Pubbl. Mar, 24 Mar 2020
Obbligazioni contrattuali e pandemia Coronavirus (SARS-CoV-2)
Modifica paginaBreve panoramica degli istituti giuridici rilevanti e degli effetti sui rapporti contrattuali alla luce del recentissimo Decreto Legge n. 18/2020 (c.d. Cura Italia). Articolo dell´avv. Davide Belloni e della dott.ssa Federica Gentile.
Sommario: 1. - Introduzione: la pandemia in corso e i suoi possibili effetti sui contratti pendenti; 2. - I rimedi legali. L’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore; 2.1. - Il caso fortuito e la forza maggiore; 2.2. - Il c.d. “Factum prìncipis”; 2.3. - L’impossibilità sopravvenuta temporanea e parziale; 3. - La speculare ipotesi dell’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore; 4. - L’eccessiva onerosità sopravvenuta; 5. - I rimedi convenzionali. Le clausole di forza maggiore e le c.d. clausole di “hardship”; 6. - Le specifiche previsioni contenute nel Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 (C.d. “Cura Italia”) e nei precedenti Decreti in materia.
1. Introduzione: la pandemia in corso e i suoi possibili effetti sui contratti pendenti.
L’arrivo in Italia del nuovo Coronavirus, responsabile della malattia respiratoria ora denominata COVID-19[1], e il costante incremento dei contagi sul territorio nazionale hanno portato il Governo ad emanare diversi provvedimenti ad hoc per fronteggiare un’emergenza – per usare le parole del Primo Ministro Giuseppe Conte – “mai conosciuta dal dopoguerra a oggi”.
In particolare, i diversi interventi normativi che si sono susseguiti a partire dal mese di febbraio[2] hanno introdotto pesanti limitazioni alla libertà di circolazione delle persone e disposto la sospensione di gran parte delle attività commerciali.
L’impatto che le misure di contenimento della pandemia attualmente in corso possono avere sui contratti pendenti, nei più diversi settori, è evidente: la natura delle misure adottate comporta, pertanto, anche la necessità di capire quali possano essere gli effetti sui rapporti contrattuali in essere. Di seguito, sono tratteggiati oltre che le norme citate anche gli istituti giuridici tradizionali che vengono in rilievo in questa delicata situazione.
2. I rimedi legali. L’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore.
Le circostanze e le disposizioni in esame potrebbero, in primo luogo, incidere sulla possibilità di adempiere alle obbligazioni assunte.
L’analisi, pertanto, non può che partire dall’art. 1218 c.c., che rappresenta la norma cardine in materia di responsabilità contrattuale: essa dispone che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Aggiunge l’art. 1256, comma 1 c.c. che “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”.
Ove concorrano i due elementi dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (elemento oggettivo)[3] e della non imputabilità di detta impossibilità a fatto del debitore (elemento soggettivo), si verificano dunque due effetti: da un lato, l’obbligazione si estingue e il debitore è liberato; dall’altro, il debitore, pur non avendo eseguito la prestazione, non è tenuto al risarcimento dell’eventuale danno.
A norma dell’art. 1463 c.c., nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive l’impossibilità sopravvenuta della prestazione comporta altresì che il debitore liberato non possa a sua volta chiedere la controprestazione e debba, invece, restituire quella che abbia eventualmente già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.
Secondo consolidata giurisprudenza, la causa non imputabile consiste in un “impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza”[4]. Più precisamente, deve trattarsi di un “evento imprevedibile in relazione alla natura del negozio e alle condizioni del mercato”, che trascende la sfera del debitore, e cioè “non dipendente da dolo o da colpa” dello stesso[5].
