• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 24 Giu 2015

Rielaborazione non autorizzata di un’opera altrui e risarcimento del danno: il problema del criterio applicabile per la liquidazione del lucro cessante.

Modifica pagina

Concetta Pecora


Quali sono i criteri per la liquidazione del danno derivante dalla elaborazione non autorizzata di un’opera altrui? Quali le differenze, sul piano risarcitorio, tra contraffazione e rielaborazione abusiva? Commento alla sentenza della Cass. Civ. sez. I 03/06/15, n. 11464.


Con la sentenza n. 11464 del 3 giugno 2015 la Corte di Cassazione ha fornito alcuni importanti chiarimenti in ordine alla questione della quantificazione del danno subito dall’autore in conseguenza della rielaborazione non autorizzata della sua opera intellettuale.

I) La vicenda e i primi due gradi di giudizio

In particolare, gli Ermellini hanno focalizzato la propria analisi sul profilo relativo alla individuazione dei parametri idonei alla determinazione e successiva liquidazione del lucro cessante, ponendo in evidenza le necessità di pervenire alla individuazione di diversi criteri liquidativi, a seconda che la violazione dell’esclusiva autoriale si sostanzi in un vero e proprio plagio, ovvero nella realizzazione di un’opera derivata e non preventivamente autorizzata dall’autore dell’”opera madre”.

Al fine di cogliere appieno le argomentazioni, è utile ripercorrere rapidamente i fatti alla base della pronuncia in commento.

La vicenda ha origine nel 1995, quando il Sig. La Valle agiva in giudizio contro i sig.ri Detto Mariano e Aldo Caponi – in arte Don Backy - al fine di sentirli condannare al risarcimento del danno subito in conseguenza dell’uso non autorizzato di un proprio testo musicale, il quale era stato utilizzato dai convenuti per la creazione della canzone “Casa Bianca”.

La domanda attorea, dopo essere stata respinta sia in primo grado che in appello, trovava finalmente accoglimento in Cassazione, la quale annullava con rinvio la decisione del Giudice di secondo grado che, tornato a pronunciarsi sulle istanze del La Valle, accertava la violazione dei diritti morali e patrimoniali dell’attore e condannava i convenuti al risarcimento dei danni morali e patrimoniali, da liquidarsi in separato giudizio.

Di seguito, il Tribunale di Monza liquidava la somma da pagare a titolo di lucro cessante in un importo corrispondente al 50% dei proventi SIAE maturati e accumulati dai convenuti nel periodo compreso tra il 1968 – anno di pubblicazione della canzone – e il 2000, maggiorato del danno morale.

Contro la sentenza di primo grado proponeva appello l’attore, il quale, chiedendone la parziale riforma, lamentava la limitazione della somma liquidata a titolo di risarcimento alla sola metà degli introiti maturati dalle controparti.

La Corte d’Appello di Milano, tuttavia, confermava la decisione del Tribunale e la commisurazione del risarcimento al 50% dei proventi ottenuti attraverso lo sfruttamento non autorizzato dell’opera, a titolo di ristoro del danno subito dall’attore “in dipendenza della mancata indicazione di La Valle come autore del tema originario”.

La sentenza veniva dunque nuovamente impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale, respingendo i motivi di doglianza formulati dall’attore, rigettava il ricorso e confermava la decisione di secondo grado, evidenziando la correttezza dei criteri impiegati dal giudice di merito nella  quantificazione del pregiudizio risarcibile.

II) Valutazione equitativa del danno e principio della reversione degli utili.

Il punto cruciale della sentenza in esame attiene indubbiamente al primo motivo di impugnazione, relativo alla asserita erroneità della liquidazione del pregiudizio sofferto dall’attore.

Nel motivare la bontà del criterio utilizzato dai giudici di merito, la Suprema Corte muove da una preliminare digressione sulla natura delle opere derivate, precisando anzitutto come l’autonomo diritto che sorge in capo a chi rielabora un’opera preesistente – apportando alla stessa un personale apporto creativo – lasci impregiudicati i diritti di cui è titolare l’autore della creazione originaria.

Tali diritti – proseguono gli Ermellini – sono altresì inclusivi della prerogativa morale dell’autore dell’opera “madre” a essere menzionato e riconosciuto come tale, nonché del diritto patrimoniale alla utilizzazione economica della creazione oggetto di elaborazione.

Tanto premesso, la Corte rileva come il criterio utilizzato nella sentenza impugnata per la quantificazione del pregiudizio economico subito dall’attore costituisca legittima applicazione del c.d. “principio della reversione degli utili”, espressamente contemplato dall’art. 158, secondo comma, LDA (Legge 22 aprile 1941 n. 633), a mente del quale “Il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell'articolo 2056, secondo comma, del codice civile, anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto”.

Più segnatamente, la decisione evidenzia come, già anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs 140/06 – il quale ha espressamente normativizzato il principio sopra menzionato  – al Giudicante fosse pacificamente consentito di commisurare il pregiudizio economico subito dal titolare dei diritti ai profitti ottenuti dal danneggiante.

