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Pubbl. Mar, 16 Giu 2015

Non è sufficiente la condizione di disabilità per aversi violenza sessuale su persona disabile. Nota a sentenza Cassazione 18513/2015

Maria Pina Di Blasio


Non è sufficiente la sussistenza della condizione di disabilità per aversi violenza sessuale su persona disabile. Il ritardo mentale non impedisce di per sé una valido consenso all’atto sessuale. Corte di Cassazione Penale, sezione III, Sentenza 5 maggio 2015, n. 18513.


Nota a sentenza Corte di Cassazione, Sezione III Sentenza 5 maggio 2015, n. 18513   Il ritardo mentale non impedisce di per sé un valido consenso all'atto sessuale. E’ quanto stabilito dalla recente sentenza della Corte di Cassazione. Dunque, diversamente da come accadeva in passato, non è sempre punibile la condotta di chi si congiunga carnalmente con persona «malata di mente» o non in grado di resistere «a cagione delle proprie condizioni di inferiorità psichica e mentale».   Va dunque provato caso per caso lo sfruttamento di tale condizione di minorità per ottenere un consenso che a quel punto risulta viziato proprio perché indotto dal disagio.   Con riserva di meglio argomentare nei prossimi giorni la posizione assunta dalla giurisprudenza sul tema e le sue possibili ricadute, anche sui procedimenti penali ancora pendenti, si riportano i punti salienti della decisione in epigrafe.   In modo particolare, la Suprema Corte, con sentenza n. 18513 del 5/05/2015, ha modo di delineare nei suoi contorni, la fattispecie criminosa di cui all’art. 609 – bis, co. 2, n. 2, c.p., nei suoi elementi normativi e descrittivi del fatto e della condotta .   La norma punisce la condotta di colui che induce taluno a compiere o subire atti sessuali, abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica al momento del fatto.   Orbene, la Corte osserva acutamente che la consapevolezza dello stato di inferiorità psichica non esaurisce le condizioni che la norma prevede per la punibilità della condotta descritta dall’art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, essendo necessario che a tale consapevolezza si accompagni l’abuso della minorata condizione per indurre la persona offesa al compimento di atti sessuali, frutto di un consenso viziato.   Il precetto, al pari di quello di cui al successivo n. 2, ha come bene giuridico protetto, la piena libertà dell’autodeterminazione all’atto sessuale, ovvero il suo aspetto volitivo che si riverbera anche nella scelta della persona con cui condividerlo. Tale consenso oltre che, non coartato od estorto con violenza o minaccia, deve essere scevro da condizionamenti di qualsiasi tipo, derivanti da inganno personale o dall’abuso delle particolari condizioni in cui possa trovarsi la persona offesa al momento del fatto.   Perché il fatto sai punibilile gli Ermellini, hanno stabilito che è necessario provare che la condizione di inferiorità psichica e mentale sia stata sfruttata per ottenere il consenso al compimento dell’atto.   Ne consegue che trarre esclusivamente dalle modalità con cui è stato consumato l’atto sessuale la prova dell’induzione abusiva all’atto stesso, sconta il rischio, che la stessa norma vuole evitare, e cioè che si possa identificare la condotta di induzione (mediante abuso della condizione di inferiorità fisica o psichica) con l’atto sessuale che ne è il risultato, con la conseguenza di impoverire l’indagine in ordine alla minorata capacità del partner ad autodeterminarsi all’atto sessuale e di svalutare, altresì, ogni aspetto che possa concorrere a ricostruire in modo approfondito e prossimo alla verità, la dinamica che precede l’azione e a comprendere se davvero abuso v’è stato.   Quindi, secondo la Cassazione, per aversi violenza sessuale ai sensi dell’art. 609 bis co. 2 n. 1 c.p. è necessario accertare che: la sussistenza della condizione di inferiorità al momento della commissione del fatto; il consenso all’atto sessuale sia viziato dalla condizione di inferiorità del soggetto passivo; il vizio sia accertato in concreto, caso per caso, secondo le specifiche modalità in cui è stato posto in essere e non può essere presunto, nè desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona quando non sia di per sé  tale da escludere radicalmente, in base ad un accertamento se necessario fondato su basi scientifiche, la capacità stessa di autodeterminarsi; il consenso sia frutto di induzione da parte di terzi; l’induzione, a sua volta, sia stata posta in essere al fine di sfruttare la (e approfittare della) condizione di inferiorità della vittima per carpire un consenso che altrimenti non sarebbe stato manifestato; 6) l’induzione e la sua natura abusiva non si identifichino con l’atto sessuale, ma lo precedono.  

