseguenza ad arrecare pregiudizi a terzi.
  2. Più complesso è il discorso sull’opposizione di terzo revocatoria, in quanto l’istituto presenta notevoli peculiarità.

In primis, il termine di 30 giorni[6] dalla scoperta della collusione (quando le parti in causa si accordano per ottenere una sentenza che rispecchi, non la realtà effettiva, ma bensì una realtà fittizia, diversa) o del dolo (in caso di condotte processuale adibite ad alterare la realtà a danno del terzo) per l’esperibilità del rimedio. Quindi non è necessario che il terzo sia semplicemente a conoscenza dell’esistenza di una sentenza, ma è fondamentale la conoscenza, nonché la prova dell’elemento fraudolento come causa della decisione del giudice.

In secundis, le difficoltà probatorie a carico del terzo.

Una serie di implicazioni, sono sorte, anche, dalla delimitazione della figura dell’avente causa. In tale novero sarebbe opportuno distinguere tra avente causa a titolo universale o particolare e, soprattutto, guardare al momento in cui è avvenuta la successione (prima, dopo o durante il processo).

Brevemente, in caso di successione a titolo universale verificatasi prima del processo, il vero legittimato risulta essere il successore; se la successione è avvenuta a causa in corso, saranno applicabili tranquillamente, gli artt. 110 e 299 ss. c.p.c., infine, qualora il fenomeno successorio si sia verificato dopo il passaggio in giudicato della sentenza, il giudicato avrà efficacia nei confronti dell’avente causa, sprovvisto, però di tutela, salvo utilizzabilità dell’opposizione revocatoria in caso di pregiudizio generato da dolo o collusione operata tra il de cuius e la parte in causa.

Diversamente, in caso di successione a titolo particolare, c’è chi distingue due casistiche[7]:

  • successione nella stessa situazione sostanziale oggetto della controversia in questo caso sarà applicabile semplicemente l’art. 111 c.p.c., quando la successione si sia verificata a processo in corso, mentre, qualora sia stata antecedente al processo, anche qui il successore sarà l’unico legittimato, diversamente, invece, se la successione è avvenuta dopo il passaggio in giudicato, perché sarà operante il disposto ex art. 2909 c.c. e non sarà possibile, in nessun caso, esperire l’opposizione di terzo;
  • successione in una situazione derivata da quella che costituisce oggetto della controversia originaria, in questo caso, la questione è particolarmente complessa perché, se il fenomeno successorio risultasse antecedente al processo, la parte originaria conserverebbe la legittimazione. Qualora la successione si verifichi, invece, in corso di causa, di regola la sentenza produrrà i suoi effetti anche nei confronti del terzo (salvo alcuni casi), in ultimo, la successione post giudicato non attribuisce alcuna tutela al terzo che subisce, fisiologicamente, gli effetti ex. art. 2909 c.c.

Secondo pacifica dottrina, in realtà, l’istituto non sarebbe limitato ai creditori e agli aventi causa, ma bensì sarebbe utilizzabile da tutti i terzi che si trovano a subire gli effetti di un giudicato, per sottrarsi agli stessi o per rimuovere il provvedimento, dimostrando, però, che lo stesso sia frutto di dolo o collusione.

Considerando oggettivamente la peculiarità e la difficoltà insita alla prova del dolo e della collusione, è facilmente percepibile che l'utilizzazione di tale strumento risulta alquanto complessa e problematica.

Quanto detto sino ad ora è solo una panoramica generale sull’istituto e su alcune sue criticità, evidenziate da parte della dottrina.

Nei prossimi paragrafi saranno portate all’attenzione del lettore una serie di diatribe e osservazioni autorevoli sorte negli anni intorno all’opposizione di terzo.

2. L’accurato studio condotto da Proto Pisani sullo strumento dell’opposizione di terzo

Come accennato nel paragrafo precedente, lo strumento di tutela in esame risulta essere trai “più oscuri del codice di procedura: tutto è in discussione dalla legittimazione all’interesse, dal suo carattere facoltativo o necessario ai rapporti tra provvedimento impugnato e provvedimento che accolga l’opposizione, dalla sua funzione giuridica alla sua stessa utilità pratica.[8]

È lo stesso Proto Pisani a segnalare i risultati poco soddisfacenti ottenuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza sul tema e soprattutto la complessità intrinseca dell’istituto con le annesse difficoltà interpretative.

Una delle prime considerazioni da fare è relativa ai soggetti legittimati, che per l’opposizione di terzo revocatoria sono i creditori e gli aventi causa.  In realtà, una serie di elementi, anche di carattere storico, consente di ritenere tale elenco non tassativo, quindi saranno legittimati tutti i soggetti travolti dall’efficacia riflessa.

Per la variante ordinaria dell’istituto, invece, non sono espressamente indicati.

Prima di procedere, risulta necessaria una breve considerazione sulla figura dell’avente causa. In questa disposizione normativa sono considerati legittimati all’opposizione di terzo revocatoria in caso di sentenza frutto di dolo o collusione che arreca loro un pregiudizio, quindi devono risultare colpiti dagli effetti di un giudicato inter alios. Possono considerarsi aventi causa “i successori, il cui titolo si è perfezionato ante litem o, più in generale, i terzi titolari di un diritto dipendente, che è sorto prima dell’instaurazione del processo riguardante il rapporto pregiudiziale”.[9]

Non saranno, invece, considerabili aventi causa i successori nel diritto controverso e i successori post rem iudicatam, anche se risulta difficile immaginare un dolo o una collusione verso un soggetto che ancora non esiste.

