Pubbl. Lun, 12 Giu 2023
Profili comparatistici del testamento biologico
Modifica paginaL’esigenza di rispondere alle richieste sociali e culturali in relazione al fine vita pone, nei vari ordinamenti giuridici europei ed internazionali, una sempre maggiore attenzione ai temi del testamento biologico. Al contesto italiano sono comparati i profili tedesco e francese, per l’Europa, e il living will dei sistemi di Common Law.
Comparative profiles of living wills
The need to respond to social and cultural requests in relation to the end of life places, in the various European and international legal systems, increasing attention to the issues of living wills. The German and French profiles, for Europe, and the “living will” of the Common Law systems are compared to the Italian context.Sommario: 1. Il contesto giuridico italiano; 2. Il panorama europeo: la normativa tedesca e francese; 3. Il living will nei sistemi di common law.
1. Il contesto giuridico italiano
Con l’espressione testamento biologico si suole indicare il documento con il quale un soggetto, per l'ipotesi in cui sarà affetto da una malattia allo stadio terminale e necessiterà di cure mediche, detta delle disposizioni inerenti alle cure cui intende o meno sottoporsi[1].
Tale definizione, fornita dalla dottrina per sopperire alla mancanza di una nozione e di una disciplina da parte del legislatore, evidenzia come l’utilizzo del termine testamento sia, in realtà, a-tecnico se confrontato con la definizione di testamento contenuta nell’art. 587 del codice civile[2], il quale sancisce che esso è l’atto con cui taluno dispone post mortem del proprio patrimonio.
La dottrina prevalente ritiene, infatti, che, nonostante l’atto di ultima volontà possa contenere disposizioni di carattere non patrimoniale (c.d. contenuto atipico del testamento), le disposizioni contenute in un testamento biologico non siano assimilabili - neanche per analogia - a tali suddette disposizioni non patrimoniali.
Si aggiunga anche che per definizione il testamento è un atto destinato a produrre i propri effetti dopo la morte del suo autore, mentre le volontà espresse nel testamento biologico dovrebbero operare quando il soggetto è ancora in vita, oltre alla circostanza che per poter essere attuate esse richiedono l’intervento di un terzo soggetto, quale ad esempio, il medico.
Fino al 2017, la mancanza di una disciplina inerente al testamento biologico ha rappresentato un vuoto normativo piuttosto avvertito a livello sociale, soprattutto perché la questione era, da anni, a seguito dell’apertura del caso Englaro, fortemente dibattuta nelle aule dei Tribunali.
Proprio la giurisprudenza inerente il citato caso ha condotto all’emanazione della Legge n.219 del 22 dicembre 2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, la quale ha riconosciuto la possibilità ad ogni persona, in previsione di una futura malattia che la renda incapace di autodeterminarsi, di esprimere attraverso le c.d. disposizioni anticipate di trattamento (in abbreviazione D.A.T.) le proprie preferenze sui trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e di idratazione artificiali.
Tale legge ha stabilito che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito, se privo del consenso libero e informato della persona interessata, che in caso di minore sarà prestato - o rifiutato - dai genitori o dal tutore.
Quanto alla forma delle predette disposizioni, è necessario evidenziare che è richiesta la forma scritta ad substantiam, dovendo essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza del disponente stesso.
Entrambe le scritture sono, invece, esenti dall’obbligo di registrazione e dall’imposta di bollo.
Nonostante la recente normativa, il tema del testamento biologico è ancora oggetto di acceso dibattito nella dottrina italiana.
Per tale motivo appare utile evidenziare, ai fini di un’analisi comparatistica, l’evoluzione legislativa della medesima fattispecie nei diversi ordinamenti giuridici europei ed internazionali.
2. Il panorama europeo: la normativa tedesca e francese
Nel panorama europeo, l’idea di redigere un accordo internazionale per regolare la materia del testamento biologico è stata avviata dal Consiglio d’Europa, il quale, a tal fine, ha costituito un’apposita Commissione scientifica di esperti.
È stata, quindi, prodotta la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (c.d. Convenzione di Oviedo), sottoscritta il 04 aprile 1997 da molti Paesi dell’Unione Europea, ad eccezione di Austria, Germania, Belgio, Malta e Regno Unito.
Essa costituisce il primo Trattato Internazionale sulla Bioetica.
In particolare, l'art. 9 della citata Convenzione pone l'attenzione sui desideri precedentemente espressi dal paziente, nel caso in cui quest'ultimo debba essere sottoposto ad un intervento medico e non sia in grado di esprimere la propria volontà.
Sul tema e all’interno di tale cornice, due nazioni europee, Germania e Francia, hanno provveduto a porre in essere specifiche normative sul testamento biologico.
Quanto alla prima, la Corte Suprema tedesca (Bundesgerichshof) si è pronunciata in due occasioni.
