Pubbl. Mer, 8 Lug 2015
Il Fondo Monetario Internazionale: funzioni, competenze e criticità
Modifica paginaLinee prospettiche di un organo fulcro degli equilibri economici mondiali, salito di recente alla ribalta nelle cronache quotidiane. Dai criteri di distribuzione delle quote ai meccanismi di finanziamento dei paesi in crisi, dalle politiche contestate al crescente ruolo di arbitro del destino delle democrazie, evidenziamo i caratteri principali del FMI al fine di una più agevole comprensione del gioco delle parti nella crisi greca.
Il Fondo Monetario Internazionale (IFM nei paesi anglosassoni) costituisce uno degli organi più rilevanti in materia di regolazione economica internazionale. Presieduto dall'ex ministro francese Christine Lagarde, succeduta al discusso Dominique Strauss-Kahn nel 2013, il FMI è salito alla ribaltà delle cronache quotidiane in relazione all'ingente prestito concesso alla Grecia (1,6 miliardi di euro) e da quest'ultima non restituito alla scadenza, fissata per il 30 giugno. Ma quali sono le origini storiche e i poteri di quest'entità sovranazionale? Da dove ne scaturisce il diritto di intervenire con forza e decisione nelle politiche interne all'Unione monetaria europea? Questi e altri questiti costituiscono l'oggetto della presente trattazione, la quale si dipanerà lungo due direttrici fondamentali: l'analisi storica del FMI, cercando di farne risaltare la giustificazione politico-economica dalle vicende relative alla sua fondazione, e la valutazione del ruolo odierno che, come vedremo, presenta insopprimibili problematicità e irreparabili tensioni tra paesi ricchi e poveri, principalmente derivanti dai meccanismi di finanziamento e voto.
Profili storici del Fondo Monetario internazionale
L'idea di una gestione sovranazionale delle risorse non è propria della modernità. Alcune vicende antiche suggeriscono infatti come già il mondo greco avesse ben chiaro il principio secondo il quale interessi comuni presuppongono finanze comuni: la Lega Delio-Attica, costituita in seguito alle guerre persiane e soggetta all'egemonia ateniese, ne costituisce il più rilevante esempio. Anche nel mondo latino è possibile scovare strutture affini, come ad esempio il sistema monetario della Lega Italica nella guerra sociale contro Roma (90-88 a.C.). Ma tali esempi, pur presentandosi ciclicamente nel corso della storia, non assunsero mai caratteristiche tali da renderle realmente assimilabili al moderno FMI (o alla complementare, come vedremo, Banca Mondiale). Ostavano infatti non solo limiti oggettivi, essendo la dimensione sovranazionale è compressa dalle difficoltà logistico-geografiche in pochi, seppur rilevanti, ambiti (si pensi ai trattati di pace), ma anche la difficoltà di concepire una vera e propria sfera extra moenia, sicché nei due casi rappresentati le primitive unioni monetarie erano o funzionali all'egemonia della polis più forte o diretti ad affermare l'indipendenza di un fronte variegato di popoli italici dal principale stakeholder del mondo antico.
Il bisogno di una regolazione monetaria internazionale sorge dunque solo di recente nella storia dell'uomo, in particolare in seguito alla tremenda crisi finanziaria del 1929. Il sostanziale default del ceto medio in seguito alla Grande Depressione (che seguiva, si ricorda, la crisi dovuta alla guerra in Europa) aveva indotto gli USA e le altre potenze economiche ad adottare politiche di svalutazione della moneta: di certo redditizie nel breve periodo ma alla lunga dannose per il volume complessivo degli scambi globali e per le stesse economie interne. A luglio 1944, con la guerra ancora in corso, gli Alleati si ritrovarono in New hampshire, presso la località di Bretton Woods, al fine di regolare le relazioni finanziarie e commerciali a livello globale. Come da prassi in quel periodo la conferenza, una tra le tante che definirono l'assetto post-bellico, fu svolta sotto l'egida degli USA, interessati a porsi come capofila di quello che, in seguito, sarebbe stato il blocco occidentale. L'altra posizione di forza, seppur subordinata, era quella britannica: il delegato inglese era il celebre economista J. Keynes, la cui visione entrò in conflitto con le idee dello statunitense White.
La struttura: il progetto di Keynes e quello di White
- Keynes immaginava la creazione di un fondo nel quale la partecipazione dei vari paesi fosse rapportata al volume del loro commercio internazionale. I rapporti di cambio erano rapportati a una comune moneta virtuale denominata Bancor. La visione keynesiana rifletteva gli interessi britannici, dato che il rilancio dell'economia inglese era connesso alla necessità di rilanciare gli scambi globali (infatti, seppur in dissoluzione, l'impero coloniale britannico manteneva stretti rapporti con la madrepatria).