Gli studi condotti dall’Autore hanno portato all’elaborazione di due categorie di terzi potenzialmente legittimati all’opposizione ordinaria. Ovvero da un lato coloro che risultano titolari di diritti autonomi e incompatibili a quello oggetto del giudizio purché ci siano elementi soggettivi diversi e oggettivi identici, anche solo parzialmente (riferendosi a soggetti che non subiscono l’efficacia diretta né riflessa del giudicato e che non sono neanche menzionati negli atti del processo), dall’altro invece, quei terzi titolari di rapporti giuridici con elementi sia oggettivi che soggettivi identici al rapporto oggetto della causa pendente (riferendosi a terzi soggetti all’efficacia diretta del giudicato in quanto qualificato come soggetti degli effetti della sentenza ma non come soggetti degli atti).

  • Per quanto riguarda la prima categoria, qualora si volesse ritenere tali soggetti legittimati, l’opposizione di terzo ordinaria potrebbe essere utilizzata, quindi risulta uno strumento facoltativo, potendo il terzo far valere anche autonomamente le lesioni subite da quei terzi, titolari di diritti autonomi e incompatibili con quello oggetto del giudizio e non soggetti all’efficacia né diretta, né riflessa della sentenza, con un interesse costituito dal pregiudizio di fatto o giuridico, che la sentenza ha arrecato ad una propria situazione soggettiva.

Le funzioni di tale strumento sarebbero due, da un lato evitare un pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza e dall’altro garantire una certezza in merito al diritto del terzo pregiudicato.

Visto in questo modo, tale strumento ha suscitato una serie di critiche in dottrina, addirittura assumendo la qualifica di “ramo secco della legislazione processuale[10] perché dal punto di vista pratico risultava difficile immaginare il danno che la sentenza arrecava al terzo, essendo il suo diritto autonomo e incompatibile con quello deciso. L’Autore stesso definisce inutile tale strumento così interpretato.     

  • Ritenendo invece legittimati i terzi della seconda categoria. In questo caso, l’istituto verrebbe configurato come rimedio necessario, per il quale l’interesse sarebbe rappresentato dall’aver subito gli effetti di una sentenza illegittima, pronunciata in violazione delle norme processuali in materia di litisconsorzio e rappresentanza.

Trattandosi di terzi titolari di rapporti con elementi oggettivi e soggettivi identici a quello dedotto in giudizio, qui, il pregiudizio meramente giuridico sta nell’aver subito gli effetti di una sentenza invalida. In questo caso, la funzione dell’istituto sarebbe quella di impugnare una sentenza invalida in vista di gravi vizi formali.

Questa interpretazione fornisce un’utilità allo strumento oggetto di esame, tutelando efficacemente soggetti terzi che subiscono un pregiudizio da una sentenza inter alios.   

A seguire, verranno riportate tre importanti teorie, prese in considerazione dall’Autore e alcune debitamente criticate, adibite alla ricerca del pregiudizio fonte della legittimazione del terzo ad avvalersi dello strumento ex art. 404 c.p.c.

Particolare rilievo assume la c.d. teoria del danno da esecuzione[11] che, secondo Proto Pisani, è uno dei migliori contributi volti a superare la concezione di opposizione di terzo come strumento inutile, ma soprattutto ha cercato di interpretare l’istituto evitando il contrasto con i principi costituzionali.

Questa tesi è stata fortemente sostenuta in Italia e Francia da giuristi del calibro di Chiovenda, Redenti, Segni, Pigeau e Tessier[12].

Secondo i sostenitori di questa teoria, un soggetto terzo potrebbe subire dei pregiudizi dall’esecuzione di un giudicato che, in realtà, non dovrebbe avere alcun effetto nei suoi confronti perché reso inter alios.

Dunque, la tutela del terzo dovrebbe essere garantita consentendogli di evitare l’esecuzione e di utilizzare strumenti come le azioni possessorie e petitorie; inoltre, alcuni sostengono che sia la stessa opposizione di terzo a poter prevenire o bloccare l’esecuzione pregiudizievole.

C’è da segnalare che parte della dottrina ha interpretato diversamente questa teoria, rilevando delle criticità, ad esempio Chiovenda riteneva che tale tesi evidenziasse solo “l’idoneità dell’opposizione di terzo, a differenza delle azioni autonome, a prevenire il c.d. danno da esecuzione e l’eventuale contraddizione tra giudicati che sfocia inevitabilmente nel conflitto di esecuzione”[13]; invece, un’analisi più accurata,  come quella di Mendelssohn Bartholdy, evidenzia che in realtà, ciò che realmente tutela il terzo dall’eventuale pregiudizio nascente dall’esecuzione è l’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c. e non quella disciplinata dall’art. 404 c.p.c.

Lo stesso Proto Pisani rileva alcune criticità della teoria in esame, affermando che bisogna capire se il pregiudizio arrecato al terzo derivi dalla sentenza resa inter alios o dall’esecuzione materiale solo in caso di esecuzione in forma specifica della stessa, perché nel primo caso la teoria del danno da esecuzione può validamente essere utilizzata per giustificare l’istituto oggetto d’esame, mentre, nel secondo caso, questo non sarebbe possibile.  

Un’altra teoria che merita di essere segnalata è quella della soggezione all’efficacia di prova della sentenza.

È necessario, però premettere che questa concezione nasce in un periodo in cui la res judicata era considerata come una sorta di presunzione e di conseguenza, lo era anche l’efficacia probatoria.

Tale tesi può essere sintetizzata tramite le parole del Mendelssohn Bartholdy. Egli affermava che lo scopo dell’opposizione di terzo è quello di tutelare un soggetto terzo dall'efficacia di una sentenza resa in un processo nel quale non è stato parte. Però, contro l'efficacia del giudicato non potrebbe utilizzarsi tale strumento in quanto la stessa resterebbe immutata senza consentire la possibilità di fornire alcuna prova contraria e in sede esecutiva, invece vanno utilizzati altri strumenti. 

Infatti, vi sarebbe anche l’efficacia probatoria che al contrario dell’efficacia del giudicato non essendo immutabile, risulta impugnabile con l’opposizione di terzo.