Innanzitutto, nel 1994[3] una sentenza ha sancito la legittimità della richiesta dei familiari di procedere all’interruzione delle terapie di sostegno vitale che prolungano l’esistenza di un paziente in coma.
In secondo luogo, la pronuncia del 2003[4] ha focalizzato l'attenzione sulla necessità di ricostruire la volontà del paziente incapace, enunciando fondamentali principi successivamente confluiti nel primo Progetto di legge sulla Patientenverfügungen (2009).
È necessario sottolineare come tale legge si collochi in un contesto normativo volto a valorizzare e rispettare la volontà del paziente.
Invero, già nel 1992 fu introdotto nel codice civile tedesco (BGB) il paragrafo §1896 con il quale si sanciva che se un maggiorenne, a causa di una malattia psichica o di un impedimento fisico, non potesse occuparsi dei propri affari, in tutto o in parte, il Tribunale della tutela avrebbe potuto nominare in suo favore, su sua istanza o d’ufficio, un amministratore di sostegno (betruer).
Dal 2009, con l’introduzione del §1901, lo stesso Codice tedesco ha reso vincolanti le disposizioni del paziente per chi assiste o esercita la potestà sul soggetto, purché a monte non siano ravvisabili pressioni esterne o atti illeciti.
La citata legge del 2009 completa, dunque, una già ben delineata normativa, da un lato, introducendo il Patiententestament (testamento biologico), ossia la dichiarazione di volontà resa in piena coscienza e capacità e vincolante per i medici, concernente il consenso o rifiuto delle terapie, e, dall’altro lato, valorizzando la figura dell’amministratore di sostegno (Betruer).
A quest’ultimo è, infatti, affidato il compito di valutare se le disposizioni dettate dal beneficiario possano effettivamente essere riferite alle sue attuali condizioni di vita e di salute.
In caso affermativo, l’amministratore di sostegno è tenuto ad esternare e far valere la volontà dell’amministrato, subordinando la decisione ad un colloquio con il medico curante, teso a individuare quale trattamento sanitario sia il più indicato con riferimento allo stato complessivo e alla prognosi del paziente.
Nel caso in cui non vi sia accordo tra medico ed amministratore di sostegno, è il tribunale a valutare le disposizioni anticipate di trattamento redatte dal paziente e, eventualmente, ad autorizzare il Betreuer a formulare il consenso o il rifiuto ad un determinato trattamento.
In Francia, invece, la materia è normata dalla Loi Leonetti (L. 370 del 22 aprile 2005)[5].
Fondamento della citata Legge è il rispetto della dicotomia tra laisser mourir e donner la mort, vale a dire il discrimine che separa la condotta del medico che porta la patologia a seguire il suo corso naturale e l’azione che cagiona in modo diretto la morte del malato.
Tra le innovazioni apportate dalla Loi del 2005 è significativo l'introduzione del divieto dell'ostinazione irragionevole (obstination déraisonnable), ossia l’accanimento terapeutico – definito dal deputato Jean Leonetti irrazionale e insensato – del medico nei confronti del malato.
Tale legge offre, così, la possibilità, per il paziente, di redigere disposizioni anticipate di trattamento in tema di fine vita.
Un elemento distintivo della normativa francese rispetto agli altri ordinamenti europei si riscontrava nell’art. 7 della citata legge, il quale stabiliva che il testamento biologico, oltre ad avere una durata limitata, essendo le disposizioni in esso contenute valide solo per 3 anni, non aveva valore vincolante ma mero valore consultivo.
Tali limitazioni sono state superate con l’emanazione della Loi Claeys-Leonetti del 02 febbraio 2016.
Le novità apportate dalla legge del 2005 e, successivamente, dalla legge del 2016 sono, oggi, inserite nel Code de la Santé, codice che annovera tra i diritti fondamentali del paziente anche quello ad una “sédation profonde et continue” nei casi in cui il paziente stia vivendo una sofferenza refrattaria agli ordinari trattamenti di controllo del dolore.
3. Il living will nei sistemi di common law
Analogamente alla Germania, anche in America il cosiddetto right to die (letteralmente diritto alla morte) nasce dall’esperienza giurisprudenziale.
Si ricorda, infatti, che negli anni settanta (1975), nel solco di una sempre più diffusa applicazione dei principi dell’autonomy e della self-determination, la Suprema Corte del New Jersey si è pronunciata sul caso Quinlan.
Nella sentenza, la Suprema Corte, impostando la decisione sul diritto alla privacy, ha riconosciuto il diritto di far cessare l’utilizzo di strumentazioni atte ad assicurare un artificiale prolungamento della vita di persone affette da malattie irreversibili.
Il principio di diritto enunciato nella citata pronuncia è stato inserito nel Natural Death Act, emanato dallo Stato della California nel 1976, che rappresenta il primo riconoscimento legislativo del diritto a morire.
