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Pubbl. Gio, 14 Mag 2020

Concordato preventivo: finalità, disciplina, giurisprudenza in tema di decreto ingiuntivo dopo il ricorso alla procedura

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Annamaria Di Stolfo



Il contributo analizza la disciplina del concordato preventivo, previsto dagli articoli 160-186 bis della Legge fallimentare (r.d. n. 267/1942), modificati da ultimo dal decreto legislativo n. 14/2019


ENG The paper analyzes the provisions of the composition with creditors, envisaged by Articles 160-186 bis of the Bankruptcy Law (Royal Decree no. 267/1942), as last amended by Legislative Decree no. 14/2019, whose entry into force is scheduled for 15 August 2020. Jurisprudence on the issue of the injunction after the appeal with which the debtor requests admission to the procedure.

Il concordato preventivo, introdotto dalla legge fallimentare (artt. 160-186 bis r.d. n. 267/1942) e più volte riformato (d.l. n. 35/2005 conv. In l. n. 80/2005, d.lgs. n. 169/2007, d.l. n. 83/2012 conv. In l. n. 134/2012, d.lgs. n. 14/2019 la cui entrata in vigore è prevista per il 15 agosto 2020), è una procedura concorsuale volta ad evitare che lo stato di difficoltà economica in cui versa l’imprenditore sfoci in fallimento.

Il comma 1 del nuovo articolo 84 (d.lgs. n. 14/2019) prevede espressamente che «con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio».

Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza stabilisce, all’art. 85 comma 1, i presupposti soggettivi per accedere al concordato preventivo, richiedendo a tal fine lo stato di crisi o di insolvenza dell’imprenditore.

L’art. 2 del codice definisce queste situazioni, chiarendo che per stato di crisi si intende «lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate» ; per stato di insolvenza si intende «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».

Il concordato preventivo offre all’imprenditore in stato di crisi il vantaggio di evitare le conseguenze del fallimento: egli, infatti, non subisce spossessamento, conserva l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa. Può compiere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione; invece, per gli atti di straordinaria amministrazione, necessita di autorizzazione del giudice delegato, pena l’inefficacia degli atti compiuti.
Questa procedura concorsuale ha una duplice finalità: se si tratta di crisi reversibile, mira al risanamento economico e finanziario dell’impresa; se si tratta di crisi definitiva, può essere utilizzata prima che venga dichiarato il fallimento, per evitarne gli effetti. Si tratta di un concordato di massa e giudiziale.

La proposta di concordato preventivo viene presentata dall’imprenditore ai creditori, sulla base di un piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma: può consistere in una dilazione dei termini di pagamento, nel soddisfacimento parziale dei debitori, nella cessione di beni ai creditori; l’imprenditore può altresì suddividere i creditori in classi secondo la posizione giuridica e gli interessi economici, purché non si alteri l’ordine delle legittime cause di prelazione; l’imprenditore può, inoltre, disporre l’attribuzione delle attività delle imprese interessate ad un assuntore.

Mentre nei concordati con finalità liquidatorie la proposta deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari, nei concordati finalizzati alla prosecuzione dell’impresa resta ferma la regola per cui non è richiesto limite minimo.

La proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si impegna ad assicurare a ciascun creditore.

La domanda di ammissione al concordato si propone mediante ricorso al tribunale del luogo in cui si trova la sede principale dell’impresa. La domanda va iscritta nel registro delle imprese; da questo momento, decorrono gli effetti nei confronti dei creditori di cui all’art. 168 della legge fallimentare.

La domanda di concordato può essere presentata già completa di proposta oppure con riserva; nel primo caso, la domanda dovrà essere corredata da una serie di allegati: relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria; uno stato analitico delle attività con i valori; l’elenco nominativo dei creditori e dei titolari di diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore, un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. 

Se la proposta prevede la prosecuzione dell’attività di impresa durante la procedura concordataria, il piano deve indicare anche i costi ed i ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa, delle risorse finanziarie e delle modalità di copertura.

La proposta ed il piano devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista indipendente che deve attestare la veridicità dei dati e la fattibilità del piano.

Con la riforma del 2012, all’imprenditore è stato permesso di presentare domanda incompleta, con riserva di presentare successivamente proposta e piano; il giudice fissa un termine per la formulazione della proposta, tra un minimo di sessanta e un massimo di centoventi giorni; il giudice può altresì nominare un commissario giudiziale con funzioni di vigilanza sul proponente. Allo scadere del termine, se l’imprenditore non ha presentato proposta e piano, si vedrà rigettata la domanda di ammissione al concordato e potrà essere dichiarato contestualmente il fallimento. L’imprenditore non potrà, inoltre, presentare altre domande di concordato per due anni.