Questa teoria non ha trovato fortuna nella dottrina italiana per l’infondatezza sul piano pratico e dogmatico e per ben quattro valide motivazioni: per quanto riguarda il concetto stesso di prova, il suo oggetto è l’accertamento di un fatto e non di un rapporto giuridico, tale accertamento, inoltre, è adibito alla formazione dell’iter logico che porta all’emanazione della sentenza; i sostenitori di tale teoria peccano di aver voluto a tutti i costi distinguere l’efficacia della sentenza verso i terzi da quella verso le parti, ricostruendole diversamente e infine, tale teoria risulta lontana dalla realtà pratica in quanto non risolve le problematiche analizzate in apertura relative allo strumento dell’opposizione di terzo soprattutto nei confronti di terzi titolari di diritti autonomi e incompatibili con quello dedotto in giudizio.

La teoria che affascina maggiormente, anche se il Proto Pisani non l’ha ritenuta compatibile con i principi del nostro ordinamento, invece risulta quella della soggezione all’efficacia riflessa della sentenza[14].

Questa ha cercato di sciogliere tutti i dubbi sulla legittimazione all’utilizzo dell’opposizione di terzo, sostenendo che il pregiudizio che legittimerebbe il terzo sarebbe derivante dall’efficacia riflessa della sentenza resa inter alios.

In breve, uno dei maggiori sostenitori fu Carnelutti e risulta fondamentale ricordare che per lui il giudicato s’identificava con l’imperatività della sentenza ed infatti, affermava che l’opposizione di terzo fosse a tutela di tutti quei terzi che avevano subito un pregiudizio, inteso come lesione di un proprio diritto o non di un mero interesse, sulla base dell’efficacia riflessa[15].

Nonostante l’apparente fascino della teoria segnalata, l’Autore non la ritiene idonea, né sotto l’aspetto giuridico che pratico,  a chiarire la legittimazione all’utilizzo dello strumento di tutela in questione perché, tra i diversi motivi, non spiegherebbe la relazione più che altro come conciliare l’opposizione di terzo con la limitazione soggettiva dell’autorità del giudicato tra l’art. 404 c.p.c. e l’art. 2909 c.c. e poi attribuirebbe una tutela sproporzionata anche dal punto di vista della durata.

Dopo queste brevi osservazioni relative ai soggetti legittimati, è il caso di soffermarci su quali possono essere le sentenze suscettibili a essere impugnate tramite l’opposizione di terzo ordinaria.

La prima precisazione necessaria riguarda il vecchio codice di rito, che creò non pochi problemi interpretativi, il quale all’art. 510 utilizzava il termine troppo generico di sentenza (questa genericità era però favorevole all’interprete che aveva così ampi margini di libertà interpretativa), al contrario dell’attuale art. 404 c.p.c. che si riferisce espressamente alle sentenze passate in giudicato o esecutive.

Nonostante il chiarimento operato dal legislatore del 1942, le perplessità non sono svanite, essendone sorte altre anche in materia di rapporti tra l’opposizione di terzo e gli altri strumenti di impugnazione.

Indubbiamente non sarà utilizzabile qualora la sentenza di accertamento o costitutiva non sia ancora passata in giudicato, sia in primo che in secondo grado.

Le sentenze di condanna invece, “possono formare oggetto di opposizione di terzo non solo se passate in giudicato, ma anche se, pronunciate in grado di appello o in unico grado, sono ancora impugnabili o siano già state impugnate con ricordo per cassazione o revocazione ordinaria, ovvero se, essendo appellabili, sono state dichiarate provvisoriamente esecutive”[16]; questo è importante ai fini della precisazione che tali sentenze producono una serie di effetti ovvero costitutivi, di accertamento e ovviamente esecutivi.

Dunque, nel primo caso esaminato, ossia sentenze di accertamento e costitutive, l’opposizione sarà esperibile solo dopo il passaggio in giudicato, diversamente per le sentenze di condanna, nonostante la pluralità di effetti indicati, sarà opponibile sia in caso di sentenza d’appello che in caso di sentenza di primo grado con clausola di provvisoria esecuzione (in assenza di tale clausola l’opposizione sarà inammissibile).

Lo studio condotto dall’Autore e da altri suoi contemporanei (tra tutti Andrioli) evidenzia delle criticità in merito al concorso tra l’opposizione di terzo e gli altri strumenti impugnatori in quanto, si ritiene che il legislatore abbia del tutto ignorato il problema e colmare la lacuna tramite analogia comportava serie e inadeguate forzature.

Nessuna problematica di concorso tra strumenti impugnatori sorgeva in caso di sentenza di primo grado passata in giudicato o di condanna con clausola di provvisoria esecutività, però in caso di opposizione proposta contro una sentenza provvisoriamente esecutiva non ancora appellata, qualora una delle parti originari proponeva appello e il terzo interveniva, quindi non sarà più terzo ma parte, in quella sede nel processo, l’opposizione proposta in precedenza diventava inammissibile per difetto sopravvenuto di legittimità; il problema si crea quando il terzo decideva di non intervenire in appello, generando un concorso di mezzi d’impugnazione.

In questo caso (ma anche in caso di opposizione di terzo proposta dopo l’instaurazione del giudizio di appello) Proto Pisani accoglie una soluzione basata sull’interpretazione dell’art. 335 c.p.c. (Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d'ufficio, in un solo processo”), il quale attua in primis il principio di unità del procedimento di impugnazione e il principio di economia dei rimedi processuali, crea inoltre, tramite la riunione (a favore del giudice di grado superiore), un perfetto coordinamento tra opposizione di terzo ed intervento in appello.

Un altro caso che secondo l’Autore è risolvibile tramite la riunione dei procedimenti per evitare conflitti di giudicati, si ha quando viene proposta l’opposizione di terzo contro una sentenza emanata in appello o in unico grado, non ancora coperta dal giudicato in quanto impugnata tramite ricorso in cassazione o tramite revocazione (ex art. 395 nn. 4 - 5).