- White era invece portatore degli interessi statunitensi, ovvero incaricato di difendere la supremazia della principale economia mondiale dopo la guerra. Gli USA, titolari di crediti ingenti nei confronti degli Alleati, spingevano per creare un ente a carattere bancario, che concedesse prestiti ali Stati membri previo accordo di restituzione nel tempo.
Il punto di vista di White prevalse e il nascente FMI (nonché la parallela Banca Mondiale, con competenze in ambito di lotta alla povertà) fu non solo sotto l'influenza prevalente degli USA ma assunse il dollaro come valuta di riferimento. I singoli Stati membri acquisirono quote in proporzione alla loro partecipazione al capitale e divennero correlativamente titolari di Diritti Speciali di Prelievo, ovvero ebbero la possibilità di ottenere finanziamenti dal FMI. Appare inoltre da evidenziare come la lettura dell'art. 1 dell'Accordo istitutivo (in allegato) suggerisca l'indipendenza piena del Fondo, laddove in realtà il sistema delle quote (che analizzeremo in seguito) permette agli USA, detentori del 17% del capitale, di esercitare un'egemonia piena e fortemente condizionante.
Il FMI ha subito una rilevante crisi nel 1971, in seguito alla decisione del presidente Nixon di sospendere la convertibilità del dollaro in oro. Esulando, per quanto possibile, da un'analisi prettamente economica, è da segnalare come la svolta di Camp David (dal nome della località in cui il sistema di Bretton Woods fu sospeso) ha comportato una decisa modifica del ruolo del Fondo, il cui principale compito è ad oggi l'erogazione di prestiti ad economie in crisi dietro l'impegno a una ristrutturazione del debito.
L'organizzazione e il sistema di voto
Gli organi di governo del FMI sono il Board of Governors, l'Executive Board e il Managing Director. Il Board of Governors è l'assemblea dei rappresentanti dei 188 Stati membri. Ogni Stato è generalmente rappresentato dal Governatore della Banca Centrale, ma in ordinamenti meno rigidi nella separazione dei Poteri rispetto al nostro tale incarico è attribuibile anche al Ministro delle Finanze o a figure politiche di particolare rilevanza. Il board dei governatori ha funzioni ridotte e sussidiarie, come espresso dall'art. XII, sez. 2, lett. a) dell'Accordo Istitutivo, e si riunisce generalmente una volta l'anno.
Maggiore rilevanza è attribuita all'Executive Board, responsabile della gestione generale del Fondo e composto da 24 direttori esecutivi, scelti tra i membri del Board of Governors. I 5 paesi che detengono le quote più rilevanti, ovvero USA, Giappone, Germania, Francia e Regno Unito, sono membri permanenti dell'Esecutivo, mentre gli altri 19 direttori (in origine 15) vengono eletti dagli Stati nel Consiglio dei Governatori. Tale struttura, che ricorda a grandi linee il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, è fortemente gerarchica e difficilmente permette a coloro che detengono quote minoritarie del capitale di nominare un direttore esecutivo. Anche se ciò avvenisse è tuttavia da segnalare come ogni direttore sia portatore dei voti dello Stato che lo abbia eletto e di quelli che, rinunciando a presentare una loro candidatura, lo abbiano supportato, rendendo di fatto impossibile una coalizione "anti-occidentale": sebbene maggioritari nel numero, i 166 paesi più deboli detengono infatti meno del 30% del capitale. Nella maggioranza dei casi è dunque più che sufficiente un accordo tra USA e zona euro per indirizzare le politiche del FMI.
Il vertice "politico" del FMI è rappresentanto dal Managing Director: un governatore tra i governatori, che presiede l'organizzazione. Esercita le funzioni di presidente del Consiglio Esecutivo con la possibilità di voto dirimente nei casi in cui manchi la maggioranza; ha il potere di formulare proposte al Consiglio; adotta le necessarie deliberazioni in materia di organizzazione del personale del FMI. Il Direttore è la manifestazione sensibile del Fondo: ne rappresenta la struttura e gli interessi, conferendo ad esso il necessario grado di (apparente) indipendenza e imparzialità. L'attuale direttore, la francese C. Lagarde, è solo l'ultima di lista di 11 illustri predecessori, tutti espressione delle politiche economiche del vecchio continente. In effetti il ruolo del direttore, la cui importanza va sempre rapportata al consiglio esecutivo e al suo "capitale" elettorale, ha rappresentato storicamente il bilanciamento della supremazia statunitense: nominando a tale ruolo un rappresentante Alleato, gli USA hanno avuto il via libera per imporre il proprio modello liberista come vera mission del FMI.