Nota a sentenza
Corte di Cassazione, Sezione III
Sentenza 5 maggio 2015, n. 18513

 
Il ritardo mentale non impedisce di per sé un valido consenso all'atto sessuale. E’ quanto stabilito dalla recente sentenza della Corte di Cassazione.
Dunque, diversamente da come accadeva in passato, non è sempre punibile la condotta di chi si congiunga carnalmente con persona «malata di mente» o non in grado di resistere «a cagione delle proprie condizioni di inferiorità psichica e mentale».
 
Va dunque provato caso per caso lo sfruttamento di tale condizione di minorità per ottenere un consenso che a quel punto risulta viziato proprio perché indotto dal disagio.
 
Con riserva di meglio argomentare nei prossimi giorni la posizione assunta dalla giurisprudenza sul tema e le sue possibili ricadute, anche sui procedimenti penali ancora pendenti, si riportano i punti salienti della decisione in epigrafe.
 
In modo particolare, la Suprema Corte, con sentenza n. 18513 del 5/05/2015, ha modo di delineare nei suoi contorni, la fattispecie criminosa di cui all’art. 609 – bis, co. 2, n. 2, c.p., nei suoi elementi normativi e descrittivi del fatto e della condotta .
 
La norma punisce la condotta di colui che induce taluno a compiere o subire atti sessuali, abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica al momento del fatto.
 
Orbene, la Corte osserva acutamente che la consapevolezza dello stato di inferiorità psichica non esaurisce le condizioni che la norma prevede per la punibilità della condotta descritta dall’art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, essendo necessario che a tale consapevolezza si accompagni l’abuso della minorata condizione per indurre la persona offesa al compimento di atti sessuali, frutto di un consenso viziato.
 
Il precetto, al pari di quello di cui al successivo n. 2, ha come bene giuridico protetto, la piena libertà dell’autodeterminazione all’atto sessuale, ovvero il suo aspetto volitivo che si riverbera anche nella scelta della persona con cui condividerlo. Tale consenso oltre che, non coartato od estorto con violenza o minaccia, deve essere scevro da condizionamenti di qualsiasi tipo, derivanti da inganno personale o dall’abuso delle particolari condizioni in cui possa trovarsi la persona offesa al momento del fatto.
 
Perché il fatto sai punibilile gli Ermellini, hanno stabilito che è necessario provare che la condizione di inferiorità psichica e mentale sia stata sfruttata per ottenere il consenso al compimento dell’atto.
 
Ne consegue che trarre esclusivamente dalle modalità con cui è stato consumato l’atto sessuale la prova dell’induzione abusiva all’atto stesso, sconta il rischio, che la stessa norma vuole evitare, e cioè che si possa identificare la condotta di induzione (mediante abuso della condizione di inferiorità fisica o psichica) con l’atto sessuale che ne è il risultato, con la conseguenza di impoverire l’indagine in ordine alla minorata capacità del partner ad autodeterminarsi all’atto sessuale e di svalutare, altresì, ogni aspetto che possa concorrere a ricostruire in modo approfondito e prossimo alla verità, la dinamica che precede l’azione e a comprendere se davvero abuso v’è stato.
 
Quindi, secondo la Cassazione, per aversi violenza sessuale ai sensi dell’art. 609 bis co. 2 n. 1 c.p. è necessario accertare che:
  1. la sussistenza della condizione di inferiorità al momento della commissione del fatto;
  2. il consenso all’atto sessuale sia viziato dalla condizione di inferiorità del soggetto passivo;
  3. il vizio sia accertato in concreto, caso per caso, secondo le specifiche modalità in cui è stato posto in essere e non può essere presunto, nè desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona quando non sia di per sé  tale da escludere radicalmente, in base ad un accertamento se necessario fondato su basi scientifiche, la capacità stessa di autodeterminarsi;
  4. il consenso sia frutto di induzione da parte di terzi;
  5. l’induzione, a sua volta, sia stata posta in essere al fine di sfruttare la (e approfittare della) condizione di inferiorità della vittima per carpire un consenso che altrimenti non sarebbe stato manifestato; 6) l’induzione e la sua natura abusiva non si identifichino con l’atto sessuale, ma lo precedono.