Al termine di queste autorevoli e interessanti riflessioni si può concludere come segue: “dagli studi di Proto Pisani si trae un duplice insegnamento (…). In primo luogo, è da accogliere il metodo suggerito: occorre prendere le mosse dalle norme di diritto positivo, che debbono essere lette, però, alla luce dei principi costituzionali (…). In secondo luogo… la dipendenza tra rapporti giuridici, sotto l’aspetto della struttura e della disciplina sostanziale, non costituisce una categoria unitaria, ma al contrario, si presenta con modalità differenti[17].

2.1 L’opposizione di terzo nell’ambito del sistema dei mezzi di impugnazione

Parte della dottrina del secolo scorso e contemporanea[18] ha ritenuto poco soddisfacenti i risultati raggiunti dal Proto Pisani, nonostante l’apprezzabile coerenza dei ragionamenti.

Tutto ciò spinge alcuni studiosi, come il Fabbrini, a ritornare sul tema dell’efficacia riflessa e degli strumenti a tutela dei terzi, in particolar modo sull’opposizione di terzo.

Nello specifico, si voleva dimostrate la possibilità che una sentenza resa inter alios arrechi danni nella sfera giuridica di un soggetto titolare di un diritto autonomo ed incompatibile e ciò lo legittimi all’utilizzazione dell’opposizione di terzo.

Ponendosi sin da subito in contrasto con quella parte della dottrina che nega qualsiasi tipologia di efficacia riflessa e con coloro i quali fanno rientrare tra i terzi legittimati i litisconsorti pretermessi e i falsamente rappresentati.

Tale tesi è supportata da riferimenti normativi e non da elementi fattuali, in quanto il nostro ordinamento processuale prevede che una volta emessa la sentenza che regola il rapporto tra le parti, è necessario adeguare a quanto stabilito la situazione giuridica oggetto della causa ed a questo punto in cui il terzo può reagire contro questa regolamentazione dimostrandone l’ingiustizia sulla base di regole giuridiche di prevalenza (nel senso che il terzo si dichiara titolare di una situazione sostanziale prevalente).

Quando si fa riferimento alle disposizioni normative è giusto segnalare che, nonostante le critiche avanzate dalla dottrina sulla lacunosità e sull’apparente poca chiarezza del legislatore, un’attenta analisi consente di evidenziare quattro punti focali dell’istituto in questione:

  1. Non è un caso che la norma faccia riferimento alle sentenze passate in giudicato o comunque esecutive dato che il diritto del terzo non potrebbe essere negato da una pronuncia inter alios, in quanto il pregiudizio può derivare “solo dall’adempimento dalla prestazione a favore del titolare del diritto incompatibile”[19].
  2. Il legislatore non ha imposto alcun onere in capo all’opponente di allegare motivi specifici (è richiesto il mero atto di citazione nel quale viene indicata la sentenza oggetto di opposizione) perché sarebbe inutile indicare motivi di censura alla sentenza perché ciò che si vuole far valere è la prevalenza del proprio diritto su quello altrui incompatibile.
  3. Il non limitare temporalmente la possibilità di esercitare l’opposizione di terzo ordinaria trova la sua giustificazione nell’assolutezza della tutela dei diritti, ovvero per usare le parole dello stesso Fabbrini: “il diritto del terzo continua ad essere tutelabile specificamente finché non sia intervenuta in fatto la concreta esecuzione della prestazione a favore di altri[20].
  4. Infine, collegare l’istituto dell’intervento in appello ai requisiti per l’esercizio dell’opposizione di terzo ordinaria trova giustificazione nella garanzia del diritto di difesa del terzo, nel senso che la tutela del terzo titolare di un diritto prevalente e incompatibile può generare una sorta di alterazione dell’ordinario iter del giudizio di secondo grado.

Sempre Fabbrini, si pone l’obiettivo di risolvere il dubbio sul carattere facoltativo o necessario dell’istituto parlando addirittura di fantasma della facoltatività, superabile dando importanza alla c.d. struttura delle situazioni sostanziali legittimanti.

Dopo un’attenta analisi riguardante l’aspetto storico, legislativo e dottrinale dell’istituto risultò possibile giungere a delle conclusioni, utilizzate poi come punto di partenza per ulteriori approfondimenti.

L’esperienza, unita all’intelligente senso di conservazione dei nostri legislatori, si è incaricata, di superare l’accusa di inutilità[21] spesso rivolta all’istituto poi, l’impegno costante della dottrina ha fatto sì che si delimitasse il campo di applicazione dell’opposizione di terzo nelle sue due accezioni e infine si è delineata in maniera, a parere di chi scrive, ottimale la figura del soggetto legittimato come “terzo il cui diritto sia stato giudicato per errore in un processo svoltosi inter alios, l’errore rappresentato dalla violazione delle norme che regolano la corretta struttura soggettiva del giudizio civile.[22]

Però risulta opportuno sottolineare che la mera efficacia della sentenza nella sfera giuridica di un soggetto terzo, non è da sola idonea ad arrecargli un pregiudizio effettivo, il quale potrà derivare forse dall’esecuzione del provvedimento stesso. In altre parole, quando il giudice stabilisce la lex specialis tra le parti in causa, fa venir meno una sorta di prevalenza di cui godeva il diritto del terzo, ma solo l’attuazione del contenuto potrebbe danneggiare effettivamente il terzo titolare di un diritto incompatibile con la situazione che si verrebbe a creare e quindi l’importante è che il contenuto sentenza sia, anche solo teoricamente, idoneo ad essere messo in pratica.

In questa circostanza che realizza quanto indicato nella disposizione normativa ex art. 404 c.p.c. secondo il Fabbrini, il terzo sarebbe legittimato ad esperire l’opposizione di terzo perché il dare attuazione al contenuto della pronuncia genererebbe un’ingiustizia, per evitare la quale si fa valere la prevalenza della propria situazione soggettiva su quella decisa in causa[23].