Se, da un lato, è vero che “l'impossibilità sopravvenuta che libera dall'obbligazione deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso”[6], dall’altro lato, il principio di buona fede contrattuale[7], che ormai assurge al rango di fonte integrativa del contratto[8] e permea il rapporto contrattuale in ogni sua fase[9], impone però di considerare impossibile non solo quella prestazione che non può essere eseguita dal debitore neanche utilizzando la massima diligenza, ma anche quella che implichi un impiego di forze psicofisiche o di costi economici particolarmente gravoso, tenuto conto del programma contrattuale originario[10]: ciascun contraente è infatti tenuto “a salvaguardare l'interesse o l'utilità dell'altra parte”, ma sempre “nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio”[11].
Diversamente dal precedente codice del 1865, che esplicitamente statuiva che “Il debitore non è tenuto ad aver un risarcimento di danni, quando in conseguenza di una forza maggiore o di un caso fortuito fu impedito di dare o di fare ciò a cui si era obbligato, od ha fatto ciò che gli era vietato”[12], il codice civile attualmente vigente non individua, a livello di disciplina generale, specifiche cause di esonero da responsabilità[13].
La giurisprudenza, tuttavia, da sempre richiama le richiamate categorie di caso fortuito e forza maggiore, al fine di individuare lo sforzo di diligenza concretamente esigibile da parte del debitore.
2.1. Il caso fortuito e la forza maggiore.
Sul punto, soccorre l’autorevole dottrina penalistica[14], che nell’analizzare l’art. 45 c.p. che espressamente esclude la punibilità di “chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore”, distingue le due categorie.
Se la forza maggiore annulla del tutto la signoria del soggetto sulla condotta e impedisce quindi di configurare un’azione penalmente rilevante, il caso fortuito, invece, non sempre esclude l’esistenza dell’azione.
Quest’ultimo, in quanto risulta dall’incrocio tra un accadimento naturale e una condotta umana, da cui deriva l’imprevedibile verificarsi di un evento lesivo, impedisce però egualmente che l’agente possa essere chiamato a rispondere penalmente di tale evento, in quanto cagionato con il concorso di fattori che esulano dall’ordine normale delle cose.
Le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore si concretano, pertanto, “in forze impeditive non altrimenti vincibili”[15].
Orbene, le nozioni penalistiche sono state richiamate dalla giurisprudenza civile, che ha affermato che la forza maggiore e il caso fortuito “si identificano, rispettivamente, in una forza esterna ostativa in modo assoluto ed in un fatto di carattere oggettivo avulso dall'umana volontà e causativo dell'evento per forza propria”[16].
La forza maggiore, quindi, consiste in un fattore “eccezionale ed imprevedibile, tale da superare qualsiasi accorgimento da parte del soggetto”[17]; essa ricorre in presenza della c.d. “vis maior cui resisti non potest”, cioè di quella forza esterna cui la persona non può opporsi[18]. Il caso fortuito, invece, è definito come quel fattore eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, dotato “di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo”[19].
Per avvicinarci all’ipotesi che ci interessa attualmente, avuto riguardo alle dimensioni del fenomeno pandemico, alla sua idoneità a porre in pericolo la pubblica incolumità e alla necessità di fronteggiarlo con interventi normativi o tecnici ad hoc, si consideri che la giurisprudenza ha riconosciuto che tali cause di esonero da responsabilità possono venire in rilievo in occasione di calamità naturali come terremoti, precipitazioni di particolare intensità, inondazioni, e così via[20].
2.2. Il c.d. “Factum prìncipis”.
Ancora, possono assurgere a cause di esclusione della responsabilità non solo eventi naturali, ma anche eventi “di origine umana”: il riferimento è, in particolare, all’atto della pubblica autorità (legislativa, amministrativa o giudiziaria) che impedisce al debitore di eseguire la prestazione dovuta.
Il c.d. “factum prìncipis” può tuttavia ritenersi idoneo a giustificare l'inadempimento o il ritardo nell'esecuzione della prestazione, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza[21], solo in presenza di due condizioni.