L’adozione di un siffatto criterio – puntualizza la Corte – trova difatti logico fondamento nella immediata correlazione esistente tra il vantaggio patrimoniale conseguito dall’autore della lesione e la illegittima appropriazione, da parte di quest’ultimo, di occasioni di guadagno di pertinenza esclusiva del titolare dei diritti. 

Orbene, le censure mosse dal ricorrente, a ben vedere, non si appuntano tanto sul criterio adottato, quanto sulla scelta di non destinare all’attore – parte vittoriosa nel giudizio – l’intero ammontare degli introiti percepiti dai convenuti, bensì soltanto la metà.

In sede di ricorso, il La Valle rileva, difatti, come la limitazione del risarcimento al 50% dei proventi realizzati dalle controparti sia inidonea a garantire il pieno e effettivo ristoro del pregiudizio sofferto, il quale consiste principalmente nella lesione delle potenzialità di sfruttamento economico dell’opera.

Ebbene, nel rigettare le doglianze sollevate dal ricorrente, la Suprema Corte pone l’accento sulla peculiarità della violazione oggetto del giudizio, dove la lesione dell’esclusiva autoriale non si concreta in una vera e propria condotta contraffattoria, bensì nella abusiva rielaborazione creativa di un’opera preesistente.

In altre parole, nel caso di specie non si assiste alla mera appropriazione dell’altrui sforzo creativo, bensì alla creazione di un’opera sul cui nucleo originario – comune a quello della “opera madre” – è innestato un distinto e autonomo contributo creativo, tale da originare un’opera nuova e indipendente rispetto alla preesistente.

Tale sostanziale differenza – argomenta la Cassazione – fornisce una spiegazione logicamente ineccepibile alla scelta, operata dal giudice di merito, di limitare il risarcimento del danno subito dall’autore del testo musicale  alla sola metà dei proventi ottenuti dai convenuti.

Difatti, i suddetti introiti, proprio perché realizzati attraverso lo sfruttamento economico di un’opera connotata da un riconoscibile e distinto apporto creativo, non possono essere ritenuti di esclusiva pertinenza dell’autore dell’opera originaria.

Ove così fosse, invero, al ricorrente verrebbe riconosciuto un risarcimento eccedente rispetto al pregiudizio effettivamente sofferto, in quanto illegittimamente inclusivo anche di quella porzione di proventi che gli autori a titolo derivativo hanno conseguito per mezzo dello sfruttamento della propria opera esclusiva.

Per tale ragione, argomenta la Corte, in sede di liquidazione del lucro cessante, l’utile percepito dall’autore della violazione deve essere necessariamente “depurato” da quella quota che risulti riconducibile all’autonoma ed esclusiva attività creativa degli autori del brano musicale derivato.

In altre parole, nell’applicare il criterio della reversione degli utili di cui all’art. 158 LDA (Legge 22 aprile 1941 n. 633), il giudice non può non tener conto della natura della violazione posta in essere, distinguendo doverosamente l’ipotesi di plagio da quella di creazione di un’opera derivata non autorizzata.

Il profitto realizzato dai convenuti attraverso l’utilizzazione economica del brano “Casa Bianca” non può ritenersi interamente illecito, in quanto lo sfruttamento patrimoniale dell’opera derivata – in quanto creazione autonoma – costituisce legittima prerogativa dell’autore.

Più segnatamente, illecita non è l’utilizzazione dell’opera – non trattandosi, per l’appunto, di contraffazione – bensì l’omessa, preventiva richiesta di autorizzazione all’autore dell’opera originaria, nonché l’omessa corresponsione del compenso dovuto.

III) Conclusioni

Orbene, come opportunamente evidenziato nella pronuncia in commento, la doglianza mossa dal ricorrente - secondo la quale il lucro cessante avrebbe dovuto essere determinato tenendo conto del danno sofferto in seguito alla lesione della possibilità di sfruttamento economico del brano musicale – si fonda su una errata qualificazione giuridica della condotta.

L’impugnazione del La Valle si basa, difatti, sul falso presupposto per cui l’opera musicale realizzata dai convenuti costituisca contraffazione della propria.

Ciò – come già diffusamente argomentato – non risponde al vero, trattandosi di opera creativa suscettibile di autonoma protezione autoriale, sebbene realizzata in assenza del consenso dell’autore del testo musicale originario; non dunque un’opera originale e la sua versione contraffatta, ma due opere originali tra loro autonome.

Pertanto, nell’ipotesi in esame, deve ritenersi che la quantificazione operata dal giudice di merito costituisca legittimo esercizio del suo potere discrezionale di valutare in via equitativa il danno, valutazione che è pacificamente ammessa qualora il pregiudizio sofferto sia stato giudizialmente accertato ma non sia agevolmente liquidabile.

A ciò si aggiunga che – come evidenziato dalla Suprema Corte – tale quantificazione equitativa del danno risulta adeguatamente motivata dal giudice di secondo grado,  specialmente per quanto attiene alle ragioni della ripartizione tra le parti degli utili conseguiti.