In maniera più chiara, l’interesse del terzo proviene dall’esterno, nel senso che la sua opposizione si basa sul diritto che afferma di vantare sul bene controverso.

Tutto ciò, sempre secondo questa parte della dottrina, crea quel collegamento negato da parte della dottrina, tra l’art. 404 comma 1 c.p.c. e l’art. 2909 c.c. in quanto il terzo interessato risulta titolare di un diritto prevalente e incompatibile e contemporaneamente non risulta soggetto all’autorità del giudicato ma ne risulta comunque pregiudicato (e il pregiudizio è un effetto giuridico derivante dal giudicato inter alios).

L’opposizione di terzo ordinaria risulta essere uno strumento a carattere preventivo – “il cui esito dipende dalla trattazione di una domanda nuova”[24] - adibito ad evitare il potenziale pregiudizio che deriverebbe dalla condotta del soccombente di dare attuazione a quanto stabilito dal giudice anche se nel frattempo si ha la perdita di prevalenza rispetto alla posizione altrui.

Per quanto riguarda, invece, l’opposizione di terzo revocatoria è importante sottolineare che un’attenta interpretazione della disposizione vuole che il concetto di creditori non sia inteso in senso ampio, perché non tutti risultano legittimati, dato che possono utilizzare tale strumento coloro che risultano titolari di diritti derivati e dipendenti da quello dedotto in giudizio e i creditori “che intendono reintegrare le garanzie patrimoniali generiche somministrate loro dall’art. 2740 c.c.[25]

Una delle questioni sulle quali autori come il Fabbrini si soffermano maggiormente è quella dell’inserimento dell’opposizione di terzo nell’ambito degli strumenti di impugnazione, perché alcuni punti ritenuti non chiari, lasciano emergere delle perplessità. A tal proposito, si ricorda che larga parte della dottrina sosteneva che tale mezzo fosse equiparabile più ad un’azione autonoma e che ad un mezzo di impugnazione in senso tecnico.

Sicuramente ciò che legittima ad utilizzare tale strumento risulta di difficile interpretazione e non emerge chiaramente come per gli altri mezzi di impugnazione, poi, il ruolo e i poteri del terzo opponente si rivelano particolari e diversi dai comuni poteri concessi alle parti.

Inoltre, si può parlare, in questo caso, di soccombenza? La risposta non dovrebbe essere di segno positivo anche se in entrambi i casi si va a contestare una decisione che destabilizza in maniera ingiusta un precedente assetto sostanziale.

In realtà, solitamente la sentenza viene impugnata ai fini di ottenerne una mera riformulazione. Nel caso che ci occupa, invece, l'opponente richiede una nuova decisione, con oggetto più ampio, al fine di sostituire quella precedente che produce effetti pregiudizievoli nei suoi confronti, non avendo tenuto conto della sua posizione.

Un’ulteriore differenziazione si può evincere dal confronto, definito dal Fabbrini particolarmente concludente e istruttivo, tra il giudizio d’appello e quello di opposizione[26] perché nel primo caso, il c.d. effetto sostitutivo della decisione avviene sia in caso di accoglimento che rigetto nel merito della domanda proposta dall’appellante, mentre nel secondo caso, la sostituzione si ha solo nelle ipotesi di accoglimento (in caso di verifica dell’esistenza dei requisiti necessari per dar luogo ad una nuova attività giurisdizionale che coinvolga anche le ragioni del terzo) in quanto, in caso di rigetto (non risultano presenti le condizioni necessarie e quindi non si modifica la regola già dettata per il rapporto tra le parti originarie) l’opposizione si considera come mai avvenuta.

Dunque, la caratteristica che distingue l’opposizione dagli altri mezzi di impugnazione è l’elemento del novum (inteso come novità delle domande proposte dal terzo) che il terzo introduce, adibito ad allargare la materia del contendere rispetto all’oggetto della sentenza impugnata; quindi accanto alla vicenda processuale tra le parti si aggiunge anche la vicenda relativa alla situazione giuridica del terzo.

Infatti, il terzo chiede al giudice dell’opposizione di rivedere quanto statuito sul rapporto tra le parti in causa e chiede l’emanazione di una nuova regola che, nel suo esplicarsi nella realtà fattuale, tenga conto del suo diritto; ed è proprio quest’ultimo il fondamento dell’opposizione di terzo purché, però, risponda a determinati requisiti di connessione, incompatibilità e prevalenza rispetto al diritto su cui si è decisa la causa precedente.

Il giudice dell’opposizione dovrà, quindi verificare l’esistenza o meno di tale diritto e ovviamente l’effettiva incompatibilità e prevalenza e solo al termine di ciò si dovrà modificare o meno la regolamentazione prevista dalla sentenza inter partes, sembra quindi che “la decisione di merito sull’esistenza ed il modo di essere del diritto del terzo funge da limite di legittimità per l’esplicazione di nuova attività giurisdizionale circa il merito del rapporto attore-convenuto[27].

2.2 Il giudicato e l’opposizione di terzo nella visione di Allorio

Uno dei primi studi approfonditi sull’opposizione di terzo risulta attribuita ad Enrico Allorio illustrata nella sua famosa opera “La cosa giudicata rispetto ai terzi[28].

L’Autore attribuisce portata generale allo strumento dell’opposizione di terzo revocatoria come tutela contro la riflessione del giudicato a favore di coloro che titolari di diritti dipendenti da quello dedotto in giudizio, subiscono l’efficacia riflessa in virtù del nesso di pregiudizialità-dipendenza.

Diversamente per l’opposizione di terzo ordinaria, lo stesso Allorio afferma di aver rinunciato, a seguito di un’accurata analisi, a dare alla stessa una definizione unitaria[29] si distinguono due categorie di soggetti legittimati:

  1. i litisconsorti necessari pretermessi (si segnala, in tal caso, un’eccezione ovvero in caso di sentenza costitutiva, l’effetto costitutivo non opera nei confronti dei soggetti pretermessi ingiustamente e quindi risulta inutilizzabile l’opposizione di terzo in quanto la sentenza dovrebbe risultare inutiler data);
  2. i titolari di status incompatibili con quello che la sentenza ha accertato tra le parti e dall’altro coloro che non son soggetti né alla riflessione, né all’allargamento oggettivo del giudicato.