Innanzitutto, il debitore non può ritenersi esonerato da responsabilità laddove il medesimo vi abbia colposamente dato causa: è “necessario che l'ordine o il divieto dell'autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell'obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza, il che vuoi dire che, di fronte all'intervento dell'autorità, il debitore non deve restare inerte né porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio, ma deve, nei limiti segnati dal criterio dell'ordinaria diligenza, sperimentare ed esaurire tutte le possibilità che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità”.
Inoltre, il debitore “non può invocare l'impossibilità della prestazione con riferimento ad un provvedimento dell'autorità amministrativa che fosse ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza”.
In tale fattispecie potrebbero ad esempio rientrare gli asili nido che, dovendo rimanere chiusi per ordine dell’Autorità, non sono in condizione di adempiere alle obbligazioni assunte in occasione dell’iscrizione dei minori. Analogamente, sempre ad esempio, bar e ristoranti chiusi per ordine governativo potrebbero legittimamente rifiutarsi di acquistare i quantitativi minimi di caffè o bevande, tipicamente previsti nei contratti di somministrazione di settore.
2.3. L’impossibilità sopravvenuta temporanea e parziale.
Solo l’impossibilità definitiva, di regola, determina l’estinzione dell’obbligazione: ai sensi dell’art. 1256, comma 2 c.c., l’impossibilità temporanea esonera il debitore da ogni responsabilità per il ritardo nell’adempimento, salvo che l’impossibilità perduri “fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”. Una volta cessata la causa di impossibilità temporanea, il debitore è quindi tenuto ad adempiere.
Nell’ipotesi in cui l’impossibilità sia solo parziale, e cioè la prestazione sia divenuta impossibile solo in parte, dovranno trovare applicazione gli artt. 1258 e 1464 c.c. Secondo la prima norma, “il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile”. Tuttavia, in caso di contratto a prestazioni corrispettive l’art. 1464 c.c. introduce un correttivo, sempre al fine di salvaguardare il sinallagma, statuendo che in tale ipotesi “l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”.
3. La speculare ipotesi dell’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore.
È stato chiarito dalla giurisprudenza[22] che all’impossibilità di eseguire la prestazione deve essere equiparata la diversa e speculare ipotesi, non codificata dal legislatore, in cui sia divenuto impossibile per il creditore utilizzare la prestazione, sempre per causa a lui non imputabile: si pensi, per citare alcuni casi di cui i giudici si sono concretamente occupati, all’impossibilità di usufruire della prestazione alberghiera a causa di eventi sismici nella zona[23] o per l’insorgere improvviso di una grave patologia[24], che rendono irrealizzabile la finalità di turismo, o all’impossibilità di assistere a uno spettacolo all’aperto per avverse condizioni atmosferiche, che rendono irrealizzabile la finalità di svago[25].
In altri termini, anche quando l’interesse creditorio a ricevere la prestazione sia venuto meno per effetto della sopravvenuta oggettiva impossibilità di utilizzarla si verifica l’estinzione dell’obbligazione, “dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto”[26].
Alla luce di questo consolidato orientamento giurisprudenziale, pare ragionevole ritenere che anche il creditore possa a sua volta invocare le disposizioni contenute nei provvedimenti emanati dal Governo (o, a ben vedere, la stessa situazione di pandemia), quale causa non imputabile, per legittimamente rifiutare la prestazione la cui utilizzazione sia divenuta impossibile in ragione di esse e pretendere l’applicabilità della disciplina codicistica in materia di impossibilità sopravvenuta.
Per tanto, ad esempio, ove una coppia non potesse più tenere un ricevimento di matrimonio a causa delle restrizioni dovute alla pandemia Coronavirus, questa potrebbe legittimamente rifiutarsi di corrispondere alcun compenso al servizio catering o alla location precedentemente riservati, anche laddove i suddetti si rendessero comunque disponibili a rendere le proprie prestazioni.
4. L’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Ancora, pare opportuno evidenziare che, con riferimento ai contratti a prestazioni corrispettive con effetti destinati a durare nel tempo (si tratta, in particolare, dei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita), gli artt. 1467 ss. c.c. consentono di sciogliere il vincolo contrattuale al “verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili[27]” che ne alterino in maniera significativa l’equilibrio economico originario in quanto non rientranti “nell’alea normale del contratto” e quindi non tenuti presenti dai contraenti al momento della stipulazione[28].