Il tribunale svolge un controllo preliminare volto ad accertare se sussistano i presupposti richiesti dalla legge per l’ammissione alla procedura; se l’accertamento ha esito negativo, il tribunale dichiara inammissibile la domanda e, su istanza dei creditori o del pubblico ministero, verifica la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione del fallimento.

Se l’accertamento produce esito positivo, il tribunale, con decreto non appellabile, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e nomina gli organi della procedura, ossia il giudice delegato e il commissario giudiziale (che ha funzioni di controllo e vigilanza); il decreto viene iscritto nel registro delle imprese.

Secondo l’art. 167 della legge fallimentare, durante la procedura di concordato, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale; dovrà essere il giudice delegato ad autorizzare operazioni di amministrazione straordinaria come la contrazione di mutui, le alienazioni di beni immobili, concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni.

Il tribunale può autorizzare il debitore a pagare crediti per prestazioni di beni e servizi stipulate anteriormente alla presentazione della domanda.

L’art. 168 della legge fallimentare ci illustra gli effetti che l’iscrizione del ricorso nel registro delle imprese produce nei confronti dei creditori: preclusione delle azioni esecutive e cautelari individuali e arresto di quelle già in corso, pena la nullità; sospensione del corso della prescrizione e il non verificarsi della decadenza; impossibilità di modificare la propria posizione, mediante acquisto di diritti di prelazione sul patrimonio del debitore (salvo che intervenga autorizzazione da parte del giudice delegato); scadenza immediata di tutti i crediti e computo degli stessi, ai fini del concorso, secondo le norme dettate per il fallimento.

Inoltre, le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.

Questi divieti operano in un arco temporale preciso: dalla presentazione del ricorso con cui si chiede l’ammissione alla procedura concordataria al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato. La ratio di questa norma è evitare che il patrimonio dell’imprenditore debitore venga aggredito e garantire la par condicio creditorum.

Secondo la giurisprudenza consolidata (1), nel divieto ex art. 168 rientrano non solo azioni esecutive, ma anche qualsiasi atto diretto a realizzare unilateralmente il credito, al di fuori della procedura.

Per quanto concerne le procedure esecutive già iniziate, la giurisprudenza maggioritaria (2) ritiene che esse non possano proseguire, pena la nullità, dovendosi dichiarare l’improseguibilità o l’estinzione, in quanto il patrimonio del debitore è destinato alla riuscita della procedura concordataria; altre pronunce (3) hanno mostrato, invece, un orientamento diverso, secondo cui la presentazione della domanda di concordato preventivo da parte del debitore non comporti improcedibilità od estinzione della procedura esecutiva eventualmente già iniziata, ma soltanto la sospensione fino alla conclusione del giudizio di omologazione.

Secondo la giurisprudenza, è sempre possibile dar luogo alla procedura monitoria per ottenere il decreto ingiuntivo, anche dopo la pubblicazione della domanda di concordato preventivo; «Se il credito è già riconosciuto dal debitore, il ricorso al decreto ingiuntivo è un’attività del tutto inutile per cui le spese ingiunte non andrebbero riconosciute; se, invece, al momento della proposizione del ricorso, il credito non risulta ancora inserito nell’elenco concordatario, l’azione diventa una vera e propria causa di accertamento del credito, per cui l’esito del giudizio (sia in caso di opposizione o meno) avrà decisamente impatto sul passivo concordatario sia in linea capitale sia per quanto riguarda le spese» (4); secondo questo orientamento, il procedimento monitorio non rientra né tra i procedimenti esecutivi né tra i procedimenti cautelari, ma rientra nei giudizi ordinari a cognizione sommaria, diretti ad accertare il credito vantato; l’ingiungente non potrà portare in esecuzione il credito, né potrà essere iscritta ipoteca sulla base del titolo ottenuto; lo scopo è ottenere un accertamento, non l’esecuzione del credito.

Un orientamento in tal senso era stato affermato già in precedenza (5).

Il debitore potrà fare opposizione per disconoscere il credito vantato dall’ingiungente.

Una volta ottenuta l’ammissione alla procedura, questa si articola in due fasi: approvazione della proposta da parte dei creditori e omologazione del concordato da parte del tribunale.

L’approvazione da parte dei creditori avviene in apposita adunanza, presieduta dal giudice delegato; in questa sede possono intervenire creditori non convocati ed ottenere l’ammissione al voto, provando il proprio credito.

I creditori che rappresentano almeno il 10% dei crediti possono avanzare proposte di concordato alternative a quella del debitore, corredata da piano concordatario.