Per la prima categoria si verifica una sorta di efficacia riflessa provvisoria che deve essere rimossa con l’apposito strumento di tutela (opposizione ordinaria), questo rileva come necessario per salvaguardare l’interesse del terzo.

Per la seconda categoria, invece, il pregiudizio si sostanzia in un’incertezza nella quale versa un diritto assoluto di un terzo attribuito dalla sentenza ad una delle parti (parte della dottrina ha affermato che lo stato di incertezza, come anche quello di contestazione, non sono idonei a fondare un pregiudizio che legittima il ricorso all’opposizione di terzo ordinaria).

In questo caso, però, il rimedio non sarà necessario ma facoltativo e concorrente con le autonome azioni di condanna, accertamento e possessorie.

Indubbiamente, tale riflessione e ricostruzione dell’istituto risulta essere figlia del suo tempo e poco condivisibile dalla dottrina immediatamente successiva. Si cita infatti, il Proto Pisani, il quale ritiene di non poter accogliere la teoria alloriana, nonostante fornisca notevoli spunti[30].

In breve, si proverà a schematizzare le principali critiche avanzate:

  1. Si rileva una sorta di contrasto tra la norma di legge e l’interpretazione data, osservando che sembra paradossale che il legislatore in un unico strumento abbia previsto un’impugnazione che cambia caratteristiche in base ai soggetti che ne fanno uso, nel senso che assume connotazioni diverse a seconda dei soggetti legittimati all’opposizione di terzo ordinaria.

Infatti, questa è considerata come la principale pecca della teoria citata perché non si può rinunciare a ricercare un fondamento unitario.

  1. Tranne l’eccezione segnalata della sentenza costitutiva, per Allorio la sentenza non risulta inutiler data in caso di litisconsorti necessari pretermessi ma bensì produrrà ugualmente effetti nei confronti degli stessi.
  2. Si ritiene impossibile considerare ugualmente legittimati ad adoperare tale strumento sia i terzi titolari di diritti assoluti (ovvero diritti autonomi ed incompatibili con quello dedotto in giudizio con elementi oggettivi identici ma soggettivi diversi) e sia i terzi titolari di diritto oggettivamente e soggettivamente identici a quello dedotto in giudizio.
  3. Allorio allude, inoltre, ad una specie di efficacia riflessa provvisoria, che mal si concilia con la definitività del giudicato e ciò genera “la mera descrizione di un fenomeno, non già la sua ricostruzione sistematica[31].
  4. Un’osservazione viene fatta anche nell’ambito della regolamentazione degli status, in quanto l’Autore afferma che in tema di status gli effetti della sentenza si esplichino diversamente.

In realtà, le cose stanno diversamente perché come tutte le sentenze, anche quelle in esame esplicano efficacia riflessa nei confronti di un terzo titolare di un diritto dipendente, mentre non produrranno effetti verso chi si ritenga titolare dello stesso status.

L’eventuale terzo titolare dello stesso status, incompatibile con quello accertato in giudizio, può utilizzare l’opposizione di terzo ordinaria solo se questa risulta utilizzabile da titolari di diritti autonomi e incompatibili.

3. L’opposizione di terzo all’esecuzione

Per dovere di completezza, dopo aver analizzato minuziosamente l’art. 404 c.p.c., risulta doveroso un accenno allo strumento dell’opposizione di terzo all’esecuzione.

Il nostro legislatore ha voluto fornire una vera e propria tutela al terzo che, senza colpa, si trovi coinvolto - illegittimamente in un procedimento esecutivo, che genererebbe in caso di completamento dell’esecuzione - un serio pregiudizio all’interno della sua sfera giuridica.

L’art. 619 del codice di rito afferma “Il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell'esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione dei beni. Il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto.

Se all'udienza le parti raggiungono un accordo il giudice ne dà atto con ordinanza, adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare, se del caso, la prosecuzione del processo esecutivo ovvero ad estinguere il processo, statuendo altresì in questo caso anche sulle spese; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell'articolo 616 tenuto conto della competenza per valore”.

È subito rinvenibile la ratio della disposizione, consistente, appunto, nel sottrarre dall’espropriazione un bene oggetto del diritto di proprietà[32] o di altro diritto reale[33] o di credito, vantato da un terzo, quindi in sostanza si richiede un accertamento dell’illegittimità dell’esecuzione in virtù della lesione della sfera giuridica di un terzo, al quale il bene appartiene.

Questo strumento di tutela è esperibile qualora ci siano dei beni da pignorare che, però, non appartengono al debitore ma bensì ad un terzo, ad esempio in caso di espropriazione mobiliare presso il debitore, quando alcuni, tra i beni presenti nella sua abitazione, non gli appartengano. Quindi, il soggetto legittimato a proporre l’opposizione è il terzo, il quale deve anche dar prova del diritto vantato sul bene che necessita di essere stato acquisito in data certa e anteriore al pignoramento. In passato, la dottrina ha discusso in merito ai soggetti legittimati e all’oggetto del processo di opposizione; ci si chiedeva se il processo fosse relativo al rapporto tra il creditore pignorante e il terzo o se doveva essere considerato anche il debitore.

La questione sembra stata, parzialmente, risolta dalla giurisprudenza, la quale ha ipotizzato un litisconsorzio necessario tra creditore, debitore e terzo.

Potrebbe, però, verificarsi l’ipotesi in cui, il terzo subisca un pregiudizio dopo la vendita forzata e quindi nel momento della distribuzione del ricavato, solitamente, quando in sede di opposizione, promossa tramite ricorso al giudice dell'esecuzione, non è stata richiesta la sospensione o il giudice aveva ritenuto di non dover accogliere tale richiesta; anche in questo caso, il legislatore fornisce un ultimo strumento di tutela al terzo, con l’art. 620 c.p.c. relativo all’opposizione tardiva[34].