In particolare, la parte la cui prestazione sia per tali fattori eccezionali divenuta “eccessivamente onerosa” non è in questo caso automaticamente liberata, ma può domandare la risoluzione del contratto; la controparte potrà evitarla “offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”, così ripristinando l’originario equilibrio tra le prestazioni.
Se la crescente svalutazione della moneta[29] o le normali fluttuazioni del mercato[30] sono considerate dalla giurisprudenza eventi che rientrano nella comune alea contrattuale, che quindi non legittimano la risoluzione del rapporto, potrebbero invece rivestire il carattere della straordinarietà e imprevedibilità richiesto dalla norma sia le misure imposte con la normativa volta a fronteggiare l’emergenza, sia la stessa situazione di pandemia. Questi fattori potrebbero pertanto assumere rilevanza laddove la necessità di rispettare le disposizioni di legge o, in generale, il pericolo del contagio comporti, nel caso specifico, un’alterazione dell’assetto concordato dalle parti tale da svantaggiare eccessivamente, dal punto di vista economico, uno dei due contraenti.
In tale fattispecie potrebbero ad esempio rientrare tutte quelle attività produttive inserite in una determinata catena del valore, impossibilitate a reperire sul mercato materie prime o semilavorati, se non a prezzi eccessivamente costosi, in ragione di una scarsità determinata improvvisamente dall’emergenza sanitaria.
5. I rimedi convenzionali. Le clausole di forza maggiore e le c.d. clausole di “hardship”.
Occorre infine rilevare che esiste anche la possibilità che fattispecie come quelle oggetto della presente analisi siano state espressamente disciplinate delle parti con apposite clausole contrattuali che indichino la modalità di gestione della sopravvenienza: in tal caso, la clausola, sempre che sia valida, ha forza di legge tra le parti e prevale, pertanto, su quanto previsto dall’ordinamento.
In particolare, con le c.d. clausole di rinegoziazione (nella cui categoria rientrano sia le clausole contrattuali di forza maggiore che quelle di “hardship” o eccessiva onerosità), frequenti nell’ambito dei contratti commerciali internazionali, soprattutto di durata, i contraenti si impegnano ad iniziare una nuova trattativa, in cui discutere dell’opportunità di apportare varianti al programma originario, laddove intervengano fattori sopravvenuti che comportino l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali precedentemente concordate.
Di regola, tali clausole indicano in modo specifico in presenza di quali eventi le parti sono tenute a rinegoziare le condizioni contrattuali e gli eventuali criteri da seguire nello svolgimento delle trattative[31].
6. Le specifiche previsioni contenute nel Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 (C.d. “Cura Italia”) e nei precedenti Decreti in materia.
Alla luce di quanto sinora esposto, appare del tutto coerente ai principi normativi e giurisprudenziali la specifica previsione contenuta nell’art. 91, comma 1 del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”) che aggiunge all’art. 3 del Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, il comma 6-bis, secondo cui “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Come chiarito, altresì, dalla relazione illustrativa, la norma è finalizzata a chiarire che “il rispetto delle misure di contenimento può escludere, nei singoli casi, la responsabilità del debitore ai sensi e per gli effetti dell’art. 1218 c.c., nonché l’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Pertanto, è ora espressamente riconosciuta dalla legge la rilevanza delle misure di contenimento della pandemia contenute nella normativa emergenziale quale possibile causa di esclusione della responsabilità del debitore; inoltre, l’impossibilità della prestazione per rispetto delle misure di cui al Decreto Legge potrà essere invocata al fine di impedire la maturazione di decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.
Il provvedimento in esame contiene, inoltre, una specifica norma, l’art. 88 (rubricato “Rimborso dei contratti di soggiorno e risoluzione dei contratti di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi della cultura”), volta a regolare i contratti di soggiorno e quelli di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi della cultura.