L'art. IX dell'Accordo istitutivo attribuisce un'immunità funzionale ai membri del Fondo, riconoscendo valore politico-istituzionale a cariche strutturalmente economiche: tale aspetto è stato di recente oggetto di critiche in relazione all'intricata vicenda dell'ex direttore Dominique Strauss-Kahn, costretto alle dimissioni per una serie di scandali a sfondo sessuale.
Critiche, criticità e aspetti controversi del Fondo
La nostra breve analisi ha cercato di dare un'informazione di base sul FMI, ma il ruolo di quest'organizzazione resta oscuro e ambivalente se non viene inquadrato nel complesso delle relazioni internazionali tra le principali economie. La politica estera è infatti solo idealmente un insieme di comparti tra loro indipendenti: gli Stati vivono un continuo bilanciamento di interessi, spesso tra loro contrapposti e compensati. In una situazione necessariamente fluida il ruolo del FMI tende sempre meno a configurarsi come arbitro, neutro rispetto ai suoi membri, e sempre più come portatore degli interessi dei suoi più "pesanti" finanziatori. A ciò non è di certo estraneo il meccanismo di ripartizione delle quote, nominalmente revisionato ogni 5 anni ma tendenzialmente sempre uguale a se stesso, che rapprensenta in modo statico un equilibrio in realtà inesistente, attribuendo alla Cina, ormai prima economia mondiale,, solo il 4% dei voti. Il sistema White, vincente nel 1944, si è dunque dimostrato alla lunga poco flessibile ed efficace, laddove il modello keynesiano avrebbe premiato la dinamicità e il volume d'affari reale dei singoli Stati.
Le principali critiche al FMI portano la firma di illustri intellettuali come Joseph Stiglitz e Noam Chomsky e vertono sull'incapacità del Fondo di combattere la forbice tra paesi ricchi e paesi poveri, sulla scarsa trasparenza delle procedure decisionali e sul meccanismo non paritario di voto. Se si tiene poi a mente che la Banca Mondiale, complementare del FMI e più volte richiamata, è stata presieduta dalla sua fondazione solo da economisti statunitensi è evidente come il sistema di Bretton Woods sia per molti l'esempio di un modo arrogante e forzato di attuare il capitalismo. La crisi del 2008, i cui effetti sono ancora ben presenti in molte economie, non ha fatto altro che dare vigore a critici e oppositori. Il FMI, come tante altre strutture, ha sposato una politica di austerità che si è sostanziata nell'imposizione di pesanti manovre correttive agli Stati membri che hanno necessitato dell'erogazione di un prestito. Si è venuta dunque a determinare una situazione del tutto nuova, con un'istituzione non democratica (e, se si tiene presente quanto esposto sulle quote, non equamente "rappresentativa") che si è fatta carico di stabilire le modalità di esercizio di competenze tradizionalmente esclusive di Stati sovrani. Come accaduto con più veemenza dei confronti dell'UE (ma sempre per motivazioni economiche) il FMI è stato dunque criticato per il suo insopprimibile deficit di legittimazione, espressione di una burocrazia più interessata ai conti che al destino dei popoli.
Conclusioni
Un'analisi equilibrata, come qui si è cercato di fare, deve tenere presente l'enorme importanza del FMI nella gestione delle crisi finanziarie. Senza i presiti di tale struttura Stati come la Grecia, l'Argentina (2001) e precedentemente gli stessi membri del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), avrebbero avuto difficoltà ancor più serie a fronteggiare le rispettive crisi economiche: la presenza del Fondo ha garantito infatti liquidità e prestiti facilmente accessibili, almeno in una prima fase. Ben più problematica, e ciò è stato efficacemente evidenziato dai negoziati con la Grecia, è la fase seguente, ovvero la ricerca di accordi al fine di consentire al FMI il recupero dei suoi crediti: l'egemonia del blocco occidentale impedisce infatti a tale struttura l'elaborazione di una posizione indipendente, generando un irrigidimento delle politiche economiche. Stati come la Grecia o l'Argentina del 2001 si trovano infatti a confrontarsi da un lato coi singoli creditori, eventualmente riuniti in strutture sovranazionali, e dall'altro col FMI, creditore sui generis che esprime, sotto altra forma, le stesse istanze dei primi (o, quantomeno, dei più rilevanti tra essi). Il vero limite del FMI sta dunque, a modesto parere dell'autore, nell'impossibilità materiale di sviluppare una dialettica efficace con i suoi debitori, in modo da essere percepito non come un'articolazione anacronistica del potere di una certa parte del mondo ma come punto d'incontro globale di interessi economici, primo tra tutti la stabilità e la sostenibilità finanziaria.