Si utilizza l’espressione “tardiva” proprio perché, ormai, il terzo potrà soddisfarsi solo ed esclusivamente sulla somma ricavata dalla vendita, non avendo più alcuna possibilità di ottenere la restituzione del bene.

Infine, per una maggiore comprensione della tutela concessa al terzo, risulta necessaria una lettura combinata degli artt. 620 c.p.c. e 2919 e 2920 c.c. (questi ultimi, relativi agli effetti della vendita forzata e dell'assegnazione), dalla quale risulta che: per comprendere quali sono i diritti spettanti al terzo, è fondamentale distinguere tra la buona e la mala fede dell’acquirente e dell’assegnatario, infatti “il terzo ha il diritto di rivalersi sul prezzo fino al compimento della distribuzione nel caso in cui l'acquisto sia stato compiuto in buona fede; in seguito a tale momento, ha diritto al solo risarcimento dei danni subiti a carico del creditore procedente in mala fede. Diversamente, se l'acquisto è in mala fede, il terzo ha diritto di rivendicare il bene sottrattogli promuovendo un autonomo giudizio di cognizione.”

4. Note a margine della ricerca: spunti di riflessione e conclusioni

Per riassumere brevemente, l'istituto esaminato rientra tra gli strumenti di impugnazione ed è considerato un mezzo straordinario perché può essere esperito dopo il passaggio in giudicato della sentenza e facoltativo dato che il terzo, titolare di un diritto autonomo da quello deciso nel giudizio precedente, potrebbe far valere il suo interesse anche mediante un'azione separata in luogo dell'opposizione. 

Dopo questo breve esame sul complesso istituto dell’opposizione di terzo emerge chiaramente che resta ancora uno tra gli strumenti più oscuri del diritto processuale civile.

Tale conclusione affiora dalla lettura delle norme di riferimento che, per nulla esaustive, hanno lasciato agli interpreti e quindi alla dottrina e alla giurisprudenza la risoluzione delle questioni più scottanti.

Infatti, è palese il perdurare delle incertezze soprattutto sul novero dei terzi rientranti tra i legittimati ad esperire tale opposizione, tale da invogliare studiosi della materia a cimentarsi nelle più svariate interpretazioni, spesso smentite dalla Cassazione.

Non va trascurato che l’istituto esaminato si intreccia con un altro tema particolarmente dibattuto ovvero la teoria del giudicato riflesso che da sempre, alimenta diatribe in abito scientifico e giurisprudenziale.

Dunque, nell’ambito dei “mezzi concessi al terzo di fronte all’evolversi delle altrui vicende giurisdizionali[35], alcuni dei quali al centro di accese diatribe dottrinali, abbiamo sicuramente quello appena esaminato, nonché l’intervento adesivo, la chiamata del giudice ed altri.

Quanto detto, però, necessita comunque di un’analisi specifica e approfondita per ogni istituto, dopodiché sarà possibile trarre conclusioni diverse o aderire a quelle della dottrina maggioritaria.

 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Come segnalato da G. Verde, Diritto processuale civile II, Processo di cognizione, 4a ed., Bologna 2015, pp. 275 ss.

[2] Anche se rinveniamo richiami a tale istituto anche in altre disposizioni del codice di procedura civile, come gli artt. 323 (lo richiama tra gli strumenti di impugnazione), 325 (prevede l’inesistenza di un termine per esperire l’opposizione di terzo ordinaria), 344 (prevede la possibilità di intervenire in appello per il terzo legittimato all’opposizione di terzo), 656 (consente contro il decreto ingiuntivo esecutivo di esperire l’opposizione di terzo revocatoria), 647 (non consente, invece di utilizzare l’opposizione di terzo ordinaria contro un decreto ingiuntivo divenuto ormai esecutivo).

[3] Corte Costituzionale, sent. 26 maggio 1995, n. 192.

Nel corso di un giudizio di opposizione di terzo proposto dal cessionario di un'azienda avverso l'ordinanza con cui il Pretore di Palermo aveva convalidato la licenza per finita locazione intimata dal locatore nei confronti del dante causa dell'opponente, il Pretore medesimo, con ordinanza emessa il 26 novembre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 404, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede l'esperibilità dell'opposizione ordinaria di terzo avverso l'ordinanza di convalida di licenza per finita locazione allorché sia stata pronunciata per mancata comparizione ovvero per mancata opposizione dell'intimato.

Osserva il giudice a quo come il mezzo d'impugnazione in argomento risulti già esperibile avverso le ordinanze di sfratto emesse tanto per finita locazione che per morosità, in forza delle sentenze nn. 167 del 1984 e 237 del 1985 di questa Corte, con la conseguenza che - allo stato - sarebbe soltanto il momento scelto dal locatore per agire, anteriormente o successivamente alla scadenza del contratto, a determinare l'opponibilità dell'ordinanza di convalida da parte del terzo che assuma lese le proprie ragioni, nel senso che soltanto nel secondo caso è proponibile l'opposizione.

Tale lacuna determinerebbe una lesione degli evocati parametri costituzionali, concretantesi in un'ingiustificata disparità di trattamento ed in una menomazione del diritto di agire in giudizio.”

[4] G. Verde, op.cit., pp. 277 ss.

[5] Con la l. 352 del 26 novembre 1990 è stato eliminato l’istituto della discrezionale concessione da parte del giudice della provvisoria esecutività, prevedendola, invece, automatica per tutte le sentenze, ex art. 282 (“La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti”) c.p.c.

In questo modo, il legislatore ha voluto valorizzare maggiormente il primo grado di giudizio, disincentivando le impugnazioni con scopo dilatorio. Però, per dovere di completezza, si segnala che dottrina e giurisprudenza prevalente, tendono ad interpretare in maniera restrittiva questa esecutività automatica, stabilendo che le sentenze di accertamento non avrebbero efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato (così: Cass. 7369/2009).