Il comma 1, in particolare, estende ai “contratti di soggiorno per i quali si sia verificata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione a seguito dei provvedimenti” emanati ai sensi dell’art. 3 del Decreto Legge 23 febbraio 2020 n.6, vale a dire le misure di contenimento adottate dalle autorità competenti (all’epoca con riferimento a specifiche aree del territorio nazionale), l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 28 del Decreto Legge 2 marzo 2020, n. 9.
La norma richiamata (rubricata “Rimborso titoli di viaggio e pacchetti turistici”) prevede esplicitamente, al comma 1, che “Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1463 del codice civile, ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo, nelle acque interne o terrestre stipulati” dai soggetti, elencati in maniera dettagliata, che per effetto delle misure di contenimento o della stessa diffusione del virus non abbiano potuto usufruire della prestazione.
Il comma 5 aggiunge che i medesimi soggetti “possono esercitare, ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, il diritto di recesso dai contratti di pacchetto turistico da eseguirsi nei periodi” interessati dalle misure finalizzate a contenere l’emergenza sanitaria.
Il comma 2 del Decreto c.d. “Cura Italia” prevede, ancora, che a seguito dell'adozione delle misure di cui all'articolo 2, comma l, lettere b) e d) del Decreto del Presidente del Consiglio dell’8 marzo 2020, con cui è stata disposta la sospensione delle attività culturali di seguito menzionate, e a decorrere dalla data di adozione del medesimo Decreto, “ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1463 del codice civile, ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, e di biglietti di ingresso ai musei e agli altri luoghi della cultura”.
Il comma 3 disciplina le modalità di rimborso mentre il comma 4, infine, statuisce che le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicheranno fino alla data di efficacia delle misure previste dal Decreto del Presidente del Consiglio dell’8 marzo 2020 e da eventuali ulteriori decreti attuativi emanati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6.
In conclusione, può osservarsi che i provvedimenti volti a fronteggiare la diffusione del virus in parola siano stati adottati dalle autorità competenti in ragione di un’emergenza sanitaria assolutamente straordinaria e che concretamente non avrebbe potuto essere prevista dalle parti al momento della stipulazione del contratto: la valutazione in ordine alla possibilità di esonerare il debitore da responsabilità al di fuori dei casi espressamente disciplinati dall’art. 88 dovrà tuttavia essere fatta caso per caso, essendo escluso dello stesso art. 91 del Decreto qualsiasi automatismo.
Infine, per tutte le ipotesi che non siano direttamente interessate dalle disposizioni contenute, pare invece ragionevole ritenere che possano comunque trovare applicazione i generali principi normativi e giurisprudenziali sopra esaminati e cioè, in particolare, la possibilità di invocare la stessa situazione di pandemia quale causa non imputabile del ritardo o della mancata esecuzione della prestazione.
Note e riferimenti bibliografici
Articolo a cura di Davide Belloni e Federica Gentile.
[1] Dal sito web ufficiale del Ministero della Salute; il nuovo virus è stato denominato SARS-CoV-2 dall’International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV) su commissione dell’OMS.
[2] Il riferimento è, in particolare, ai seguenti provvedimenti: Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6 (“Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”) e le relative disposizioni attuative del 23 febbraio 2020, del 25 febbraio 2020, dell’8 marzo 2020 (con cui hanno cessato di avere efficacia le disposizioni attuative dell’1 marzo 2020 e del 4 marzo 2020), del 9 marzo 2020, dell’11 marzo 2020; Decreto Legge 2 marzo 2020, n. 9 (“Misure urgenti per il sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”); Circolare del Ministero dell’Interno del 14 marzo 2020; Decreto Legge 9 marzo 2020, n. 14 (“Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all'emergenza COVID-19”); Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, c.d. “Cura Italia” (“Misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”).