Dopo una prima fase, diretta alla discussione della proposta e del piano, sia apre la fase della votazione.

Sono esclusi dalla votazione: creditori muniti di privilegio, pegno, ipoteca; coniuge, parenti ed affini entro il quarto grado, la società che controlla la società debitrice, le società controllate da quest’ultima e quelle sottoposte a comune controllo, i cessionari o gli aggiudicatari dei crediti di questi, se la cessione è avvenuta da meno di un anno prima della proposta; i creditori che siano stati esclusi dal giudice delegato in conseguenza delle contestazioni sollevate dagli altri creditori o dal debitore; i creditori che hanno presentato proposta concorrente, salvo che siano stati collocati in apposita classe.

I creditori votano su tutte le proposte; in presenza di più proposte approvate, prevale quella che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti; a parità, prevale quella del debitore; a parità fra le proposte dei creditori, prevale quella presentata per prima.

Se la proposta viene respinta, il tribunale dichiara d’ufficio inammissibile la proposta di concordato e dichiara il fallimento, su istanza di creditori e pubblico ministero, se sussistono i presupposti.

Se la maggioranza viene raggiunta, si apre il giudizio di omologazione.

In questa sede, il giudice può limitarsi a controllare la regolarità della procedura e l’esito della votazione, ma può spingersi ad un controllo di merito sulla convenienza del piano quando sul punto è stata sollevata opposizione da parte dei creditori appartenenti ad una delle classi dissenzienti o da parte di creditori dissenzienti che rappresentano almeno il 20% dei creditori ammessi al voto.

Se non sono state proposte opposizioni, il giudice procede all’omologazione con decreto motivato non soggetto a gravame che deve essere comunicato al debitore e al commissario giudiziale, il quale ne da notizia ai creditori.

Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di ammissione alla procedura; tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso (art. 184 legge fallimentare).

Il concordato viene eseguito sotto la sorveglianza del commissario giudiziale che potrà agire in sostituzione al debitore se questi omette di compiere atti a lui richiesti. Se il debitore che non collabora tempestivamente all’esecuzione della proposta concorrente ha la forma della società, il tribunale potrà revocare i componenti dell’organo amministrativo e sostituirli con un amministratore giudiziale.

Qualora il concordato consista nella cessione dei beni dei creditori, il tribunale nomina uno o più liquidatori ed un comitato di creditori per assistere alla liquidazione; il concordato con cessione comporta il conferimento ai creditori di un mandato irrevocabile in rem propriam a liquidare i beni e a spartire il ricavato tra loro.

Gli atti compiuti legalmente in esecuzione del concordato preventivo non sono soggetti a revocatoria, così come i pagamenti di servizi strumentali all’accesso al concordato.

Coloro che sono diventati creditori dell’imprenditore durante la procedura di concordato, per atti inerenti all’esercizio dell’impresa, devono essere soddisfatti in prededuzione (art. 111 comma 2 legge fallimentare).

Se gli obblighi assunti con il concordato non sono regolarmente adempiuti, ciascun creditore potrà richiedere la risoluzione per inadempimento entro un anno dalla scadenza del termine dell’ultimo adempimento con esso previsto. Se l’inadempimento ha scarsa importanza, la risoluzione non potrà essere pronunciata.

Il concordato può essere altresì annullato su istanza del commissario giudiziale o dei singoli creditori quando, successivamente all’omologazione, si scopra che il passivo è stato dolosamente esagerato ovvero che è stata sottratta una parte rilevante dell’attivo. Il ricorso per annullamento deve essere proposto entro sei mesi dalla scoperta del dolo, in ogni caso non oltre due anni dalla scadenza del termine dell’ultimo adempimento previsto nel concordato (6).


Note e riferimenti bibliografici

(1) Trib. Terni 28 agosto 2001; Trib. Busto Arsizio 30 ottobre 2009.

(2) Trib. Reggio Emilia, 6 febbraio 2013, n. 216; Trib. Verona, 28 marzo 2013; Trib. Reggio Emilia 18 aprile 2013;    Trib. Cassino 07 marzo 2016.

(3) Trib. Bologna 19 dicembre 2006; Trib. Pesaro 16 marzo 2012; Trib. Milano, 30 maggio 2013; Trib. Siracusa 26 luglio 2013.

(4) Corte d’Appello di Napoli sentenza n. 5264 del 4 novembre 2019.

(5) Tribunale di Catania 8 ottobre 2015.

(6) Bibliografia:

- Gian Franco Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Utet giuridica, VII edizione;

- Giuseppe Ferri, Manuale di diritto commerciale, Utet giuridica, XV edizione.