[6] In base a quanto stabilito dall’art. 326 c.p.c.

[7] G. Verde, op. cit., pp. 279 - 280

[8] A. Proto Pisani, Opposizione di terzo ordinaria, Jovene 1965, cit. p. 224

[9] S. Menchini, I limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile nel pensiero di A. Proto Pisani, in Riv. di dir. Process. 4-5/2017, cit. p. 1150

[10] E. Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Giuffrè, Milano, 1935, cit. p. 308

[11] Cosi definita da Proto Pisani in op. cit. pp. 289 ss.

[12] A. Proto Pisani, op. cit., vedi note nn. 9 a 16, p. 289

[13] Id., op. cit., cit. p. 291

[14] Una delle prime teorizzazioni le troviamo nell’opera di F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile.

[15] Ad esempio il figlio legittimo rispetto alla sentenza che accerta l’invalidità del matrimonio dei genitori. (Vedi A. Proto Pisani, op. cit. pp. 407 ss.)

[16] A. Proto Pisani, op. cit., cit. p. 721

[17] Vedi S. Menchini, op. cit., in Riv. di diritto proc. 4-5/2017, cit. p. 1149

[18] G. Fabbrini, L’opposizione ordinaria del terzo nel sistema dei mezzi di impugnazione, Milano, 1968

[19] Id., op. cit., cit. p. 239

[20] Id., op. cit., cit. p. 239

[21] Id., op. cit., cit. p. 66

[22] Id., op. cit., cit. p. 67

[23] Il terzo, in fin dei conti, può operare su due fronti: o cerca di evitare il realizzarsi del pregiudizio, oppure qualora il suo diritto sia già stato leso, chiedere un ripristino della situazione quo ante e in caso di impossibilità di ottenerlo, chiedere un risarcimento del danno subito.

[24] G. Fabbrini, op. cit. cit. p. 242

[25] Id., op. cit., cit. p. 115

[26] “L’appellante, infatti, ha diritto di ottenere l’emanazione di un nuovo atto di giurisdizione sul merito dell’oggetto già deciso a condizione di affermarsi titolare di una situazione sostanziale diversa da quella attribuitagli nella sentenza appellata, mentre l’opponente matura il diritto all’emanazione di un nuovo atto di giurisdizione sul merito dell’oggetto già deciso solo a condizione di dimostrarsi titolare di un diritto incompatibile e prevalente: e questo, ovviamente, dopo essersi presentato, nel momento preliminare, per forza di affermazione, come legittimato  a fornire tale dimostrazione.

Le conseguenze sono evidenti: nell’appello si avrà il nuovo provvedimento sull’oggetto già deciso tanto in caso di accoglimento quanto in caso di rigetto nel merito della domanda dell’impugnante; nell’opposizione si avrà il nuovo provvedimento solo nella prima ipotesi.

E questa (non una artificiosa costruzione dell’istituto secundum eventum litis) è la ragione per cui l’effetto sostitutivo, che nell’appello si verifica sempre, nell’opposizione si verifica solo in caso di accoglimento, e non anche in caso di rigetto.

Se poi a questo punto si volesse saggiare la coerenza dell’intera costruzione domandandosi come mai i limiti che incontra il giudice di appello nell’emettere la nuova pronuncia sull’oggetto già deciso sono tanto meno rigorosi di quelli che incontra agli stessi fini il giudice dell’opposizione, sicché in definitiva l’effetto sostitutivo si verifica nell’appello con molto maggiore ampiezza che non nell’opposizione, non sarebbe difficile rispondere che tutto si spiega ponendo mente alla qualità di terzo del soggetto legittimato a proporre l’opposizione.

(…) e l’ordinamento, mentre facilmente concede che venga emessa una nuova pronuncia sull’oggetto già deciso su richiesta della parte soccombente, accontentandosi di una semplice affermazione congruente dell’interessato, tutela fino al limite  del possibile vuoi l’autonomia del rapporto corrente tra le parti originarie vuoi la stabilità delle proprie espressioni di autorità giurisdizionale quando la sollecitazione a tornare con una nuova pronuncia sull’oggetto già deciso proviene da un terzo; fino al limite della avvenuta dimostrazione dell’esistenza, della incompatibilità e della prevalenza del diritto del terzo: allora e solo allora si ha la certezza che una nuova disciplina deve reggere le condotte delle parti originarie; allora e solo allora scatta il meccanismo dell’effetto sostitutivo e nasce dalla sentenza di opposizione la dichiarazione vincolante che sola regolerà il comportamento dei soggetti privati del processo in relazione all’oggetto dedotto in lite”

Cosi G. Fabbrini, op. cit., cit. p. 248

[27] G. Fabbrini, op. cit. cit. p. 247

[28] E. Allorio, op. cit. pp. 308 ss.

[29] Id., op. cit., p. 316

[30] A. Proto Pisani, op. cit. pp. 427 ss

[31] Id., op.cit., cit. p. 429

[32] Diritto incompatibile con l’espropriazione, infatti in caso di accoglimento dell’opposizione, e il bene non sia stato già venduto, si avrebbe la cancellazione del pignoramento e l’estinzione del processo.

[33] Il diritto reale, invece, al contrario del diritto di proprietà, è compatibile con l’eventuale espropriazione ma è opponibile ai creditori (pignorante e intervenuti). Quindi in caso di accoglimento dell’opposizione, il bene viene espropriato però in fase di trasferimento forzato, si deve tener presente il diritto reale vantato dal terzo.

[34] “Se in seguito all'opposizione il giudice non sospende la vendita dei beni mobili o se l'opposizione è proposta dopo la vendita stessa, i diritti del terzo si fanno valere sulla somma ricavata”

[35] G. Fabbrini, op. cit., cit. p. 219