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Pubbl. Gio, 2 Lug 2015

Esecuzione forzata senza revocatoria: fondo patrimoniale, trust e donazione dopo il DL n. 83 del 27 giugno 2015

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Valeria Lucia


Con il recentissimo decreto legge n. 83 del 2015, approvato il 27 giugno scorso, per aggredire i beni del fondo patrimoniale il creditore non deve più proporre l’azione revocatoria per ottenere l’ inefficacia dell’atto. La stessa sorte è prevista per i beni oggetto di donazione, trust e vincoli di genere, per i quali risultano sospesi ex lege gli effetti segregativi fino al termine dell’anno dalla loro trascrizione.


L’art. 12 del decreto legge n. 83 del 2015 ha previsto una modifica al codice civile, per cui dopo l’art, 2929 c.c. è inserita la sezione I-bis, rubricata "Dell’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito":

«Art. 2929-bis – Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilita’ o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, puo’ procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorche’ non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto e’ stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa. Quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonche’ la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.».

La richiamata modifica impone alcune riflessioni preliminari sugli istituti sostanziali e processuali coinvolti, con particolare riferimento ai vincoli di indisponibilità ed ai presupposti dell'azione revocatoria.

Relativamente ai vincoli di indisponibilità, nel nostro ordinamento ha assunto grandissima rilevanza tra le convenzioni matrimoniali l’istituto del fondo patrimoniale, di cui agli artt. 167 e ss. c.c.
Il fondo patrimoniale consiste in un complesso di beni immobili, mobili registrati o titoli di credito, destinato a far fronte ai bisogni della famiglia, attraverso i frutti provenienti dall’impiego dei beni costituiti in esso. Inoltre, ai sensi dell’art. 2647 c.c., quando il fondo patrimoniale ha ad oggetto beni immobili, l’atto costitutivo necessita di trascrizione.

I beni che costituiscono il fondo patrimoniale sono assoggettati ad un regime speciale, poiché non possono essere gravati da alcun vincolo senza il consenso di entrambi i coniugi, e, nel caso di figli minori, è necessaria anche l’autorizzazione del giudice. Ulteriore peculiarità, che realizza l’effetto segregativo proprio dell’istituto, è che, sia i beni sia i frutti del fondo patrimoniale non possono essere aggrediti dai creditori dei coniugi se il debito era stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. L’effetto quindi è quello di creare un vincolo di inespropriabilità, a condizione della consapevolezza da parte del creditore che il debito era stato contratto per scopi estranei alla famiglia.

E’ evidente il favor debitoris che emerge dalla disciplina dell’istituto, lo stesso, però, ad una lettura costituzionalmente orientata in funzione della tutela della famiglia e delle esigenze di sviluppo e mantenimento dei figli minori, appare socialmente accettabile e giustificata entro i limiti e le modalità descritte dal Legislatore. E’ infatti evidente che, con la costituzione del fondo patrimoniale, i coniugi adempiono all’obbligo giuridico di far fronte ai bisogni della famiglia, in funzione di tutela della solidarietà familiare.

In ogni caso, resta il fatto che l’effetto segregativo prodotto dalla costituzione di un fondo patrimoniale rappresenta una importante deroga al principio generale di cui all’art. 2740 c.c., per cui “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.”

In un’ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi è ormai pacifica l’esperibilità da parte del creditore dell’azione revocatoria, avverso l’atto di costituzione del fondo patrimoniale. In esso, infatti, possono riscontrarsi i presupposti tipici dell’azione revocatoria, in quanto la costituzione del fondo è atto dispositivo che riduce la garanzia generale dei creditori, da cui rileva l’eventus damni, elemento oggettivo alla base della revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. Ulteriore presupposto richiesto ai fini della esperibilità dell’azione è la cd. scientia damni, elemento soggettivo per cui il debitore e il terzo, quest’ultimo limitatamente agli atti a titolo oneroso, costituiscano il vincolo con la consapevolezza che, con l’atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale o, relativamente a un atto anteriore al sorgere del credito, lo stesso fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del creditore.

La modifica introdotta dal decreto legge n. 83 del 2015 ha inciso proprio sull’elemento soggettivo dell’azione revocatoria.

Prima della modifica, alla luce di quanto detto, il creditore che riteneva di essere leso da un atto dispositivo del debitore, poichè preordinato a diminuire la garanzia patrimoniale nei suoi confronti, poteva instaurare un procedimento giudiziario proponendo un’azione revocatoria e, in caso di prova della tesi del creditore danneggiato, il Giudice dichiarava l’inefficacia dell' atto nei suoi confronti. Una volta terminato il giudizio ed ottenuta la pronuncia dichiarativa di inefficacia, il creditore danneggiato poteva soddisfarsi sul bene del debitore.

Con la modifica in commento, invece, il creditore che ritiene di essere danneggiato da un atto dispositivo del debitore, è abilitato ad iniziare l’esecuzione forzata senza l’intervento della sentenza dichiarativa di inefficacia a seguito di proposizione dell’azione revocatoria. Ciò che emerge è una sorta di presunzione iuris tantum per cui gli atti dispositivi del debitore sarebbero in frode al creditore, con conseguente lesione del diritto di difesa del debitore e del terzo che ha ricevuto i beni.

La lesione del diritto di difesa del debitore e del terzo appare in tutta la sua evidenza dalla circostanza per cui saranno costretti a far valere le proprie ragioni non più in un procedimento di cognizione ordinaria, a seguito della proposizione dell’azione revocatoria, bensì esclusivamente in sede di opposizione all’esecuzione, il che comporta una ingiustificata inversione dell’onere della prova.
Se, infatti, con la revocatoria, era il creditore a dover dimostrare l’intento fraudolento del debitore, oggi è quest’ultimo a doversi difendere e a dimostrare che il fondo patrimoniale, il trust o la donazione non sono stati posti in essere al solo scopo di frodare il creditore. Peraltro gli stessi motivi di opposizione appaiono limitati, potendo consistere solo nell’esistenza del pregiudizio e nella conoscenza da parte del debitore del pregiudizio medesimo. Per entrambi appare evidente la intrinseca difficoltà in termini probatori.
Non da ultimo, si evidenzia l’ulteriore rischio che, qualora oggetto dell’atto dispositivo sia un immobile, nelle more del giudizio di opposizione il Giudice può autorizzarne la vendita all’asta o imporre al debitore di liberarlo.

L’unica condizione, affinché tale potere del creditore possa manifestarsi, è che quest’ultimo trascriva il pignoramento entro un anno dalla data di trascrizione dell’atto di donazione, vendita, fondo patrimoniale o trust.