Tale legge introduce, per la prima volta, il concetto di disposizioni anticipate di trattamento (c.d. living will), affermando che le persone maggiori di età hanno il diritto fondamentale di controllare le decisioni riguardanti la somministrazione delle proprie cure mediche, ivi compresa la decisione di non impiegare o di interrompere le terapie di somministrazione nel caso in cui si trovino in condizioni terminali.
A tal fine, è necessario che la persona abbia preventivamente manifestato per iscritto la propria volontà autorizzando espressamente il medico curante.
Tale dichiarazione deve essere redatta da un public notary e sottoscritta dal suo autore alla presenza di due testimoni i quali, al fine di evitare un possibile conflitto di interessi patrimoniali o anche solo morali, non devono essere a lui legati da vincoli di parentela o di affinità, né tantomeno essere destinatari dei suoi beni, dopo la sua morte, per effetto dell’apertura della successione.
La piena applicazione di tali principi è avvenuta, agli inizi degli anni '90, nel caso Cruzan, con il quale la Suprema Corte del Missouri - dopo aver ricostruito i due istituti sui quali è stato tradizionalmente fondato il right to die, ossia, da un lato, il diritto alla privacy e, dall’altro, l’informed consent (consenso informato), cui viene ricollegato il diritto del paziente di rifiutare i trattamenti medici - esclude che il diritto di rifiutare i trattamenti terapeutici possa rientrare nella più ampia nozione di privacy e lo riconduce al quattordicesimo emendamento della Costituzione americana, in virtù del quale nessuna persona può essere privata della vita o della libertà senza un regolare processo.
Sulla scia della giurisprudenza americana[6], anche l’ordinamento anglosassone, seppur con notevole ritardo, ha ritenuto doveroso esprimersi sul tema del testamento biologico.
A differenza del legislatore americano, che si è incentrato sul riconoscimento normativo delle disposizioni di ultima volontà del paziente, quello inglese si è focalizzato sulla tutela dei soggetti maggiorenni e incapaci.
La disciplina degli istituti di protezione di questi soggetti è contenuta nell’Enduring Powers of Attorney Act del 1985, completato dall’Enduring Powers of Attorney (EPA) del 1990 riguardante la forma prescritta per l’atto, che ha, così, aggiornato la disciplina fissata nel 1983 dal Mental health Act.
L’Enduring Powers of Attorney Act riguarda il conferimento all’attorney, da parte del donor, di una procura destinata a produrre i suoi effetti al verificarsi di una situazione di incapacità e che diviene efficace solo a seguito della registrazione presso la Corte.
Prima di procedere a detta registrazione, il procuratore è tenuto a notificare la sua intenzione di accettare l’incarico sia al rappresentato che ai suoi congiunti.
Il procuratore è legittimato ad agire in nome e per conto del rappresentato e, benché i suoi poteri riguardino principalmente la tutela del patrimonio, essi possono ritenersi estesi anche alle cure sanitarie del soggetto rappresentato.
Appare, dunque, evidente come, nonostante talune differenze formali, anche il living will anglo-americano risulti appagare i diffusi richiami sociali e si conformi agli orientamenti della comunità internazionale.
[1] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Giuffrè Editore, Milano, 2015, 865.
[2] Art. 587 c.c.: “Il testamento è l’atto con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse”.
[3] BGH, 13 settembre 1994, in NJW, 1995, 204. Nello specifico, la Corte suprema tedesca ha prosciolto dall’accusa di tentato omicidio la figlia e il medico curante della paziente in coma, la quale era deceduta in modo naturale durante il processo e non a seguito dell’interruzione delle terapie. Ciò che rileva ai fini della trattazione è la motivazione della Corte, nella quale si riconosce il diritto all’autodeterminazione del soggetto che impone di ricostruirne la volontà anche in via indiretta.
[4] BGH, 17 marzo 2003, in NJW, 2003, p. 1588. Tale sentenza ha stabilito, innanzitutto, che le direttive anticipate del paziente dovrebbero essere vincolanti, tranne che nelle ipotesi in cui la situazione concreta di incapacità decisionale sia diversa da quella prevista in via anticipata o laddove esistano indizi sufficienti per configurare una volontà di revoca da parte dell’interessato. Si è ammesso, poi, che la libertà decisionale del paziente non possa essere limitata dal parere del medico che giudica la scelta del soggetto non necessaria o non ragionevole: quest’ultimo, anzi, è tenuto a rispettare la volontà del paziente di interrompere le cure anche nei casi in cui il rifiuto può portare a morte certa. L’orientamento è stato confermato dalla successiva sentenza del BGH, 8 giugno 2005, in NJW, 2005, 2385.
[5] BORRILLO, Il fine vita in Francia tra diritti e questioni bioetiche, Bioetica, Alberto Lucarelli; Andrea Patroni Griffi, Lectio Magistralis, 22 May 2022, Naples, Italy.
[6] G. PONZANELLI, Il diritto a morire: l’ultima giurisprudenza del New Jersey, Foro. it., 1988, IV, 239 - 294 - 295.