[3] Deve trattarsi, ovviamente, di impossibilità sopravvenuta, in quanto una prestazione ab origine impossibile renderebbe impossibile lo stesso sorgere del rapporto obbligatorio e quindi nullo ai sensi dell’art. 1346 c.c. il negozio giuridico eventualmente posto in essere.
[4] Cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. III, n. 30727/2019; Cass. Civ., Sez. III, n. 26303/2019; Cass. Civ., Sez. III, n. 2061/2018.
[5] Trib. Bari, n. 1189/2017.
[6] Cass. Civ., Sez. III, n. 11914/2016.
[7] Desumibile dal combinato disposto degli artt. 2 Cost., 1175, 1337, 1366 e 1375 c.c.
[8] Cass. Civ., Sez. I, n. 5997/2006.
[9] Trib. Siena, n. 269/2019; Cass. Civ., Sez. III, n. 13208/2010.
[10] F. Caringella, L. Buffoni, “Manuale di diritto civile”, ed. VIII, pag. 1063; F. Gazzoni, “Manuale di diritto privato”, ed. XVIII, 2017, pag. 641.
[11] Cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. III, n. 26973/2017.
[12] Cfr. art. 1226 codice “Pisanelli” del 1865 (Regno d’Italia).
[13] Come si vedrà nel prossimo paragrafo, le due categorie del caso fortuito e della forza maggiore sono invece espressamente richiamate nel codice penale, all’art. 45. Il codice civile contiene, invece, alcuni riferimenti nelle norme che disciplinano i singoli contratti (ad esempio, l’art. 1785 c.c. in tema di responsabilità dell’albergatore; l’art. 1839 c.c. sul servizio bancario delle cassette di sicurezza; l’art. 1962 c.c. in materia di trasporto;) o nelle norme dedicate alla responsabilità extracontrattuale (ad esempio, l’art. 2051 c.c. relativo al danno cagionato dalle cose in custodia o l’art. 2052 c.c. relativo danno cagionato da animale). Ulteriori richiami espressi sono rinvenibili anche in ambito processuale (si pensi all’art. 650 c.p.c. che indica i presupposti per l’esperibilità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo) e nella legislazione speciale (si pensi all’art. 46 del Decreto Legislativo 23 maggio 2011, n. 17, c.d. “Codice del turismo”).
[14] G. Fiandaca, E. Musco, “Diritto penale – Parte generale”, ed. VII, pag. 230.
[15] Cass. Pen., Sez. II, n. 11440/2019.
[16] Cass. Civ., Sez. III, n. 17922/2019.
[17] Trib. Milano, n. 2850/2019.
[18] Trib. Trapani, 09.11.2018.
[19] Cass. Civ., Sez. III, n. 30729/2019; in senso conforme, Cass. Civ., Sez. III, n. 18317/2015.
[20] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, n. 14861/2019; Cass. Civ., Sez. III, n. 30521/2019.
[21] Cass. Civ., Sez. III, n. 11914/2016; in senso conforme, cfr. la più recente Cass. Civ., Sez.III, n. 14916/2018. Cfr. anche Cass. Civ., Sez. III, n. 21973/2007.
[22] Cass. Civ., Sez. III, n. 8766/2019; Cass. Civ., Sez. I, n. 20811/2014.
[23] Trib. Torino, n. 3367/2019.
[24] Cass. Civ., Sez. III, n. 18047/2018.
[25] Cass. Civ., Sez. III, n. 8766/2019.
[26] Così, Trib. Torino, cit.
[27] La giurisprudenza specificato che “Il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all'apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l'intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza” (Cass. Civ., Sez. III, n. 22396/2006).
[28] Cass. Civ., Sez. III, n. 12235/2007.
[29] Cass. Civ., Sez. II, n. 9314/2017.
[30] Cass. Civ., Sez. I, n. 9263/2011.
[31] F. Caringella, L. Buffoni, “Manuale di diritto civile”, ed. VIII, pag. 1063; F. Gazzoni, “Manuale di diritto privato”, ed. XVIII, 2017, pag. 1059.